sabato 16 febbraio 2013

Marxismo rivoluzionario o marxismo-leninismo: il problema della collaborazione di classe, di Stefano Zecchinelli

1. Il Partito comunista francese, baluardo dello stalinismo europeo, ha recentemente applaudito l’aggressione imperialistica del Mali. Purtroppo questa politica del PCF ha alla base un retroterra teorico che i marxisti rivoluzionari devono prendere in esame con grande attenzione.


In un suo recente scritto il compagno Domenico Losurdo esalta così la politica dei Fronti popolari stalinisti degli anni ’30 ‘  La politica di fronte unito, lanciata nel 1935 dall’Internazionale comunista, cerca di isolare le potenze imperialiste all’offensiva, quelle che, giunte tardi all’appuntamento coloniale, aspirano a colmare il ritardo facendo ricorso a un supplemento di brutalità e sottoponendo anche popoli di antica civiltà all’assoggettamento e persino alla schiavizzazione’’, e poco dopo scrive ‘’ Ma tale politica di fronte unito, che sembra non mettere in discussione il capitalismo in quanto tale e neppure l’imperialismo in quanto tale, appare come «il ripudio della lotta di classe» agli occhi di Trotskij (1988, p. 903 = Trotskij 1968, p. 185)’’.

Secondo il compagno Losurdo – che cerca di sminuire la critica che Trotsky fa ai Fronti popolari nei paesi a capitalismo maturo – il punto di arrivo di questa politica sarebbe stata la straordinaria vittoria del popolo sovietico nella Battaglia di Stalingrado, vittoria del socialismo contro l’imperialismo fascista.

Questo approccio sottovaluta la tradizione colonialistica delle borghesie ( fasciste ed antifasciste ) nei paesi democratici.

E’ bene premettere che Trotsky, in tutta la sua produzione teorica, non ha mai perso di vista la difesa incondizionata dell’Urss, e delle sue enormi conquiste sociali. Nella ‘Rivoluzione tradita’ inizia dicendo: ‘’Non è più il caso di discutere con i signori economisti borghesi: il socialismo ha dimostrato il suo diritto alla vittoria non nelle pagine de Il Capitale, ma su di un’arena economica che comprende la sesta parte della superficie del mondo: non con il linguaggio della dialettica, ma con quello del cemento, del ferro e dell’elettricità’’. Sempre per Trotsky ‘’Gli immensi risultati ottenuti dall’industria, l’inizio molto promettente di uno sviluppo dell’agricoltura, la crescita straordinaria delle vecchie città industriali, la creazione di nuove, il rapido aumento del numero degli operai, la crescita del livello di vita e delle esigenze culturali, tali sono i risultati incontestabili della Rivoluzione d’Ottobre, nella quale i profeti del vecchio mondo videro la tomba della civiltà’’.

L’immagine che molti storici di formazione stalinista, in Italia, ci hanno dato di Trotsky, presentandoci il costruttore dell’Armata Rossa come disfattista verso lo Stato operaio sovietico, è alla prova dei fatti falsa.

Finita questa breve introduzione passo all’analisi dei Fronti popolari ed al problema della collaborazione di classe.

2. Un errore che non bisogna commettere è quello di mettere sullo stesso piano la borghesia dei paesi coloniali con quella dei paesi capitalistici.

La borghesia dei paesi coloniali è debole e quindi, o diventa compradora e si vende all’imperialismo, oppure deve scendere a patti con il movimento operaio, facendogli concessioni di vario tipo nel campo democratico, senza mai intaccare la struttura economica della società.

Due questioni importanti da chiarire:

(1)   Mao, contro l’imperialismo giapponese, ha fatto una alleanza militare ma non politica con i nazionalisti. L’alleanza di Mao con la destra reazionaria, in funzione antimperialistica, non può essere assolutamente paragonata ad una alleanza democratica anti-fascista, in un paese capitalistico; del resto sarà la stessa borghesia liberale, nei paesi imperialistici, a trovare altri modi per tenere incatenato il movimento operaio non rifiutandosi di utilizzare le squadracce fasciste ( es. la Legione d’argento negli Usa ).

Dall’altra parte, la debolezza della borghesia nazionale, diede la possibilità ai comunisti cinesi di portare dalla propria parte alcune fazioni di questa classe. Infatti Mao notò che ‘’La borghesia nazionale cinese, essendo la borghesia di un paese coloniale e semicoloniale sotto l’oppressione dell’imperialismo, conserva, anche nell’epoca dell’imperialismo, per un certo periodo e in una certa misura delle qualità rivoluzionarie che la spingono a combattere contro l’imperialismo straniero e, all’interno, contro i governi dei burocrati e dei signori della guerra ( a questo proposito si pensi agli esempi della rivoluzione del 1911 e della spedizione del nord ), e ad allearsi con il proletariato e con la piccola borghesia per opporsi a quei nemici contro i quali essa stessa è schierata’’. ( Mao Tse Tung, Sulla nuova democrazia, Edizioni Rinascita )

La generalizzazione della tattica dei Fronti popolari è un errore che solitamente viene fatto da due diverse ed opposte correnti: gli stalinisti ( che approvano questa tattica in tutte le circostanze ), e le correnti dei comunisti di sinistra che respingono il diritto di autodecisione dei popoli ( oppure non riescono a distinguere le questioni politiche da quelle militari ). Entrambe queste correnti politiche si dimenticano che fu lo stesso Mao a criticare Stalin, anni dopo, nelle Note su Stalin 1956-’58.

Il movimento trotskista, da parte sua, a dispetto di quanto Trotsky aveva scritto in precedenza, ha dimostrato una incredibile incomprensione dei processi rivoluzionari in Vietnam, Cina e Cuba, cosa criticata puntualmente dal marxista rivoluzionario argentino Mario Roberto Santucho che arrivò a rompere ( giustamente ! ) con il trotskismo.

(2)  Trotsky definì il Fronte popolare in Francia in questo modo: ‘’Il Fronte popolare è una coalizione tra il proletariato e la borghesia imperialistica, rappresentata dal Partito radicale e da altri rifiuti della stessa risma e di calibro minore’’.

Accettare l’alleanza antifascista con la borghesia democratica significava coinvolgere i comunisti nelle sue politiche neo-coloniali. La storia del PCF parla chiaro.

Il PCF si dimostrò consenziente all’Algeria francese già nel 1937 coinvolgendo lo stesso Partito comunista algerino in politiche scioviniste contrarie alla lotta del movimento nazionalista.

Un importante dirigente del PCF, Thorez, rientrato nel novembre 1944 da Mosca, disse, per la questione algerina, che: ‘’ I Comitati di liberazione non devono amministrare, ma soltanto aiutare coloro che amministrano. Devono soprattutto mobilitare, addestrare e organizzare le masse affinchè possano produrre il massimo sforzo bellico’’. (cit. da Arrigo Cervetto, La questione algerina e l’opportunismo colonialista della sinistra francese, Prometeo 1960)

Nel 1945, sempre Thorez, arrivò ad esaltare l’imperialismo francese facendosi uscire di bocca ‘’ La grandeur de la France est à refaire’’.
Il 29 marzo 1947 iniziano in Madagascar delle grandi mobilitazioni popolari anti-colonialiste. Il governo francese reagisce con una repressione, che ricorda per brutalità il nazismo tedesco, uccidendo 80 mila indigeni. Il PCF, nonostante tutto, continuò a sostenere il governo socialdemocratico. Una vera infamia da ricordare ai sostenitori della ‘’collaborazione di classe’’, e della dicotomia fascismo/democrazia, come se la democrazia capitalistica non avesse già una forte componente fascista ed anti-operaia.

Nello stesso anno, Palmiro Togliatti, chiese la restituzione delle colonie italiane, e quindi il commissariamento della Somalia. Ancora: lo stesso Ercoli, nel 1954, respinse la sacrosanta richiesta di Tito di restituzione di Trieste alla Jugoslavia.

La politica colonialista del PCF fece rimanere di stucco il grande rivoluzionario Ho Chi Minh che si aspettava ben altro appoggio da parte dei comunisti francesi sulla indipendenza dell’Indocina, e toccò il fondo quando collaborò attivamente nella repressione del Fln algerino.

Non tutti gli stalinisti ricordano che Ben Bella, primo capo di stato dell’Algeria socialista, ebbe come consulenti in materia economica, non solo Ernest Mandel massico teorico della IV Internazionale trotskista, ma anche Michel Raptis detto Pablo, mentre venne vietata giustamente la vendita dell’Humanitè.

L’adesione del PCF alla guerra in Mali non è un errore di valutazione della situazione concreta, ma le ragioni di ciò devono essere ricercate nella storia di questo partito e nel paradigma teorico, anti-marxista e sciovinista, maturato dai comunisti francesi già alla metà degli anni ’30.

I Fronti Popolari, non sono stati, come dice il compagno Losurdo, un passo verso la vittoria di Stalingrado ma, al contrario, hanno contribuito ad introdurre elementi revisionistici, come la ‘’coesistenza pacifica’’ e la ‘’collaborazione di classe’’, nella teoria marxista; i fatti storici ( si pensi anche al PCE e l’indipendenza del Marocco ) credo che siano molto eloquenti.

3. Nel dopoguerra i Partiti filo-sovietici, assimilata la teoria anti-marxista della ‘’coesistenza pacifica’’, hanno dato del loro peggio anche nei paesi coloniali. Facciamo due esempi importanti:

(1)  In Argentina il PC argentino collaborò con la dittatura militare e filo-Usa di Videla, compiendo una infamia con cui tutti gli apologeti delle ‘’vie parlamentari al socialismo’’ dovrebbero fare i conti. Al contrario la resistenza armata venne condotta dal PRT-ERP di Mario Roberto Santucho che, tenendo ben ferma la lezione di Trotsky, collaborò militarmente con i Montoneros senza farsi illusioni sulla capacità, delle borghesie nazionali, di risolvere il problema dell’indipendenza nazionale.

(2)  In Cile mentre il MIR di Miguel Enriquez fu alla testa della lotta armata contro Pinochet, il PC cileno di Corvalan, fece di tutto per contrattare il ripristino della democrazia ed il ritorno di Pinochet, a capo delle forze armate. Per lo stesso motivo lo stalinista PC cileno ruppe nei primi anni ’80 con i combattenti del Fronte Patriottico Manuel Rodriguez, diventando, a tutti gli effetti, una forza contro-rivoluzionaria ed ostile alla guerriglia.

La democrazia capitalistica assume ovunque i caratteri di una dittatura hitleriana: la fine delle Costituzioni democratiche, la gendarmeria europea, la kill list negli Usa, tutti misure che proclamano la morte della vecchia democrazia borghese.

In questo contesto come sottolinea Ulrike Meinhof: ‘’la lotta contro l’imperialismo non è e non potrebbe essere qui una lotta di liberazione nazionale: la sua prospettiva storica non è il socialismo in un solo paese’’.

Nulla da aggiungere a quello che la grande marxista tedesca ha detto. Date le circostanze storiche i marxisti devono fare i conti con la internazionalizzazione del conflitto di classe, capendo che, se c’è un campo dove le borghesie hanno trovato unità, è proprio quello della repressione.

Le circostanze storiche non danno possibilità di replica ai Togliatti, ai Corvalan, ai Carrillo, di loro le masse non alcuno bisogno.

Stefano Zecchinelli
























1 commento:

  1. Caro Mirko,
    vorrei accennare ad un problema –in realtà, molto grosso e che, dunque, avrebbe bisogno di ben altra trattazione; intendo il problema del rapporto strategia/tattica, in ambito politico.
    Per chi, come noi comunisti, afferma di porsi l’obiettivo di un ordinamento sociale, addirittura orientato al riassorbimento nella società delle funzioni, che essa ha delegato allo Stato, si pone il problema dei mezzi per raggiungere l’obiettivo proclamato. In altre parole, si pone il compito di individuare la tattica adeguata al fine strategico, che i comunisti proclamano.
    Per molti compagni il problema è sostanzialmente risolto, quando si afferma che qualunque tattica è accettabile, nella misura in cui fa fare passi in avanti verso il fine strategico.
    Senonché è facile comprendere come questa puntualizzazione si riduca a puro e semplice formalismo; e questo per due motivi. 1. Il riassorbimento da parte della società delle funzioni statuali, inevitabilmente significa cose relativamente diverse, in contesti sociali, politici e culturali diversi –in proposito vale la pena ricordare, anche, che la tattica delle vie nazionali al socialismo non è affatto di per sé legata di necessità ad una prospettiva socialdemocratica, né è vero che essa sia una ‘scoperta’, in seguito al XX Congresso del Pcus. In verità, si tratta invece di un orientamento tattico (ma non solo tale), ricca di realismo dialettico. 2. Com’è noto, la distinzione strategia/tattica è revocabile, nel senso che, se nella prospettiva P, l’obiettivo O è obiettivo tattico, in una diversa prospettiva P’, O vale invece come obiettivo strategico – a questo punto, venendo meno la rigida distinzione fra tattica e strategia, viene meno, anche, la legittimazione della spregiudicatezza dell’operare politico, che sembrava autorizzata dalla puntualizzazione, di cui sopra. Insomma, dobbiamo riconoscere che se la tattica ha da essere adeguata al contesto politico, in cui vien praticata, la questione non termina qui. Abbiamo visto, infatti, come di fatto strategia o tattica possono denotare uno stesso comportamento politico, cambiando la prospettiva, in cui lo si colloca e giudica.
    Chiudo qui questa mia schematica riflessione, auspicando francamente, che essa possa dar vita ad un dibattito.

    Stefano Garroni
    28/03/2013

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