1. Il Partito
comunista francese, baluardo dello stalinismo europeo, ha recentemente
applaudito l’aggressione imperialistica del Mali. Purtroppo questa politica del
PCF ha alla base un retroterra teorico che i marxisti rivoluzionari devono prendere in esame con grande attenzione.
In un suo recente scritto il compagno Domenico Losurdo esalta così la politica dei Fronti popolari stalinisti degli anni ’30 ‘’ La politica di fronte unito, lanciata nel 1935 dall’Internazionale comunista, cerca di isolare le potenze imperialiste all’offensiva, quelle che, giunte tardi all’appuntamento coloniale, aspirano a colmare il ritardo facendo ricorso a un supplemento di brutalità e sottoponendo anche popoli di antica civiltà all’assoggettamento e persino alla schiavizzazione’’, e poco dopo scrive ‘’ Ma tale politica di fronte unito, che sembra non mettere in discussione il capitalismo in quanto tale e neppure l’imperialismo in quanto tale, appare come «il ripudio della lotta di classe» agli occhi di Trotskij (1988, p. 903 = Trotskij 1968, p. 185)’’.
Secondo il compagno Losurdo – che cerca di sminuire la
critica che Trotsky fa ai Fronti popolari nei paesi a capitalismo maturo – il punto
di arrivo di questa politica sarebbe stata la straordinaria vittoria del popolo
sovietico nella Battaglia di Stalingrado, vittoria del socialismo contro l’imperialismo
fascista.
Questo approccio sottovaluta la tradizione colonialistica delle
borghesie ( fasciste ed antifasciste ) nei paesi democratici.
E’ bene premettere che Trotsky, in tutta la sua produzione
teorica, non ha mai perso di vista la difesa incondizionata dell’Urss, e delle
sue enormi conquiste sociali. Nella ‘Rivoluzione tradita’ inizia dicendo: ‘’Non è più il caso di discutere con i
signori economisti borghesi: il socialismo ha dimostrato il suo diritto alla
vittoria non nelle pagine de Il Capitale, ma su di un’arena economica che
comprende la sesta parte della superficie del mondo: non con il linguaggio
della dialettica, ma con quello del cemento, del ferro e dell’elettricità’’.
Sempre per Trotsky ‘’Gli immensi risultati
ottenuti dall’industria, l’inizio molto promettente di uno sviluppo dell’agricoltura,
la crescita straordinaria delle vecchie città industriali, la creazione di
nuove, il rapido aumento del numero degli operai, la crescita del livello di
vita e delle esigenze culturali, tali sono i risultati incontestabili della
Rivoluzione d’Ottobre, nella quale i profeti del vecchio mondo videro la tomba
della civiltà’’.
L’immagine che molti storici di formazione stalinista, in
Italia, ci hanno dato di Trotsky, presentandoci il costruttore dell’Armata
Rossa come disfattista verso lo Stato operaio sovietico, è alla prova dei fatti
falsa.
Finita questa breve introduzione passo all’analisi dei Fronti
popolari ed al problema della collaborazione di classe.
2. Un
errore che non bisogna commettere è quello di mettere sullo stesso piano la
borghesia dei paesi coloniali con quella dei paesi capitalistici.
La borghesia dei paesi coloniali è debole e quindi, o diventa
compradora e si vende all’imperialismo, oppure deve scendere a patti con il
movimento operaio, facendogli concessioni di vario tipo nel campo democratico,
senza mai intaccare la struttura economica della società.
Due questioni importanti da chiarire:
(1) Mao, contro l’imperialismo giapponese, ha
fatto una alleanza militare ma non politica con i nazionalisti. L’alleanza di
Mao con la destra reazionaria, in funzione antimperialistica, non può essere
assolutamente paragonata ad una alleanza democratica anti-fascista, in un paese
capitalistico; del resto sarà la stessa borghesia liberale, nei paesi
imperialistici, a trovare altri modi per tenere incatenato il movimento operaio
non rifiutandosi di utilizzare le squadracce fasciste ( es. la Legione d’argento
negli Usa ).
Dall’altra parte, la debolezza della borghesia
nazionale, diede la possibilità ai comunisti cinesi di portare dalla propria
parte alcune fazioni di questa classe. Infatti Mao notò che ‘’La borghesia nazionale cinese, essendo la
borghesia di un paese coloniale e semicoloniale sotto l’oppressione dell’imperialismo,
conserva, anche nell’epoca dell’imperialismo, per un certo periodo e in una
certa misura delle qualità rivoluzionarie che la spingono a combattere contro l’imperialismo
straniero e, all’interno, contro i governi dei burocrati e dei signori della
guerra ( a questo proposito si pensi agli esempi della rivoluzione del 1911 e
della spedizione del nord ), e ad allearsi con il proletariato e con la piccola
borghesia per opporsi a quei nemici contro i quali essa stessa è schierata’’. (
Mao Tse Tung, Sulla nuova democrazia, Edizioni Rinascita )
La generalizzazione della tattica dei Fronti
popolari è un errore che solitamente viene fatto da due diverse ed opposte
correnti: gli stalinisti ( che approvano questa tattica in tutte le circostanze
), e le correnti dei comunisti di sinistra che respingono il diritto di
autodecisione dei popoli ( oppure non riescono a distinguere le questioni
politiche da quelle militari ). Entrambe queste correnti politiche si
dimenticano che fu lo stesso Mao a criticare Stalin, anni dopo, nelle Note
su Stalin 1956-’58.
Il movimento trotskista, da parte sua, a dispetto
di quanto Trotsky aveva scritto in precedenza, ha dimostrato una incredibile incomprensione
dei processi rivoluzionari in Vietnam, Cina e Cuba, cosa criticata puntualmente
dal marxista rivoluzionario argentino Mario Roberto Santucho che arrivò a
rompere ( giustamente ! ) con il trotskismo.
(2) Trotsky
definì il Fronte popolare in Francia in questo modo: ‘’Il Fronte popolare è una coalizione tra il proletariato e la
borghesia imperialistica, rappresentata dal Partito radicale e da altri rifiuti
della stessa risma e di calibro minore’’.
Accettare l’alleanza antifascista con la borghesia
democratica significava coinvolgere i comunisti nelle sue politiche
neo-coloniali. La storia del PCF parla chiaro.
Il PCF si dimostrò consenziente all’Algeria
francese già nel 1937 coinvolgendo lo stesso Partito comunista algerino in politiche
scioviniste contrarie alla lotta del movimento nazionalista.
Un importante dirigente del PCF, Thorez, rientrato
nel novembre 1944 da Mosca, disse, per la questione algerina, che: ‘’ I Comitati di liberazione non devono
amministrare, ma soltanto aiutare coloro che amministrano. Devono soprattutto
mobilitare, addestrare e organizzare le masse affinchè possano produrre il
massimo sforzo bellico’’. (cit. da Arrigo Cervetto, La questione
algerina e l’opportunismo colonialista della sinistra francese, Prometeo 1960)
Nel
1945, sempre Thorez, arrivò ad esaltare l’imperialismo francese facendosi
uscire di bocca ‘’ La grandeur de la France est à refaire’’.
Il 29
marzo 1947 iniziano in Madagascar delle grandi mobilitazioni popolari
anti-colonialiste. Il governo francese reagisce con una repressione, che
ricorda per brutalità il nazismo tedesco, uccidendo 80 mila indigeni. Il PCF,
nonostante tutto, continuò a sostenere il governo socialdemocratico. Una vera
infamia da ricordare ai sostenitori della ‘’collaborazione di classe’’, e della
dicotomia fascismo/democrazia, come se la democrazia capitalistica non avesse
già una forte componente fascista ed anti-operaia.
Nello
stesso anno, Palmiro Togliatti, chiese la restituzione delle colonie italiane,
e quindi il commissariamento della Somalia. Ancora: lo stesso Ercoli, nel 1954,
respinse la sacrosanta richiesta di Tito di restituzione di Trieste alla
Jugoslavia.
La politica
colonialista del PCF fece rimanere di stucco il grande rivoluzionario Ho Chi
Minh che si aspettava ben altro appoggio da parte dei comunisti francesi sulla
indipendenza dell’Indocina, e toccò il fondo quando collaborò attivamente nella
repressione del Fln algerino.
Non
tutti gli stalinisti ricordano che Ben Bella, primo capo di stato dell’Algeria
socialista, ebbe come consulenti in materia economica, non solo Ernest Mandel
massico teorico della IV Internazionale trotskista, ma anche Michel Raptis detto
Pablo, mentre venne vietata giustamente la vendita dell’Humanitè.
L’adesione
del PCF alla guerra in Mali non è un errore di valutazione della situazione
concreta, ma le ragioni di ciò devono essere ricercate nella storia di questo
partito e nel paradigma teorico, anti-marxista e sciovinista, maturato dai
comunisti francesi già alla metà degli anni ’30.
I
Fronti Popolari, non sono stati, come dice il compagno Losurdo, un passo verso
la vittoria di Stalingrado ma, al contrario, hanno contribuito ad introdurre
elementi revisionistici, come la ‘’coesistenza pacifica’’ e la ‘’collaborazione
di classe’’, nella teoria marxista; i fatti storici ( si pensi anche al PCE e l’indipendenza
del Marocco ) credo che siano molto eloquenti.
3. Nel dopoguerra i Partiti filo-sovietici, assimilata la teoria
anti-marxista della ‘’coesistenza pacifica’’, hanno dato del loro peggio anche
nei paesi coloniali. Facciamo due esempi importanti:
(1) In Argentina il PC argentino collaborò con la
dittatura militare e filo-Usa di Videla, compiendo una infamia con cui tutti
gli apologeti delle ‘’vie parlamentari al socialismo’’ dovrebbero fare i conti.
Al contrario la resistenza armata venne condotta dal PRT-ERP di Mario Roberto
Santucho che, tenendo ben ferma la lezione di Trotsky, collaborò militarmente
con i Montoneros senza farsi illusioni sulla capacità, delle borghesie
nazionali, di risolvere il problema dell’indipendenza nazionale.
(2) In Cile mentre il MIR di Miguel Enriquez fu
alla testa della lotta armata contro Pinochet, il PC cileno di Corvalan, fece
di tutto per contrattare il ripristino della democrazia ed il ritorno di Pinochet,
a capo delle forze armate. Per lo stesso motivo lo stalinista PC cileno ruppe
nei primi anni ’80 con i combattenti del Fronte Patriottico Manuel Rodriguez,
diventando, a tutti gli effetti, una forza contro-rivoluzionaria ed ostile alla
guerriglia.
La democrazia capitalistica assume ovunque i caratteri di una dittatura
hitleriana: la fine delle Costituzioni democratiche, la gendarmeria europea, la
kill list negli Usa, tutti misure che proclamano la morte della vecchia democrazia
borghese.
In questo contesto come sottolinea Ulrike Meinhof: ‘’la lotta contro l’imperialismo
non è e non potrebbe essere qui una lotta di liberazione nazionale: la sua
prospettiva storica non è il socialismo in un solo paese’’.
Nulla da aggiungere a quello che la grande marxista tedesca ha detto.
Date le circostanze storiche i marxisti devono fare i conti con la
internazionalizzazione del conflitto di classe, capendo che, se c’è un campo
dove le borghesie hanno trovato unità, è proprio quello della repressione.
Le circostanze storiche non danno possibilità di replica ai Togliatti,
ai Corvalan, ai Carrillo, di loro le masse non alcuno bisogno.
Stefano Zecchinelli
Caro Mirko,
RispondiEliminavorrei accennare ad un problema –in realtà, molto grosso e che, dunque, avrebbe bisogno di ben altra trattazione; intendo il problema del rapporto strategia/tattica, in ambito politico.
Per chi, come noi comunisti, afferma di porsi l’obiettivo di un ordinamento sociale, addirittura orientato al riassorbimento nella società delle funzioni, che essa ha delegato allo Stato, si pone il problema dei mezzi per raggiungere l’obiettivo proclamato. In altre parole, si pone il compito di individuare la tattica adeguata al fine strategico, che i comunisti proclamano.
Per molti compagni il problema è sostanzialmente risolto, quando si afferma che qualunque tattica è accettabile, nella misura in cui fa fare passi in avanti verso il fine strategico.
Senonché è facile comprendere come questa puntualizzazione si riduca a puro e semplice formalismo; e questo per due motivi. 1. Il riassorbimento da parte della società delle funzioni statuali, inevitabilmente significa cose relativamente diverse, in contesti sociali, politici e culturali diversi –in proposito vale la pena ricordare, anche, che la tattica delle vie nazionali al socialismo non è affatto di per sé legata di necessità ad una prospettiva socialdemocratica, né è vero che essa sia una ‘scoperta’, in seguito al XX Congresso del Pcus. In verità, si tratta invece di un orientamento tattico (ma non solo tale), ricca di realismo dialettico. 2. Com’è noto, la distinzione strategia/tattica è revocabile, nel senso che, se nella prospettiva P, l’obiettivo O è obiettivo tattico, in una diversa prospettiva P’, O vale invece come obiettivo strategico – a questo punto, venendo meno la rigida distinzione fra tattica e strategia, viene meno, anche, la legittimazione della spregiudicatezza dell’operare politico, che sembrava autorizzata dalla puntualizzazione, di cui sopra. Insomma, dobbiamo riconoscere che se la tattica ha da essere adeguata al contesto politico, in cui vien praticata, la questione non termina qui. Abbiamo visto, infatti, come di fatto strategia o tattica possono denotare uno stesso comportamento politico, cambiando la prospettiva, in cui lo si colloca e giudica.
Chiudo qui questa mia schematica riflessione, auspicando francamente, che essa possa dar vita ad un dibattito.
Stefano Garroni
28/03/2013