L’invasione dell’Iraq da parte degli USA iniziata nel 2003,
nell’ambito di una strategia complessiva di controllo e dominio
dell’area mediorientale, ha decretato la fine di quello che al di là
della demonizzazione mediatica, poteva essere considerato uno degli
stati sociali più avanzati di tutto il mondo arabo.
James Petras (docente di sociologia all’Università Binghamton di New York) rileva, con la sua nota onestà intellettuale, che:
“L’Iraq indipendente e laico possedeva il più avanzato sistema
scientifico-culturale del mondo arabo, nonostante il carattere
repressivo e poliziesco del governo di Saddam Hussein. C’era un sistema
di assistenza sanitaria nazionale, di istruzione pubblica universale e
servizi di welfare generosi, combinati con livelli di parità tra i sessi
senza precedenti. (James Petras, La guerra Usa contro l’Iraq, Rete
Voltaire)”
Tutto ciò a prescindere dall’ ideologia sciovinistica e
antidemocratica di Saddam e dal suo violento e viscerale anticomunismo
che per quanto mi riguarda, non possono certo essere condivisi.
Di contro il regime di Al Maliki (Primo Ministro irakeno dal 2005,
esponente del partito islamico (sciita) Al Da’wa, a sua volta uno dei
principali partiti membri della coalizione al potere, cioè l’Alleanza
Irakena Unita), ha pienamente accettato le logiche neoliberiste,
inserendosi nella strategia (del duo Obama – Brzezinski) di
collaborazione fra l’Islam moderato e la potenza statunitense.
Leggiamo sempre Petras a proposito dell’attuale governo irakeno:” La
democrazia della prigione è stata rifornita di missili e droni degli
Stati Uniti e di oltre 10 miliardi di dollari in assistenza militare:
questa cifra include 2,5 miliardi di dollari in aiuti e 7,9 miliardi di
dollari di vendite tra il 2005 ed il 2013; per il periodo 2014 -2015
Malaki ha chiesto 15 miliardi di dollari di armi, tra cui 36 aerei da
combattimento F-16 e decine di elicotteri d’attacco Apache. Nel 2013 il
regime di Maliki ha registrato 8.000 decessi politici derivanti dalla
sua guerra interna. (James Petras, Obama: ‘’Trasformare il Medio
Oriente’’. Il gulag americano, infopal)
Niente male per uno Stato vassallo: distruzione dello Stato sociale
(creato a suo tempo dal Baath guidato da Saddam) e ripiegamento sul
militarismo. Cosa dire ? Il popolo irakeno non poteva che opporre una
forte resistenza nei confronti di questa svolta autoritaria e
repressiva. Per questa ragione Al Maliki ha reagito accentuando e
inasprendo ulteriormente lo stato di polizia interno.
Continuiamo a seguire la pagina di Petras:
“Il potere di al-Maliki si basa sui rami speciali della sua
polizia segreta, la famigerata Brigata 56, per assaltare le comunità di
opposizione e le roccaforti dei dissidenti. Sia il regime sciita che
l’opposizione sunnita sono continuamente impegnati in un regime di
guerra del terrore. Entrambi hanno svolto la funzione di stretti
collaboratori di Washington in momenti diversi”.
Un’ analisi lucida e condivisibile. Chiunque si opponga alle
politiche imperialiste non potrebbe mai simpatizzare per quello che
risulta oggettivamente essere un governo fantoccio al servizio degli
Stati Uniti. Ciò detto, dobbiamo cercare di analizzare la complessità
della situazione attuale. In estrema sintesi proviamo a dare una
spiegazione di ciò che sta accadendo, da un mese a questa parte, in
Iraq.
L’imperialismo non è un blocco monolitico ma presenta delle divisioni
interne e delle fazioni che si scontrano con forza fra loro. Quello
nord-americano non fa eccezione.
Se da un lato Obama punta tutto sui regimi vassalli e collaboratori,
la destra neocons opta invece per la strategia israeliana che ha il suo
cuore nell’ idea, mai abbandonata, della costruzione della Grande
Israele. Questo progetto prevede l’eliminazione di tutti quei regimi e
quegli stati considerati ostili da Israele, in primis la Siria e l’Iraq
(in Egitto c’è già una sorta di protettorato israeliano come abbiamo già
spiegato in un precedente articolo).
Fatta questa premessa il quadro diventa di più facile comprensione: è
ovvio che Al Maliki, che proviene dalle fila sciite e che si è opposto
all’inasprimento delle relazioni con l’Iran e il mondo sciita, in questa
prospettiva non può più essere considerato un alleato.
IL neo “Stato islamico dell’Iraq e del Levante” diventa quindi
strategicamente fondamentale per realizzare quel “caos creativo”, cioè
quella strategia della destra americana che considera (come sostenuto da
Samuel Hungtinton) il mondo islamico nel suo complesso come un nemico
ma al contempo il fondamentalismo islamico come uno strumento e un
potenziale alleato.
Anche Thierry Meyssan (giornalista e analista francese, già uno dei
leader del Partito Radicale di Sinistra) ha spiegato molto bene ciò che
sta succedendo in Iraq, ribadendo che “Se si considerano i membri dell’EIIL (Emirato Islamico in Iraq e Levante)
come dei credenti armati, a nessuno viene in mente di immaginare i
loschi interessi economici che si nascondono dietro ai loro attacchi. Ma
se si ammette che si tratta di banditi che manipolano la religione
facendo credere che Allah benedice i loro crimini, la cosa merita una
particolare attenzione’ (Thierry Meyssan, Jihadismo e industria
petrolifera, Rete Voltaire)”
Che dire ? Criminali nel nome dell’unico Dio esistente per l’imperialismo occidentale e USA: il petrol-dollaro.
Quale posizione assumere da una prospettiva democratica e
anticolonialista ? Sicuramente Al Maliki è un avversario, se però gli
Hezbollah libanesi hanno dichiarato di essere pronti ad intervenire in
Iraq contro l’ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) esiste di
certo una ragione.
Meyssan traccia un filo nero fra l’attività dell’ISIL in Siria ed in Iraq:
La stampa atlantista, che nega l’influenza della NATO sugli
avvenimenti in corso, spiega dottamente che l’EIIL è diventato
improvvisamente ricco grazie alla conquista dei pozzi di petrolio. Era
già una realtà nel Nord della Siria, ma non ci aveva fatto caso. Si era
sforzata di descrivere i combattimenti fra il Fronte al-Nosra e
l’Emirato Islamico come il frutto di una rivalità esacerbata dal
“regime”, in una lotta per accaparrarsi il petrolio”.
Una strategia imperiale chiara che potrebbe indicare una svolta a
destra nel progetto imperialistico Usa: Obama abbandona l’ “imperialismo
intelligente” di Brzezinski ed abbraccia i programmi dei
neoconservatori. Uno spostamento a destra prevedibile e anche rilevante
perché Israele, alla luce di ciò, avrà sempre più mano libera nella
regione.
Bahar Kimyongur, giornalista di formazione marxista, ha recentemente scritto che “L’armée
irakienne est loin, très loin d’être un modèle. Mais elle est l’unique
force supraconfessionnelle capable de battre les SS de Daech (organizzazione jihadista legata all’Isil)”.
Nulla da aggiungere alle parole di Bahar: i fatti dimostrano come il
jihadismo sia il braccio armato del neocolonialismo occidentale in Iraq
come in Siria.
Stefano Zecchinelli
http://www.linterferenza.info/esteri/jihadismo-braccio-armato-del-neocolonialismo/
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