P.S. Il lavoro seguente di Andriola integra questo saggio http://ugomariatassinari.it/proposito-di-stato-potenza-un-contributo-di-m-l-andriola.html, pubblicato nel sito di Ugo Maria Tassinari, massimo esperto su questioni riguardanti il neofascismo in Italia.
L’immigrazionismo come "arma di distrazione di massa"
di
Matteo Luca Andriola
Il mio breve saggio Su Stato &
Potenza e sulle «piccole ombre rossobrune», pubblicato sul blog di Ugo
Maria Tassinari, ha suscitato un vero vespaio. Una puntualizzazione: non ho
detto che Bonilauri & Co. sono "fascisti". Chi lo dice è Saverio
Ferrari. Penso, sinteticamente, che Stato & Potenza, più che un movimento
neofascista, sia un soggetto populista "ibrido", almeno per le chiavi
di lettura occidentali, una "nuova sintesi" fra un modello culturale
tradizionalista (ergo, «di destra») e un neostalinismo
"social-patriottico" di facciata tipo il Pcfr («di sinistra») del
tutto simile a Lotta di popolo: il famoso movimento, definito erroneamente
«nazi-maoista», proprio come Stato & Potenza, portò avanti una critica
nazionalista verso i movimenti di sinistra dell’epoca, sostenendo che il
comunismo sovietico si era consolidato in Urss – si notino le assonanze col
pensiero zjuganoviano – soltanto grazie alla russificazione imposta da Stalin
che, superata l'opposizione di Trockij, faceva appello agli istinti
nazionalisti e tradizionalisti del popolo russo.[1] Ergo,
niente di nuovo sotto questo sole. Quindi Stato & Potenza è un movimento
trasversalista "social-patriottico" o "social-populista" –
ma non necessariamente neofascista, anche se i contatti con Claudio Mutti e
Aleksandr Dughin e i riferimenti a Ernst Niekisch e all’euro-sovietismo di Jean
Thiriart fanno riflettere – del tutto estraneo dalla tradizione del movimento
operaio. Tutti i movimenti comunisti – dai parlamentaristi del Prc e del Pdci
fino a gruppuscoli leninisti, trockijsti, stalinisti, maoisti, luxemburghiani,
bordighisti, internazionalisti, ecc. – si caratterizzano, nel bene o nel male,
per un’opera di proselitismo politico-sindacale nei posti di lavoro per
spingere i lavoratori a battaglie di tipo sociale: e Stato & Potenza? Oltre
a richiedere i militari per pattugliare le fabbriche «per garantire il
corretto svolgimento dell'attività lavorativa»,[2] non
ho letto di radicali riforme di struttura per superare il capitalismo e dare
potere al lavoratore, ma solo un interventismo keynesiano autoritario ed
esteticamente socialista – e qui si entra nell’ambito della “sovrastruttura” e
di un immaginario collettivo fatto di slogan e di foto nostalgiche di Stalin,
Breznev e Nasser, messe proprio per sembrare “compagni” –, mentre il socialismo
– anche quello stalinista – intacca primariamente la “struttura”. Il
"social-patriottismo" fu liquidato da Marx, Engels e Lenin. I primi,
nel Manifesto del partito comunista (1848), passando in rassegna i vari
socialismi dell’epoca, sottoposero ad una sferzante critica il «socialismo
tedesco, ossia il socialismo “vero”», inquadrandolo, col «socialismo feudale» e
il «socialismo piccolo-borghese», nella categoria del «socialismo reazionario».[3] Il
riferimento era diretto una serie di «socialisti» – come Stefan Born, Andreas
Gottshalk, Johann Carl Rodbertus e Ferdinand Lassalle – che proponevano un
socialismo cooperativo alleato col trono prussiano per superare il capitalismo
e la lotta di classe (la "terza via") attraverso l’introduzione di
corporazioni. Lassalle, molto coerentemente, intrattenne buoni rapporti con
Bismarck.[4]
Lenin, invece, dovette affrontare i «social-nazionalisti» in prossimità della
Rivoluzione d’Ottobre. In Stato e rivoluzione, testo opportunisticamente
archiviato dal russo Zjuganov, dove si teorizza la teoria della stato
marxista-leninista, incentrato sulla lotta di classe, sulla dittatura del
proletariato e delle sue avanguardie e sulla progressiva estinzione dello
Stato, legandosi alla suggestiva organizzazione della Comune di Parigi, scrive:
«Gli elementi opportunistici, […] hanno dato vita alla tendenza
social-nazionalista […]. Questa corrente di socialismo a parole e di nazionalismo
nei fatti, […] è contrassegnata da un impudente e servile adattamento dei “duci
del socialismo” agli interessi non solo della “propria” borghesia nazionale ma,
in maniera speciale, anche del “proprio” Stato […]. La lotta per la liberazione
delle masse lavoratrici dal dominio della borghesia […] è quindi impossibile se
non si distruggono i pregiudizi opportunistici sullo Stato».[5] Un
«socialismo a parole e [...] nazionalismo nei fatti» caratterizzato da «un
impudente e servile adattamento dei “duci del socialismo” agli interessi non
solo della “propria” borghesia nazionale ma, in maniera speciale, anche del
“proprio” Stato». Ecco cos’è Stato & Potenza. Sempre Lenin, nell’aprile
1920, nel pieno di una accesa polemica con la sinistra comunista tedesca, che
teorizzava l’abbandono dei sindacati riformisti e l’astensionismo parlamentare,
consigliò una collaborazione tattica con la socialdemocrazia e l’emarginazione
dei «nazionalbolscevichi» di Niekisch, interlocutori dei "bolscevichi
nazionali" di Laufenberg e Wolffheim.[6] La
querelle "facebookiana", però, è scemata sull’intervista
anti-immigrazionista rilasciata da Bonilauri a Libero, dove gli
immigrati nell’esercito vengono paragonati ai barbari che, arruolati
nell’esercito romano, indebolirono Roma. Tali frasi, per me, rivelano la loro
estraneità non solo al comunismo, ma allo stesso pensiero stalinista, e citavo
il caso di Delio Gramsci che fece carriera nell’Armata rossa negli anni ’50.
Non mi va di perder il mio tempo a dibattere con chi si spaccia per comunista
senza conoscere l’abc del marxismo, incentrando le sue analisi su mere
dinamiche geopolitiche e nazionaliste senza parlare di dinamiche sociali.
Zecchinelli invece, su Facebook, documenta un’incontro fra Stato & Potenza
e l'Associazione Primi della strada, organica al partito post-togliattiano di
Oliviero Diliberto (Pdci). Egli nota che,
Di comunista (e loro si presentano
come tali), c'è ben poco: nessuna analisi di classe e soprattutto il fenomeno
dei flussi migratori (quindi gli spostamenti, per cause SOCIALI, di forza
lavoro a basso costo) non viene collegata agli effetti deleteri
dell'imperialismo (che è SEMPRE occidentale!). Strano dato che l'imperialismo
italiano ha contribuito a distruggere (si pensi ai finanziamenti del Vaticano
al movimento neo-fascista Solydarnosc) gli Stati operai (burocratizzati)
dell'Est Europa. Altre cose importanti: (1) la questione identitaria viene
sovrapposta a quella sociale. (2) si cita Ziuganov che parla di 'sacro'. Chi si
rifà al Partito Comunista della Federazione Russa non ha mai pensato che questo
partito non ha nulla di comunista ma che è brezneviano e revisionista? La
sacralità della Madre Russia non è proprio quello che Lenin sosteneva, al
contrario, Ilic spiegò che il Socialismo è Internazionale polemizzando con i
'social-patrioti' in molti scritti. Ovviamente, queste persone, possono trovare
molti riferimenti nella tradizione stalinista (e post-stalinista) ma di
marxista, in tutto questo, c'è ben poco. […] Chiederei a questo ragazzo cosa
pensa della Resistenza antimperialistica dei partigiani Jugoslavi, ma temo che
toccherei un nervo scoperto. Lo temo perchè non ho mai piacere a scoprire che
nascono nuovi movimenti avversi all'antimperialismo radicale, al socialismo ed
al marxismo. Altri problemi: l'imperialismo viene visto come una politica e non
come uno stadio dello sviluppo capitalistico. Non è una cosa da poco dato che
l'incomprensione della categoria di imperialismo non consente di capire,
perchè, la 'forza lavoro' si concentra principalmente nelle metropoli
imperialistiche. Lenin prese in esame questo problema, nel 1913, con un
articolo Capitalismo e immigrazione che i relatori (i quali vogliono
parlare di immigrazione) dimostrano di non conoscere. […] Devo dedurre che
questi relatori non sanno che il conflitto di classe si estende anche su scala
internazionale e contrappone l'imperialismo occidentale ai movimenti
anticoloniali ed agli Stati indipendenti non allineati. Temo di sì, quindi
anche il sostegno che questi ragazzi daranno ai paesi aggrediti dagli Usa o dal
sionismo, purtroppo, non avrà mai una forte base analitica. Un antimperialismo
acqua di rosa che rispolvera troppi luoghi comuni del 'fascismo sociale' (altra
bufala!). […] Ricordiamoci, per finire, che i marxisti considerano il 'popolo'
un amalgama sociale di più classi. Il comunismo scientifico, guarda, prima di
tutto ai lavoratori salariati che detengono le leve della produzione. […] Dove conduce tutto ciò? Quale è il loro
arrivo? A cosa consegue questa analisi balorda? Si termina con un richiamo
indefinito all'ordine (i comunisti sono per l'ordine, dato che è il capitalismo
ha creare anarchia, ma gli conferiscono un contenuto di classe) che, per i
criteri qui esposti, rispecchia il senso comune della piccola borghesia
spappolata. Questo è in sintesi il geopoliticismo di S&P![7]
Ecco spiegata, con un semplice video, la crisi che
attraversa la sinistra radicale italiana, una crisi di tipo culturale! Fai un
convegno e non sai chi è il tuo interlocutore? Ti definisci comunista e non sai
fare un’analisi classista sulle dinamiche imperialiste e immigratorie, sposando
così le tesi reazionarie del primo eurasiatista conosciuto? Dissento, però, coi
comunisti comunitari di Comunismo e comunità (che annoverò comunque
nell’alveo della famiglia comunista) riguardo all’analisi sull’immigrazione.
Tale fenomeno, come giustamente fanno notare anch’essi, non è casuale, ma
frutto dei tanti squilibri del sistema capitalista. Le multinazionali
occidentali infatti – come ieri con potenze imperialiste europee, Italia compresa
– sfruttano le risorse di quei paesi, impoverendoli, provocando disagi e
squilibri. L’interventismo "umanitario" dei paesi occidentali tramite
il Wto, la Banca mondiale o il Fmi e dalle normative da loro stipulate per la
libera circolazione di capitali e di risorse umane, non è mai fine a se stesso,
e le dinamiche del Piano Marshall nel dopoguerra lo dimostrano: quando
l’occidentale opera "riforme" in tali paesi, l’obiettivo è sempre
quello di indebitare tale stato – come avviene col nostro debito pubblico, dato
che i prestiti poi vanno restituiti – al fine di legarlo indissolubilmente alla
sua economia. Si sviluppa così un "neocolonialismo soft" ai danni dei
paesi in via di sviluppo: gli europei, fino alla metà del XX secolo, occupavano
militarmente tali territori, ma ora non c’è più bisogno, a eccezione dei soliti
"recalcitranti" che non si piegano, come l’Iraq o l’Afghanistan.
Viste le dinamiche sopra descritte, ecco causa principale che spinge una parte
delle persone in quei paesi a emigrare in Occidente. Secondo Comunismo e
comunità, però
L’idea
che un paese possa esercitare un controllo sui flussi migratori e non debba
semplicemente assecondarne in toto le dinamiche è giusta. Non è condivisibile
l’idea di appoggiare una sorta di diritto assoluto allo spostamento della forza
lavoro mondiale che in realtà non ha alcun fondamento giuridico né etico.
L’immigrazione è gestita nel puro interesse capitalistico. Ed è gestita da
parte di ciniche forze politiche che alternativamente (secondo la dialettica consolidata
centro-destra, centro-sinistra) giocano allo spauracchio reazionario
anti-immigrato per fomentare la guerra tra poveri. L’immigrazione è oggi
gestita dal capitale, tramite i suoi sicari politici, in funzione delle proprie
esigenze di sfruttamento intensivo di manodopera, sia per sfruttare quella
immigrata sia per depotenziare la forza contrattuale di quella interna.[8]
Il passo, se analizzato alla luce dell’analisi marxiana,
presenta alcune pecche: l’idea che un paese occidentale come l’Italia, ergo
imperialista perchè legato agli Usa e al sistema Nato, possa esercitare un
controllo sui flussi migratori per non assecondarne le dinamiche, è ingiusta se
prima non si rinuncia definitivamente all’imperialismo stesso, che è la causa
primaria dell’immigrazione. Altrimenti si rischia di piegarsi alla logica
xenofoba di CasaPound, Forza nuova, Fiamma tricolore, Lealtà e Azione, ecc.,
che imputano al mondialismo e alle lobby giudaico-massoniche il piano
"perverso" di creare l’immigrazione per schiavizzarci e alterare la
nostra identità, ma al posto di fare cortei puri e duri come durante le
giornate del G8 di Genova del 2001 contro le sedi della Trilateral o dove si
riuniscono i centri dell’alta finanza (Bce, Fmi, Wto, ecc.), contestate a
parole ma non nei fatti, se la prendono con le vittime stesse dell’immigrazione
chiedendo espulsioni, misure securitarie, l’abrogazione della Legge Mancino, la
preferenza nazionale, ecc.! La causa di tutto, lo ribadirò fino alla nausea, è
sempre il liberoscambismo, ora elevato a dottrina base dell’Unione europea
(altra gabbia che schiavizza gli europei) e del sistema occidentale. Marx, nel
1848, scrisse "profeticamente":
Per riassumere:
nello stato attuale della società, che cos’è dunque il libero scambio? E’ la
libertà del capitale. Quando avrete lasciato cadere quei pochi ostacoli
nazionali che raffrenano ancora la marcia del capitale, non avrete fatto altro
che dare via libera alla sua attività. [...] Il risultato sarà che
l'opposizione fra le due classi [capitalista e proletaria. Ndr] si delineerà
più nettamente ancora. Signori, non vi lasciate suggestionare dalla parola
libertà. Libertà di chi? Non è la libertà di un singolo individuo di fronte a
un altro individuo. E' la libertà del capitale di schiacciare il lavoratore".[9]
Il liberoscambismo, conclude Marx, «dissolve le antiche
nazionalità e spinge all’estremo l’antagonismo fra la borghesia e il
proletariato». Questo perché la globalizzazione – una forma molto più subdola
di imperialismo, capace di usare il bastone dei bombardamenti e la carota dei
"diritti umani" – ha spinto all’estremo lo scontro Capitale/Lavoro –
e qui Marx aveva ragione – accentuando le contraddizioni già viste. Una di
queste, già all’epoca, era l’immigrazione: Marx se ne occupò attorno al 1870,
riferendosi a flussi interni al continente che partivano dall’Irlanda,
all’epoca colonia britannica, e che arrivavano in Inghilterra. «All'epoca,
l'opinione corrente era che, se le comunicazioni con l'Irlanda fossero state
potenziate quanto quelle all'interno dell'Inghilterra, si sarebbe imposta
un'equiparazione delle condizioni dei lavoratori dei due paesi».[10] Non
fu così. Secondo Marx le conseguenze più gravi di questi processi non erano di
carattere "materiale", ma consistevano nella divisione che la borghesia
cercava di creare fra la classe operaia, fomentando tra i lavoratori inglesi
sentimenti di paura, ostilità e di razzismo ai danni dei lavoratori immigrati,
all’epoca irlandesi. Tali sentimenti trovavano un’eccellente terreno di cultura
nella competizione al ribasso che si trovavano involontariamente a esercitare i
lavoratori irlandesi, i quali, d'altra parte, vedevano in quelli inglesi i
complici dell’odioso dominio colonialista sul proprio paese. L'operaio inglese,
rispetto
all'operaio irlandese, si sente membro della nazione dominante e si trasforma
così in un suo strumento che gli aristocratici e i capitalisti del suo paese
usano contro l'Irlanda, rafforzando in questo modo il dominio nei suoi stessi
confronti. Egli si culla nei pregiudizi religiosi, sociali e nazionali contro
il lavoratore irlandese. Il suo atteggiamento è molto simile a quello dei
bianchi poveri nei confronti dei negri nei vecchi stati schiavistici degli
Stati Uniti. L'irlandese gli restituisce tutto ciò con gli interessi. Egli vede
infatti nel lavoratore inglese sia il complice che lo strumento stupido del
dominio inglese in Irlanda. Questo antagonismo è artificialmente mantenuto
dalla stampa, dai pulpiti e dai fumetti; in breve da tutti gli strumenti di cui
dispongono le classi dominanti. Questo antagonismo è il segreto dell'impotenza
della classe operaia inglese malgrado la sua organizzazione. E' il segreto che
permette ai capitalisti di mantenere il potere. E questi ultimi lo sanno molto
bene.[11]
Divide et impera: ecco l’arma usata dal capitalismo per dominare sui
lavoratori, creando i disagi dell’immigrazione e soffiando sullo sciovinismo.
Lenin notò dinamiche simili, visto che «La borghesia aizza gli operai di una nazione
contro gli operai di un'altra, cercando di dividerli. Gli operai coscienti,
comprendendo l'inevitabilità e il carattere progressivo della distruzione di
tutte le barriere nazionali operata dal capitalismo, cercano di aiutare a
illuminare e a organizzare i loro compagni dei paesi arretrati».[12]
La xenofobia, agitata dalla destra radicale e dai gruppi social-populisti alla
Stato & Potenza, è un’arma di distrazione di massa utile per spostare
l’attenzione dei lavoratori dalla loro condizione di vittima delle dinamiche
liberoscambiste e della sua precarietà animata dal grande capitale in combutta
coi governi liberali, su altro. La soluzione – al fianco di una lotta di classe
contro le dinamiche liberiste – è porre fine all’imperialismo tout court, quello militare
(dall’Irak all’Afghanistan fino alle basi Nato in Europa) e quello
economico-finanziario dell’Unione europea e degli scellerati trattati
liberoscambisti come il Gatt, Gats, Trips, Trims e Ttip, atti a creare un
mercato comune euroamericano che sfrutti i paesi in via di sviluppo. I gruppi
reazionari e "social-populisti" che elogiano l’avanzata di Marine Le
Pen per il suo desiderio di far saltare l’Unione europea per creare l’Europa
dei popoli, fanno propria – specie i neofascisti e i populisti, ma in minor
misura anche gli eurasiatisti – la "preferenza nazionale", ideata nel
1985 dal Club de l’Horloge di Yvan Blot, un think tank vicinissimo (almeno fino
al 1979-1980) al Grece di Alain de Benoist e alla Nouvelle droite, ponte fra
neofascismo, neopopulismo e destra gollista, nato col presupposto di dare alla
destra dell’epoca strategie e un cervello pensante. La preferenza nazionale
divenne la base del frontismo e, successivamente, dei neopopulismi europei,
Lega Nord compresa. Di che si tratta? Il Club de l’Horloge, a differenza del
Grece, che predicava il "socialismo identitario" – una "destra
sociale" molto più radicale e neocorporativa –, ideò una formula che si
coniugava perfettamente col clima thatcheriano dell’Europa degli anni ’80: il liberalismo
identitario.
La "preferenza nazionale", in sintesi, permette una liceità sulle
privatizzazioni, ma non al 100% (come invece avviene nel mondo anglo-sassone),
ideando un sistema misto che limita le risorse del welfare state, in parte
devolute a enti privati (con la sussidiarietà), il più delle volte collegate all’area cattolica
(una delle bandiere di Comunione e liberazione) e in parte allo Stato. Lo
Stato, però, visto che le risorse pubbliche finiscono per venir in gran parte
privatizzate, pone dei paletti a sfondo comunitario ed etnico per l’accesso ai
servizi sociali. Ecco spiegate le campagne della Lega Nord, del Fronte national
o del Freiheitliche Partei Österreich del “fu” Haider, forze antisistemiche a
parole, per limitare l’accesso degli immigrati alle graduatorie alle scuole
pubbliche, alle case popolari, al welfare, ecc., e non perchè le risorse non ci
sono, ma che queste vengono volutamente privatizzate, e lo Stato – che non è
mai un’entità "neutrale", ma al servizio della classe egemone, la
borghesia – non fa che animare una "guerra fra poveri" utile al
mantenimento del suo status quo. Grazie alla propaganda dei neopopulisti di turno,
sovranisti a parole ma vicini agli interessi del grande capitale nei fatti, la
classe lavoratrice – indebolita dalla flessibilità del mondo del lavoro che
atomizza i rapporti di classe ponendo il lavoratore solo dinnanzi al padrone…
ecco cosa comporta la fine del contratto unico nazionale – viene così distratta
dalla lotta di classe dato che la conflittualità – in un perfetto gioco dei
ruoli che reintroduce dinamiche neocorporative di collaborazione interclassista
– non è più verticale – cioè Capitale/Lavoro – ma di tipo orizzontale –
Capitale Autoctono e Lavoro Autoctono coalizzati contro il Lavoro Allogeno, che
però, ed ecco l’ipocrisia del sistema vigente, serve comunque – magari sottobanco,
che se muore il Lavoratore Autoctono in cantiere devi pagarlo per nuovo, ma se
in cantiere muore l’immigrato non in regola fingi che non è mai esistito! –
perché è manodopera a basso prezzo che costa meno di quella locale. E via col
neoschiavismo e le delocalizzazioni! Tanto poi – visto che siamo padani o
abbiamo "il cuore nero" – aizziamo i cittadini contro i rom che poi
votano il populista di turno! Ecco perché, con una sinistra impotente, il
frontismo miete vittime in una classe operaia ormai stremata e senza più
referenti. Sei contro l’euro? Guadagni punti! Sbraiti contro gli immigrati! Più
punti! Tanto a chi importa – dato che la stampa non ne parla – se la Le Pen
risulta legata a gruppi atlantisti e sionisti, gli stessi ai vertici del sistema
Nato e dell’Unione europea![13]
L’importante è distrarre i lavoratori dalle vere cause della crisi, cioè il
liberoscambismo predominante, e, per il mantenimento di un sistema che distrae
le masse col terrore dell’immigrazionismo e col culto dei "diritti civili"
(vedi i “progressisti” di Sel in Italia e Hollande in Francia con la legge
Taubira, con discorsi enucleati da ogni riferimento classista), puntare tutti i
riflettori su altre "emergenze" (i privilegi della casta, la
mignottocrazia di Berlusconi, la questione morale – come se può esistere un "capitalismo
etico",
come esposto dai vari Di Pietro, Travaglio e Grillo o da la Repubblica, l’Espresso e il Fatto
Quotidiano
–, il bullismo, gli stupri, il femminicidio e così via). E così, con la stessa
logica illustrata in un film del 1972 con Gian Maria Volonté, per
autoconservarti Sbatti il mostro in prima pagina!
[1]
Cfr. Contro un "Supersinistrismo
psicopatico", in Lotta di Popolo, n. 2, Milano, 1971 ripreso in
AA. VV., I dieci anni che sconvolsero il
mondo, Roma, Arcana Editrice, 1978, pp. 113-114, conservato in copia
originale presso l'Archivio Proletario Internazionale di Milano.
[3]
K. Marx – F. Engels, Manifesto del partito comunista, Roma, Newton
Compton, 1994, pp. 38-43.
[4]
Quest’innaturale alleanza fra gli Junker e i «socialisti reazionari» aveva uno
scopo ben preciso. Sia Lassalle che Bismarck, che represse la Spd e il
movimento operaio in Germania, «miravano ad una modifica del sistema del 1815 a
favore della Prussia; similmente al conservatore che sognava una grande
Prussia, il socialista fautore di una soluzione piccolo-tedesca aveva auspicato
nel 1859 una guerra contro l’Austria, guerra nella quale «la democrazia tedesca
stessa avrebbe portato i vessilli prussiani». Né Lassalle né Bismarck avevano
peli sulla lingua quanto al loro attaccamento allo stato prussiano. Entrambi
[…] proclamavano la necessità di uno stato forte, entrambi […] definivano le
questioni costituzionali questioni di potere anziché di diritto. Entrambi
avevano inoltre un nemico comune: il partito progressista liberal-borghese». F. Herre, Bismarck. Il
grande conservatore, Milano, Mondadori, 1994, p. 161.
[5]
V. I. Lenin, Stato e rivoluzione.
La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione,
Milano, Società editrice Avanti!, 1920, pp. 3, 4.
[6]
Lenin criticò l’intransigenza della sinistra comunista tedesca – che animò il
Kapd, che rifiutava, a differenza del Kpd, il concetto difeso da Lenin del
"centralismo democratico" e la partecipazione alle elezioni e ai
sindacati dominati dai riformisti, componente che si era organizzata a livello
europeo alla conferenza di Amsterdam del 3 febbraio 1920, e che aveva come
referente italiano Amadeo Bordiga, unica forza ad animare una resistenza armata
al regime nazista. Cfr. H. M. Bock: Geschichte des "linken
Radikalismus" in Deutschland, Ein Versuch, Frankfurt/M, 1976 – per «il
rigido e ostinato rifiuto di riconoscere la pace di Versailles [...]. Non basta
rinnegare le madornali assurdità del "bolscevismo nazionale"
(Laufenberg e altri) che, nello stato attuale della rivoluzione proletaria
internale, si è spinto sino al blocco con la borghesia tedesca per una guerra contro
l’Intesa». V. I. Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo,
in Opere complete, vol. XXX, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 64.
[8]
Elezioni in Francia e in Grecia. L’Europa, la sinistra e il neo-liberalismo;
l’estrema destra e il fenomeno Marine Le Pen (alcune note critiche in risposta
alle recenti valutazioni di Costanzo Preve sulle elezioni francesi), in http://www.comunismoecomunita.org/?p=3221.
[9]
K. Marx, Discorso sulla questione del libero scambio, pronunciato il 9
gennaio 1848 all'Associazione democratica di Bruxelles.
[10] Collinson Black R.D., Economic Thought and the
Irish Question, 1976.
[11]
Lettera di Karl Marx a Sigfrid Meyer e August Vogt del 9 aprile 1870, cit. in
L. Pradella, L'attualità del 'Capitale'. Accumulazione e impoverimento nel
capitalismo globale, 2010.
[12]
V. I. Lenin, Il capitalismo e l'immigrazione
operaia, 1913.
[13]
La Le Pen, nel 2012, «È […] volata a New York ai primi di novembre e ha
incontrato per 20 minuti l’Ambasciatore d’Israele all’Onu, Ron Prosor. E il
quotidiano Haaretz le concede una possibilità, purché la condanna
dell’anti-semitismo sia “chiara e forte”. A Palm Beach, Marine ha cenato con
200 repubblicani del Tea Party da Bill Diamond, finanziatore ebreo di Rudolph
Giuliani. E per un soffio non è stata accolta da vip al Museo della Shoah a
Washington». Cit. in http://zecchinellistefano.blogspot.it/2013/10/marine-le-pen-una-sionista-senza.html. Ricorda molto – con dinamiche diverse
– l’avvicinamento della destra postfascista italiana ad Israele ad opera di
Gianfranco Fini. Già il Msi, nel 1967, dopo la Guerra dei Sei Giorni, con Il
Secolo d’Italia e Il Borghese del futuro piduista Mario Tedeschi in
testa, che inviò il fascista filogolpista e filoisraeliano Giano Accame come
inviato speciale a Tel Aviv, si schierò con Israele e l’Occidente (anche in
Vietnam). Il deputato missino Giulio Caradonna – figlio dello squadrista
Giuseppe Caradonna, uno dei più importanti mazzieri e repressori del movimento
bracciantile in Puglia e organizzatore del crumiraggio – scrisse una lettera al
rabbino capo della comunità di Roma per mettere i Volontari nazionali – il
servizio d’ordine del Msi – al servizio della comunità ebraica. Cfr. G. S.
Rossi, La destra e gli ebrei. Una storia italiana, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2003, pp. 112-132.
""I fascisti possono essere sia “nazionali” sia “internazionali”. Sono composti di assassini pagati localmente e da studenti di famiglie della classe alta; soldati paramilitari colombiani, mercenari professionisti di ogni tipo, “assassini a soldo” delle organizzazioni di “sicurezza” ed elementi clandestini delle Forze Speciali degli USA, “internazionalisti” fascisti arruolati a Miami, in America centrale, in America latina e in Europa""
RispondiEliminaQuanta droga usa il tizio per affermare simili vaccate?
Qualcuno si dimentica che un certo Stalin aveva invaso mezza Europa e agli imperialisti andava bene.Si dimenticano ancvhe che gli stati imperialisti dichiararono guerra al fascismo e non al comunismo.