1. L’accordo fra le due principali organizzazioni ‘governative’ palestinesi, Fatah e Hamas (che ormai ha quasi del tutto abbandonato l’ Asse della Resistenza),
è stato salutato con favore da molti analisti (fra cui molti vicini
alla causa palestinese) tranne rare eccezioni. Purtroppo, anche questa
volta, c’è un solco profondo fra la realtà e le illusioni. Di
conseguenza è bene chiarire, sia pur sinteticamente, i risvolti di
questo matrimonio che, per quanto mi riguarda, non credo durerà a lungo.
Cominciamo intanto con il contestualizzare gli eventi.
2. Prima di entrare nel
merito dell’accordo è bene ricordare che entrambe le organizzazioni
vengono da un momento difficile che ha visto erodere sensibilmente il
loro consenso all’interno della società palestinese.
Fatah ha visto calare sensibilmente il suo prestigio fin dagli Accordi di Oslo del
1993. La corrente laica e nazionalista della Resistenza palestinese,
nel momento in cui ha formalmente riconosciuto lo Stato di Israele, ha
cominciato gradualmente a perdere credibilità non solo agli occhi degli
stessi palestinesi ma anche di tutti quei movimenti che nel mondo si
battono contro le politiche imperialiste e neocolonialiste. Il suo
leader, Yasser Arafat, che in molti sospettano essere stato assassinato
dal servizio segreto israeliano, non è riuscito a risollevare le sorti
di questa organizzazione che ormai da molto tempo si limita a
giustapporsi allo stato israeliano che tuttora occupa la Cisgiordania.
Hamas, per parte sua, ha scelto
di appoggiare il progetto statunitense di destabilizzazione della Siria
baathista, alleata strategica della Resistenza libanese che ha in Hezbollah il suo baricentro. In questo modo Hamas si è necessariamente riavvicinata alla Fratellanza Musulmana,
operando oggettivamente una svolta a “destra” ed assumendo posizioni
che da un certo punto di vista potrebbero essere definite come
reazionarie.
Tutto ciò ha contribuito a indebolire il prestigio sia di Hamas che di Fatah, e
una gran parte del popolo palestinese ha accolto con scetticismo questo
patto, nonostante sia stato ovviamente enfatizzato dai gruppi dirigenti
palestinesi.
La rivista online della sinistra palestinese, Palestina Rossa, che svolge un importante attività di controinformazione, ci comunica che:
'Un sondaggio ancora operativo (al momento in cui scriviamo questo
documento) sul sito dell’agenzia Màan news rivela che appena l’ 11.9%
dei palestinesi approva l’accordo, l’84.6% è scettico e il 3.5% non sa
esprimere opinione al riguardo”.
Il dato sullo scetticismo è molto
importante e significativo perché rivela quanto in realtà le due parti
siano sostanzialmente sfiduciate dai palestinesi, o quanto meno
considerate poco credibili, e questo anche a causa delle politiche
attuate precedentemente’ ( Alcune riflessioni sulla ‘’riconciliazione’’, 9 maggio 2014 ).
Credo che abbiamo il dovere di essere
rispettosi della volontà del popolo palestinese e quindi non possiamo
non porci una domanda, anche se scomoda per molti: chi
rappresenterà in un prossimi futuro il malcontento e la sfiducia più o
meno generalizzata della maggioranza del popolo palestinese nei
confronti delle organizzazioni governative ? La domanda per ora non ha risposta; saranno i fatti a determinarlo.
Facciamo un passo indietro e vediamo che, nel 2012, ci fu un interessante tentativo di riappacificazione fra Hamas e Fatah avvenuto a Doha in Qatar.
Cito due interessanti passaggi tratti da una ampia documentazione del sito Palestina Rossa:
‘L’Emirato aveva scagliato tutto il
proprio peso alle spalle della Fratellanza Mussulmana in Egitto mentre
questa guadagnava con successo i rami esecutivo e legislativo del
governo egiziano’ (Riconciliazione palestinese: una storia di documenti, 7 maggio 2014).
“Inoltre Hamas aveva deciso il
trasferimento del proprio ufficio politico da Damasco a Doha, segno che
era disposta a riconsiderare le alleanze e ristrutturare la propria
ideologia in un epoca nella quale il Qatar sembrava avesse la
supremazia”.
L’incontro di Doha coincide (1) con l’inizio del piano statunitense di destabilizzazione della Siria,(2) ma, soprattutto, con lo spostamento a destra di Hamas che ritorna sotto il protettorato dellaFratellanza Musulmana.
La questione è interessante e ha
iniziato a palesarsi proprio intorno al 2012. Già allora l’esponente
siriano, Ouday Ramadan, vicino al governo di Assad, spiegò le ragioni
politiche della svolta “reazionaria” della Resistenza islamica
palestinese.:
‘Lo spostamento di Hamas è da inquadrare nell’ambito di uno spostamento di rotta complessivo della dirigenza Usa.
Contrariamente a Bush, Obama, che
proviene da una famiglia islamica, ha cambiato rotta aprendo al dialogo
con l’Islam cosiddetto “moderato, cioè con le gerarchie e i gruppi
sociali dominanti al potere nella gran parte dei paesi arabi e
mussulmani”.
Una volta gli Usa erano alleati in
Afghanistan con i fondamentalisti islamici, oggi non hanno fatto altro
che rispolverare le vecchie conoscenze’ (Stefano Zecchinelli, Intervista ad Ouday Ramadan, pubblicata su Comunismo e Comunità e Osservatorio anticapitalista).
Un giudizio molto duro che corrisponde
però alla realtà dei fatti. Il piano Kerry prevede infatti un Medio
Oriente islamizzato. La dirigenza statunitense che fa capo al duo Obama –
Brzezinski cerca in tutti i modi di saldare le componenti
‘imperialistiche intelligenti’ ( termine utilizzato dallo stesso
Brzezinski ), cioè del sionismo storico con l’ala moderata della
dirigenza palestinese. Non potrebbe esserci migliore interlocutore da
questo punto di vista della Fratellanza Musulmana, organizzazione collusa con gli USA e con Israele.
Giunti a questo punto non possiamo non porci ulteriori domande:” Il
cosiddetto “governo tecnico di transizione”, guidato da Abu Mazen è da
ricollegarsi, in qualche modo, all’ennesima svolta a destra di Hamas? “-
In parole ancora più povere:”Abu Mazen vuol dare ad Israele la garanzia
che la Resistenza islamica ha abdicato in via definitiva al suo
proposito di combattere il sionismo e potrebbe addirittura arrivare a
riconoscere lo stesso stato di Israele? E’ questo che sta succedendo?
Gli israeliani hanno intensificato i
loro attacchi – con l’arroganza che gli è propria, anche in virtù della
loro schiacciante superiorità militare – contro i territori palestinesi,
ma dalle agenzie di stampa israeliane veniamo a sapere che ( riporto il
commento di Ariel Toaff sostenitore delMeretz ):”Il
negoziatore e diplomatico palestinese Nabil Shaath, uno dei principali
artefici della recente unione tra Fatah e Hamas, ha partecipato alla
giornata di studio sulla pace indetta da Meretz a Tel Aviv e si e’ incontrato con Zehava Gal-On e gli altri leader del partito della sinistra israeliana”. E ancora: “Nel
pubblico si sono notati, e neppure tanto in incognito, i rappresentanti
di Netanyahu, che del resto non si e’ opposto all’ingresso di Nabil
Shaath a Tel Aviv e alla sua partecipazione al convegno di Meretz’.
Il Likud è un partito di estrema
destra se non addirittura fascista (questa cosa trova riscontro nella
realtà fattuale e nelle dichiarazioni dei suoi dirigenti ); che cosa ci
facevano i suoi rappresentanti ad una riunione della sinistra israeliana
(per di più della sinistra ‘socialista’ israeliana ) con i
rappresentanti palestinesi ? Le perplessità aumentano nè potrebbe essere
diversamente.
La società israeliana presenta dei
tratti – razzismo interno ed esterno, neo-colonialismo e una dose
massiccia di sciovinismo nazionalista – che appartenevano anche ai
regimi fascisti degli anni ’30 . Questi aspetti sono stati peraltro
sottolineati e documentati dallo storico israeliano Ilan Pappe che ha
parlato di vera e propria pulizia etnica in corso Palestina.
“Limitare il concetto di
resistenza popolare al contesto pacifico, lo svuota del suo contenuto
rivoluzionario mentre l’intifada è il più grande esempio di creatività
del nostro popolo; pacifica, violenta, popolare, tribale, all’interno
della quale diverse fazioni politiche, economiche e culturali hanno
avuto un ruolo fondamentale nella capacità di sconvolgere il nemico,
perfino nel neutralizzare la sua capacità militare e superarlo
politicamente e moralmente’ (Palestina Rossa, Testo integrale
del documento del FPLP nel corso dell’ultima riunione del Consiglio
Centrale Palestinese tenutasi a Ramallah, 10 maggio 2014).
Che cosa significa questo ? Che la pace,
per questa organizzazione, è impossibile con uno stato imperialista,
ultranazionalista e razzista, e che lo stesso Stato ebraico, così come
oggi è configurato, rappresenta di per sé una minaccia costante per il
popolo palestinese e per la stabilità di tutta l’area mediorientale.
Ancora una volta il futuro della pace e
della democrazia sembrerebbe passare per la Resistenza all’occupazione
israeliana, cosa del resto ben nota ad eminenti intellettuali come
Edward Said che si è sempre contraddistinto per la sua grandissima
lucidità.e capacità di analisi politica.
Stefano Zecchinelli
http://www.linterferenza.info/esteri/laccordo-di-gaza-del-2014-fa-di-hamas-uno-strumento-di-israele/
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