lunedì 10 ottobre 2011

NEL LABORATORIO DI UNA RIVOLUZIONE PER IL SOCIALISMO DE XXI SECOLO, di Marta Harnecker


NEL LABORATORIO DI UNA RIVOLUZIONE PER IL SOCIALISMO DE XXI SECOLo

Intervista a Marta Harnecker, intellettuale e militante.
Del suo libro “Fidel: la estrategia politica de la victoria” sono state stampate varie edizioni in tutto il continente ed è stato uno dei testi di divulgazione del processo rivoluzionario cubano più letto negli ultimi 20 anni. In un altro suo lavoro, "Haciendo posible lo imposible: la izquierda en el umbral del siglo XXI", edito inizialmente a Cuba e poi in Cile, Colombia, Messico, Portogallo e Spagna, Marta Harnecker offre un panorama dei movimenti popolari latinoamericani e, già dal titolo, azzarda una definizione dell’agire politico del cambiamento -rendere possibile ciò che a prima vista risulta impossibile- cosa che oggi ripete, fra l’altro, il presidente venezuelano Hugo Chávez per semplificare il senso della Rivoluzione Bolivariana. E ancora, sono già tre anni che la cilena che abbandonò la sua patria perseguitata dalla dittatura di Pinochet si è trasferita da Cuba a Caracas, dove risiede e lavora quale collaboratrice ad hoc di Chávez in quello che lei stessa definisce un "laboratorio rivoluzionario" che è attualmente questo paese.
Harnecker fa parte di selezionato gruppo di intellettuali -militanti, organici- che, risiedendo dentro o fuori del territorio venezuelano, “consigliano” il conduttore del processo che, dall’inizio dell’anno, ha come meta dichiarata la costruzione del “socialismo del XXI secolo”. Como parte di questo think tank di sinistra si annoverano inoltre teorici, giornalisti e divulgatori come Heinz Dieterich Steffan (tedesco e professore dell’Università Autonoma messicana), l’uruguaiano direttore di TeleSur Aram Aharonián e Luis Bilbao (giornalista argentino e direttore della rivista América XXI), fra gli altri. Harnecker fu incaricata, per esempio, di riunire la nuova mappa strategica in un libro che raccoglie gli interventi di Chávez effettuati nel novembre del 2004 davanti agli stati maggiori del suo governo e nel quale è condensata la dottrina della Rivoluzione Bolivariana.
Da questa prospettiva, Harnecker offre in questa intervista dati significativi e di prima mano sui dibattiti e le pratiche che scandiscono attualmente la Rivoluzione Bolivariana. Assicura che si è aperta una crepa, c’è stata una spaccatura nei settori borghesi venezuelani rispetto al loro opposizione al governo dopo la loro sconfitta dello sciopero generale della fine del 2002. Spiega inoltre perché, mentre si propugna la necessità di “costruire il socialismo”, si fanno grandi sforzi affinché l’industria privata entri a far parte dei cambiamenti...
A che punto è la Rivoluzione Bolivariana?
A un punto di approfondimento. Nel tentativo di rendere più efficiente l’apparato dello Stato e lottare contro la corruzione, depurando da questa la polizia e gli organismi di sicurezza dello Stato. Cercando di approfondire la democrazia partecipativa e sforzandosi di installare un’altra logica economica: una logica umanitaria e solidale.
Quali sono stati i passaggi più importanti del processo politico da quando Chávez ha definito la direzione socialista della Rivoluzione Bolivariana?
Ti parrà forse strano che ti dica che non c’è stato nessun passaggio di rilievo dopo tale definizione. La questione è che la pratica ha dimostrato ai dirigenti del processo che la logica umanistica e solidale che loro stavano installando a tutti i livelli, specialmente nel terreno economico, strideva ad ogni passo compiuto con la logica capitalistica del lucro. Per esempio, non si potevano creare cooperative agrarie né di prodotti industriali di base
che funzionassero senza che lo Stato si facesse carico di gran parte degli acquisti e della distribuzione di tali prodotti. Non si poteva controllare l’effetto dell’eccesso del prodotto circolante, dell’enorme quantità di borse di studio concesse dal governo a tutti i venezuelani impegnati nelle diverse “missioni”, se non si cercava un meccanismo per controllare i prezzi dei prodotti della dieta di base dei settori più sfavoriti. Come risolvere questo all’interno della logica capitalista dove il motore del sistema è il profitto e non la soddisfazione delle necessità umane? Una misura che tracciò il cammino fu quella adottata in emergenza dallo Stato (per assicurare l’alimentazione della popolazione quando l’opposizione tentò di fermare il processo sottomettendo per fame il popolo venezuelano, durante lo sciopero delle imprese alla fine del 2002) con l’acquisto massiccio dall’estero di prodotti alimentari per nutrire il mercato popolare. Oggi centinaia di mercati popolari distribuiti in tutto il paese, e che coprono il 40% del consumo alimentare della popolazione, offrono prodotti a prezzi molto più bassi che i centri commerciali privati e i loro prezzi molto più economici si mantengono, tramite un sussidio statale, al medesimo livello di quando si è iniziata l’esperienza. D’altra parte, si stanno stimolando i contadini a produrre internamente ciò che fino ad ora si importava, assicurandogli l’acquisto dei prodotti e evitando gli intermediari.
Come vedi, il “socialismo” non inizia in Venezuela quando Chávez lo dichiara —all’inizio del 2005— ma abbastanza prima. E parlo di socialismo fra virgolette, perché in realtà ciò che si era avviato in Venezuela non era il socialismo ma un cammino che poteva condurre verso una società retta da una logica umanitaria e solidale, dove tutti gli esseri umani possano raggiungere il loro pieno sviluppo.
Chávez non nega che all’inizio del processo credette che fosse possibile risolvere i profondi problemi economici e sociali del Venezuela con una terza via; credette che fosse possibile umanizzare il capitalismo, ma la storia gli insegnò che questo non era possibile.
L’insistenza nel socialismo come unica strada, paradossalmente appare al tempo in cui si fanno sforzi per incorporare il settore privato ai piani economici del governo, non è una contraddizione?
E’ contraddittorio secondo la visione classica che abbiamo del socialismo dove tutti i mezzi di produzione devono essere in mano allo Stato eliminando alla radice la proprietà privata. Secondo questa visione classica si pone l’accento nella proprietà e non nel controllo dei mezzi di produzione. Quando Chávez parla del socialismo che si tenta di costruire in Venezuela chiarisce sempre che si tratta del “socialismo del XXI Secolo” e non una copia dei modelli socialisti precedenti. Il punto nodale oggi in Venezuela è uscire dalla povertà. Poco tempo fa ho sentito un giovane di sinistra definire il vicepresidente della Repubblica (Rangel) “riformista” perché diceva che il nemico principale è la povertà, e che bisognava eliminare la povertà, invece di parlare di eliminare al borghesia. Che cecità! Che dogmatismo! Qual’è la necessità di attaccare le imprese private in questo momento? Queste sono mere consegne radicali che hanno ben poco a che vedere con un’analisi della situazione reale! Come fa a non capire questo giovane che per uscire dalla povertà, fra le altre cose, bisogna creare impiego produttivo e che la riattivazione del settore privato è stata la principale fonte di impiego negli ultimi mesi nel paese? Perché costui non si domanda qual’è la ragione per la quale la borghesia venezuelana, che nel passato si trovò compatta nel voler rovesciare Chávez, è ora disposta a collaborare col governo?
Neppure Lenin pensò che fosse necessario eliminare la proprietà privata per iniziare a costruire il socialismo. Pochi hanno letto uno dei decreti iniziali dell’appena installato governo sovietico: il decreto sulla pubblicità privata che partiva dal presupposto che i capitalisti disposti a collaborare con governo dovevano avere lo spazio per pubblicizzare i loro annunci. Non furono i socialisti che emarginarono i capitalisti in Russia, furono i capitalisti ad autoemarginarsi rifiutando di collaborare con il governo sovietico e optando
per la guerra civile. 
Quando si analizza questo problema non bisogna dimenticare il tema della correlazione di forze. Fino a quando la borghesia si sente forte e crede di poter dominare la situazione con le urne o con le armi è comprensibile che non sia disposta a collaborare con un progetto rivoluzionario che va contro la logica del capitale. Ma che cosa poteva fare la borghesia venezuelana dopo essere stata sconfitta tre volte (sconfitta dal golpe militare del 2002, non raggiunse l’obbiettivo che si era prefissa con lo sciopero delle imprese della fine di quel medesimo anno e fece cilecca nel referendum dell’agosto del 2004)? Non le restava altra alternativa che quella di lasciare il paese o di collaborare con il governo se questo gli avesse fornito le facilitazioni creditizie e assicurato il mercato.
Non implica un pericolo la coesistenza con la borghesia?
Certo che implica un pericolo. La logica del capitale cercherà di imporsi sempre. Ci sarà una costante lotta per vedere chi è il più forte. Siamo all’inizio di un lungo processo. Il controllo del potere politico, il controllo dei cambi, una corretta politica dei crediti nella quale i capitalisti ricevono prestiti se accettano determinate condizioni fissate dal governo - che producano per il mercato nazionale creando fonti di lavoro, che paghino imposte, che collaborino con le comunità limitrofe, eccetera — sono formule che usa il governo bolivariano per fare in modo che gli impresari venezuelani piccoli e medi si impegnino a lavorare al programma di governo il cui asse è eliminare la povertà. Sono precisamente questi settori quelli che sono stati più svantaggiati dalla globalizzazione neoliberista. 
Però, non bisogna dimenticare che veniamo da una società nella quale impera la logica del capitale, con una cultura che inclina tanto i padroni delle imprese come i lavoratori in esse impiegati ad obbiettivi individualistici. Per questo il socialismo vincerà sul capitalismo solo se si mette in moto, insieme alla trasformazione economica, la trasformazione culturale del popolo. Nella misura in cui le persone percepiscono gli effetti positivi del nuovo modello economico che stiamo cercando di portare avanti, orientato da questa logica umanistica e solidale, nella misura in cui poco a poco si sconfigge l’individualismo, il consumismo, la smania di lucro nella pratica quotidiana, i cittadini arriveranno alla medesima conclusione alla quale è arrivato Chávez: l’unica alternativa alle nefaste conseguenze del capitalismo neoliberista è il socialismo.
E’ sintomatico che recenti sondaggi indichino che oggi un 40% della popolazione considera già il socialismo come qualcosa di positivo. Questo è un grande risultato se si considera il bombardamento ideologico al quale la gente è stata sottoposta. Gli effetti pratici delle misure umanitarie e solidali adottate dal governo sono fucili più poderosi di tutti i missili mediatici lanciati dall’opposizione. 
E, tenendo conto che si tratta di modelli economici antagonisti, è fondamentale che una parte importante delle risorse dello Stato si destinino a sistemare il settore statale dell’economia, giacché il controllo delle industrie strategiche è la miglior forma di garantire il trionfo della nuova logica umanitaria e solidale e che si compiano pedissequamente i piani di sviluppo nazionale orientati a eliminare la povertà. 
La ricerca di collaborazione con il capitale privato si deve ricercare solo nella misura in cui essa permetta di progredire in questo senso.
Questa definizione implica un cambiamento concettuale -dato che presuppone di “inventare il socialismo” nel secolo XXI e nell’America Latina sottomessa a una severa egemonia statunitense- che innovazioni teoriche appaiono più urgenti?
Più che innovazioni teoriche, credo che ci siano molti elementi già elaborati dai pensatori marxisti classici, che poi però rimasero sconosciuti o furono dimenticati. Il Socialismo del XXI Secolo andrebbe ripreso al tempo stesso in cui dovremo inventare soluzioni nuove ai nuovi problemi posti dai cambiamenti di cui ha sofferto il mondo negli
ultimi anni. Uno di questi: il socialismo come società più democratica. Già Lenin diceva: “capitalismo uguale democrazia per una élite; socialismo uguale democrazia per la maggior parte della gente”. Un altro: l’importanza del tema del controllo dei lavoratori. Possono esserci priorità statali, ma senza controllo operaio non vi è proprietà socialista; in cambio può esserci proprietà privata pero con controllo operaio e forse questo sistema può avvicinarsi più al socialismo del precedente. Un altro ancora: ogni giorno ciascun paese dovrà trovare il proprio cammino di transizione verso il socialismo. Il fatto che ciò possa o no realizzarsi dipenderà in gran misura della correlazione di forze che in questo paese e a livello mondiale si produrranno a favore del socialismo. 
Di conseguenza, se non vogliamo essere conseguentemente radicali o non radicali solo a parole dobbiamo impegnarci nel lavoro quotidiano di costruzione di forze sociali e politiche che ci permettano di portare avanti i cambiamenti desiderati. La politica darà tanti più frutti se a prendere la parola saranno le persone impegnate in questa militanza quotidiana e non quelli che fanno di una scrivania la propria militanza!
Dopo molti anni nei quali ha vissuto a Cuba, perché sei andata a vivere in Venezuela?
Per accompagnare da vicino questo laboratorio che è il processo rivoluzionario bolivariano e farlo conoscere all’estero. Per appoggiarlo in ciò che posso e specialmente nel tema della protagonismo nella partecipazione della gente, che è la mia passione.
Anche se Chávez si proietta ogni volta con più forza nello scenario latinoamericano, alcune forze della sinistra popolare, e con responsabilità di governo, sembrano guardare ancora con diffidenza la sua leadership. Credi che la sinistra del paese saprà dare il giusto valore al processo venezuelano?
Credo che lo stiano valorizzando ogni volta di più. I fatti si impongono con troppa forza. Ma ancora c’è chi, tanto dentro come fuori del paese, non capisce l’importanza di poter contare con un governo popolare per il progredire delle lotte del suo popolo.
Cosa implica il fatto che, a quindici anni dalla caduta dell’Unione Sovietica, oggi in America Latina si sia istallato con tanta forza il dibattito sulla costruzione di un sistema contrapposto al capitalismo?
Che siamo all'inizio di un nuovo ciclo di avanzamento rivoluzionario e che bisogna accelerare la costruzione dei nuovi fattori soggettivi che evitino nuove frustrazioni storiche. Per disgrazia, si contano su una mano i paesi dove le forze sociali e politiche di sinistra lavorano armoniosamente potenziandosi l'una l'altra. Predominano il personalismo, l'ambizione politica fra i dirigenti della sinistra. Non si è sufficientemente inteso che è nell'unità che risiede la forza, ma che l'unità si costruisce rispettando le differenze. Non si è sufficientemente inteso che l'arte della politica è costruire forze politiche e sociali che permettano di rendere possibile in un vicino futuro ciò che oggi sembra impossibile; che per costruire forze politiche bisogna costruire forze sociali.
Ignacio Cirio (WWW.PERLUMANITA.IT/INDEX.ASP ) - Settembre 2005
Traduzione di Marina Minicuci

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