In
questo saggio mi occuperò di alcuni argomenti riguardanti la storia del
movimento operaio e la teoria marxista. Data la complessità dei problemi
dividerò il testo in più parti (dovrebbero essere tre articoli di analisi
storico-politica). L’articolo che state per leggere riguarda il dibattito
teorico Gramsci-Bordiga, dal biennio rosso fino al Congresso di Lione.
Prossimamente mi occuperò del togliattismo (di cui penso tutto il male
possibile), e del rapporto fra il marxismo di Gramsci e il marxismo di Bordiga
(cosa che comunque inizierò a trattare ora). Spero che queste note possano
essere uno stimolo per i compagni, al di là delle divergenze politiche e
culturali.
Note
sul marxismo italiano: Gramsci e Bordiga, dal biennio rosso fino al Congresso
di Lione
1. I
recenti dibattiti in seno ai ‘’partiti comunisti’’ italiani hanno posto
l’ardente necessità di rifondare il Pci. Nulla da eccepire, l’antimperialismo
ha bisogno di un grande supporto da parte dei comunisti e da parte della teoria
marxista, quindi che ben venga un ‘’nuovo’’ partito comunista. Il problema che
pongo con questo intervento, e lo faccio da militante anticapitalista, è su
quali basi dovrebbe ‘’rifondarsi il partito comunista italiano’’. Nel tentativo
di fissare i dovuti paletti cercherò di mettere in chiaro alcune cose che non
riguardano solo la storia del comunismo in Italia – sempre se si possa parlare
di ‘’comunismo italiano’’ - ma la teoria marxista in genere.
2. Partirò
dalle origini e quindi dal famoso ‘’biennio rosso’’. In questo caso l’unico a
porre davvero il problema di un superamento rivoluzionario della crisi è Amadeo
Bordiga, Gramsci tace e Serrati fa un po’ di doppiogioco all’interno del
partito socialista.
Quando
la crisi giunge all’apice, nel 1920, Gramsci propose di puntare tutto sul ruolo
dirigente dei Consigli Operai, di contro Bordiga gli rimproverò di fare della
questione della fabbrica il problema centrale, mentre era necessario mirare ai
fradici apparati statali.
Sulla
tattica del ‘’grande sardo’’ (Gramsci), Bordiga dirà ‘’questo
fu l’errore dei sindacalisti, e questo è l’errore dei troppo caldi fautori dei
consigli di fabbrica’’, dimostrando già da allora
quella intransigenza che ne caratterizzano tutta sua grandissima vita di
rivoluzionario marxista.
Saranno
queste le basi che porteranno l’ingegnere napoletano (Bordiga) a fondare il 21
gennaio 1921, a
Livorno, il ‘’Partito comunista d’Italia’’. Gramsci, in quella occasione, non
farà nessun intervento, Togliatti non sarà nemmeno invitato. Siamo davanti ad
una incancellabile verità storica, e i signori che vogliono rifondare il Pci,
mi chiedo, come possono ‘’espellere’’ la figura del suo legittimo fondatore, e
il suo straordinario lascito teorico!
Ironia
della sorte è stato proprio il ‘’settario ‘’ ingegnere a prendere le difese di
Gramsci, a riguardo della sua sbandata interventista, a ridosso della Prima
Guerra Mondiale:
"Mentre
io rivendico ciò che ci allaccia al passato di questo partito ed anche a
quelli che a noi hanno appreso, uomini che oggi sono nell'altra sponda, mentre
io rivendico questo, voglio anche dire che questo fenomeno, che deve essere
considerato obiettivamente, del socialista di guerra, a me piace raffrontarlo
con quello del socialista della parentesi di guerra, del socialista che non ha
bestemmiato perchè ha taciuto, del socialista che quando invece di essere
duecentocinquantamila eravamo nelle tessere ventimila e nella pratica poche
centinaia, non ha detto nulla, ma che, poi, passata la bufera, è venuto a dire:
"Siamo stati contro la guerra", ed è andato nei comizi elettorali a
valersi di questo (...), e dico che io, che socialista di guerra non sono stato
mai, preferisco quei giovani che, attraverso l'esperienza tratta dall'infamia
capitalistica e dall'essere stati inviati al fratricidio sui fronti della
battaglia borghese, sono tornati con la nuova fede della guerra per la
rivoluzione’’.
Bastano
queste poche parole per dare una idea della levatura morale di chi ha fondato
il primo (e fino ad ora unico) partito marxista in Italia, le chiacchiere degli
intellettuali del Pci (di Togliatti) possono solo essere un efficace diuretico.
C’è
chi ha parlato di ‘’partito bordighiano’’ per contrapporlo al ‘’non settario’’
partito di Lione, ma le cose non andarono proprio così. Nel ‘’Partito comunista
d’Italia’’, sotto la direzione di Bordiga, esistevano più correnti con a capo
uomini di formazione culturale molto diversa (da Togliatti a Terracini, fino ad
Angelo Tasca).
3. Anche
davanti l’avvento del fascismo, l’analisi marxista di Bordiga è superiore a
quella di Gramsci.
Mentre
il grande sardo resta fermo al fascismo inteso come mera ‘’reazione
capitalistica’’, l’ingegnere napoletano capisce che la borghesia stava per
iniziare una profonda ‘’rivoluzione politica’’. Ma facciamo parlare i due
marxisti.
Ecco
Gramsci:
‘’I
Fasci di combattimento nacquero, all’indomani della guerra, col carattere
piccolo-borghese delle varie associazioni di reduci, sorte in quel tempo. Per
il loro carattere di recisa opposizione al movimento socialista, eredità in
parte delle lotte fra il Partito socialista e le associazioni interventiste nel
periodo di guerra, i Fasci ottennero l’appoggio dei capitalisti e delle
autorità. Il loro affermarsi, coincidendo colla necessità degli agrari di
formarsi una guardia bianca contro il crescente prevalere delle organizzazioni
operaie, permise al sistema di bande create ed armate dai latifondisti di
assumere la stessa etichetta dei Fasci, alla quale conferirono col successivo
sviluppo la stessa caratteristica loro di guardia bianca del capitalismo contro
gli organi di classe del proletariato’’ (Antonio
Gramsci ‘’I due fascismi’’, Non firmato, L’Ordine Nuovo 25 agosto 1921).
Ed
ora Bordiga:
‘’ L'antitesi,
così posta tra Roma e Mosca, diviene dunque la stessa antitesi che vi è tra il
riformismo conservatore e collaboratore col capitale e il comunismo
rivoluzionario della società presente.
Noi
abbiamo sostenuto da tempo che vi è un piano di contatto tra fascismo e
riformismo. Politicamente, la cosa diventa sempre più
evidente malgrado il sapore paradossale di quei primi giudizi
critici. Tuttavia, riconosciamo al fascismo di aver apportato, nella politica
di governo, un elemento nuovo che non si trova nei programmi della sinistra
borghese riformista, come d'altra parte non si trova nei programmi dei partiti
di destra tradizionali. Una teorizzazione di questo compito il fascismo non sa
darsela, e se lo sapesse, non gli converrebbe di farne la sua
bandiera. Ed è sintomatico che il fascismo non si fabbrichi una teorizzazione
diversa e nuova per mascherare la sua vera essenza , così come liberalismo,
democrazia e riformismo sanno fare. Ciò avviene, nel quadro della
spiegazione nostra, perché appunto il fascismo non sostituisce quei
tradizionali movimenti, ma li risolve in sé, in un certo senso, continuandoli e
completandoli in una sintesi dei loro espedienti antichi’’ (Amadeo
Bordiga ‘’Mosca e Roma’’, Il lavoratore, 17 gennaio 1923).
In
realtà Gramsci segue l’analisi, molto debole, della Internazionale Comunista e
per la precisione le posizioni di Zinovev il quale inquadrava il fascismo come
‘’tendenza reazionaria che si stava diffondendo nel centro-Europa’’.
Il
grande sardo si accoda ingenuamente al coro delle semplificazioni demagogiche,
mentre le uniche voci originali dentro l’Internazionale saranno di Karl Radek e
Clara Zetkin, che inquadreranno il fascismo come ‘’fenomeno di massa’’ in
rapporto alla ‘’proletarizzazione’’ dei ceti medi.
Analisi
molto importanti, quelle di Radek e della Zetkin, poi riprese da Trotsky, Nin,
e, sempre nell’ambito dell’Opposizione di sinistra, in modo più completo da
Daniel Guerin con ‘’Fascismo e gran capitale’’.
Niente
da dire, lo studio di Bordiga, anche rispetto agli studi di Trotsky e Guerin,
per me resta di un livello superiore. Bordiga capisce con grande acume
intellettuale che era in corso una transizione capitalistica, ed intuisce
alcune caratteristiche di quello che i neo-marxisti chiameranno neo-capitalismo.
Argomenti di grande rilevanza che chiedono maggiori approfondimenti.
4. In quegli
stessi anni inizia a maturare il conflitto fra l’Internazionale e il
Pcd’Italia. La prima intransigente risposta di Bordiga arriva con le Tesi di
Roma, del marzo 1922, dove viene respinta l’ipotesi di unione con gli squallidi
socialisti turatiani.
Nel
novembre 1922, in
occasione del Quarto Congresso dell’Internazionale, Lenin e Trotsky riescono a
strappare la maggioranza e a mettere all’angolo ‘’il nostro’’.
Gramsci
fu addirittura avvicinato da Rakosi che gli propose di prendere il posto di
Bordiga, ma il grande sardo rifiutò dicendo ‘’per
sostituire Amadeo nella situazione italiana bisognava, inoltre, avere più di un
elemento perchè Amadeo, effettivamente, come capacità generale di lavoro, vale
almeno tre’’.
La
sostituzione di Bordiga avverrà un anno dopo, nel 1923, quando questo fu
arrestato. Dal carcere A. B. farà uscire un manifesto dove dirà indignato:
‘’Questa
crisi non ha avuto origine da dissensi interni, ma da divergenze tra il partito
italiano e la
Internazionale Comunista , nella sua attuale maggioranza e
nella sua Centrale. Appunto perchè la crisi ha preso tale carattere d'assoluta
anormalità - essa (condurrà) alla paralisi del partito tutto e alla sterilità
della sua azione se la questione non fosse posta innanzi al partito (tutto),
con una completa informazione dei compagni, una discussione a fondo, e la
valutazione finale e definitiva di ciò che deve essere la piattaforma di
pensiero e d'azione del nostro partito. Questo documento si propone di iniziare
un tal lavoro, malgrado le difficoltà che derivano di non potere avere libere
adunanze di partito e una libera stampa’’ (Amadeo
Bordiga, Scritto nell’estate 1923).
L’Internazionale
considerò transitoria la soluzione di Livorno, aspirando a conquistare grandi
fette del partito socialista, e sottovalutando il fenomeno del massimalismo che
Bordiga definì tanto pericoloso quanto il riformismo. I fatti storici hanno
dimostrato la refrattarietà dei massimalisti a porsi sul terreno della lotta di
classe ed hanno dato ragione all’autore del manifesto su citato. Apro una
piccola parentesi: chi oggi volesse provare a rivalutare la figura di Turati
(magari in nome di una unità ‘’social-comunista’’) incominciasse a fare i conti
con la posizione ‘’del suo’’ davanti il fascismo; l’ignobile frase ‘’bisogna
avere il coraggio di essere vili’’ con cui Turati giustifica la sua fuga in
Francia, è più eloquente delle tante chiacchiere ‘’neo-craxiane’’.
Gramsci
nel 1924 prende la sua decisione e con rammarico rompe con il fondatore del
partito di Livorno. La verità su di lui è molto diversa da come la raccontano,
sia i togliattiani e sia i tristi epigoni della Sinistra Comunista; Gramsci
cresce politicamente sotto le direttive di Bordiga, apprende da lui la rigidità
che un teorico marxista deve avere, e poi, con dolore, rompe, cercando nel
contatto diretto con le masse la realizzazione del, per dirla con Lukàcs,
‘’marxismo dialettico’’.
5. Con
l’esplosione della ‘’questione Trotsky’’ in seno all’Internazionale, il grande
sardo commette l’errore madornale di coniare il termine trotsko-bordighismo e
di accumunare i due rivoluzionari (Trotsky e Bordiga) in quanto settari.
Insomma dà una grande mano, involontariamente, alla politica opportunista di
Palmiro Togliatti.
A
Como A.G. pronunciò queste parole ‘’L'atteggiamento
di Trotsky in un primo periodo può essere paragonato a quello attuale del
compagno Bordiga. Trotsky, pur partecipando "disciplinatamente" ai
lavori del Partito, aveva col suo atteggiamento di opposizione passiva - simile
a quello di Bordiga - creato un senso di malessere in tutto il partito il quale
non poteva non avere sentore di questa situazione’’.
Molto più maturo il fondatore del partito di Livorno che prese con coraggio le
difese del costruttore dell’Armata Rossa:
‘’Trotzky
scolpisce il problema dell'incomprensione del vero genio strategico di Lenin da
parte di quelli che, come tra i tanti nostrani massimalisti, invocano ad ogni
piè sospinto la sua teoria e la sua pratica sul compromesso e sulla
elasticità di manovra. Lenin manovra, ma la manovra non fallisce mai la visione
dell'obiettivo supremo. Per altri, troppo spesso la manovra diviene fine a sé
stessa e paralizza la possibilità della conversione rivoluzionaria, attraverso
cui vediamo in Lenin la souplesse cedere il posto alla più
implacabile rigidità nel volere la rivoluzione, nello sterminarne i nemici e i
sabotatori. Lenin stesso, con passi citati da Trotzky, stigmatizza questa
incapacità ad adattarsi alle nuove situazioni rivoluzionarie, e lo scambiare
una formula di polemica indispensabile nell'epoca precedente ai bolscevichi,
con un non plus ultra per la loro politica ulteriore. Sta tutta qui
la grande questione della tattica comunista e dei suoi pericoli di cui
discutiamo da anni, a parte le conclusioni che si possono raggiungere con
l'obiettivo di avviare a questo dannoso escamotage del vero contenuto
rivoluzionario degli insegnamenti di Lenin’’ (Amadeo
Bordiga ‘’La quistione Trotsky’’, Articolo
inviato da Bordiga all'Unità il 18 febbraio e pubblicato il 4 luglio
1925).
Trotsky
aveva capito che quando le condizioni oggettive per la rivoluzione socialista
si fanno avanti i riformisti si spostano sul terreno del ‘’socialismo
formale’’, ossia della vittoria del socialismo con metodi legali, mentre la
destra del partito comunista va ad occupare lo spazio lasciato da questi vuoto,
invocando la vera ‘’democrazia proletaria’’, quando – dice Bordiga-
bisognerebbe dichiarare fallite tutte le democrazie ed iniziare la lotta
armata.
Forse
già da allora Antonio Gramsci iniziò ad elaborare il concetto di ‘’guerra di
posizione’’ da contrapporre alla ‘’guerra manovrata’’ del Bronstein (Trotsky).
Trotsky era il teorico della ‘’rivoluzione permanente’’ nel tempo della
‘’egemonia civile’’. Nelle ‘’Note sul Machiavelli’’ il grande sardo porrà il
problema del rapporto fra struttura e sovrastruttura per comprendere – seguendo
questa metodologia - il peso delle forze in campo in un ‘’sistema
egemonico dominante’’. Un marxista deve capire quale è il ‘’blocco storico’’,
inteso come sintesi fra il rapporto di produzione e l’ideologia, di cui le
fazioni dominanti dispongono. Non posso dilungarmi qui su questo aspetto del
marxismo gramsciano, dico solo che troppo frettolosamente il capo dell’Armata
Rossa verrà bollato (da Gramsci) come il ‘’teorico dell’attacco frontale’’,
mentre il rapporto fra ‘’rivoluzione permanente’’ e ‘’programma di
transizione’’ (che si può anche respingere) avrebbe meritato ben altra attenzione,
anche solo per respingerlo del tutto.
Non
si sa ancora quale fu il retroscena preciso del Congresso di Lione del 1926,
però è chiaro che Bordiga contava di poter recuperare consensi dentro
l’Internazionale, mentre altri esponenti della Sinistra Comunista, come Damen e
Fortichiari, ritennero ciò impossibile ed anzi volevano annunciare
pubblicamente la rottura.
Mi
fermo qui per ciò che riguarda la trattazione storico-politica, e ritorno al
Gramsci teorico marxista, perché voglio rilevare un passaggio, che io ritengo
importante.
6. Il
16 maggio 1925 Gramsci pronunciò un discorso alla Camera da cui emerge il
fascismo come un fenomeno sociale ben più complesso di quello che aveva
inizialmente descritto:
‘’Noi
abbiamo una nostra concezione dell'imperialismo e del fenomeno coloniale,
secondo la quale essi sono prima di tutto una esportazione di capitale
finanziario. Finora l'imperialismo italiano è consistito solo in questo: che
l'operaio italiano emigrato lavora per il profitto dei capitalisti degli altri
paesi, cioè finora l'Italia è solo stata un mezzo dell'espansione del capitale
finanziario non italiano’’ (Antonio
Gramsci, Il
discorso alla Camera di Gramsci sulla natura del fascismo, 16 maggio 1925).
Prosegue:
‘’Nel
territorio nazionale rimangono vecchi, donne, bambini, invalidi, cioè la parte
di popolazione passiva che grava sulla popolazione lavoratrice in una misura
superiore a qualsiasi altro paese, anche alla Francia. È questa la debolezza
fondamentale del sistema capitalistico italiano, per cui il capitalismo
italiano è destinato a scomparire tanto più rapidamente quanto più il sistema
capitalistico mondiale non funziona più per assorbire l'emigrazione italiana,
per sfruttare il lavoro italiano, che il capitalismo nostrale è impotente a
inquadrare. I partiti borghesi, la massoneria, come hanno cercato di risolvere
questi problemi? Conosciamo nella storia italiana degli ultimi tempi due piani
politici della borghesia per risolvere la questione del governo del popolo
italiano. Abbiamo avuto la pratica giolittiana, il collaborazionismo del
socialismo italiano con il giolittismo, cioè il tentativo di stabilire una
alleanza della borghesia industriale con una certa aristocrazia operaia
settentrionale per opprimere, per soggiogare a questa formazione
borghese-proletaria la massa dei contadini italiani specialmente nel
Mezzogiorno. Il programma non ha avuto successo. Nell'Italia settentrionale si
costituisce difatti una coalizione borghese-proletaria attraverso la collaborazione
parlamentare e la politica dei lavori pubblici alle cooperative: nell'Italia
meridionale si corrompe il ceto dirigente e si domina la massa coi mazzieri’’.
Gramsci
inizia a collocare il fascismo in un contesto più ampio, quello dei capitalismi
europei, accenna alla concorrenza inter-imperialistica, e soprattutto inquadra
il fenomeno massonico. Anche in questo caso possiamo scorgere l’attendo
analista dei ‘’Quaderni’’: nel ‘’Quaderno 22’’, ‘’Americanismo e fordismo’’, il
nostro farà un parallelismo fra l’americanismo e il fascismo (di cui il Pci
togliattiano non ha capito nulla!), parlerà della meccanizzazione del
lavoratore (quindi inquadrerà le tendenze totalitarie del neo-capitalismo), e
soprattutto ci fornirà una altissima analisi marxista (la migliore in assoluto)
del rotarismo. Tutte cose che i burocrati togliattiani si sono guardati bene
dal riprendere.
7. Con
il Congresso di Lione, Bordiga viene messo in minoranza – con metodi molto
discutibili - e il gruppo che ruota attorno ad Antonio Gramsci assume il
controllo del partito. Si può parlare di partito stalinizzato? Esponenti della
Sinistra Comunista come Damen e Maffi descriveranno Gramsci come un ‘’quasi
togliattiano’’, però andando ad analizzare il documento del nostro le cose sono
molto diverse.
Prima
di tutto Gramsci inizia una rigorosa analisi della struttura economico-sociale
del capitalismo italiano. In estrema sintesi commento quelle che considero le
parti salienti del documento.
La
conseguenza più rilevante, di ciò, è l’incapacità di queste classi dirigenti di
costruire uno Stato Nazionale, ed è per questo che – i dominanti – devono fare
leva sulla politica internazionale.
Gramsci
divide in quattro periodi (circa) la ‘’storia della borghesia italiana’’:
1) il
primo periodo (1870-1890) è quello della debolezza politica e, di contro, la
borghesia ricorre al trasformismo. Il Vaticano, dall’altra parte, reagisce
ponendosi come forza anti-unitaria e anti-liberale, contrapponendo al partito
socialista le masse contadine.
2) nel
secondo periodo (1890-1900) la borghesia cerca una sua stabilità interna e si
muove nel campo delle relazioni internazionali. Intanto il movimento operaio
acquista una certa forza (nel 1892 nasce il partito socialista).
3) il
terzo periodo (1900-1910) attiene ad una fase di concentrazione industriale, in
cui il proletariato cresce del 50% a danno delle categorie degli obbligati,
mezzadri, e fittavoli. Il Vaticano crea l’Azione Cattolica, un movimento
sociale che raccoglie il malcontento delle mezze classi, in funzione
anti-socialista e anti-comunista.
4) nel
dopoguerra abbiamo il periodo di crescita maggiore del proletariato, che porta,
da una parte, all’aumento degli scioperi e delle manifestazioni operaie, e
dell’altra, all’intensificarsi della reazione capitalistica.
Quindi,
il nostro passa a rianalizzare il fascismo.
9. Gramsci
dedica al fascismo un lungo paragrafo delle Tesi di Lione, io mi limito a
riportare la parte più significativa e a commentare:
‘’ Tutta
una serie di misure viene adottata dal fascismo per favorire una nuova
concentrazione industriale (abolizione della imposta di successione, politica
finanziaria e fiscale, inasprimento del protezionismo), e ad esse corrispondono
altre misure a favore degli agrari e contro i piccoli e medi coltivatori
(imposte, dazio sul grano, "battaglia del grano"). L'accumulazione
che queste misure determinano non è un accrescimento di ricchezza nazionale, ma
è spoliazione di una classe a favore di un'altra, e cioè delle classi
lavoratrici e medie a favore della plutocrazia. Il disegno di favorire la
plutocrazia appare sfacciatamente nel progetto di legalizzare nel nuovo codice
di commercio il regime delle azioni privilegiate; un piccolo pugno di
finanzieri viene, in questo modo, posto in condizioni di poter disporre senza
controllo di ingenti masse di risparmio provenienti dalla media e piccola
borghesia e queste categorie sono espropriate del diritto di disporre della
loro ricchezza. Nello stesso piano, ma con conseguenze politiche più vaste,
rientra il progetto di unificazione delle banche di emissione, cioè, in
pratica, di soppressione delle due grandi banche meridionali. Queste due banche
adempiono oggi la funzione di assorbire i risparmi del Mezzogiorno e le rimesse
degli emigranti (600 milioni), cioè la funzione che nel passato adempivano lo
Stato con la emissione di buoni del tesoro e la Banca di sconto
nell'interesse di una parte dell'industria pesante del Nord. Le banche
meridionali sono state controllate fino ad ora dalle stesse classi dirigenti
del Mezzogiorno, le quali hanno trovato in questo controllo una base reale del
loro dominio politico. La soppressione delle banche meridionali come banche di
emissione farà passare questa funzione alla grande industria del Nord che
controlla, attraverso la Banca
commerciale, la Banca
d'Italia e verrà in questo modo accentuato lo sfruttamento economico
"coloniale" e l'impoverimento del Mezzogiorno, nonché accelerato il
lento processo di distacco dallo Stato anche della piccola borghesia
meridionale’’ (Antonio Gramsci, Tesi di Lione, 1926).
Il
fascismo quindi ha fatto leva sull’industria pesante del Nord – cosa capita
meglio di tutti dal marxista catalano Andres Nin in ‘’La dittatura del nostro
tempo – che ha concentrato nelle sue mani, a discapito di altre fazioni della
borghesia (quindi non c’è stato un pieno sostegno delle classi dirigenti al
regime), la ricchezza nazionale.
L’unificazione
del credito bancario, la soppressione delle due Banche Meridionali, derubando
la popolazione del Sud Italia dei suoi risparmi, fu un modo per compensare alle
‘’persistenti strutture economiche pre-capitalistiche nel Sud Italia’’ (la
critica di Bordiga è espressa nell’articolo ‘’Il preteso feudalesimo
nell’Italia meridionale’’ del gennaio 1949).
Gramsci
descrive tutto questo come una colonizzazione dell’Italia meridionale che ha
schiacciato la piccola borghesia del Sud.
Nulla
da eccepire, come disse Lenin la ‘’decadenza imperialistica’’ inizia con la
‘’concentrazione dei monopoli’’, ed infatti poco più avanti Gramsci dice:
‘’Coronamento
di tutta la propaganda ideologica, dell'azione politica ed economica del
fascismo è la tendenza di esso all'"imperialismo". Questa tendenza è
la espressione del bisogno sentito dalle classi dirigenti industriali agrarie
italiane di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione
della crisi della società italiana. Sono in essa i germi di una guerra che
verrà combattuta, in apparenza, per l'espansione italiana ma nella quale in
realtà l'Italia fascista sarà uno strumento nelle mani di uno dei gruppi
imperialisti che si contendono il dominio del mondo’’.
Ecco,
siamo arrivati al punto centrale: il fascismo è stato una espressione della
borghesia imperialistica italiana (seguendo il documento di Gramsci), ma questa
non aveva le forze per imporsi sui mercati internazionali. Non è casuale che il
regime sarà appoggiato prima dall’imperialismo inglese, e poi diventerà un
vassallo dell’imperialismo tedesco.
10. Bordiga
dedica nelle sue Tesi di Lione uno spazio molto più ristretto all’analisi del
regime fascista, mettendo in risalto come la presa del potere da parte di
Mussolini (che lui definì, giustamente, ‘’una commedia fra forze borghesi’’)
sia stata favorita dal fatto che i comunisti non hanno fronteggiato le
squadraccia fasciste sul terreno della lotta di classe (si veda l’articolo
‘’Difesa proletaria’’ del 1922). Molto eloquente è questo passaggio del suo
documento:
‘’ Quanto
è avvenuto in Italia non deve spiegarsi né come l'avvento di un nuovo strato
sociale al potere, né come la formazione di un nuovo apparato di Stato con
ideologia e programma originali, né come la sconfitta di una parte della
borghesia i cui interessi si identificassero meglio con la adozione del metodo
liberale e parlamentare. I liberali, i democratici, Giolitti e Nitti, sono i
protagonisti di una fase di lotta controrivoluzionaria dialetticamente
collegata a quella fascista e decisiva agli effetti della sconfitta del
proletariato. Infatti, la politica delle concessioni, con la complicità di
riformisti e massimalisti, ha permesso la resistenza borghese ed il deviamento
della pressione proletaria nel periodo successivo alla guerra e alla
smobilitazione, quando la classe dominante e tutti i suoi organi non erano
pronti per una resistenza frontale’’ (Amedeo
Bordiga, Tesi di Lione, 1926).
Il fascismo
ha sostituito la vecchia macchina statale borghese (in pratica abbiamo un
superamento dello Stato liberale) perché questa aveva esaurito il suo compito
contro la classe operaia, quindi si apriva una nuova fase per il capitalismo
italiano, ed europeo.
11. A Lione,
per concludere, si scontrarono due concezioni molto diverse del partito
comunista. Per Bordiga il partito doveva prefigurare al suo interno ‘’la futura
società’’, quindi il ‘’partito bordighiano’’ si basava sul ‘’centralismo
organico’’ e lo ‘’schematismo dottrinario’’ (citando Bordiga ‘’definiamo
partito: proiezione nell’oggi dell’Uomo-società di domani’’).
Questa concezione del partito risale ad una metodologia tutta ottocentesca che
riteneva le scienze naturali interamente applicabili alle scienze sociali,
motivo per cui Bordiga definì il marxismo ‘’scienza galileiana’’.
Gramsci,
al contrario, sostenne che l’acuirsi della crisi capitalistica avrebbe messo i
comunisti nelle condizioni di creare, in forma embrionale, dentro il
capitalismo delle organizzazioni di lotta che avrebbero anticipato il
socialismo. Organizzazioni come i consigli di fabbrica, i comitati popolari, la
scuola di classe, solo per fare degli esempi.
In
questo modo il grande sardo si avvicinò al ‘’programma di transizione’’ di
Trotsky (c’è chi come Livio Maitan, facendo delle forzature enormi, definì
Gramsci ‘’trotskista inconscio’’) proprio quando politicamente si allontanava
da lui. In modo drammatico le strade di questi due rivoluzionari (Gramsci e
Trotsky) si dividono e non si incontreranno più.
12. Una
svolta si sarebbe potuta avere nell’ottobre del 1926, quando il nostro, con una
ormai celebre lettera, accusò l’Ufficio Politico del ‘’Partito comunista
dell’Unione Sovietica’’ di usare misure eccessive contro l’opposizione.
A.G.
si spinse fino a dire "Voi
oggi state distruggendo l'opera vostra, voi degradate (...) la funzione
dirigente che il Partito comunista dell'URSS aveva conquistato per l'impulso di
Lenin’’. Questa lettera, ora tanto discussa, all’epoca
cadde in un binario morto: le mani di Palmiro Togliatti. Chi vuole ricostruire
il Pci partendo da Togliatti deve avere l’onestà di ridiscutere questi gesti
ignobili.
13. Questo
articolo si ferma qua, non è il caso di andare oltre. Solitamente c’è la
tendenza a voler etichettare i protagonisti della nostra storia come ‘’buoni’’
e come ‘’cattivi’’, ma invece non è così che si procede. Bordiga non è stato il
‘’comunista dogmatico’’ descritto dai togliattiani, e Gramsci non ha nulla da
spartire con il pantheon ‘’piccista’’ prima, e socialdemocratico poi, avanzato
dai politicanti italioti. Gramsci non è stato nemmeno il ‘’trotskista
inconscio’’ messo su da Maitan, anche perché il suo ‘’socialismo autoctono’’
mantiene forti punti critici rispetto alla ‘’struttura socialista mondiale’’
delineata da Trotsky. Difficile a oltre novanta anni di distanza immedesimarsi
nello spirito che animava quelle figure, ma forse, lo sforzo intellettuale che
richiede la comprensione dei loro testi teorici, può essere accompagnato da un
superiore sforzo emotivo: dobbiamo imparare a ‘’cogliere’’ fino in fondo lo
spirito di Gramsci e lo spirito di Bordiga, vivere le loro distinte ragioni, e
sentirci parte del loro medesimo progetto di vita. Io sono convinto che solo
così possiamo rendergli i dovuti riconoscimenti, al di là dell’assenso e del
dissenso.
Note:
1) Arturo
Peregalli, Il comunismo di sinistra e Gramsci, Ed. Dedalo libri 1978
2) Daniel
Guerin, Fascismo e gran capitale, Ed. Massari 1994
3) Antonio
Gramsci, Nel mondo grande e terribile, Antologia di scritti 1914-1935, Ed.
Einaudi 2007
4) Giorgio
Amico, Gramsci e Bordiga alle origini del comunismo italiano, aprile 2000, a cura di Giorgio
Amico
Stefano
Zecchinelli
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