mercoledì 11 giugno 2014

Il subcomandante Marcos “smette di esistere”, di Stefano Zecchinelli

Il Subcomandante Marcos, promotore della lotta armata antimperialistica in Messico, ha deciso di ‘smettere di esistere’. Questa sua decisione deve essere inserita nell’ambito di un rinnovamento complessivo dei quadri dirigenti all’interno dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZNL), di cui Marcos è stato fino ad ora il portavoce.

Questo rivoluzionario moderno - per molti identificato nella figura di Rafael Sebastián Guillén Vicente – ha avuto il merito di riproporre, dopo la sconfitta della guerriglia guevarista e maoista nel continente sudamericano, una resistenza armata globale all’imperialismo che, nonostante il suo carattere internazionalista, valorizza contestualmente le culture locali. Nell’approccio politico di Marcos, a differenza di altre teorie post-moderniste oggi in voga nel mondo occidentale, le categorie di stato nazionale e di imperialismo, continuano ad essere centrali, perché solo con queste si possono spiegare le ragioni che portano necessariamente i paesi ricchi del mondo a sfruttare quelli poveri.

Dice Marcos:

Un doppio assurdo è il raffronto tra ricchi e poveri: i ricchi sono pochi e i poveri sono molti. La differenza quantitativa è criminale, ma il raffronto tra gli estremi si fa usando la ricchezza come metro di misura: i ricchi suppliscono alla loro minoranza numerica con migliaia di milioni di dollari. I patrimoni delle 358 persone più ricche al mondo [migliaia di milioni di dollari] è superiore al reddito annuale del 45 per cento degli abitanti più poveri, qualcosa come due miliardi e 600 milioni di persone. Le catene d’oro degli orologi finanziari si trasformano in pesanti ceppi per milioni di persone. Mentre la “… cifra degli affari della General Motors è più elevata del Prodotto interno lordo della Danimarca, quella della Ford è più grande del Pil dell’Africa del Sud, e quella della Toyota oltrepassa il Pil della Norvegia” [Ignacio Ramonet, Lmd di gennaio 1997], per tutti i lavoratori i salari reali sono caduti, in più essi devono affrontare le riduzioni di personale nelle imprese, la chiusura di fabbriche e la delocalizzazione dei centri produttivi. Nelle cosiddette “economie capitaliste avanzate” il numero dei disoccupati arriva già a 41 milioni di lavoratori (Subcomandante Marcos, La Quarta guerra mondiale).

Nel pensiero zapatista, il nemico è chiaramente individuato nell’occidente capitalista che ha il suo cuore pulsante negli Stati Uniti e nelle sue multinazionali.

Lo Stato nazionale – spiega sempre Marcos – centralizza il potere repressivo:

“I professionisti della violenza legittima”, così chiamano se stessi gli apparati repressivi degli Stati moderni. Però, cosa dire della violenza che è già insita nelle leggi del mercato? Dov’è la violenza legittima e dove la illegittima? Che monopolio della violenza possono pretendere i malconci Stati Nazionali, se il libero gioco dell’offerta e della domanda sfida questo monopolio? Non ha mostrato la Tessera 4 che il crimine organizzato, i governi e i centri finanziari sono ben più che in buoni rapporti? Non è palpabile che il crimine organizzato conta su veri eserciti senza più frontiera che non sia la potenza di fuoco dell’avversario? Di conseguenza, il “monopolio della violenza” non appartiene agli Stati Nazionali. Il mercato moderno lo ha messo in vendita …”.

E’ importante notare la differenza fra questa analisi e le elaborazioni degli intellettuali della sinistra francese o italiana. Gli zapatisti ben sanno che nell’era del neoliberismo economico, lo Stato, centralizza le funzioni burocratiche e repressive, e questo è evidente non solo nei paesi coloniali e semi-coloniali ma anche in quelli occidentali a capitalismo cosiddetto avanzato.
Non posso fare a meno di evidenziare come l’esperienza zapatista abbia avuto anche alcuni limiti a mio parere strutturali: (1)l’influenza dell’anarchismo che gli ha impedito di avere una struttura analoga ai partiti comunisti (anche armati) tradizionali (il confronto più efficace è con le FARC colombiane), quindi il rifiuto sistemico del concetto di “presa del potere”; (2) la mancanza di una teoria organica (a differenza del guevarismo) della lotta armata contro il neocolonialismo. Il Che aveva elaborato, al contrario di Marcos, delle ipotesi molto realiste sulla possibilità-necessità di estendere ill conflitto, che a parere di chi scrive restano attuali.

Limiti importanti che però non offuscano gli indiscussi meriti di Marcos, che sono molteplici e non possono essere trattati in quello che vuole essere soltanto un primissimo approccio alla questione sulla quale torneremo in un secondo momento.

Marcos ha riproposto l’estensione su scala globale della resistenza (armata) al neoliberismo ed all’imperialismo. Possiamo senz’altro affermare che dopo Guevara e Santucho (fondatore del Prt-Erp argentino), è il primo a riproporre questa strategia in un paese semi-coloniale come il Messico.

Resta un ulteriore elemento di ambiguità: Marcos si contrappone ad una Internazionale antimperialista che coordini questi movimenti. Per lui gli anticapitalisti (che non sono necessariamente solo i marxisti) devono mantenere forti basi locali. Il Partito comunista internazionalista di tipo leninista in Marcos non c’è, e questo è un limite. Soprattutto se consideriamo il contesto occidentale dove sarebbe impensabile non estendere le lotte sociali, che hanno sempre una base nazionale, su tutto il continente europeo attraverso un fronte anticapitalista, non solo italiano ma, per l’appunto, europeo (e solo a partire da questo presupposto ha senso rivendicare l’uscita dall’ Unione Europea). Non posso non muovere delle critiche (il lettore l’ha di certo notato) che però, come ripeto, non inficiano gli importanti meriti dell’EZNL. E’ di fondamentale importanza valorizzare quelle esperienze di lotta dalle quali gli antimperialisti di tutto il mondo hanno sempre molto da imparare.

L’EZNL ha attribuito all’“indigenismo” un carattere di classe, dimostrando che la ferocia dello sfruttamento imperialistico (e la borghesia messicana è solo una agenzia dell’imperialismo statunitense) rende prioritaria la questione dell’indipendenza indigena. Le comunità indios (maya) in armi sono il punto di partenza – nel pensiero e nella prassi di Marcos – di una rivolta anticapitalistica mondiale (anche se Marcos, come ripeto, non crede nella necessità di creare una Internazionale e questo a mio avviso è senza dubbio un errore).

L’assenza di questa lettura (che dobbiamo in larga parte proprio a Marcos) ha portato la sinistra sudamericana a commettere dei gravi errori. Pensiamo ad esempio alla scarsa considerazione che nutriva Allende nei confronti del popolo Mapuche. Egli non capì che il socialismo poteva avanzare in Sudamerica solo se si fa, per dirla con Mariategui, una “creazione eroica” che attribuisca forza e centralità alle plurisecolari culture indigene. Marcos, da questo punto di vista, ha svolto invece un ruolo eccezionale.

Non credo che l’esperienza zapatista debba essere liquidata con la solita spocchia e superficialità che caratterizza certa sinistra occidentale; Marcos è, insieme a Chavez, il combattente antimperialista che più di altri ha posto il problema di una alternativa sistemica nell’epoca in cui, dopo la dissoluzione dei regimi socialisti dell’est europeo, ha trionfato il dogma della “fine della storia” e della inevitabilità del capitalismo. Marcos e Chavez hanno restituito forza al socialismo, demolendo il pregiudizio delle destre occidentali e delle sinistre riformiste. Il capitalismo mortifica la vita di milioni di persone, ‘genera bisogni che non riesce ad assolvere’ (sosteneva Trotsky in tempi non sospetti), oggi più che mai.

Marcos è stato ed è uno di quei combattenti che, armi in pugno ha mostrato che un altro mondo non solo è possibile ma necessario, ovviamente sporcandosi le mani, confrontandosi pubblicamente e non rifiutando il conflitto, in questo caso, armato.

Come ben dice Atilio Boron: ‘L´Ezln, fin dalla sua comparsa, è diventato uno dei più belli e nobili emblemi delle resistenze e delle lotte al neoliberismo, alla dittatura dei mercati e a ogni forma di oppressione. Lo zapatismo ha dimostrato un´efficacia impressionante, come movimento di trasformazione che mette in discussione lo stato di cose esistente. Va evitato – come invece accade spesso – che un movimento emblematico, che incarna le aspirazioni universali dell´umanità, venga sacralizzato, che i suoi dirigenti si trasformino in profeti e le loro parole siano innalzate al livello di dogmi indiscutibili. Né l´eroismo, né l´abnegazione e le sofferenze delle comunità indigene e contadine zapatiste, né la devozione dei dirigenti al servizio del progetto di redenzione universale dovrebbero mai portare all´accettazione fideistica di tutto ciò che emana dall´Ezln; sarebbe un atteggiamento del tutto contrario agli insegnamenti più validi e più di fondo dello stesso zapatismo’, (Atilio Boron, La polis e la selva, elcubanolibre).

Una analisi impeccabile che non posso che condividere. Chavez e Marcos, sia pure in modi molto diversi, sono stati i più efficaci antagonisti dell’ordine imperialistico a guida statunitense. Hanno interpretato istanze apparentemente diverse verso la medesima prospettiva socialista.

Resta il monito di Atilio Boron “Né l´eroismo, né l´abnegazione e le sofferenze delle comunità indigene e contadine zapatiste, né la devozione dei dirigenti al servizio del progetto di redenzione universale dovrebbero mai portare all´accettazione fideistica di tutto ciò che emana dall´Ezln; sarebbe un atteggiamento del tutto contrario agli insegnamenti più validi e più di fondo dello stesso zapatismo”. Per questa ragione pongo un ulteriore quesito: Marcos decide di lasciare la guida dell’EZNL e torna ad essere un combattente anonimo: questa scelta è dettata proprio dalla volontà di lanciare un messaggio a coloro che alimentano il fideismo, il culto della personalità? La risposta, per quanto mi riguarda, non può essere che affermativa.

Marcos lascia la scena della storia come un eroe: senza chiedere nulla. Non ci mostra il suo volto e sceglie di perdersi fra la sua gente, continua a sollevare donne anziane e malate o bambini senza scarpe circondato, ora che ha deciso di “non esistere più”, da una cortese disattenzione. In un mondo dove tutto sembra essere finalizzato al tornaconto personale, Marcos, come Chavez, ci insegna che non ci sono solo uomini che vivono per se stessi. Una lezione di dignità.

Stefano Zecchinelli

http://www.linterferenza.info/esteri/il-subcomandante-marcos-smette-di-esistere/

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