''Quando il regime ordinò che in pubblico fossero arsi
i libri di contenuto malefico e per ogni dove
furono i buoi costretti a trascinare
ai roghi carri di libri, un poeta scoprì
- uno di quelli al bando, uno dei meglio - l'elenco
studiando, degli inceneriti, sgomento, che i suoi
libri erano stati dimenticati. Corse
al suo scrittoio, alato d'ira, e scrisse ai potenti una lettera.
Bruciatemi!, scrisse di volo, bruciatemi!
Questo torto non fatemelo! Non lasciatemi fuori! Che forse
la verità non l'ho sempre, nei miei libri, dichiarata? E ora voi
mi trattate come se fossi un mentitore! Vi comando:
bruciatemi!'' Bertolt Brecht
''La guerra dell'inimicizia assoluta non conosce alcuna limitazione. Trova il suo senso e la sua legittimità proprio nella volontà di arrivare alle estreme conseguenze. La sola questione è dunque questa: esiste un nemico assoluto, e chi è in concreto?'' Carl Schmitt
''Noi possiamo fare del mondo un inferno, anzi come sapete siamo sulla strada. Ma possiamo anche farne l'opposto'' Herbert Marcuse
In questo articolo è mia intenzione fare un passo indietro nel tentativo di cogliere alcuni aspetti decisivi riguardanti la ‘’balcanizzazione’’ del Nord Africa. Mi occuperò, quindi, dell’aggressione imperialistica all’Irak. Andiamo al punto.
2. Al di là della valutazione sulla natura economica e sociale dell’Irak di Saddam, dove è vero che negli anni ’70 e ’80 i sindacati costruivano case agli operai, mentre sono luride menzogne, sostenute in Italia da quel delinquente di Piero Sansonetti (con tutta la schiera della ‘’sinistra colta’’ italiota, da Vendola fino a Claudio Grassi), che Saddam fosse ‘’uomo degli americani’’ (gli Usa rifornirono l’Iran di armi tramite Israele dal 1981, e poi direttamente dopo lo scandalo Iran-Contra dell’86) e sterminatore di comunisti (menzogna messa in giro da Breznev su suggerimento, forse, della CIA stessa), direi che i ‘’sistemi sociali’’ devono essere ‘’giudicati’’ partendo da una ponderata contestualizzazione, e la demonizzazione di questi riguarda un ‘’metodo’’ che di certo non appartiene ai comunisti.
Di mio preferisco definire i regimi riconducibili al ‘’socialismo arabo’’ (gheddaffismo, nasserismo, Ba’th, ho qualche riserva di sinistra per Ben Bella perché lì davvero si poteva andare verso uno Stato operaio) come ‘’Dispotismi egualitari'’ o volendo ‘’Autoritarismi di sinistra’’, da giudicare, in fondo, positivamente per il ruolo che hanno avuto nella decolonizzazione del Nord Africa, fino a che questa è durata (vedete la situazione attuale). Ci sono state forti ambiguità ideologiche e politiche per ciò che riguarda il Ba’th ma non è il caso di parlarne in questa sede, e poi francamente penso che sia inutile fare una critica marxista al ‘’socialismo arabo’’, che ora è (e questa è una tragedia sociale e geopolitica) letteralmente divorato vivo da imperialismi occidentali e nazi-islamismo.
3. Apro una breve parentesi marxista. Celso Beltrami, uno degli ideologi di ‘’Battaglia Comunista’’, nel 2000 scriveva a riguardo dell’embargo (citando fra l’altro Il Manifesto):
‘’ Il cinico commento di un commerciante di Baghdad sintetizza bene la situazione irachena: “L’embargo è per i meschini senza un dinaro, non per chi ha i soldi” (il Manifesto, 6/4/’00). E all’embargo assassino si aggiunge, come si diceva, la politica neoliberista del governo che demolisce uno “stato sociale” un tempo considerato tra i più efficienti del Medioriente, liberalizzando e privatizzando tutto il privatizzabile, a cominciare dalla sanità’’.
Quindi i ‘’marxisti ortodossi’’, anzi specifico neo-bordighisti, di ‘’Battaglia Comunista’’ (Damen nei primi anni ’60 riprese le teorie della Luxemburg per negare il diritto all’autodeterminazione dei popoli) si bevono tutte le balle mediatiche, e la disinformazione dei giornali di regime, fatte passare per sacrosante verità.
Chissà se la testimonianza diretta, sotto le bombe, di Fulvio Grimaldi, che ha raccontato come esponenti del Ministero per gli Affari Palestinesi stessero portando 20 mila dollari alle famiglie dei caduti, e 10 mila a quelle cui la casa era stata rasa al suolo dalla bestia sionista, sanno di ceffoni sulle guance di Beltrami.
Un popolo aggredito dall’imperialismo solidarizza con un altro popolo, che da sessant’anni vive una pozzanghera di sangue, e questo infame scribacchino si mangia le sciocchezze dette in ordine dalla Rossanda, da Ezio Mauro, da Paolo Mieli, e da Belpietro.
Quando la teoria si trasforma in feticcio, evidentemente del marxismo, quello vero di Lenin e Gramsci (di cui i neo-bordighisti ne hanno violentano l’impostazione filosofica al pari del lustrascarpe di Stalin, Togliatti), resta ben poco.
La resistenza irakena va sostenuta e i militanti del Ba’th (con tutte le critiche che un marxista fa alla dottrina del Partito quando era al potere) che rispondono colpo su colpo ai neo-nazisti yankee, sono grandissimi combattenti antimperialisti, il resto è cacca.
4. Prima di entrare nel cuore della questione dirò alcune cose sui tre principali ideologi del Pentagono: Kissinger, Huntington, e Brzezinski.
Il primo già dalla sua tesi di laurea ad Harvard teorizza, ispirandosi al Congresso di Vienna del 1815, l’ ‘’equilibrio delle forze’’. Dopo la laurea crea una rete che manda avanti questa teoria di cui Huntington diventa il maggior esponente. Huntington con la teoria dello ‘’scontro di civiltà’’ (di cui parlerò fra poco) ha ripetuto a pappagallo quello che disse in precedenza Kissinger.
Brzezinski nel 1976 divenne Consigliere di Sicurezza Nazionale e sviluppò la teoria geopolitica dell’ ‘’Arco della Crisi’’.
Lui disse che la regione che fiancheggiava l’Urss doveva essere destabilizzata, e questa sarebbe stata la premessa per il crollo dell’Unione Sovietica.
Le teorie di Brzezinski e Huntington si ritrovano nel documento ‘’La crisi della democrazia’’ (1975), di cui Brzezinski scrisse la prefazione (fra l’altro ispirandosi interamente al filosofo para-fascista Spengler), e Huntington sostenne che la ‘’nuova democrazia’’ doveva basarsi su presupposti diversi rispetto la vecchia democrazia partecipativa.
Il loro (Brzezinski) nel 1976 fu fra i fondatori del Central Asia Institute, e i finanziamenti gli vennero dalla Smith Richardson Foundation, che finanziò anche la pubblicazione del libro di Huntington sullo ‘’scontro di civiltà’’.
Queste fondazioni promuovono la diffusione del neo-liberismo nel mondo, e lo scontro geopolitico per rafforzare il centro dell’impero, gli Stati Uniti d’America.
Huntington, in estrema sintesi, sostiene che il mondo è composto da tribù in lotta fra di loro, e poi, riprendendo la categoria ‘’amico-nemico’’ di Carl Schmitt, dice che gli amici della mia tribù sono anche miei amici e gli altri possono essere distrutti.
Quindi la soluzione è uno Stato forte che imponga le decisioni dall’alto.
Ecco, la matrice ideologica per mandare avanti – ed uso una espressione che mi piace molto – l’eterna guerra a chi non privatizza; l’Irak (a dispetto di quello che scriveva Beltrami) non ha privatizzato nulla, e quindi fu guerra.
5. L’attacco all’Irak, a differenza di quello che pensano le anime bella della ‘’sinistra colta’’ fu premeditato durante l’amministrazione del porco imperialista Clinton, quindi nel 1998.
Il 26 gennaio 1998 – per l’appunto - i teorici neoconservatori inviarono una lettera a Clinton chiedendo una missione militare contro Saddam per mettere le mani sulle risorse petrolifere di quel paese.
C’è dell’altro. Nel 1997 l’amministrazione Clinton aveva sviluppato una nuova generazione di armi nucleari che potevano essere utilizzate anche in ‘’conflitti convenzionali nel Terzo Mondo’’ (Federation of American Scientists , 2001).
L’ arma in questione è il missile B61-11, un’arma capace di penetrare il terreno ed è inoltre a basso rendimento nucleare. I due paesi presi di mira per la sperimentazione di questa arma furono Irak, e Libia (Libia, avete capito bene anime belle, altro che Gheddafi riabilitato dagli americani).
Insomma, i piani di destabilizzazione di quella geo-zona risalgono a molto tempo prima..
Prima di andare avanti mi preme dire chi sono i firmatari della lettera inviata a Clinton nel 1998: Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Peter Rodman, John Bolton, Richard Perle, William Kristol, Elliot Abrams. Altri nomi di criminali coinvolti nel ‘’genocidio nell’Eden’’ sono Dick Cheney, e Lewis Libby.
Cari compagni questi sono criminali internazionali, gente che passata a capo della dirigenza Bush si macchiò di crimini che Himmler in confronto è un innocuo bambino che nella sua culla gioca con i peluche.
6. Il retroscena dell’attacco militare è questo (almeno per sommi capi), ma vediamo bene alcune tappe salienti dell’aggressione imperialistica iniziata nel 2003. Mi concentrerò sull’effetto ‘’shock’’ di questa aggressione, da un punto di vista psicologico e da un punto di vista economico.
7. Quando l’attacco iniziò gli Usa ebbero notevoli vantaggi perché la forza militare irakena era ridotta ai minimi termini dalle sanzioni economiche, e da decenni di accerchiamento imperialistico.
Thomas Friedman, uno dei Chicago boys, disse che gli Usa non andavano a costruire una nazione ma a creare una nazione. Insomma con l’Irak di Saddam volevano fare la stessa cosa fatta con il Cile di Allende, le intenzioni erano chiarissime.
Sulla scia delle sperimentazioni di Ewen Cameron, psichiatra finanziato dalla CIA che ‘’decondizionò’’ i pazienti facendoli regredire allo stadio infantile, l’imperialismo americano, con i bombardamenti lampo, fece il possibile per esercitare un effetto ‘’shock’’ sulla resistenza irakena.
Il manuale ‘’Shock and Awe’’ sostiene che la guerra deve essere uno spettacolo, e i risultati devono essere diffusi in modo trionfale in tutto il mondo. In questo modo chi sta davanti il teleschermo si identifica con gli ‘’eroici’’ soldati che combattono il ‘’dittatore sanguinario’’.
Secondo i teorici del Pentagono la guerra è un modo fare degli esperimenti globali di comportamentismo (Harlan K. Ullman e James P. Wade, Shock and Awe: Achieving Rapid Dominance), si creano dei veri e propri nuovi modelli antropologici.
Mentre si avvicinava l’attacco all’Irak i media americani per aumentare la paura degli irakeni chiamarono quel giorno ‘’A day’’, e parlarono di incursioni aeree così pesanti che avrebbero lasciati i soldati di Saddam incapaci di reagire.
Questa prassi ha un precedente con la ‘’teoria del pazzo’’ attribuita a Nixon fra il 1968 e 1974 (in pratica durante la guerra contro il Vietnam socialista): in questo caso si spaventano i nemici convincendoli che l’attacco avrebbe portato conseguenze enormi, quindi minacciando una reazione sproporzionata, da pazzi per l’appunto.
Noam Chomsky ha riportato un documento ufficiale Usa (rapporto STRATCOM), dove si dice che è importante non dare una immagine, come nazione, troppo razionale di sè. Si dice che giova che alcuni elementi, all’interno delle burocrazie politiche e militari, possano sembrare fuori controllo.
Tutte cose molto interessanti che ruotano attorno all’utilizzo di un lessico funzionale alle esigenze dell’impero. Chomsky dice:
‘’Questo rapporto resuscitava la « teoria del folle » di Richard Nixon : i nemici degli Stati Uniti devono comprendere di essere di fronte a degli svitati dal comportamento imprevedibile che dispongono di un enorme potenziale di distruzione. La paura li spingerà così a piegarsi alle volontà americane. Questo concetto era stato elaborato in Israele negli anni Cinquanta dal governo laburista, i cui dirigenti « incoraggiavano atti di follia », come ha scritto l’ex-primo ministro Moshe Sharett nel suo diario privato, ed era paradossalmente rivolto in parte proprio contro gli Stati Uniti, giudicati insufficientemente affidabili all’epoca. Ripresa a sua volta dall’unica superpotenza attuale, che si considera al di sopra di ogni legge e subisce ben poche pressioni da parte delle proprie élites, questa teoria costituisce - lo si ammetterà - un serio problema per il resto del mondo’’ (Noam Chomsky, Gli Stati Uniti d’America, ‘’Stato canaglia’’).
La neo-lingua ha una genesi storica molta complicata, e questo dà una idea della complessità e della bestialità del neo-imperialismo.
Il voler lasciare una impronta della cacca yankee (cultura americana) dopo aver distrutto un Paese trova una curiosa equivalenza nelle prassi dei trattamenti carcerari.
A Guantanamo esiste la ‘’capanna dell’amore’’ dove i prigionieri che devono essere rilasciati possono passare una intera giornata a guardare film americani e a mangiare patatine fritte. In questo modo si spera che i detenuti si possano dimenticare dei loro torturatori.
9. Per ciò che riguarda lo shock economy la Casa Bianca (un po’ come sta facendo oggi per la Libia ) impose una nuova valuta. Privare un paese della sovranità monetaria significa, in effetti, privarlo della sovranità nazionale, e quindi de-politicizzare il suo mercato interno. La società britannica De La Rue si occupò della stampa delle nuove banconote e le diffuse in tutto il paese.
Della deindustrializzazione dell’Irak se ne è occupato Paul Bremer. Nel giro di pochi mesi fu fatto costruire un Mc Donald nel centro di Bagdad come simbolo dell’ingresso dell’Irak nella economia mondiale.
Gli investimenti che gli Usa utilizzarono per la ricostruzione di quel paese ormai in fiamme ammontano a 38 miliardi di dollari dal Congresso americano, 15 miliardi da altri paesi, e 20 miliardi tirati fuori dalle risorse petrolifere dell’Irak.
Questi soldi andarono tutti ad appaltatori americani come Halliburton, Bechtel, e Parsons, che si portarono nella terra del Cordor un pezzo di Irak.
Bremer firmò una legge che concedeva a contabili privati di gestire l’economia. L’industria di stato irakena fu messa sotto il britannico Adam Smith Institute che la privatizzò nel giro di poco tempo. Il nuovo esercito fu messo in mano ad agenzie private, e la stessa cosa fu fatta per la nuova polizia irakena (DynCorp, Vinnel e la Usis del Carlyle Group).
Insomma l’Irak è stato distrutto, strozzato, avvelenato vivo.
10. Ritorno al testo di Beltrami perché voglio dargli un riferimento tratto da Lenin. Ilic dice:
‘'Bisogna aggiungere che non solo nei paesi scoperti di recente, ma anche negli antichi l'imperialismo porta ad annessioni e all'inasprimento dell'oppressione nazionale, e, per conseguenza, all'intensificazione della resistenza. Kautsky, polemizzando contro l'inasprimento della reazione politica da parte dell'imperialismo, lascia nell'ombra la questione, diventata ardente e attuale, dell'impossibilità, nell'epoca dell'imperialismo, di rimanere uniti con gli opportunisti. Egli polemizza bensì contro le annessioni, ma dà alle sue obiezioni una forma che è la meno spiacevole, la più accessibile agli opportunisti. Egli si rivolge direttamente al pubblico tedesco, ma tuttavia sa nascondere la questione più importante ed attuale, l'annessione cioè dell'Alsazia-Lorena da parte della Germania. Per valutare questa "deviazione del pensiero" di Kautsky basta scegliere un esempio. Ammettiamo che un giapponese condanni l'annessione americana delle Filippine. Si domanda: saranno molti a credere che lo faccia per ripugnanza contro le annessioni in genere, o non piuttosto per il desiderio di appropriarsi egli stesso le Filippine? O si deve viceversa ritenere sincera e politicamente onesta la "lotta" di un giapponese contro le annessioni soltanto quando egli si scaglia contro l'annessione giapponese della Corea e chiede per la Corea la libertà di separarsi dal Giappone?
Così l'analisi teorica dell'imperialismo fatta da Kautsky come la sua critica economica e politica dell'imperialismo sono tutte impregnate di uno spirito inconciliabile col marxismo, spirito rivolto a celare e ad attutire i più fondamentali contrasti, tendenza a mantener salva ad ogni costo la dissolventesi unità con l'opportunismo nel movimento operaio europeo’’ (Lenin ‘’Imperialismo fase suprema del capitalismo’’, paragrafo ‘’Critica dell’imperialismo).
Allora davanti a ciò come negare – oggi più di ieri – il diritto all’autodeterminazione dei popoli e l’importanza nelle lotte antimperialistiche dei movimenti di liberazione nazionale, nascondendosi dietro una vuota retorica sulle borghesie nazionali che privatizzano (cosa hanno privatizzato? Se l’industria di Stato è stata poi divorata interamente dagli Usa) e dietro le balle mediatiche delle borghesie imperialistiche occidentali. Cose davvero indegne per un comunista.
11. Gli angeli irakeni non hanno accettato la distruzione della culla della cultura mediterranea, e per omaggiare il coraggio di chi è stato ridotto al silenzio, pubblico, adesso in allegato, il manifesto della resistenza del Partito Ba’th. Caro Brecht purtroppo abbiamo ancora tanto bisogno di eroi.
Note:
1) Naomi Klein, Shock Economy, BUR Rizzoli, 2010
2) Geopolitica: guerre di religioni e di culture, Solidarietà, anno V n. 3, giugno 1997
3) L'attacco Usa pronto dal `98 I «falchi» dell'Amministrazione Bush scrivevano a Clinton: «Guerra all'Iraq, salva il petrolio», Manlio Dinucci da ‘’Il Manifesto’’ del 18.03.03
4) MONDOCANE CONTROBLOG di Fulvio Grimaldi
Siti consultati:
1) http://www.kelebekler.com/caimani/articoli.htm
2) http://apocalypsetime.wordpress.com/2011/04/03/attacco-nucleare-programmato-dell%E2%80%99america-sulla-libia/
Stefano Zecchinelli
Allego adesso il manifesto della resistenza del Partito Ba’th, è un po' lungo ma ne vale la pena.
Il programma politico e strategico della Resistenza irachena*
L’eroica Resistenza irachena guidata e diretta da Partito Socialista Arabo Baath, ha definito i propri obiettivi strategici come movimento nazionale di liberazione “per espellere le forze di occupazione, liberare l’Iraq e salvaguardarlo unito quale patria per tutti gli iracheni”.
Sulla base di questi obiettivi, è stato concepito e messo a punto un programma politico e strategico per la fase della resistenza e della liberazione.
L’Iraq occupato
È l’Iraq, in senso geografico e politico: “La repubblica dell’Iraq” Stato sovrano, fondatore e membro della Lega Araba, membro delle Nazioni Unite e i cui territori sono occupati dalle forze statunitensi, britanniche, australiane e di altri Paesi, a seguito di un’aggressione in contrasto con il diritto internazionale e i trattati delle Nazioni Unite, repubblica che è stata l’obiettivo di una guerra iniziata il 19 aprile 2003. Queste circostanze hanno condotto alla rimozione del suo governo legittimo e alla nomina di una “Autorità provvisoria di occupazione”. Tutto quanto è o è stato intrapreso dall’occupante al fine di instaurare istituzioni, ministeri, autorità, comitati ecc. per sostituire il governo legittimo della Repubblica dell’Iraq, dopo la data del 9 aprile 2004, deve essere considerato non valido ed illegale, ed essendo parte inseparabile del sistema organizzativo dell’occupante, la Resistenza lo tratta nel medesimo modo in cui tratta l’occupazione stessa.
Le forze di occupazione
Sono le forze militari, i dicasteri, le agenzie e le organizzazioni collegate agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, all’Australia o a qualsiasi altra nazione presente sul territorio dell’Iraq occupato e chiunque sia coinvolto in qualità di appartenente alle forze multinazionali a seguito della Risoluzione n° 1483 deI Consiglio di sicurezza dell’ONU, che ha considerato l’Iraq come un Paese occupato. Tutti gli apparati, le autorità e i comitati istituiti dopo l’occupazione dell’Iraq a seguito della guerra condotta da USA-Gran Bretagna, da altra coalizione straniera o dalle forze multinazionali, saranno considerati e trattati come forze, autorità e comitati occupanti e saranno un obiettivo legittimo per la Resistenza nella guerra di liberazione.
Introduzione
Nel nostro confronto con gli altri partiti (arabi, regionali o internazionali) dobbiamo tenere presente che [proprio] il continuo braccio di ferro sostenuto con gli Stati Uniti a partire dal cessate il fuoco da essi annunciato nel mese di febbraio del 1991, è stato il pretesto fondamentale scelto dagli americani, per perseguire i loro obiettivi strategici prima nella regione e poi nei mondo. L’Iraq da allora non ha provocato alcuna crisi per quanto riguarda il rispetto delle successive risoluzioni internazionali. Il conflitto permanente imposto dagli Stati Uniti, ha messo la direzione irachena in condizione di dover affrontare o controllare una serie di crisi. I mezzi di informazione ufficiali hanno [invece] presentato l’Iraq come la causa delle crisi con altri Paesi nella regione e nel mondo.
Il pretesto delle continue ed effettive violazioni irachene riguardo alla risoluzione statunitense e britannica relativa alle no-fly zones — la serie delle quali [violazioni] è ora nota come “le successive crisi della Questione Irachena” — è stata la giustificazione addotta da Washington per far cambiare direzione, far evolvere, falsare e dare una direzione al confronto imposto all’Iraq secondo l’interpretazione degli avvenimenti data dagli USA in conformità con la propria politica generale, o con gli interessi di entrambe le successive amministrazioni statunitensi, nei confronti del loro elettorato interno e dei problemi internazionali Questo è risultato chiaro grazie alle molte successive risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che hanno finito con l’andare ben oltre le precise richieste [poste come condizione] per la fine del conflitto, e ciò dà prova dell’intervento e delle pressioni statunitensi volte a far emanare più risoluzioni finalizzate a porre la base per attaccare il sistema politico della Repubblica dell’Iraq.
La decisione degli USA di prendere di mira il sistema politico dell’Iraq, ciò che ha condotto poi all’occupazione, è cosa nota ed analizzata fino dai 1972. È una scelta basata sugli interessi (imperialistici) degli Stati Uniti, condizionati, a quell’epoca, dagli equilibri imposti dalla Guerra Fredda, dalle ultime conseguenze dell’aggressione del 1967, dal ritiro militare britannico dal Canale di Suez, dalla situazione nel Golfo Arabo, oltre che dalle politiche e dalle crisi energetiche verificatesi durante il secolo scorso, negli anni ‘70 e negli anni ‘80.
Oggi il confronto armato, il cui vero inizio data da quando i 30 Paesi hanno partecipato all’aggressione nei 1991, ha
dato avvio alla Resistenza armata nazionale dopo l’occupazione. Si potrebbero aggiungere altri elementi che hanno determinato l’evolversi di questo conflitto, e nessuno di essi è estraneo agli interessi degli Stati Uniti nella regione e nel mondo. Questi fattori sono:
1 - la ben nota conclusione della Guerra Fredda e la riforma politica ed economica dell’ Europa;
2 - la precisa esigenza da parte degli Stati Uniti di agire unilateralmente ed usare la propria forza preponderante;
3 - l’oscura ascesa della destra conservatrice alla direzione degli affari politici negli Stati Uniti;
4 - l’influenza degli attentati dell’11 settembre sulla evoluzione ed elaborazione della politica estera statunitense diretta dalla (mentalmente ottusa) amministrazione di Bush jr. e la pianificazione della reazione [da parte degli Stati Uniti esplicitata dal programma politico dell’amministrazione in ambito economico, della difesa e della sicurezza;
5 - l’abuso della “guerra al terrore” per stabilire e tentare di imporre nuove alleanze ad altri Paesi, società e culture;
6 - il continuo rallentamento e l’ingresso in una fase critica dell’economia degli Stati Uniti;
7 - il fallimento della politica energetica statunitense quale era stata pro-spettata durante la campagna elettorale;
8 - il delinearsi di un diverso ruolo “israeliano” in funzione di una politica di sicurezza che potesse aiutare gli Stati Uniti nei loro affari riguardo alle risorse petrolifere dal Mediterraneo orientale sino alle più lontane regioni centro-asiatiche, ed in particolare nella regione del Golfo Arabo. Questo ulteriore importante elemento ha una correlazione dialettica coni mezzi e le modalità [da impiegare] per trovare una soluzione pacifica al conflitto Arabo-Sionista.
Gli obiettivi annunciati e quelli reali nascosti
1- L’attacco al regime politico iracheno è cosa di cui tutti sono consapevoli fino dal 1972. Questo obiettivo è stato indicato e perseguito dai pianificatori della strategia politica statunitense e principalmente da Henry Kissinger (repubblicano), all’epoca consigliere per la Sicurezza
nazionale. Le forme di attuazione di questa politica sono state determinate/limitate da:
- l’equilibrio imposto dalla Guerra Fredda;
- le varie alleanze regionali, le connessioni e i rapporti reciproci tra i Paesi della regione;
- le conseguenze delle guerre del giugno del 1967 e dell’ottobre 1973;
- l’aspirazione di alcuni regimi arabi a svolgere un ruolo regionale, tollerato dagli Stati Uniti, a seguito delle guerre citate.
In proposito è importante analizzare la natura dei ruoli assegnati a e svolti (all’epoca) da regimi politici quali quello di Siria, Giordania, Egitto e perfino dall’Iran. Secondo le analisi sopra esposte, l’obiettivo di questi Stati [di svolgere un ruolo di rilievo nella regione, ndt] era difficilmente raggiungibile e rendeva necessario un accordo tra gli Stati dell’area. La difficoltà a raggiungere un’intesa trovava fondamento nelle eredità o nelle crisi verificatesi in epoche precedenti, crisi di cui l’Iraq aveva fatto larga esperienza. E necessario notare che la scelta dell’Iraq come bersaglio non trovava all’epoca giustificazioni diverse da quelle che vengono avanzate oggi: sicurezza e motivi economici (superiorità militare “israeliana”, dominio sopra la regione e interessi petroliferi).
2 - In tutti i piani statunitensi per la regione, comprese le aree dall’Africa del nord all’ Asia centrale – quelle cioè delle “fonti e delle rotte del petrolio” – !’Iraq risultava essere uno degli obiettivi principali, in quanto unità geopolitica ed economica, a causa della sua situazione geografica, dell’entità delle sue riserve petrolifere, della distribuzione della popolazione e della natura del suo sistema politico. Si aggiunga a questo da un Iato il ruolo già giocato dall’Iraq – o che l’Iraq avrebbe potuto giocare in futuro – e il raggio d’azione della sua influenza sui regimi arabi ufficiali e sull’Organizzazione dei Paesi Produttori di Petrolio (OPEC) e, dall’altro la possibile reazione di massa a livello panarabo.
3 - Gli Stati Uniti, fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, hanno considerato [i problemi] della stabilità nell’arco geografico che va dall’Oceano Pacifico all’Oceano Indiano congiuntamente a quelli nell’area del Mare Arabo, e gli USA sono stati per parecchi motivi l’unico giocatore nell’arena delle missioni politiche e di sicurezza, senza che vi fosse alcun reale intervento o la compartecipazione di altri Paesi occidentali o della NATO. Ciò spiega l’impegno militare degli Stati Uniti, per più di una volta e con piena consapevolezza, particolarmente in Corea e nel Vietnam. Gli obiettivi strategici degli Stati Uniti erano, inter alia, stringere il controllo, seppur in gradi differenti, sul Golfo Arabo in modo da avere il coltello dalla parte del manico sugli sbocchi al mare del Golfo, e, per motivi geografici e relativi alle comunicazioni, l’Iraq era il bersaglio designato in modo specifico, Negli ultimi venti anni, l’Iraq si è orientato verso il Mediterraneo orientale e il Mar Rosso per sottrarsi parzialmente [alle mire della strategia statunitense neI Golfo, ndt]; è stato un tentativo indotto dall’influenza o dalle alleanze strette dagli Stati Uniti con i Paesi limitrofi all’Iraq e con quelli costeggianti i suddetti sbocchi commerciali.
4 - Gli Stati Uniti, eredi del colonialismo britannico, agivano in modo imperialistico e in funzione del mantenimento degli equilibri della Guerra Fredda (equilibri che gli USA avevano imposto) e consideravano sempre con sospetto e con preoccupazione gli sviluppi in corso nel subcontinente indiano. Tanto è vero che la loro storica alleanza con il Pakistan era essenzialmente finalizzata a tramare contro l’India, che a quel tempo intratteneva alcuni stretti rapporti con alcuni Paesi arabi (in modo particolare con l’Iraq), e che si confrontava contro le manovre statunitensi tese a legare gli interessi politici, di sicurezza ed economici pachistani a quelli dei regimi collaborazionisti del Golfo Arabo e dell’Arabia Saudita, in opposizione alla politica indipendente dell’Iraq e al suo ruolo decisivo nel movimento dei Paesi Non Allineati.
5 - ll periodo tra il settembre 1980 e il settembre 2001 ha
visto delinearsi importanti scenari e situazioni che non sono affatto estranee all’obiettivo [statunitense] di attaccare il sistema politico iracheno. E inutile in questa sede parlare della funzione strumentale e del genere delle alleanze, oltre che del ruolo giocato dagli altri Paesi implicati, per molteplici interessi, nel conflitto diretto o indiretto. In tutti i casi questi Paesi non sono mai andati oltre i limiti posti dalle necessità strategiche degli Stati Uniti nella regione e relativi alla sicurezza di “Israele”. Dobbiamo in proposito notare che ci furono due guerre che in quel periodo hanno avuto l’Iraq come bersaglio. Entrambe hanno palesemente preso di mira il sistema politico iracheno con diverse giustificazioni, entrambe si basavano sulla valutazione che l’ideologia e la prassi del sistema politico iracheno erano inaccettabili, entrambe avevano come bersaglio il panarabismo e l’identità araba tanto per motivi legati alla religione [da parte dell’Iran, ndt] che per interessi imperialistici. Con entrambe le guerre (così come con quella in corso) si era sistematicamente pianificato lo smembramento dell’Iraq e la distruzione della sua identità araba. L’esperienza ha mostrato che, in entrambe queste guerre, i Paesi confinanti con l’Iraq sono stati alleati con gli aggressori dell’Iraq e deI suo sistema politico, tanto a causa di una loro collaborazione storica con l’Occidente quanto nella speranza di ottenere un ruolo regionale che permettesse loro di mantenere e perpetuare i regimi esistenti, in accodo con i piani internazionali per l’area.
La descrizione degli avvenimenti storici esposta qui sopra si rendeva necessaria al fine di poter chiarire che gli obiettivi statunitensi pubblicamente annunciati e quelli reali nascosti relativi al suo conflitto con l’Iraq non avevano alcun legame con il rispetto da parte irachena della risoluzione ONU seguita al cessate il fuoco dei 1991. Questi obiettivi reali sono i medesimi, ben noti e perseguiti da tempo, grazie ai quali il sistema politico iracheno è stato individuato come bersaglio fino dal 1972. Questi obiettivi sono strettamente connessi e coerenti con i disegni degli Stati Uniti riguardo alla regione in primo luogo e, in secondo luogo, come strategia globale.
Nella regione, l’identità, i programmi e la prassi del sistema politico in Iraq si contrappongono e ostacolano gli interessi degli Stati Uniti finalizzati a garantire e ad assicurare il mantenimento della sicurezza e della superiorità di “Israele”. L’Iraq rappresenta anche un ostacolo per la strategia globale degli USA perché ne rifiuta l’egemonia e ha conferito al petrolio iracheno una valenza politica e un ruolo nello sviluppo del Paese. Inoltre, le ben note posizioni dell’Iraq all’interno dell’ OPEC, la politica estera indipendente dello Stato iracheno, il ritardo nei ristabilire le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti (rotte dal 1967), l’orientamento a raggiungere un equilibrio tecnologico e militare con “Israele” e con i Paesi limitrofi non arabi (che cercano un’occasione per depredare l’Iraq o che sono alleati con gli Stati Uniti), l’aiuto economico concesso a Paesi arabi e non arabi, e l’interesse [dell’Iraq] a stabilire rapporti equilibrati con autorevoli Paesi europei sono tutti fattori che hanno generato situazioni in contrasto con la strategia globale degli Stati Uniti.
Il conflitto degli Stati Uniti con l’Iraq, causato dalla volontà statunitense di realizzare i suoi obiettivi strategici regionali e globali come si è spiegato sopra, è sempre stato ed è tuttora connesso a tali fattori. Essi hanno reciproche relazioni dialettiche, che portano in primo piano il conflitto di cui parliamo e lo innescano quando entrano direttamente o indirettamente in gioco, a causa dell’Iraq o di altri, gli interessi politici, economici e militari degli Stati Uniti. Tali relazioni si sono evidenziate in modo concreto quando l’azione irachena nel “Call day” deI 1990 [invasione del Kuwait, 2 agosto 1990, ndt] è stata considerata una minaccia agli interessi coloniali ereditati dall’accordo Sykes-Picot, accordo che ha condizionato e tuttora condiziona (con le sue disposizioni e il suo spirito) la realtà del Levante arabo. Per chiarire quanto detto vorremmo far presenti alcuni fatti.
La risoluzione relativa alla nazionalizzazione [del petrolio] come espressione di una linea politica patriottica panaraba è stata considerata come una minaccia alla strategia degli Stati Uniti a livello regionale e globale e l’inattesa e non preventivata partecipazione dell’Iraq alla guerra dell’ottobre 1973 è stata valutata in considerazione delle sue conseguenze future. Allo stesso modo sono state considerate minacce temibili le iniziative patriottiche per trovare soluzioni politiche e democratiche alla questione curda, la posizione irachena e i suoi indirizzi di azione politica panaraba nei confronti degli accordi di Camp David, le azioni difensive e gli sviluppi delle azioni militari in Al Qadissiyah [durante la guerra contro l’Iran, ndt), le iniziative dell’Iraq per lanciare un’azione multilaterale araba e la creazione del Consiglio Arabo di Cooperazione.
Per gli stessi motivi, e quando la sicurezza nazionale degli Stati Uniti è stata colpita, non certo da parte irachena, dagli attentati contro New York e Washington l’11 settembre, l’attacco al sistema politico iracheno è stato messo in atto dai massimi decision makers statunitensi e ci si è concentrati su di esso. Così la loro “guerra contro il terrore” nei suoi sviluppi politico e militare ha incluso è si è addirittura polarizzata sul sistema politico dell’Iraq, che è diventato il principale obiettivo di tale guerra.
Inoltre dalle primissime settimane dopo gli attacchi contro Washington e New York e nel mezzo del caos che ne è seguito, l’amministrazione degli Stati Uniti ha immediatamente minacciato la leadership irachena, il che conferma le analisi esposte sopra, come pure ciò che abbiamo spiegato riguardo alla situazione dell’Iraq e alla sua leadership politica in relazione alla strategia degli Stati Uniti sia a livello regionale che globale: per considerazioni legate all’egemonia militare “israeliana” sul piano regionale, e al petrolio su quello globale.
Sottolineiamo inoltre, vista l’insistenza sulla questione delle armi di distruzione di massa. pretesto addotto per scatenare la guerra contro l’Iraq e la sua leadership politica, il differente comportamento tenuto, all’epoca, dagli Stati Uniti nei confronti della sfida nord-coreana riguardo agli armamenti nucleari e balistici (nonostante oggi la Corea
dei Nord sia stata inclusa “nell’asse del male” insieme con l’iraq e l’Iran) quando la minaccia nord-coreana, a causa della posizione geografica del Paese e della sua potenzialità militare, rappresentava un pericolo reale per la sicurezza americana, delle città della costa est degli Stati Uniti, delle forze USA presenti nella Corea del Sud e degli alleati in Asia orientale.
La risposta statunitense al problema non sembra essere all’altezza della congiuntura. Così, dal confronto fra la situazione di conflitto con l’Iraq e quella con la Corea del Nord, possiamo paradossalmente dedurre che, come prima cosa la sicurezza di “Israele” è più importante per gli Stati Uniti della sicurezza sud-coreana, e che l’Iraq arabo “sotto assedio” e con le sue risorse petrolifere all’epoca bloccate [dall’embargo, ndt] è più pericoloso per la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati di quanto io sia stata la Corea
del Nord che non ha petrolio ma che possiede reali capacità nucleari e balistiche.
I Paesi limitrofi all’Iraq sono stati sollecitati e costretti a coadiuvare l’aggressione militare degli Stati Uniti, ma i Paesi limitrofi alla Corea hanno operato in difesa dei propri interessi regionali trovando una soluzione pacifica con la Corea
del Nord.
Questa logica paradossale era coerente con la strategia statunitense, necessaria alla difesa dei suoi interessi a livello politico, economico e militare e utile a giustificare la guerra dal punto di vista culturale, geografico, nazionale e di civilizzazione.
È necessario sottolineare che la direzione e la leadership della Resistenza, finalizzata a espellere l’occupante e liberare l’Iraq, non fa altro che proseguire nel dirigere la guerra per la difesa della nazione al livello attuale dello scontro.
La situazione, vista nella sua ampiezza e nelle sue dimensioni reali, configura necessariamente uno scontro storico di lunga durata.
Quindi, per fare una analisi dello scenario futuro e dare una spiegazione organica dei fattori che lo determinano, e per confermare quanto abbiamo già esposto, dobbiamo dire che:
1 - L’origine delle crisi, nella loro natura descritta già dall’agosto 1990, è da far risalire all’eredità del colonialismo britannico in Iraq e a quanto esso aveva prodotto a partire dall’accordo Sykes-Picot del 1917. Era il periodo che ha visto i colonialisti opporsi al patriottismo iracheno con lo scopo di cancellare ed insidiare la sovranità regionale dell’Iraq. Questa strategia, inoltre, delineava obiettivi di lunga durata contro gli interessi nazionali arabi e la sicurezza in tutto il Levante arabo.
2 - Da quanto detto sopra consegue necessariamente che gli Stati Uniti hanno legato storicamente il generarsi di questa crisi, la sua evoluzione e il suo futuro inasprimento, alla costituzione ed al mantenimento dell’esistenza dell’Entità Sionista sul territorio della Palestina.
3 - Questa crisi potrebbe risultare allentata o aggravarsi con l’indebolirsi o viceversa con il rafforzarsi del patriottismo iracheno, cosa che necessariamente produrrebbe effetti e interagirebbe con il retroterra panarabo dell’Iraq.
4 - Infine, vIsta nella sua dimensione imperialistica e colonialistica, questa crisi è uno strumento cui si è fatto ricorso, e che e stato utilizzato e fatto divampare in funzione degli interessi e delle esigenze del programma strategico statunitense per la regione e in prospettiva per il mondo. Può anche essere manovrata perfino per servire i ristretti scopi dell’amministrazione statunitense in politica interna o per finalità elettorati.
Dunque il conflitto ha un passato, e questo passato può spiegare come si evolverà oggi o nel futuro. Considerato nella sua dimensione storica, è uno scontro di lunga durata che produce i suoi effetti nello scenario iracheno.
Lo scontro, in modo particolare [a partire] dall’agosto 1990 ma anche dai venti anni precedenti, procedeva senza che vi fossero risultati ben chiari. È accaduto che la concezione della guerra dei tempi moderni imposta dall’imperialismo statunitense (sia attraverso la pianificazione dell’escalation, sia a causa dell’ostinazione delle amministrazioni USA fino dal 1990 a
mantenere inalterate le proprie posizioni) ha costretto, con le minacce o con la corruzione, altri Paesi del mondo e della regione a perseguire una politica subordinata alle scelte e agli interessi americani in un conflitto diretto e manovrato dagli stessi Stati Uniti.
Le linee di condotta imposte all’epoca dagli americani ai loro alleati erano in genere in contrasto con gli con interessi di questi ultimi.
Tenendo conto della sua conduzione, delle sue implicazioni e dei suoi obiettivi, si tratta in effetti di un conflitto mondiale, che ha avuto ed ha bisogno di un’alleanza contro l’Iraq imposta dagli Stati Uniti sia col terrore che con promesse ingannevoli e intrighi.
La guerra di aggressione continua degli Stati Uniti è portata avanti a nome di una sola parte della regione, l’Entità Sionista. Questa crisi è stata storicamente legata al potenziamento prodotto dall’esterno – con qualsiasi mezzo – del suo predomino sull’intera nazione Arabaa. Gli Stati Uniti, nel loro profondo coinvolgimento e nella direzione del conflitto, si preoccupano soltanto della sicurezza e della stabilità dell’Entità Sionista. Rendendo così il conflitto una vera battaglia panaraba.
Il conflitto ininterrotto e la continuazione della resistenza
È stato chiarito che l’obiettivo strategIco statunitense, cioè la rimozione del sistema politico della Repubblica dell’Iraq, non poteva essere raggiunto se non:
1 - con la continuazione, intensificazione e incentivazione dello scontro politico;
2 - contrastando qualsiasi tentavo da parte della leadership politica irachena di allentare l’embargo;
3 – ostacolando le iniziative politiche ed economiche irachene nei confronti dei Paesi della regione e del mondo;
4 - inducendo “se possibile” il riallineamento degli Stati arabi con il piano statunitense finalizzato a rimuovere il sistema politico iracheno operazione che e riusata, con l’accordo di moltii regimi arabi, senza che questi osassero prendere in considerazione le conseguenze di questo programma per l’Iraq, per i detti regimi o per la regione;
5 - tentando di mettere in relazione la scelta strategica della guerra con la legittimità dei pretesti addotti dagli Stati Uniti per scatenare l’aggressione militare, garantendo la leadership statunitense, determinando l’intensità dello scontro armato in relazione alla supremazia militare statunitense, e imponendo le conseguenze politiche [cambio di regime, ndt] che saranno “teoricamente” favorevoli, con l’occupazione dell’Iraq, al conseguimento di un primo obiettivo necessario a realizzare la strategia regionale e globale degli USA.
La leadership politica irachena aveva esaminato a suo tempo, prima dell’aggressione, le seguenti circostanze e prospettive:
1 - il conflitto con gli Stati Uniti non sarebbe rimasto suI piano puramente politico, a causa dei successi ottenuti dall’Iraq nel provocare un’oggettiva contrapposizione tra i punti di vista di Stati Uniti e Gran Bretagna (ad essi asservita) da un Iato e quelli degli altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dall’altro. Questa analisi risulta confermata daI fatto che l’attacco al sistema politico dell’Iraq è “un dichiarato obiettivo principale” e figura nei programmi strategici politici degli Stati Uniti nella regione non da ora ma da molto tempo, e che gli sviluppi della guerra in atto non potranno essere sotto controllo dell’Iraq, il quale sta cercando di evitare l’escalation del conflitto.
2 - Le possibilità di compromesso con gli Stati Uniti in generale, indipendentemente dalla natura dell’amministrazione della Casa Bianca, erano quasi nulle essendo vincolate al cambiamento della mappa geopolitica della regione. Una mappa che è stata disegnata nel 1917 e che ha condotto il Levante arabo all’attuale situazione geografica e politica prodotta dall’imposizione della creazione dell’Entità Sionista. Quest’ultima ha determinato, in funzione deI proprio interesse, il ruolo politico-sociale, politico-economico e relativo alla stabilità [nell’area] assegnato ad ogni unità geopolitica con la quale entra in relazione. Gli Stati Uniti (imperialisti) hanno ereditato dalla Gran Bretagna (colonialista), sviluppato e imposto il proprio “diritto” a far valere le proprie ragioni sopra a quelle degli altri componenti geopolitici della regione, ed hanno esercitato tale “diritto con strumenti diversi al fine di realizzare i propri obiettivi strategici nella regione e nel mondo, in modo da assicurare la sicurezza e la supremazia di “Israele” e la sua egemonia relativa, conseguire il controllo de! petrolio e perseguire le proprie politiche energetiche.
3 - L’impotenza dei regimi arabi nel migliore dei casi, la loro sottomissione e il !oro cospirare nel peggiore, non hanno favorito e non favoriranno la possibilità di portare io scontro con gli USA sul piano politico costringendoli a raggiungere un compromesso. Soprattutto è stata l’acquiescenza dei deboli regimi arabi riguardo all’implementazione selettiva della legittimità internazionale [cioè alla pratica che noi chiamiamo “due pesi e due misure, ndt] arappresentare una via per fermare o impedire il compromesso politico con gli Stati Uniti.
4 - Infine, un ruolo importante è stato svolto dai Paesi arabi, sia dopo l’aggressione all’Iraq dei 1991 che dopo l’11 settembre e in seguito all’occupazione militare, nell’indebolimento del Golfo. Così come bisogna tenere conto dei ruolo affidato all’Iran a causa della sua particolare confessione islamica, ruolo che si accorda con la funzione che i mullah iraniani potranno svolgere in futuro, a detrimento dell’Arabia Saudita che ha ormai esaurito sia il suo ruolo politico che quello svolto in quanto alleato islamico degli USA dopo il crollo deI comunismo e la fine della strumentalizzazione dell’islam “sottomesso e collaborativo”. Quest’ultimo ha condotto alla nascita dal suo stesso grembo dell’islam “pronto alla sfida e resistente”, in contraddizione con l’esistenza stessa e gli orientamenti del regime saudita. L’Iran gioca e giocherà in avvenire un ruolo conseguente alla sua “posizione attuale” di rifiuto dell’islam pronto alla sfida e resistente (nato come conseguenza delle guerre di aggressione degli Stati Uniti all’Iraq e all’Afghanistan, Paesi confinanti con lo stesso Iran).
5 - Gli Stati Uniti hanno condotto alcuni piccoli Paesi arabi del Golfo, e i Paesi del mondo arabo tradizionale anche di altre regioni, a dover assolvere una funzione subordinata agli USA di obbedienza automatica, condizione necessaria al fine di assicurare la continuità del regime, la sua conferma o la sua caduta, la permanenza al potere o la possibilità di trasmetterlo in eredità anche nei casi di regimi non monarchici. I regimi dei piccoli Stati potevano così esercitare una influenza maggiore a danno dei regimi di grandi Stati arabi. Ciò era reso possibile grazie alla “normalizzazione” delle loro relazioni con il nemico Sionista e all’a] lineamento della loro politica, alle concessioni fatte e all’appoggio fornito agli Stati Uniti nella guerra ed occupazione dell’Iraq, cosa che ha successivamente costretto i maggiori Paesi arabi ad accettare le disposizioni e i risultati dell’occupazione illegale.
6 - Da molto tempo, fino dal ristabilimento di normali relazioni diplomatiche con l’Egitto alla metà degli anni ‘80, la leadership irachena ha anche esaminato la profondità delle crisi che il regime egiziano attuale ha ereditato dall’era Sadat, l’incapacità e mancanza di volontà di superarle del suo governo ed il suo stato di paralisi di fronte alle conseguenze; una situazione che ha condotto a neutralizzare le possibilità dell’Egitto e le sue connotazioni quale importante Stato arabo e potenza regionale. Ciò è risultato evidente, all’epoca, dall’esitazione, timore e handicap politico con cui il regime egiziano ha avanzato proposte nel Consiglio Arabo di Cooperazione, dalla sua suscettibilità e dal timore dimostrato nei confronti del regime saudita, oltre che dalla sua diffidenza verso le posizioni degli altri Paesi arabi, sia come singoli Stati che come coalizioni, nonostante la posizione demograficamente politicamente culturalmente e militarmente preminente dell’Egitto nel sistema arabo.
7 – Quando la direzione politica in Iraq ha lanciato il principio del panarabismo, inevitabilmente correlato al conflitto arabo-sionista, con i! solo sostegno della lotta del popolo palestinese contro l’occupazione sionista unito a quello della lotta del popolo iracheno per rompere l’embargo, gli Stati Uniti stavano promuovendo una soluzione “autorizzata” per la causa palestinese attraverso un’intesa con i regimi arabi. L’intesa prevedeva come condizione necessaria per la soluzione dei problema palestinese la rimozione del sistema politico iracheno, e questo con il pretesto [del ristabilimento] della legittimità internazionale con l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Queste risoluzioni hanno imposto lo smantellamento delle armi di distruzione di massa irachene in base al principio dichiarato che si sarebbe trattato di un primo passo per ripulire il Medio Oriente delle stesse armi. Alla fine l’Iraq aveva ragione e non vi erano [in Iraq] armi di distruzione di massa. Ed ora chi chiederà ai regimi arabi di applicare il paragrafo 14 della Risoluzione 768?
L’analisi sopra esposta delle circostanze e delle prospettive era necessaria al fine di spiegare la visione strategica della leadership politica irachena per quanto riguarda:
1 - il perpetuarsi del conflitto;
2 - l’inevitabilità dell’aggressione, illegale e internazionalmente rifiutata;
3 - la complicità dei regimi arabi;
4 - la superiorità militare nemica;
5 - la connivenza e la posizione opportunistica di alcuni Paesi stranieri della regione;
6 - il ruolo conferito all’Entità Sionista in ambito militare, decisionale e politico alla base dell’aggressione ed alla conseguente occupazione;
7 - le minacce e la strumentalizzazione di noti regimi arabi;
8 - la minaccia di smembramento e l’incentivazione degli elementi di divisione in Iraq;
9 - l’evidente convergenza delle posizioni politiche dei fantocci dell’opposizione irachena con i piani dell’occupante e con interessi ristretti, settari, etnici, fanatici ed egoistici;
10 - la [necessità di una] tempestiva preparazione e dell’adozione della linea di resistenza armata che si evolva in una guerra nazionale di liberazione, sulla base di uno specifico programma politico e strategico a livello nazionale iracheno e a livello panarabo.
Sulla base di questi elementi, l’obiettivo della Resistenza armata irachena, condotta e guidata da! Partito Socialista Arabo Baath, come movimento di liberazione è quello di espellere le forze di occupazione e di conseguire la liberazione dell’Iraq, di salvaguardare il Paese e preservarlo unito quale patria per tutti gli iracheni.
Le scelte della Resistenza
irachena adotta e porta avanti le sue scelte fondate su:
1 - la sua responsabilità nazionale e l’identità dell’Iraq, cui appartiene la culla della civiltà umana;
2 - la sua identità nazionale panaraba;
3 - le sue radici nella civiltà islamica;
4 – l’esperienza accumulata e la pratica della jihad.
5 - la sua conoscenza della natura del conflitto di lunga durata e delle sue esigenze;
6 - il suo compito rivoluzionario adempiuto per mezzo di quotidiane azioni militanti;
7 - la sua ispirazione dal pensiero del Baath e dal suo progetto;
8 - le sue analisi, esami e valutazioni della fase e delle battaglie della Resistenza in vista del conseguimento del successo contro l’ occupazione;
9 - l’analisi dei ruoli dei servi dell’occupante e dei collaborazionisti;
10 - l’analisi e la comprensione del ruolo dei regimi arabi sia prima che dopo l’occupazione;
11 - la diffusione dell’informazione in merito alla cooperazione dei Paesi limitrofi stranieri e i loro accordi di collaborazione con l’occupante, accordi stipulati per il proprio interesse nazionale a discapito dell’Iraq e della sua unità nazionale;
12 - la denuncia dell’opportunismo di parti non coinvolte nel conflitto che perseguono propri interessi economici sotto l’occupazione;
13 - l’evidenziazione del ruolo conferito all’Entità Sionista e dell’evoluzione di tale ruolo durante l’occupazione, della collaborazione dei regimi arabi, e/o dell’interconnessione di questi con gli interessi di altre potenze regionali.
Sulla base di quanto detto, la Resistenza
irachena come movimento nazionale di liberazione crede:
1 - nel proseguimento della Resistenza, condotta con qualunque mezzo e in qualunque parte dell’Iraq, indipendentemente dalle risoluzioni internazionali prese dopo l’occupazione e fino a che questa durerà;
2 - nella legittimità della Resistenza e nel suo diritto a intraprendere azioni militari o di qualunque altro genere, a lottare e a combattere contro i funzionari, le strutture, gli assembramenti, le basi, gli accampamenti militari, i quartieri generali, i reparti delle forze occupanti, le loro strutture direttive e di amministrazione, i loro servizi di sostentamento, uffici ed organizzazioni, edifici occupati e centri di sostegno, della polizia, ecc.;
3 - nella legittimità e neI dovere di combattere i collaborazionisti e i lacché, come individui o come partiti, sotto qualsiasi forma di organizzazione o nome si presentino;
4 - nella necessità di impedire e bloccare i tentativi da parte degli occupanti di rubare, sfruttare e di trarre vantaggio, in qualsiasi forma, dalla ricchezza dell’Iraq, dalle proprietà e servizi Iracheni, tanto con mezzi militari, che attraverso operazioni imprenditoriali o servendosi di conoscenze tecnologiche;
5 - nella espansione nella crescita della Resistenza armata, fino a coinvolgere tutto il territorio dell’Iraq e tutti gli iracheni sottolineando sia il dovere che il diritto a resistere e liberare l’Iraq, operando sotto qualsiasi nome o sigla;
6 - nell’impegno per formare l’esercito di liberazione iracheno come evoluzione ulteriore dell’azione della Resistenza per la liberazione dell’Iraq;
7 - nell’impossibilità di ottenere un qualsiasi aiuto da parte dei regimi arabi, impossibilità dovuta a cause legate tanto alla natura del sistema arabo ufficiale come insieme quanto alla natura e al ruolo di alcuni regimi arabi, e particolarmente di quei paesi fantoccio che circondano l’Iraq, che hanno esaurito il loro antico ruolo o che sono disposti a giocarne uno nuovo determinato dall’accordo degli USA con l’Entità Sionista ed in conformità con la visione strategica regionale degli Stati Uniti;
8 - nel dovere e nel diritto delle masse arabe a unirsi alla Resistenza armata irachena, dovere e diritto fondati sulla responsabilità e sul diritto nazionali, che non contraddicono la responsabilità e il diritto basati sul patriottismo iracheno.
Nella fase attuale della lotta di resistenza della jihad irachena, e considerato quanto potrebbe più tardi accadere alla luce dello sviluppo del conflitto nelle sue diverse fasi, l’azione della Resistenza andrà avanti fino al raggiungimento dell’obiettivo finale, tenendo conto del conseguimento di adeguati obiettivi tattici e dell’impasse politica ed etica in cui sono venuti a trovarsi l’amministrazione statunitense e il suo alleato britannico a causa dello scandaloso crollo dei pretesti avanzati per le loro guerre illegali e per l’occupazione dell’Iraq. Gli obiettivi tattici della Resistenza sono orientati verso l’obiettivo strategico, che è quello di espellere le forze di occupazione, liberare l’Iraq e conservarlo unito come patria per tutti gli iracheni.
si pone anche l’obiettivo di aggravare le crisi di questi regimi nella regione, di impedire qualunque esito positivo per gli interessi dei Paesi limitrofi [che vada] a detrimento dell’Iraq e della sua unità nazionale, e di aumentare considerevolmente, [per questi regimi] asserviti all’occupante e dipendenti dalla sua esistenza, il costo del loro appoggio all’aggressione e della loro connivenza con i piani e i programmi degli occupanti in Iraq, [atti di complicità] che mirano a smembrare l’unità nazionale irachena sulla base di interessi etnici, settari, egoistici e stranieri.
Sulla base del programma politico e strategico, l’eroica Resistenza continua, si rafforza, si espande e sostiene battaglie all’interno del conflitto di lunga durata [con gli Stati Uniti e i loro alleati]. La Resistenza passa attraverso le fasi della guerra nazionale di liberazione e dà un esempio trionfale, come hanno fatto precedentemente altri popoli, in diverse epoche della storia dell’umanità, nella loro lotta contro le forze del male, dell’aggressione e contro l’occupazione.
Lunga vita all’Iraq libero, e sia sconfitta l’occupazione.
Lunga vita all’eroica Resistenza irachena.
Lunga vita ai militanti Baath e lunga vita al Segretario Generale Saddam Hussein.
Iddio è il più grande.
Partito Socialista Arabo Baath
Iraq, 9 settembre 2003
* Traduzione a cura dei Comitati contro la Guerra
di Milano. Il testo in arabo e in inglese è reperibile sul sito www.al-moharer.it
Abbiamo ritenuto opportuno pubblicare l’unico documento diffuso in Occidente dopo il 18 marzo 2003, documento che inquadra la strategia della Resistenza irachena entro l’analisi deI contesto storico e non solamente nella attuale fase congiunturale avviata con l’aggressione e l’occupazione dei Paese. Abbiamo motivo di ritenere autentico questo documento sia per la sua coerenza con la visione politica e con le dichiarazioni precedentemente rese pubbliche dal Partito Baath, sia perché redatto e divulgato antecedentemente alla cattura di Saddam Hussein.
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