domenica 18 dicembre 2011

L'importanza del terzomondismo nella lotta contro l'imperialismo globale, di Stefano Zecchinelli

« Pueblo, conciencia y fusil.  »

« Popolo, coscienza e fucile.  »
(Inno del Mir )

In questo articolo vorrei replicare ad un interessante studio di Giacomo Scalfari, dirigente di Battaglia Comunista, pubblicato qualche tempo fa nelle riviste della sua organizzazione politica. L’articolo si intitola ‘’Contro l’imperialismo o contro l’America’’, e ripropone le tesi della Sinistra Comunista storica a riguardo delle nazionalità. Il dibattito è interessante, sia per ciò che riguarda la teoria marxista, che non è un feticcio ideologico da conservare attraverso ciò che viene chiamato schematismo dottrinario, ma soprattutto deve essere ripreso perché, a mio avviso, il dogmatismo (secondo me mosso da un vero e proprio istinto di autoconservazione) di queste organizzazione offre preziosi spunti alle classi dominanti contro chi ancora ha il fegato di contrapporre coerenti posizioni antimperialiste. Passo quindi ad esaminare l’articolo di Scalfari.

1. Prima di tutto è necessario inquadrare storicamente la questione e il bravo Scalfari – che espone le sue tesi con intelligenza e coerenza – lo fa contrapponendo le posizioni Rosa Luxemburg, sull’auto-determinazione dei popoli, a quelle di Lenin. Leggiamo cosa dice:

‘’ La rivoluzione d’Ottobre dovette subito fare i conti con la questione nazionale, poichè nel 1917 esistevano ancora molte colonie ed esistevano ancora, oltre i confini delle repubbliche sovietiche, numerosi regimi semi-feudali. Lenin sostenne che a certe condizioni — prima fra tutte la presenza del Partito comunista — le lotte anti-coloniali potevano inserirsi nella strategia complessiva del movimento operaio internazionale, che allora poteva contare sulla forza trascinante e propulsiva dello stato sovietico. E per favorire la resistenza dello stato sovietico stesso, accerchiato dal cordone sanitario anticomunista, i bolscevichi ritenevano auspicabile l’alleanza temporanea con quelle borghesie nazionali che si opponevano all’imperialismo occidentale. Sbagliavano. Sbagliavano non solo per una questione di principio — dato che ormai le maglie economiche del capitalismo, come lo stesso Lenin sosteneva, dominavano ormai a livello mondiale e integravano nel sistema di dominio imperialista le residuali aree precapitalistiche — ma anche perchè nei fatti, quando quest’alleanza fu tentata, come in Turchia e in Persia, i comunisti non ne ebbero vantaggio alcuno e l’imperialismo occidentale non fu affatto indebolito’’.

Prima di tutto vediamo cosa ha detto Lenin (in polemica con Rosa) e poi chiariamo perché Ilic non sbagliava.
Rosa Luxemburg ha commesso il grave errore di sostituire la questione dell’autodeterminazione politica con l’autodeterminazione economica.
Sulla questione polacca, Rosa riprese  un suo studio del 1893 dove spiegava il ‘’rapido sviluppo della Polonia’’ con lo smercio dei prodotti in Russia.
Lenin in modo deciso ribatte che così facendo si spiega solo la scomparsa della vecchia Polonia aristocratica.
La rivoluzionaria ebrea-polacca omette una distinzione fondamentale: il problema della nazionalità nei Paesi occidentali ed il problema della nazionalità nei Paesi orientali. Su questo argomento in seguito ritornerò, adesso mi limito solo ad esporre la posizione di Lenin.
Il periodo che va dal 1789 al 1871 ha visto in Europa le rivoluzioni democratico-borghesi. In questo modo si sono costituiti gli Stati nazionali ed alla fine di questo periodo ‘’l’Europa occidentale si era trasformata in un sistema di Stati borghesi e – di regola – nazionalmente omogenei’’ (parole di Lenin da Sul diritto di autodecisione delle nazioni). Lo stesso periodo – quello delle rivoluzioni borghesi – nasce nei Paesi orientali solo nel 1905, quindi ‘’cercare oggi il diritto di autodecisione nei programmi socialisti dell’Europa occidentale significa non capire l’abbiccì del marxismo’’ (cito sempre Lenin).
Il proletariato in questa lotta appoggia la borghesia, o meglio fa fronte unico militare, solo in determinate circostanze, senza confondersi con la borghesia. Le borghesie nazionali cercano privilegi ed accordi con l’imperialismo, il proletariato respinge questi privilegi e –cosa importantissima – subordina la questione dell’auto-determinazione all’andamento della lotta di classe. Questa è la posizione corretta di Lenin.
Vediamo i risvolti. Il pensiero di Rosa Luxemburg, in funzione anti-bolscevica, è stato ripreso daiComunisti dei consigli. Leggete cosa scrive Paul Mattick in funzione anti-leninista:

‘’La tattica di Lenin intesa ad utilizzare i movimenti nazionalisti a scopi rivoluzionari su scala mondiale si era dimostrata un errore storicamente parlando. Gli avvertimenti di Rosa Luxemburg, quindi, erano più che giustificati di quanto lei stessa osasse credere.
Le nazioni ‘’liberate’’ vennero a formare un cerchio fascista intorno alla Russia’’ (Paul Mattick, Ribelli e rinnegati, Musolini editore/Torino, 1976).

Strana posizione quella di Mattick. Non furono proprio i movimenti di liberazione nazionale, guidati dai comunisti, a portare alla rivoluzione il Vietnam e la Cina? E la stessa cosa non ha accompagnato importanti esperienze come quella della Rivoluzione cubana? Il marxismo di sinistra astrae completamente quelli che sono i processi reali, ignorando le lotte realmente esistenti (è un fatto che i comunisti vietnamiti indebolirono notevolmente l’imperialismo americano). Alla luce di ciò e di quello che è stato il socialismo realizzato che noi riteniamo che Lenin aveva impostato in modo corretto la questione.
Passiamo alla seconda parte del bell’articolo in questione.

2. Scrive Giacomo Scalfari:

‘’ Ora, l’aumento di ingerenza dell’imperialismo USA è andato più o meno di pari passo con l’aumento della cosiddetta globalizzazione, cioè la creazione di un mercato mondiale, senza frontiere, entro il quale il capitale delle multinazionali, e in particolare il capitale finanziario, può muoversi con libertà quasi assoluta. Per cui, tenendo conto del fatto che gli strumenti più potenti di ingerenza politica ed economica della globalizzazione — come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale — sono gestiti e controllati soprattutto dagli USA e in parte da un’Europa che è comunque sotto l’egida statunitense, agli occhi di molti la questione appare piuttosto semplice: imperialismo USA = globalizzazione = anti-nazione’’.

Che l’imperialismo non sia soltanto gli Usa è una cosa ovvia. Il problema è la sottovalutazione di una vergogna chiamata Impero yankee, dai seicentomila morti delle Filippine a cavallo fra ‘800 e ‘900, ai quattro milioni di comunisti uccisi in Indonesia negli anni ’60 (e qui con il genocidio dei comunisti come la mettiamo?); dal Piano Condor del 1975, in America Latina, con squadroni della morte neo-nazisti e narcotrafficanti, al genocidio dei contadini di tre quarti del mondo pianificato dal Fondo Monetario Internazionale (si leggano le leggi del Tesoro USA) e dalla Federal Reserve americana, progetto impunito che ancora continua, il record di quasi 3 miliardi di persone che crepano di fame; fino alla pulizia etnica della Palestina, i rapporti intimi con il Sionismo ed i massacri in Irak ed Afghanistan.
Questo metodo che ignora del tutto la ‘’contraddizione principale’’ possiamo considerarlo più che inutile, addirittura, pericoloso.
Continua Scalfari, facendo un grande minestrone (questi sì che sono minestroni!) funzionale al Corriere della sera e a La Repubblica:

‘’ Se allora si vuole fermare l’imperialismo — che è come dire l’imperialismo USA — e al contempo opporsi alla globalizzazione, foriera di un capitalismo selvaggio e feroce, bisogna recuperare la nazione, soprattutto quando essa è aggredita direttamente dalla forza militare imperialista. Viva la Serbia dunque, viva i Tupamaros e le FARC, viva la Palestina e il popolo arabo (Israele è cane da guardia degli USA); viva anche la Cecenia? No, perchè la guerra cecena indebolisce la Russia… e questo favorisce gli americani!’’

Non si capisce che cosa c’entrino i nazionalisti serbi e la Cecenia con movimenti come le FARC e iTupamarosFARC Tupamaros (e il movimento Tupamaros ha una sua genesi storica che meriterebbe uno studio a parte) sono movimenti di chiaro orientamento marxista e quindi perché non dovrebbero essere sostenuti? Questi movimenti hanno pagato un tributo di sangue altissimo (e potrei citare altri importanti movimenti come il MIR cileno o i Montoneros argentini) visto che l’imperialismo ha massacrato senza pietà i suoi militanti. Purtroppo l’imperialismo sa riconoscere i suoi nemici meglio di quello che la setta di Battaglia Comunista crede, e le oligarchie colombiane macellano giornalmente gli eroici guerriglieri delle FARC. Quindi che ben venga: ‘’Viva le FARC, Viva il MIR, Viva i Tupamaros, Viva i Montoneros’’.
In realtà questa nuova fase dell’imperialismo è strettamente ricollegata alle necessità di queste tre super-potenze: Stati Uniti, Unione Europea, Giappone (ed un discorso a parte lo meriterebbe Israele). Quindi il conflitto principale diventa quello fra centro e periferia, fra Nord e Sud del mondo, dove il centro cerca di controllare il resto del mondo ricorrendo ad una progressiva militarizzazione (e ne abbiamo un esempio con il ricorso agli eserciti privati).
Su questo argomento c’è una ampia letteratura marxista che va da Samir Amin a James Petras, da Hosea Jaffe a Luciano Vasapollo, ma la Sinistra Comunista non si preoccupa di ciò e bolla questi bravi teorici (che hanno preso parte alle lotte – si pensi a Samir Amin o Petras – personalmente, rischiando anche grosso) come revisionisti. Insomma la madre dei dogmatici è sempre in gravidanza.

3. Alla fine del suo articolo Scalfari fa alcune sparate degne di un giornalista di La Repubblica’’:

‘’ Al di là di questi episodi che riguardano singole organizzazioni, da più parti, negli ambienti magmatici della sedicente sinistra antagonista, che vanno dall’ala movimentista di Rifondazione comunista alle Tute bianche, passando per una “Autonomia di classe” quanto mai frantumata ed eterogenea, si sente sempre più spesso parlare di Impero. Sì. Non ci sarebbe più l’imperialismo, che presuppone la presenza di interessi imperialistici contrapposti, indipendentemente dal fatto che una delle forze imperialiste sia — momentaneamente — dominante, ma un unico, grande Impero. C’è bisogno di dire quale nazione lo incarna? Dunque, una volta di più, tutto ciò che va contro questa strategia imperiale, è benvenuto’’.

Il bravo militante in questione ha tirato fuori dei ridicoli proclami fatti da alcuni siti di estrema destra ed ha accostato (e questa è una caduta in basso) le organizzazioni antimperialiste di sinistra alle schegge impazzite di un certo neofascismo italiano. Il neofascismo è sempre stato uno strumento della NATO (e su questo si vedano i documenti del Convegno all’Hotel Parco dei Principi, dal 3 giugno al 5 giugno 1965) per rafforzare i grandi blocchi di centro (ed anti-sovietici). Adesso prendiamo atto che le sparate di qualche scheggia impazzita (soprattutto i cultori della geopolitica ridotta a feticcio ideologico) viene strumentalizzata non solo dai vari Mieli, Vespa e Travaglio, ma anche gruppetti di ultra-sinistra, ormai fuori dai processi reali. Utilizzando lo stesso metro di giudizio potremmo paragonare Battaglia Comunista Comunione e liberazione, tanto più che sostenere la resistenza irakena comporta maggiori responsabilità rispetto al dire ‘’no, no, però siamo anche noi contro i terroristi’’. Che posizione hanno questi signori davanti la pulizia etnica in Palestina? Nulla, il silenzio, nemmeno una denuncia. E’ forse il Fronte popolare di liberazione palestinese una organizzazione indegna di essere sostenuta? Questi signori che si rifugiano nella logica dei ‘’né-né’’ non solo si dimostrano indifferenti davanti il massacro sionista ma voltano le spalle anche al proletariato israeliano che, più volte, si è dimostrano pronto ad unirsi al movimento di liberazione palestinese o si è rivoltato contro le oligarchie sioniste iniziando coraggiosi boicottaggi da dentro.
Purtroppo queste sparate puerili nascono da una impostazione di fondo errata.

4. In conclusione scrive Scalfari:

‘’ Noi non siamo d’accordo. Noi riteniamo che questo inter-nazionalismo di stampo patriottico sia assolutamente agli antipodi dell’internazionalismo proletario. Noi pensiamo che tutte queste pestifere scorie nazionaliste rappresentino solo un gigantesco ostacolo sulla strada della maturazione classista e internazionalista del proletariato mondiale. L’imperialismo americano è ora come ora quello dominante in senso assoluto? Questo non vuol dire né che sia arginabile con le lotte di liberazione nazionale, né che sia l’unico imperialismo vigente, e l’imperialismo straccione e regionale di nazioni “anti-americane” come Iraq e Serbia non ci pare affatto progressivo per le sorti mondiali della classe lavoratrice. Indifferentismo? Noi lo chiamiamo internazionalismo proletario’’.

Lasciando stare l’infantile accostamento che Scalfari su fa (e che non motiva con nessuna analisi seria) qui si apre una interessante questione: il rapporto fra il marxismo e il concetto di nazione. Darò qualche altro interessante riferimento storico per capire come l’impostazione della Sinistra Comunistasia fuorviante e, a tratti, offra importanti spunti ai filo-colonialisti.
Quando Lenin e la Luxemburg dibattevano sulla questione nazionale, un altro importante comunista esponeva le sue tesi: James Connolly. Connolly è una figura eroica del sindacalismo di classe irlandese e ha presentato interessanti studi su marxismo e questione nazionale, analisi che ormai sono quasi sconosciute.
In uno scritto del 1895 intitolato ‘’Patriottismo e lavoro’’, Connolly dice che il compito della classe operaia è quello di elevarsi a classe dominante nazionale. La politica del movimento indipendentista nasceva da uno studio attento della particolare situazione dell’Irlanda; Connolly ha avuto il grande merito di porre il problema della rivoluzione socialista nei Paesi coloniali e di iniziare a combattere il cosmopolitismo astratto tipico del marxismo eurocentrico della Seconda Internazionale.
Il nostro imposta così la questione:

‘’E’ la missione della classe operaia di dare a questo patriottismo superiore, un più nobile significato. Questo può essere fatto solo dalla nostra classe operaia, come l’unica universale, classe che tutto abbraccia, come l’organizzazione di un distinto partito politico’’.

Ovviamente questo non implica nessuna concessione al socialismo in un solo paese, ma anzi, il Paese che inizialmente rovescia la sua borghesia diventa un faro, una avanguardia nella lotta al colonialismo. Questo è un principio che accomunerà molti marxisti (da Connolly a Guevara) che sfuggono allaSinistra Comunista (che anzi li bolla come nazionalisti).
Ma teniamo ferma la frase di Connolly e ritorniamo a Marx. Il fondatore del comunismo scientifico scrive proprio nel Manifesto:

‘’Gli operai non hanno patria. Non possono essere privati di ciò che non hanno. Dato che il proletariato deve in primo luogo conquistarsi il dominio politico, elevarsi a classe nazionale, costituirsi in nazione, è anch’esso ancora nazionale, seppure senz’altro non nel senso della borghesia’’.

In realtà l’involuzione dell’internazionalismo (perché la classe operaia è davvero, come dice Connolly, una classe universale) in cosmopolitismo astratto (e non c’è una ideologia più filo-capitalistica di questa) è collegata aduna mancata comprensione dello sviluppo multilineare del processo storico. Almeno questo – che poi si manifesta nel marxismo determinista della Seconda Internazionale – penso che sia il problema principale.
Per questo il concetto di nazione quando si passa da Occidente ad Oriente deve essere rivisto; nei Paesi coloniali le nazioni rappresentavano (e basta prendere i lavori di Ho Chi Minh, Guevara, Fanon) i blocchi storici delle classi lavoratrici che vogliono il socialismo, contro le borghesie compradore al servizio dell’imperialismo. Lenin fece benissimo – a differenza della Luxemburg – a prendere le distanze dalla impostazione della Seconda Internazionale e a concentrasi (pensiamo al Congresso di Baku) sulla questione della rivoluzione nei Paesi Coloniali. Non comprendere ciò significa non capire nulla sull’imperialismo allo stato attuale ed allontanarsi del tutto dalle lotte reali.
Scalfari conclude così:

‘’ Non solo. Il profilarsi all’orizzonte di un blocco imperialista europeo o anche euro-asiatico in contrapposizione a quello americano non è più solo una fantasia dei fascisti di sinistra, ma un’ipotesi realistica di quelli che potrebbero essere i futuri equilibri geopolitici. Qualcuno forse ha già una mezza intenzione di schierarsi con il blocco più debole o con quello meno reazionario? Kautsky docet’’.

Nessuno ha intenzione di scegliere il predone più debole, ma attento tu, Israele e gli squadroni della morte colombiani non hanno bisogno di una manina rossa, ce la fanno benissimo da soli. Che dire del neo-bordighismo? Da Plekanov a Kissinger!

L’articolo di Giacomo Scalfari potete leggerlo nel sito di leftcom: http://www.leftcom.org/it/articles/2000-12-01/contro-l-imperialismo-o-contro-l-america

Testi utili:

1)      Vladimir Il’ic Lenin ‘’L’autodeterminazione dei popoli. I testi fondamentali’’, Ed. Massari
2)     Samir Amin ‘’L’imperialismo contemporaneo’’, Ed. Punto Rosso
3) Sulle FARC segnalo questo saggio del compagno Riccardo Achilli che, oltre tutto, ha pubblicato vari testi sui movimenti di liberazione nazionale: http://bentornatabandierarossa.blogspot.com/2011/12/farc-e-rivoluzione-di-riccardo-achilli.html

Stefano Zecchinelli 

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