lunedì 17 dicembre 2018

Dubito dunque sono ------- TRAVAGLIO, IL TROTZKISTA, IL FOTOGRAFO, I GILET GIALLI, IL TERRORISTA, I SERBI E IO, di Fulvio Grimaldi

(vedi anche www.fulviogrimaldicontroblog.info, prima che qui sparisca)

"He who takes a stand is often wrong, but he who fails to take a stand is always wrong.– “Chi si schiera, spesso si sbaglia, ma chi non si schiera si sbaglia sempre” (Anonimo)

Il fustigatore fustigato

Nella sua risposta a Giorgio Bianchi, il giornalista fotografo e documentarista che, in modi garbati, seppure puntuti, gli aveva rimproverato, e documentato, la pessima qualità delle pagine di politica internazionale del Fatto Quotidiano (FQ) e lo stupefacente contrasto tra quel trattamento falso, fazioso, preconcetto degli Esteri e la spesso corretta, coraggiosa parte riguardante i fatti, personaggi e colleghi di casa nostra, Marco Travaglio, direttore del giornale, ha fatto la figura per la quale di solito sbeffeggia gran parte dell’importante stampa e Tv italiane. Preda evidente di un livore che mal si concilia con l’elegante sicumera che esibisce nelle sue epifanie televisive, una delle migliori penne satiriche del paese si è lasciata trascinare a insulti, in risposta a presunti ma inesistenti insulti di Bianchi,, disprezzo per le argomentazioni oppostegli, arroganza e pregiudizi talmente clamorosi da parere quelli di un Sallusti qualunque (direttore del foglio berlusconide sedicente“Il Giornale”).

Copertosi dietro a collaboratori “antimericani” come Massimo Fini e Pierangelo Buttafuoco, ha ribadito le sue sentenze inoppugnabili e definitive su “Putin detestabile autocrate”, “Assad criminale di guerra e di pace (si fa per dire)” e sul “regime degli Ayatollah che fa dell’Iran un paese dove nessuna persona di mente normale e amante della libertà vorrebbe mai vivere”. Manca la controprova di quanto un cittadino iraniano si troverebbe bene nei paesi delle armi per tutti, stragi nelle scuole, Barbare d’Urso, assassini mirati, stampa in mano ai tycoon, video giochi a chi ammazza di più.

Diversamente da Giorgio Bianchi, da me e da tanti altri, con ogni evidenza Travaglio non ha mai messo piede nei paesi governati da coloro che con tanta virulenza stigmatizza. Ripete a pappagallo quanto spurgano le matrici della propaganda occidentale a sostegno del pensiero, della cultura e del regime unici mondiali, ostacolati proprio dai paesi che infanga e i cui popoli, liberamente, checchè ne dica lui, contraddetto da mille osservatori ONU, sostengono i propri governanti, anche a costo di inenarrabili sacrifici inflitti dal nemico, con percentuali di consenso che i nostri democratici reggitori non si sono mai sognati. Né il regime plutocratico americano dove, se non si hanno soldi, non si viene eletti ai vertici neanche se si resuscita Lazzaro; né quello monarchico di Londra nel quale un primo ministro per reggersi al potere deve essere gradito alla donna più ricca del mondo e, in mancanza, deve avvelenare qualche russo dandone la colpa a Putin; né quello italiota retto fino a ieri, e parzialmente anche oggi, da una cosca mafiomassonica impegnata a mangiare viva la popolazione. E neppure quello bancario francese che, per non essere travolto da un popolo inferocito, col proprio gradimento al 23%, deve ricorrere al supporto fisico di 80mila poliziotti, a quello cartaceo di tutti media padronali europei e all’occasionale mostruosità “islamica”.



E’ chiaro che Travaglio e, ancora più il suo condirettore, delegato dei padroni, Stefano Feltri, è iscritto all’albo d’onore dell’Atlantosionismo e da lì non si muove anche perché, ahinoi, la sua cecità rispetto a un mondo come rappresentato dal cialtroname politico-economico che lui sbertuccia si regge sugli occhiali attraverso cui guarda alla realtà. Che sono quelli di un ottuso eurocentrismo che individua il migliore dei mondi nella gigantesca truffa della democrazia liberale borghese e delle sue finte libertà, sistematicamente pervertite da manipolazioni della mente che iniziano poco dopo la nascita.

I serbi e il trotzkista
Mi sovviene un episodio che collega un mio trascorso al FQ. 1999: primavera di bombe sulla Serbia di Tito e Milosevic, che non si arrende alla fine della Jugoslavia e al taglio di un suo arto, il Kosovo. Liberatomi dal TG3 la notte delle prime bombe, vado con telecamerina e incarico di “Liberazione” a raccontare il tentato genocidio dei serbi da parte di Nato, Clinton, D’Alema. Mando reportage sulla guerra all’uranio, alle bombe a grappolo, alla manipolazione meteorologica finalizzata a inondare il paese di acque fuoruscite dal Danubio e rese tossiche dalle sostanze dei petrolchimici bombardati a Pancevo. Scrivo anche del Ponte sul Danubio sul quale i belgradesi del “Target” cantano al cielo, sfidando gli F15 in arrivo da Aviano e degli operai dell’automobilistica Zastava che rimettono in piedi da soli una fabbrica polverizzata dai governanti amici dei suoi padroni, la Fiat. E riferisco di come i profughi Rom dal Kosovo, cacciati, insieme ad altri 300mila, da una banda di criminali, l’UCK, al servizio di Nato e narcotrafficanti, siano sistemati in tendopoli del governo e poi indirizzati nelle belle case di un quartiere, con scuole e ospedali, da tempo abitato dai loro fratelli d’etnia.



Sotto l’anziano direttore Sandro Curzi, devoto a Bertinotti, imperversa un caporedattore agli esteri di nome Salvatore Cannavò, notabile di un microgruppetto trotzkista staccatosi dal PRC. Al rientro da Belgrado, scopro che gran parte dei miei servizi sono stati da costui o mutilati, o proprio cestinati. E anche la mia intervista a Slobo Milosevic, l’ultima prima del suo infame arresto e morte indotta, è stata rifiutata (la pubblicherò poi sul più professionale “Corriere della Sera”), perché tutto questo mostrava “un inaccettabile appiattimento sul despota Milosevic e, di conseguenza, sui serbi, ipernazionalisti e stragisti etnici”, come insieme spappagallavano la vulgata imperialista “Liberazione” e “il manifesto”, quotidiani – bum! – comunisti.

Perché rimastico questi ricordi di esaltante informazione “de sinistra”? Perché il Cannavò me lo sono ritrovato nel FQ, un po’ su lavoro e sindacati, con severa moderazione, un po’ sugli esteri, dove dà rinnovata prova di professionalità e deontologia accorrendo in difesa del capo nella diatriba con Giorgio Bianchi sulle pagine estere. In risposta a uno dei tantissimi interventi, in rete e nelle lettere al giornale, che condivideva le critiche di Bianchi, il nostro trotzkista si precipita a giurare che il giornale di Travaglio non ha né pregiudizi, né conduce campagne mirate (c’è una tale Michela Jaccarino che da mesi non scrive altro che quanto chiaviche siano i russi e Putin, per citarne una, di campagne). Ripete le invettive contro “gli stati autoritari di Putin e Assad e quelli confessionali come l’Iran”. E, a proposito di campagne, andate a cercarvi anche il paginone di Roberta Zunini, il 7 dicembre scorso,in cui si riporta, condividendo, il rapporto della Rand Corporation (una di quelle che finanziavano l’Operazione Condor in America Latina), che lamenta come la Nato in Ucraina, sulla soglia della Russia, sia troppo lenta, abbia troppi limiti: La statua di Hitler, pensate, non è stata ancor rieretta accanto a quella del collaborazionista Stepan Bandera e il Donbass libero non è stato ancora raso al suolo dagli F35 all’uranio.

Nazi e antinazi per me pari son. Ma un po' meglio i primi.
Procedendo lungo i binari della degenerazione trotzkista, quella delle rivoluzioni democratiche della Nato e dell’Isis saudita contro Siria, Iraq e Libia, il bravo giornalista conclude vantando che il giornale, “nello scontro tra Nato e Russia sull’Ucraina, non si vede sostenitore di un fronte contro l’altro”. Colpo di Stato Usa a Kiev, stavolta usando nazisti al posto di jihadisti, rifiuto del nazismo di popolazioni russe nell’Est e quindi guerra di sterminio a tali popolazioni. Con la Nato che si schiera lungo tutto il perimetro della Russia e la Russia che non vanta neanche un pedalò nel Golfo del Messico, o un aquilone vicino alle Hawai. Equidistanza alla Fatto Quotidiano. E quando sei equidistante tra carnefice e vittima, sai bene dove stai. In Medioriente, come dappertutto. Così come “Liberazione” per i Balcani, il FQ e “il manifesto” per il resto del mondo dovrebbero assumersi una porzioncina nella suddivisione delle responsabilità per diversi milioni di morti e distruzioni vaste come mezzo pianeta.




La domanda, il piccolo dubbio, che dovrebbero anche porsi è molto, molto semplice. Ormai tutti, anche i giornalisti liberi ma uguali, hanno detto e scritto che il jihadismo che ha devastato, crocifisso e sgozzato in Medioriente, Asia e Africa, è stato inventato dagli Usa (Hillary Clinton in prima fila), addestrato in Giordania e Turchia dai marines, pagato dai turchi, che ne hanno smerciato il petrolio rubato, dai sauditi e altri del Golfo. Tra loro molti foreign fighters. Ora costoro fanno casino in Europa. Mutazione genetica, inversione ideologica, o nuovo mandato? 

Aggiungo solo che, per uno che da mezzo secolo si occupa di politica internazionale e anche su media rispettati e, un tempo, main stream (comunque sempre di editori puri), dai vari posti dove questa esplode, le mingherline paginette in fondo che il FQ riserva, a evidente malincuore (sensi di colpa?), agli esteri, non vanno proprio prese in considerazione. Se non per osservare, en passant, come si possa scrivere male, sciatto, con disinvolta mancanza, o ambiguità, di verifiche e fonti partendo da un’obbedienza, o da un pregiudizio e conseguente accanimento politico-culturale colonialista da far sembrare il famigerato “orientalismo”, bollato di eurorazzismo dal grande storico e analista Edward Said, un innocuo culto del folklore.



Gilet Gialli: Gilet che?
Tutto questo spiega la ritrosia nei due giornali “di opposizione”, sedicenti liberi, ma uguali, nei confronti di una roba andata, alla De Andrè, in direzione ostinatissima e contrarissima. Quella dei Gilet Gialli in Francia, tanto da evocare nella cosca degli eurocrati che si sono messi sotto i piedi i paesi europei non collocati nei piani alti del castello, il fantasma della Bastiglia. Grande evidenza alla violenza, non delle truppe macroniane che, compiuti gli arresti preventivi alla Mussolini, sparacchiavano addosso alla gente gas velenosi, flash ball, getti di acqua gelida e pallottole rivestite di gomma e inerme a terra, la massacravano di calci e botte; ma a quei sacrilegi, stufi di Draculi non confinati alla mezzanotte ma impegnati a succhiar sangue h24, che rompevano le vetrine a Zara, Armani e Bulgari. E poi, tutta la stampa riunita sul trampolino a tuffarsi sul terrorismo di Strasburgo, con spruzzi tanto possenti da far sparire persino l’ombra dei giubbini gialli. Non era questo il programma?

Sicuramente lo era e lo è del “manifesto” che,facendosi beffe della sua testatina comunista e soffrendo di allergia a ogni cosa gialla presente, ora addirittura festeggia il rallentamento di quei violenti dei Gilet, definendo il movimento di centinaia di migliaia di subalterni incazzati un “soufflé sgonfiato”. Quindi trattavasi di “aria calda”, svaporata di fronte alle generose offerte di Macron. Autore di testo e titolo, Guido Caldiron, affermatosi, prima in “Liberazione” e poi sul “manifesto”, come grande fan di ogni rivoluzione colorata sorosiana. Coerentemente, si era esibito il giorno prima, nell’inarrivabile inserto di cultura proletaria “Alias”, quello appaltato ai suoi correligionari, con inni, salmi, peana, ditirambi, gospel, alle inchieste sul “nazionalpopulismo” di due immacolati campioni del giornalismo atlanticosionista, debenedettiano ed elkianiano: Ezio Mauro, ex-direttore di “Repubblica” e Maurizio Molinari, direttore de “la Stampa”. Tout se tien.

Pensate – stupite – cosa ha scritto uno sul “manifesto” del 14 dicembre: “Una delle vocazioni della propaganda è di rendere vero, a furia di ripetizione, quello che non lo è necessariamente . E’ un lavoro da fabbro: si tratta di eliminare il dubbio col martello per forgiare un solido senso comune. Si batte sul punto interrogativo fino a raddrizzarlo”.




Viene in mente tale Roberto Ciccarelli che, da un paio di mesi, ogni santo giorno, ripete sul “manifesto” la frase: “Sussidio di povertà impropriamente detto reddito di cittadinanza”. Un vero fabbro. Di quelli che forgiano l’intero quotidiano comunista a spadone contro i 5 Stelle perché, con quasi tutto ciò che fanno, mettono a nudo l’ignavia e l’ipocrisia del giornale e della particina politica che in esso si identifica. Roberto Ciccarelli che, tanti anni fa, con la sua carica a testa bassa contro il rosso di coloro, tra cui in piccolissimo il sottoscritto, che, alla luce di abbaglianti indizi, testimonianze, ricerche di migliaia di esperti indipendenti, dubitavano dell’attribuzione degli attentati dell’11 settembre ad Al Qaida. Lui, quel fabbro, un dubbio non ce l’aveva: dicevano bene evangelisti come Bush, i Neocon, la Cia, il Mossad, Ezio Mauro e Molinari.

Il terrorismo uccide chi capita, la stampa uccide Voltaire.
Da allora, né al “manifesto”, né all’altro giornale libero ma uguale, si è deflesso dalla linea del fabbro. Dubbi mai! E così a Strasburgo, per la quale città il prefetto di Parigi ha previsto un attentato la mattina prima, un tizio spara sulla folla in una strada pedonale dove non si entra che da quattro ingressi strettamente controllati e non se ne esce che da altri due, parimenti controllati. Ne ammazza tre, poi saranno quattro e ne ferisce 13. Ma Nessuno sa chi sia. Neanche la polizia con la quale, poco dopo, avrebbe avuto uno scambio a fuoco nel buio. Non lo prendono, ma immaginano che sia lo stesso la cui casa avevano premurosamente perquisito, godendo di preveggenza, poche ore prima, per trovarvi armi, coltellacci ed esplosivo. Nessuno poi saprà dare indicazioni. Salvo un tassista che, guarda caso, era lì, in una zona proibita a tutti i veicoli, taxi compresi. Dice di aver riconosciuto nel passeggero – ma sarà poi lo sparatore? L’uomo della perquisizione? - Cherif Chekatt, origine marocchina del quartiere Neudorf (Strasburgo e l’Alsazia erano tedeschi), e di averlo lasciato ferito (da chi?), pensa un po’, davanti a un commissariato.

La salvezza per lo sparatore è là a due passi, attraverso il Reno. Ma forse Cherif non sa nuotare, poi fa troppo freddo. Torna dalle sue parti, dove se no?, la mattina dopo, astuti come volpi, lo cercano in 750, tra forze speciali, brigate antiterrorismo, servizi segreti, vigili urbani. Una persona se ne sta in un magazzino o garage. Chi è? Ma lo sanno tutti, soprattutto i 750: è Cherif. E’ parte una sparatoria degna della battaglia della Marna. Ne può uscire uno che non sia il terrorista morto? Non può. lo si poteva prendere con i gas, per fame? Per farlo parlare e rivelare tutta una rete? Non si poteva. E stavolta è di certo Cherif, mariuolo di molte trasgressioni, per niente religioso, mai stato in moschea, mai visto pregare, ma, secondo ogni fonte, anche quelle della Gazzetta del Borneo, “radicalizzato” al punto da gettare ai piedi di Allah la sua vita. Come quegli altri, a Parigi e Bruxelles, radicali al punto da bere come spugne, spacciare, gestire la prostituzione e non farsi vedere mai dall’imam.




Cui prodest?
Una vecchia domanda se la ponevano già i romani: a chi conviene, cui prodest? Domanda arcaica, logora, polverosa. Per niente trendy. In Italia si vendono 4 milioni di copie di quotidiani,in nessuno di questi troverete quella domanda. E neanche il minimo dubbio. Sentenze definitive sui Gilet Gialli che, autorevolmente, espressione del popolo, hanno dato voce a dubbi sui tempi e sulle finalità dell’attentato che ne avrebbe inevitabilmente frenato l’azione,fornendo pretesti morali e repressivi all’avversario. Si seppellisce il dubbio sotto valanghe di “complottisti folli”, “teorici della cospirazione”. In compenso, il rilancio del terrorismo, oltre che fornire nuove armi ai fautori della “sicurezza” contro i subordinati, provocando una vittima di forte valenza simbolica, e della cui morte ci dispiace, ha gonfiato i petti e i giornali dell’europeismo alla Junker-Moscovici-Barroso. Noi piangiamo il ragazzo. Loro, speculandoci sopra in nome dei Juncker e affini, il martire eroico di un’Europa che detestiamo.

Con il più bell’ossimoro della storia dell’informazione, il “manifesto”, che di dubbi non ne ha punti, fa seguire al discorso del fabbro che martella i dubbi per farne una spada al cavaliere, quello sprezzante sui cacadubbi delle giubbe gialle e di qualche demente complottista in rete. Garantisce Roberto Ciccarelli, garante anche dell’11/9. Il Fatto Quotidiano non è da meno. Ma Travaglio è un uomo d’onore. E’ quelli del “manifesto” e di tutta la stampa, libera e uguale, pure. Hanno tutti, quelli delle verità storiche e attuali sanzionate una volta per tutte, una paura fottuta del dubbio.


http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2018/12/dubito-dunque-sono-travaglio-il.html

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