mercoledì 15 agosto 2012

I ''rossobruni'' della DDR, di Miguel Martinez


In questi giorni, rovistando tra bancarelle di libri, ho scoperto l’esistenza di un partito politico, nella vecchia DDR, che mi ha fatto riflettere sulla diversità di quel mondo.
“Partito politico” ovviamente non va inteso nel senso delle democrazie occidentali: era il governo a decidere cosa volessero i partiti e non viceversa, e il 25% dei seggi in parlamento erano riservati al SED, il partito nato dalla fusione dei socialisti e dei comunisti; il 15% a testa ai democristiani e ai liberali, già attivi nella Germania orientale prima che nascesse la DDR.
L’autorizzazione di un partito era soprattutto un messaggio a determinate categorie sociali e culturali e un riconoscimento della loro dignità, purché seguissero ovviamente in tutto e per tutto la linea del governo. Autorizzare un “partito democristiano”, ad esempio, voleva dire, “puoi essere un cristiano e un buon cittadino della DDR”.
Ora, uno dei partiti, la National-Demokratische Partei Deutschlands (NDPD), era rivolto esplicitamente alla vasta categoria dei nazionalisti tedeschi, dei profughi dall’Est (il 20% della popolazione del nuovo Stato), degli ex-combattenti e in particolare degli ex-membri del partito nazionalsocialista.
Nel primo periodo dell’occupazione, i sovietici avevano arrestato decine di migliaia di ex-nazisti, rinchiudendoli nelle strutture di Buchenwald e di Sachsenhausen che gli stessi nazisti avevano preparato per altri.
Ma il 26 febbraio del 1948, le autorità sovietiche avevano dichiarato ufficialmenteterminata la “denazificazione” e chiusi tutti i procedimenti contro persone non colpevoli di concreti crimini di guerra o contro l’umanità.
Da Wikipedia – che cita come fonte un libro che non ho potuto leggere – scopro che Stalin avrebbe contemporaneamente dichiarato che bisognava “rimuovere la linea di separazione tra ex-nazisti e non nazisti”.
Il 22 marzo del 1948, i sovietici autorizzarono anche un quotidiano rivolto a questa area “nazionale” del pubblico – la National-Zeitung, che sarebbe uscito ogni giorno fino alla fine della DDR.
In uno dei suoi primi numeri, il nuovo quotidiano scrisse:
Mentre in altre parti della Germania si gioca ancora con pesante determinazione alla denazificazione, nella Zona Est gli occhi possono vedere più chiaro, oggi un semplice ‘Pg.’ [Parteigenosse, membro del partito nazionalsocialista] non deve più guardarsi attorno intimidito, sentendosi come un paria (National-Zeitung del 25.3.1948, p. 1).
Il 25 maggio del 1948, i sovietici autorizzarono l’NDPD, un “gruppo di tedeschi che amano la patria“: lo stesso SED dichiarò che lo scopo del nuovo partito era di evitare che queste persone “dalle idee politicamente confuse” finissero per votare per i democristiani o i liberali.
Durante tutto il periodo della DDR, l’NDPD – che alla fine degli anni Ottanta aveva oltre 100.000 membri – poteva contare su un numero prestabilito di 52 deputati in parlamento.
Il fondatore del NDPD fu un ex-comunista, ma il suo successore, rimasto a dirigere il partito fino alla fine, fu un ex-membro dell’NSDAP ed ex-ufficiale dell’esercito, catturato dai sovietici a Stalingrado e subito incorporato nella Nationalkomitee Freies Deutschland, che nei propri stendari adottava i vecchi colori, nero, bianco e rosso, della Germania imperiale, al posto del nero, rosso, oro della repubblica di Weimar.
Politicamente, l’NDPD non si distingueva dai comunisti, sostenendo come tutti i partiti legali l’esproprio dei latifondi, le collettivazioni e la fluttuante politica sociale ed economica del governo. E possiamo immaginare che i dirigenti del partito non fossero diversi da tutti quelli, insieme conformisti e opportunisti, dei paesi del blocco sovietico.
Ma l’NDPD ebbe un ruolo importante nella costruzione simbolica della DDR, ad esempio facendovi entrare la tremenda “Battaglia dei popoli” (Völkerschlacht), cioè la grande vittoria contro Napoleone nel 1813 a Lipsia (ve la ricordavate, centomila morti in tre giorni, molti di più che nella battaglia di Anzio?).
Il NDPD si sciolse rapidamente dopo la fine della DDR, finendo per fondersi addirittura con il partito liberale.
Sarebbe interessante confrontare questa storia con quella dei movimenti neofascistialtrove, soprattutto in Italia.
In entrambi i casi, abbiamo l’interferenza di una potenza occupante. Sovietici nella DDR, statunitensi da noi, entrambi interessanti al controllo di una parte potenzialmente irrequieta della popolazione. Recuperata nel primo caso a “sinistra”, nel secondo a “destra”.
Ma il rapporto simbolico è rovesciato: in Italia, la palese presenza a tanti livelli di ex-fascisti veniva vissuto come una sorta di sporco segreto, di “mancata epurazione”; gli ex-fascisti dovevano quindi essere smascherati se diventavano democristiani conservatori e relegati nell’MSI, mentre allo stesso tempo l’MSI doveva vivere in una sorta di ghetto politico e morale. A destra, ci si vendica ancora oggi rimescolando nel lontanissimo passato fascista di Ingrao, di Giorgio Bocca o di Dario Fo.
Invece, nella DDR… nel 1952, il governo lanciò una vasta campagna contro la sudditanza della Germania dell’Ovest alla NATO e alle potenze occidentali.
L’NDPD contribuì a questa campagna con un “appello alla generazione tedesca che era stata al fronte durante la seconda guerra mondiale“: i 119 firmatari dell’apello scrissero, accanto al proprio nome e cognome, anche il proprio rango nella Wehrmacht, nelle SS, nella Hitler Jugend e altre organizzazione dell’epoca.
Posso immaginare che la scelta di non stigmatizzare i “reduci” sia stata aiutata dal rigore marxista della dirigenza della DDR.
In Occidente è prevalso uno stranissimo atteggiamento verso i reduci, che mescola almeno tre elementi teoricamente inconciliabili: fantasie cristiane su “colpa” e “innocenza”, svolazzi di provenienza psicoanalitica e una visione quasi razzista dell’immutabile malvagità di intere categorie di persone.
Nell’Europa sotto influenza sovietica, invece, ci si chiedeva – magari in modo un po’ ottuso e meccanico – semplicemente quali fossero gli interessi di classe reali delle persone, senza preoccuparsi troppo delle loro idee e senza demonizzazioni personali. Purché ovviamente rigassero molto dritto.
Pescata in rete, la foto dei fondatori del NDPD di Hermsdorf, un quartiere di Berlino. Un notevole campionario di umanità novecentesca, che sa di militanza, duro lavoro, vestiti di seconda mano e macchine per cucire costruite ingegnosamente in casa.
Una birra il sabato sera, pochi libri, ma densi e sfogliati con grande determinazione.

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