di
JAFFE HOSEA in Proteo 2005-3
1.
La complessità di classe
La
principale attività del capitalismo oggi è quella di nascondere la sua nascita
europea e colonialista - le Crociate Cristiane che rompono le nazioni e
provocano genocidi, le “scoperte” Colombiane, le conquiste e lo schiavismo - e
di conseguenza la sua attuale natura coloniale ed imperialista. Ora, con questa
mentalità, cerchiamo di aprire e, orrore di orrori, proviamo a dare un senso a
questo mucchio di parole che è “la Situazione Internazionale ”.
Prima di tutto mettiamo in chiaro che cosa intendiamo per classe e lotte di
classe, in quanto tutto questo esiste in realtà e non nell’immaginario
eurocentrico. La borghesia è una parolaccia per la sinistra europea. In realtà
la classe capitalista borghese è piuttosto complessa. Esiste la borghesia
imperialista del “Primo Mondo” (W1), che è unita contro i popoli del “Terzo
Mondo” (W3) ed è divisa in tanti fronti in USA, nell’Unione Europea (UE) e in
Giappone. Questa borghesia del W1 in alcuni casi usa, ed a volte invece crea,
le guerre guidate dalle borghesie del W3, come accadde in India e come avviene
oggi in Iraq ed in Iran. La classe operaia è ugualmente complessa. Ci sono
degli operai del W1, chiamati “proletariato borghese” da Marx e Lenin (in
apparenza una categoria molto marxista), che partecipano alla divisione dei
super-profitti ottenuti dallo sfruttamento di classe imperialista degli operai
di Asia, Africa, ex Unione Sovietica ed Europa orientale. In “America Latina”
(cioè nell’America colonizzata dagli europei), in Israele ed in Sud Africa,
esiste invece una multi-classe di coloni che sono i mediatori sociali e
politici senza quali probabilmente il W1 non potrebbe sfruttare le classi
operaie ed i contadini del W3. Questi coloni sono l’avanguardia imperialista
del razzismo. La complessità della cosiddetta (principalmente da
pseudo-marxisti eurocentrici) “classe operaia internazionale” include
principalmente il proletariato ed i contadini ancora coloniali. Questa classe
si leva nelle lotte nazionali anti-imperialiste ed anti-coloniali che sono non
solo anti-razziste, ma, come in Bolivia, Ecuador e Venezuela dal 1990, sono
lotte armate contro governi di coloni che agiscono principalmente negli
interessi dell’esercito statunitense e di investitori americani. La lotta
palestinese contro lo Stato razzista ebreo ed i coloni appartiene alla stessa
categoria contemporanea della lotta di classe internazionale.
2.
La guerra al “Terrore”
Il
secolo XXI - il sesto secolo capitalista dai tempi di Enrico il Navigatore e
Colombo - è cominciato da quando Fukuyama ha dichiarato “la fine della storia”,
cioè il proseguimento perenne del capitalismo, vittorioso sul comunismo e sulle
lotte antimperialiste. Le controrivoluzioni imposte da USA e UE che hanno
eliminato la Yugoslavia ,
il “socialismo reale” in Europa dell’est e l’URSS stessa nel 1989-93, che sono
stati subito seguiti dalla conquista dell’Afghanistan e dell’Iraq nel
2002-2005, e dalla “guerra al terrore” degli USA appoggiata dalla UE, dopo che
Al Qaida ha buttato giù le due torri a New York, sembravano confermare l’ipotesi
della “fine della storia”. Tale ipotesi potrebbe veramente essere vera, ma nel
senso opposto a quello inteso dagli autori. L’imperialismo potrebbe stare
combattendo le sue ultime battaglie. Se così fosse, ed il blocco
UE-USA-Giappone con le loro NATO e Banca Mondiale (WB) fallisse in questa
guerra contro le nazioni del W3 ed il mondo in generale, allora staremmo
veramente vedendo la fine del capitalismo colonialista. Ma c’è un grande SE, e
questo SE è l’ultima speranza dell’imperialismo: cioè che le nazioni e classi
del W3 non riescano ad ottenere la vittoria nella guerra politica, economica e
militare contro l’imperialismo. Ciò a sua volta dipende da: (1) finirla una
volta per tutte con le divisioni nazionali; (2) capire che non vi è una via
nazionale alla liberazione né al socialismo (come dalla dichiarazione del Marzo
2005 di Castro e Chavez a L’Avana, che andrebbe letta come parte del presente
articolo)1. La guerra al terrore portata dagli USA ed appoggiata dalla NATO e
dalla UE sta lentamente andando a pezzi in Afghanistan. Tale resistenza ancora
soffre per la collaborazione di Osama Bin Laden con gli USA nella sua guerra
per cacciare l’armata rossa da Kabul. Similmente la grande resistenza in Iraq
ha ferite che risalgono alla collaborazione di Saddam Hussein con gli USA, la Gran Bretagna e la CEE quando hanno armato l’Iraq
in una guerra durata dieci anni contro l’Iran dopo la rivoluzione anti-Shah del
1979.
3.
Non collaborazione come antimperialismo armato
La
guerra americano-britannico-italiana (ed ora anche polacca e di alcuni Stati
del Terzo mondo) al terrore in Iraq ha ucciso direttamente più di 150.000
iracheni, ma l’Iraq ha fatto diventare body-bags più di 1.500 invasori USA
dalla “fine della guerra”. Il terrorismo imperialista ha portato caos sociale,
economico e politico che ci vorranno alcuni decenni per rimettere a posto. Ma
questa guerra al terrore sta fallendo sotto i colpi sanguinosi quotidiani della
Resistenza come macchina di non collaborazione, che con i kamikaze sta
attaccando la polizia, i soldati e gli amministratori dell’occupazione
straniera e boicottando le “elezioni” del Gennaio 2005 (ufficialmente 7 milioni
di votanti - metà dei quali curdi, e senza sunniti - dei 32 milioni possibili)
4.
Non-collaborazione e socialismo
Nel
Febbraio e Marzo 2005 il settimanale americano “Newsweek” ha riportato con
chiara evidenza la sconfitta politica della guerra al terrore
americo-britannico-italiana da parte della resistenza che ha unito Zarqawi, il
luogotenente di Bin Laden, il “triangolo sunnita”, il partita Baath pro-Saddam
e reclute saudite ed arabe in genere. La reputazione di Saddam rimane alta alla
vigilia del suo processo stile fascista da parte dei criminali collaboratori
pro-USA. Quanto a noi, proprio come Trotzky difese il tiranno Haile Sellasie
contro il dittatore imperialista Mussolini nell’invasione italiana del
1935-1940, così noi abbiamo difeso Saddam Hussein contro il democratico e
socialista Tony Blair, ed il suo capo super-terrorista Bush jr. Né era per noi
un caso di “male minore”, ma un principio generale: (1) la guerra
antimperialista condotta dalle classi operaie ancora coloniali è la sola strada
al socialismo (2) la prima e principale cosa per la rivoluzione sociale e degli
Stati socialisti è lo smantellamento e distruzione di tutte le strutture e
relazioni imperialiste. (3) Come ha spiegato Fidel Castro in un discorso di 6
ore alla International Conference of Economists in Habana il 10 -11 Febbraio,
questo principio non può essere applicato da una sola nazione, ma richiede
sforzi unitari su tutti i piani di azione fattibili, di tutti gli Stati che
hanno già fatto una rivoluzione nazionale o sono preparati a farla2. Castro
ritiene che la presente unità di azione tra Cuba e Venezuela contro il blocco
imperialistico USA è necessaria perché non vi è via nazionale al socialismo.
5.
La lotta di classe in Iraq, Palestina ed altrove
La
resistenza irachena sta facendo lotta di classe. Similmente, la lotta
palestinese per la distruzione dello stato di Israele e per il diritto al
ritorno è una lotta di classe. Per quanto populista sia la lotta (per es. le
azioni di kamikaze della classe media) queste sono lotte di classe perché sono
dirette contro uno stato o potere di classe capitalista e coloniale straniero.
Ai nostri tempi ogni lotta di liberazione nazionale del terzo mondo contro
l’imperialismo è una lotta di classe di significato storico se conduce ad una
sconfitta di un potere o stato del primo mondo. La maggior parte delle lotte di
classe economiche nei paesi imperialisti non hanno la stessa rilevanza storica.
Tuttavia, se si uniscono alla lotta di classe anti-imperialista, allora tali
lotte di classe possono divenire storiche. Questo è proprio quello che è
avvenuto con le lotte di classe contro lo zarismo, dal 1905 alla grande
vittoria del 1917.
6.
Le elezioni “Divide et Impera” in Zimbabwe
In
tutti i paesi del “Terzo mondo” (W3) l’imperialismo finanzia ed arma un
“partito di opposizione” al regime ufficiale (che a sua volta è usato o abusato
dalle stesse potenze imperialiste per giocare un criminale gioco di “divide et
impera”). Tale è stata la politica Britannica in Nigeria-Biafra negli anni ‘60.
Oggi questa è la politica britannica in Zimbabwe, ove la semi-borghesia
semi-tribale di Mugabe ha gestito per 25 anni lo sfruttamento dei lavoratori e
dei contadini dello Zimbabwe da parte di imprese britanniche e coloni e da
parte di imprese del Sud Africa “bianco” e razzista. È perciò in tono il fatto
che dal 1994 questo regime abbia fatto una alleanza con il regime del Sud
Africa guidato dall’ANC che, gonfiato economicamente dalla debole frode del
“Black empowerment” (“potere ai neri”), è completamente sottomesso al vero
potere economico del Sud Africa: quello degli investitori stranieri britannici,
dell’UE e degli USA, e dei coloni bianchi. I partiti di opposizione di cui si
parla in Zimbabwe sono il Movement for Democratic Change (MDC) e gli
“indipendenti” guidati da Jonathan Moyo, che è uscito dal ZANU-PF. Questi
partiti sono per loro stessa ammissione collaboratori del capitale e dei coloni
britannici e sudafricani. L’MDC fu formato e finanziato da coloni razzisti
meritatamente e giustamente espropriati da Mugabe. Nel periodo che ha condotto
alle elezioni del 31 Marzo 2005 l’MDC e la cricca “indipendente” hanno fatto vuota
eco alla propaganda freneticamente imperialista della stampa britannica e Sud
africana che le elezioni sarebbero state “truccate” e violente. Di fatto
nessuna delle due possibilità si è verificata, e lo ZANU-PF ha vinto una facile
e schiacciante maggioranza di 2/3 dei voti. La massa di chi vive in campagna e
più di 1/3 delle popolazioni urbane ha appoggiato Mugabe, malgrado la massiccia
propaganda dei coloni ed estera. L’ironia è che la crisi socio-economica (una
caduta del 35% del PIL, una inflazione al 500%, il collasso del sistema
sanitario ed il quasi collasso di quello scolastico, le croniche carenze di
mais ed altri prodotti agricoli, ecc.) è stata causata dalla rivolta economica
e politica dei 4500 coloni razzisti “rhodesiani”, e non dalla redistribuzione,
per quanto inadeguata e di piccola scala, della terra a partire dal 2000. I
contadini non hanno dimenticato che questa terra era stata rubata da quando
Rhodes sconfisse brutalmente Lobengula e conquistò il paese Ndabele e Shona
nell’ultimo decennio del secolo XIX. Se l’imperialismo ci provasse seriamente,
un terribilmente sfortunato Zimbabwe ripeterebbe la recente sfortunata storia
di Sierra Leone, Costa d’Avorio, Sudan e Congo. In quel caso l’ “opposizione”,
una volta al potere, proverebbe che il quarto di secolo gestito da Mugabe è
stato solo una lunga gita scolastica.
7.
Sudan People Liberation Movement: secessione o liberazione?
Metà
del mondo sta venendo imbrogliata dalla propaganda condotta dai britannici sui
2 milioni uccisi in Darfur e dalla dichiarazione del Consiglio di Sicurezza
dell’ONU che il regime di Khartoum ospita dei “criminali di guerra” che
dovrebbero essere portati alla “Corte di Giustizia” de L’Aia (dove il patriota
Yugoslavo Milosevic e non i fascisti croati e bosniaci si trovano accusati di
fronte ad una falsa “corte”), mentre il Sudan Peoples Liberation movement
(SPLM) viene proclamato come liberatore dalla nuova “guerra etnica”. Nel 1965
ho incontrato i fondatori del SPLM a Nairobi. Li ho trovati tribalistici e
servili nei confronti dei missionari britannici ed irlandesi che
cristianizzavano il Sudan del sud, prima e dopo l’ “indipendenza” del 1956. L’
“indipendenza” (leggi neo-colonialismo) fu dichiarata da quello stesso governo
britannico di Eden che proprio in quell’anno si era unito con Francia ed
Israele per una guerra contro l’Egitto. La falsa indipendenza portò ad una
domanda per un “autogoverno del sud”, che fu concesso. Esso fu eliminato nel 1983 a Khartoum dal governo
Numeiri dopo 23 anni di “guerra di liberazione” del SPLM. La guerra ebbe una
fine nominale con un accordo di pace il 9 Gennaio 2005 che comprendeva un
referendum per il 2011 sull’autonomia del sud. Il presidente dell’SPLM, John
Garang, intende diventare presidente di tutto il Sudan. Ma tutto ciò non è che
una farsa politica messa in atto a coprire una scena che è piuttosto diversa.
Il palco per questa farsa è piuttosto scivoloso, come quello in Nigeria,
Angola, Guinea Equatoriale, Gabon e Chad, e consiste principalmente di
petrolio. L’SPLM ha fatto un accordo nel Febbraio 2005 con Phil Edmonds della
White Nile company. L’accordo ha concesso a White Nile 67.000 chilometri
quadrati (28.000
miglia quadrate) di terra per esplorazioni petrolifere
nel sud del Sudan. L’offerta di lavoro verrebbe dai 12 milioni di persone che
vivono con 6 Rand al giorno, senza un servizio sanitario e con un tasso di
alfabetizzazione del 6%. Questo accordo viola i contratti del governo nazionale
con Chevron che ha scoperto il petrolio in Sudan nel 1980 ed ora pompa 300.000
barili al giorno, con la francese Total, ed in questo ultimo periodo con la Cina , la Svezia , l’Austria ed il
Qatar. L’accordo dell’SPLM è un accordo 50 - 50 con White Nile. Essi affermano
vi siano 5 miliardi di dollari di riserve petrolifere. Per mostrare quanto
grande sia questa cifra si può notare che i giganti del petrolio come Shell,
Chevron e BP controllano riserve di petrolio di dieci milioni di dollari in
tutto il mondo. La Shell ,
dice Garang, adesso “parla con l’SPLM” (Evening Standard, London, 1 Aprile
2005). Il vantato accordo SPLM - White Nile copre più terra petrolifera dei
blocchi unitari Cina - Sudan. Edmonds ed il suo socio, Andrew Groves, sono
connessi con il platino in Sud Africa e Zimbabwe attraverso la Southern African
Resources e la
Zimplats. Chiaramente , il capitale britannico e sudafricano
armerà la “auto-determinazione” dell’SPLM (leggasi “secessione”).
8.
Le prossime guerre del terrore
La
resistenza con non-collaborazione irachena ha certamente ritardato la prossima
invasione imperialista di un paese del Terzo mondo. Ma la coalizione diretta
dagli USA ha chiaramente già messo gli occhi su vari paesi. È ugualmente chiaro
che le Nazioni Unite, condotte da un cieco africano, non possono fermare
l’invasione, né lo faranno. L’invasione dell’Iraq ha provato, se prove erano
necessarie, che l’ONU, con tutte le sue strutture, è una macchina imperialista
USA-UE. Non mancherà di dare possibilità ad un’altra guerra al terrore condotta
dagli USA. Gli obiettivi sono già stati trovati al Pentagono, alla Casa Bianca,
alla CIA o al Congresso e dai loro alleati: Siria,Nord Corea, Iran. Dopo quello
che la combinazione USA-UE ha fatto alla ex-Yugoslavia, sta facendo in Iraq, e
dopo la morte di Arafat, con l’aiuto dell’ONU, sta preparando per la Palestina (per salvare
lo Stato colonizzatore ed imperialista di Israele per mezzo di una soluzione a
due stati) ci possiamo aspettare un’altra guerra del terrore in qualsiasi
momento. Né si può dimenticare il Giappone. Sarebbe certamente stupido
aspettarsi qualcosa dal World Social Forum - co-formato da coloni ancora
colonialisti del sud America condotti dal collaboratore Lula e dalla “sinistra”
eurocentrica, che ora parlano di una “Europa sociale” - come se questa
mascherata possa nascondere 600 anni di colonialismo europeo. No, gli afghani,
gli iracheni, i palestinesi e gli indigeni anti-coloni ed anti-razzisti ci
hanno mostrato la strada. Si tratta di una strada difficile. Ma se i
rivoluzionari del Terzo mondo si combinano unificando il loro pensiero e le
loro azioni, allora l’antimperialismo mostrerà le sole strade che portano al
socialismo3.
Note
*
Prof. Univ. di Cape Town Sudafrica.
1 La
possibilità per Chavez di fare un’altra rivoluzione alla Castro dipende dalla
rottura con i coloni e dal basare il proprio partito sugli indigeni sfruttati
dall’imperialismo e dai coloni. Vi è stato un simposio su questo tema in
Middlesex University l’11 Marzo 2005. Si veda anche Gott, R., Hugo Chavez: The
Bolivarian Revolution in Venezuela, Verso, London, 2005, ed una dichiarazione
di un Boliviano Quechua: “Prima abbiamo lasciato che altra gente ci parlasse.
Ora diciamo che le nazioni originarie sono pronte a condurre i propri affari”,
in International Socialist Journal, no.104, October 2004. Gli anti-imperialisti
sudafricani prendano nota che vi è una crescente lotta di classe nelle Ande ed
in America Centrale tra i non-europei, come li si chiamava un tempo, ed i
coloni europei.
2
L’autore ha tenuto un intervento su “Latin American, South African and Israeli
Settlers” a questa conferenza. Era presente al discorso di Castro che è stato
ascoltato da 1,500 economisti.
3
Vasapollo, L., Jaffe, H., Galarza, H., Introduzione alla Storia ed alla Logica
dell’Imperialismo, Jacabook, Milan, March 2005, e Madrid, Paris, 2005.
Documenti
sulla globalizzazione: JAFFE HOSEA (2)
La
pubblicazione di questi documenti lascia all'autore la responsabilità delle
proprie affermazioni, e viene fatta unicamente per poter studiare le varie
posizioni sulla questione.
"La resistenza irachena sta facendo lotta di classe. Similmente, la lotta palestinese per la distruzione dello stato di Israele e per il diritto al ritorno è una lotta di classe. Per quanto populista sia la lotta (per es. le azioni di kamikaze della classe media) queste sono lotte di classe perché sono dirette contro uno stato o potere di classe capitalista e coloniale straniero. Ai nostri tempi ogni lotta di liberazione nazionale del terzo mondo contro l’imperialismo è una lotta di classe di significato storico se conduce ad una sconfitta di un potere o stato del primo mondo. La maggior parte delle lotte di classe economiche nei paesi imperialisti non hanno la stessa rilevanza storica. Tuttavia, se si uniscono alla lotta di classe anti-imperialista, allora tali lotte di classe possono divenire storiche."
RispondiEliminaEccellente.