sabato 29 ottobre 2011

Miseria dell'anticomunismo: Marcello Veneziani e Paolo Mieli, di Stefano Zecchinelli


‘’Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini’’ Antonio Gramsci

‘’Ma ieri ho saputo, che finalmente, si son decisi a farlo, l'han messo dentro, avrà vent'anni, abbiam risparmiato il tempo di ammazzarlo, perchè è malato ed è una cosa vera, che non uscirà vivo dalla galera. 
Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì, non poteva finire altro che così’’ Claudio Lolli

‘’ Un capo delle SA viene a chiederci se un suicida possa essere sepolto con le nostre bandiere. Gli rispondo di sì, a condizione che il suo crollo sia avvenuto in conseguenza dei travagli del nostro tempo’’ Joseph Goebbels


1. Una recente ricerca, nata in seno all’Istituto Antonio Gramsci e condotta da Leonardo Rapone (Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo) sostiene l’assurda tesi che Gramsci, ideologicamente, sarebbe stato un mussoliniano. Questa tesi infamante è sostenuta anche da Marcello Veneziani e Paolo Mieli ed è stata sostenuta dal filosofo democristiano, Augusto del Noce.
Veneziani e Mieli, pensatori neoconservatori, hanno subito colto la palla al balzo scrivendo, il primo, un articolo per ‘’Il Giornale’’ e, il secondo, un saggio breve sul ‘’Corriere della sera’’ Lì hanno sintetizzato quelli che sono per loro gli aspetti salienti della filosofia di Gramsci.
In attesa di occuparmi del vergognoso testo di Rapone, voglio far notare alcuni gravi errori presenti nell’articolo di Veneziani e in quello di Mieli, testi che rientrano in una vera e propria operazione di ‘’revisionismo culturale’’.
Gramsci sapeva molto bene (si leggano le ‘’Note su Machiavelli’’) come le borghesie hanno la vitale necessità di ricostruire in modo lineare la loro storia. Il grande sardo parlò di ‘’spirito dello Stato’’ ed è proprio in virtù di ciò che nel pantheon dei suoi ideologi la borghesia (uso questo termine antico anche se siamo davanti ad una global class, che presenta delle proiezioni locali) cerca di tirare dentro, l’eroico protagonista del Congresso di Lione.
Prima di passare ai saggi in questione voglio riportare alcuni stralci dalle ‘’Lettere dal carcere’’ del nostro (e teniamocelo stretto ad Antonio Gramsci):

‘’ Ecco il mio punto di vista: - Sono giunto a un punto tale che le mie forze di
resistenza stanno per crollare completamente, non so con quali conseguenze. In questi giorni mi
sento così male come non sono mai stato; da più di otto giorni non dormo più di tre quarti d'ora per notte e intere notti non chiudo occhio. E' certissimo che se l'insonnia forzata non determina essa alcuni mali specifici, li aggrava però talmente e li accompagna con tali malesseri concomitanti, che il complesso dell'esistenza diventa insopportabile e qualunque via d'uscita, anche la più pericolosa e accidentata diventa preferibile alla continuazione dello stato presente. Tuttavia, prima di entrare nella via da te proposta, voglio ancora fare un tentativo presso il signor direttore del carcere e se necessario presso il signor giudice di sorveglianza, per vedere se sia possibile ottenere che siano rimosse le condizioni che determinano l'attuale stato di cose. Ciò non è per nulla impossibile e lo preferirei per evitare le spese notevoli che la visita di un medico di fiducia porta con sé. D'altronde anche un tal medico non potrebbe non giungere alla conclusione che le mie condizioni disastrose sono in tante parte dovute alla mancanza di sonno, che la quistione si presenterebbe in questi termini e in essi occorrerebbe risolverla almeno inizialmente. Si tratta di rimandare, nella peggiore delle ipotesi, la realizzazione della tua proposta per il mese di settembre. Alla fine di settembre dovrò per forza giungere a una conclusione, se non voglio diventare pazzo o entrare in una fase che io stesso non so immaginare tanto sono stremato’’


‘’Io ho attraversato molti brutti momenti, mi sono sentito tante volte fisicamente debole e quasi stremato, però non ho mai ceduto alla debolezza fisica e per quanto è possibile dire in queste cose, non credo che cederò neanche d'ora in avanti. Eppure posso aiutarmi ben poco. Quanto più mi accorgo di dover attraversare brutti momenti, di essere debole, di veder aggravarsi le difficoltà, tanto più mi irrigidisco nella tensione di tutte le mie forze volitive. Qualche volta riepilogo questi anni passati, penso al passato e mi pare che se sei anni fa mi fossi prospettato di dover attraversare ciò che ho attraversato, non l'avrei creduto possibile, avrei giudicato di dovermi spezzare ad ogni momento. Proprio sei anni fa, sono passato, indovina? da Ravisindoli, in
Abruzzo, che tu qualche volta hai ricordato per esserci stata in villeggiatura, d'estate. Ci sono passato chiuso in un vagone di metallo che era stato tutta la notte sotto la neve e io non avevo né
soprabito, né maglia di lana e non potevo neanche muovermi perché bisognava stare seduti per la
mancanza di spazio. Tremavo tutto come per la febbre, battevo i denti, e mi pareva di non essere in grado di finire il viaggio perché il cuore sarebbe gelato. Eppure sono trascorsi sei anni da allora e sono riuscito a cacciarmi di dosso quel freddo da ghiacciaia e se qualche volta mi tornano quei
brividi (che un po' mi sono rimasti nelle ossa) mi metto a ridere ricordando quel che allora pensavo
e mi paiono fanciullaggini’’.

Il trattamento che Gramsci ha subito nelle carceri fasciste urla ancora, a quasi ottanta anni di distanza, vendetta. E’ impressionante come il togliattismo abbia dato ideologi alla global class, reazionari della peggior specie, a partire da questo Rapone.
Questo non mi meraviglia, per carità, se al governo attuale abbiamo dei post-fascisti, la dice lunga sulla linea di Togliatti riguardante la rivoluzione a tappe, a incominciare dallo stesso Ercole Ercoli (Togliatti per l’appunto) che fece l’appello ai fratelli in camicia nera nel 1936. Rapone non ha tradito nulla, falsari erano e falsari sono questi miserabili signori.
Inizio adesso con l’analizzare il testo di Veneziani e cercherò di smontarlo pezzo per pezzo, poi, circa a metà lavoro farò i riferimenti opportuni al saggio di Mieli, e smonterò il suo impianto metodologico. Vorrei che il lettore mi prendesse alla lettera quando dico che voglio fare a pezzi l’articolo di Veneziani.

2. Senza perdermi in discorsi introduttivi riporto quello che dice ‘’il loro’’:

‘’ E Gramsci fu dalla parte di Mussolini a sostenere l’intervento e a riconoscerlo come capo del socialismo rivoluzionario (fra gli interventisti intervenuti ci furono pure i futuri azionisti e i futuri comunisti come il giovane Peppino Di Vittorio). Per un pelo Gramsci non collaborò al Popolo d’Italia’’.

Gramsci ebbe uno sbandamento davanti la prima guerra mondiale ma non fu per nulla interventista nei termini detti da Veneziani.
Il primo articolo di Gramsci è dedicato proprio al tema della guerra e si intitola ‘’Neutralità attiva ed operante’’, pubblicato sul ‘’Grido del popolo’’ il 31 ottobre 1914.
Gramsci, influenzato da Gaetano Salvemini, contrappose alla ‘’neutralità assoluta’’ del Partito socialista, la neutralità operante, operante nel senso che fosse una rottura con lo stato di inerzia in cui si trovava il proletariato italiano.
Cediamo la parola al grande sardo:

‘’Ma i rivoluzionari che concepiscono la storia come creazione del proprio spirito, fatta di una serie ininterrotta di strappi operanti sulle altre forze attive e passive della società, e preparano il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione) non devono accontentarsi della formula provvisoria ‘’neutralità assoluta’’, ma devono trasformarla nell’altra ‘’neutralità attiva ed operante’’. Il che vuol dire dare alla vita della nazione il suo genuino e schietto carattere di lotta di classe, in quanto la classe lavoratrice, obbligando la classe detentrice del potere ad assumere le sue responsabilità, obbligandola a portare fino all’assoluto le premesse da cui trae la sua ragione di esistere, a subire l’esame della preparazione con cui ha cercato di arrivare al fine che diceva esserle proprio, la obbliga (nel caso nostro, in Italia) a riconoscere che essa ha completamente fatto al suo scopo, poiché ha condotto la nazione, di cui si proclama unica rappresentante, in un vicolo cieco, da cui essa nazione non potrà uscire se non abbandonando al proprio destino tutti questi istituti che del presente suo tristissimo stato sono direttamente responsabili’’ (Antonio Gramsci, Neutralità attiva ed operante, 31 ottobre 1914).

Antonio Gramsci non fa altro che interpretare le posizioni di Mussolini ed infatti nel paragrafo seguente scrive:

‘’Non un abbracciamento generale vuole quindi il Mussolini, non una fusione di tutti i partiti in un’unanimità nazionale, che allora la sua posizione sarebbe antisocialista. Egli vorrebbe che il proletariato, avendo acquistato una chiara coscienza della sua forza di classe e della sua potenzialità rivoluzionaria, e riconoscendo per il momento la propria immaturità ad assumere il timone dello Stato (a fare la (…) una disciplina ideale, e permettesse che nella storia fossero lasciate operare quelle forze che il proletariato, non sentendosi di sostituire, ritiene più forti’’.

Dal 15 novembre Mussolini sostenne aperte posizioni interventiste (il 24 novembre 1914 venne espulso dal Partito socialista) non per ragioni ideologiche ma, perché, aveva accettato di essere la marionetta degli imperialismi francese ed inglese –che appoggiarono fin dall’inizio il regime fascista- e dei grandi industriali del Nord.
Gramsci, invece, si avvicinò sempre di più alle posizioni di Lenin, riguardanti la guerra imperialistica. Inoltre l’articolo da me riportato mantiene il grande sardo molto lontano dalle posizioni mussoliniane che influenzano gran parte del Partito socialista.
Un Gramsci, quello di allora, vicino a Serrati, con il quale coniò il concetto di ‘’politica intransigente’’, non di certo vicino –come hanno dimostrato gli avvenimenti futuri- alla marionetta dell’imperialismo inglese, Benito Mussolini.
La prima operazione ideologica che possiamo intravedere è quella di inquadrare il fascismo come un ‘’sistema governativo’’ da discutere ma non come un imperialismo, bestiale davanti a popolazioni inermi, e ascaro e stracciono davanti potenze come l’Inghilterra prima e la Germania nazista poi.

Continua Veneziani:

‘’ Non fu il solo, tra i fondatori del partito comunista, a subire l’influenza di Mussolini. Nicola Bombacci finì a Salò con Mussolini. E Angelo Tasca, fondatore del Pci e poi leader del Psi con Saragat alla fine degli anni Trenta, finì collaborazionista a Vichy, funzionario del regime di Pétain e sostenitore del patto tra l’Urss di Stalin e la Germania di Hitler’’.

L’ideologia qui non c’entra nulla. Mimmo Franzinelli con una rigorosissima ricerca storica ‘’I tentacoli dell’OVRA. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista’’ ricostruisce la storia dei ‘’comunisti’’ passati dall’altra parte. Nulla a che vedere con la filosofia di Hegel o le ‘’vie nazionali al socialismo’’.
Veneziani scrive che Angelo Tasca fu ‘’ funzionario del regime di Pétain e sostenitore del patto tra l’Urss di Stalin e la Germania di Hitler’’, falsità storica: Angelo Tasca fu un sostenitore del fascismo francese, un losco personaggio, ma non sostenne il Patto di non aggressione (Germania-Urss), anzi scrisse ‘’ Le pacte germano-soviétique. L'historie et le myhthe’’, tradotto in italiano ‘’  Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda’’, in cui ‘’denunciò’’ una inesistente politica imperialista dell’Urss (cosa pazzesca dato che l’Urss era uno Stato operaio seppur, come disse Trotsky, con distorsioni burocratiche).

3. Andiamo avanti con il nostro discorso. Veneziani si ricollega a Mieli e al suo saggio.
Dice M.V.:


‘’ All’epoca dell’Ordine nuovo gramsciano, scrisse Tasca, eravamo tutti gentiliani, Togliatti incluso.
Il punto di raccordo delle culture radicali del nostro Paese fu l’antigiolittismo, la critica al moderatismo corrotto e corruttore, secondo i rivoluzionari dell’epoca e lo stesso Salvemini. E la critica alla democrazia. Paolo Mieli, in un ampio saggio sul Corriere della sera, sostiene con Rapone che Gramsci in quel tempo criticava la democrazia ma difendeva il liberalismo. Vero, a patto di considerare che per lui come poi per Gobetti, esempio di Rivoluzione liberale era la rivoluzione bolscevica dei soviet. Lì è infatti il discrimine tra Mussolini e Gramsci, e tra il fascismo e l’italocomunismo: partiti dalla stessa radice, entrambi persuasi da Gentile e da Sorel del primato volontarista dell’azione - che in Gramsci si fa filosofia della prassi e in Mussolini attivismo - si divaricano invece sulla rivoluzione sovietica. Mussolini «scopre» la nazione, Gramsci e il Pc optano per l’Urss di Lenin’’.

Giovanni Gentile scrisse nel 1899 su saggio ‘’La filosofia di Marx’’ che piacque molto a Lenin. E’ ovvio che abbia esercito una certa influenza sugli ordinovisti di allora.
Andando avanti Veneziani si richiama al saggio di Mieli. Vediamo, ora, cosa dice Mieli:

‘’ E ancora nel 1917, quando tra i socialisti si fa largo la tentazione di accogliere le avances di Giolitti per dar vita ad un governo «migliore» che prepari «le condizioni più favorevoli di vita e di sviluppo della classe operaia», Gramsci indica quello statista come «il pericolo maggiore da combattere per i socialisti» e lo definisce «un avversario, forse, in questo momento, il più temibile degli avversari». Nell'urto assai forte con il giolittismo, fa notare Rapone, «resta, malgrado le analogie verbali, una fondamentale diversità di ispirazione, e non solo per l'ovvia ragione che si trattava di antigiolittismi che muovevano da fronti politici opposti, ma per il diverso rapporto che dalle due parti si istituiva tra Giolitti e il liberalismo: se per la frizzante intellettualità borghese Giolitti era il simbolo dello scivolamento del liberalismo verso la democrazia, qui stava l'origine della sua funzione corruttrice e da qui veniva ammonimento a stringere piuttosto che ad allargare le maglie della concezione liberale, per Gramsci Giolitti, semplicemente, nulla aveva a che vedere con il vero liberalismo e ne faceva rimpiangere l'assenza in Italia». «I liberali in Italia sono soltanto uno scherzo di cattivo genere. Essi non si distinguono in nulla dalle altre correnti sociali; politicamente valgono zero», scrive. Quanto a Giolitti, «in concreto ha sempre voluto dire: protezione doganale, accentramento statale con la tirannia burocratica, corruzione del Parlamento, favori al clero e alle caste privilegiate, schioppettate sulle strade contro gli scioperanti, mazzieri elettorali». Nessuna indulgenza per le aperture di Giolitti al riformismo socialista. Anzi: il suo è «un programma di trasformismo, di confusionismo delle forze politiche italiane». L'uomo di Dronero «ha dato sempre all'Italia i peggiori dei governi, i più truffaldini dei governi». Ma il vero bersaglio polemico di Gramsci è la democrazia contrapposta al liberalismo, in particolare quello dell'esperienza storica inglese’’.

Gramsci, in realtà, quando critica Giolitti penso (personalmente) che inizi a gettare le basi teoriche per i suoi studi sul cesarismo (regressivo e progressivo). Nella elaborazione di questa nozione –che fra poco vedremo- il grande sardo si avvicinò proprio, guarda un po’, a Leon Trotsky. Comunque cerchiamo di capire perché Gramsci criticò Giolitti.
La critica del nostro a Giolitti, rappresentante della borghesia italiana, non può essere svincolata dalla analisi che Gramsci fece del Sud Italia. Secondo A.G. le classi sociali nel meridione sono tre: 1) la grande massa contadina amorfa e disgregata; 2) gli intellettuali della media borghesia; 3) i grandi proprietari terrieri e i grandi intellettuali. Lo strato medio degli intellettuali riceve dallo strato medio dei contadini ‘’le pulsioni per la sua attività politica ed ideologica’’ (parole di Gramsci). I grandi proprietari terrieri e i grandi intellettuali centralizzano e dominano queste manifestazioni. Da questo punto di vista Giustino Fortunato e Benedetto Croce sono le due principali figure della reazione in Italia. Gramsci contesta a Giolitti l’aver scelto una politica protezionistica alleandosi con il contadiname cattolico del Nord Est, a discapito dei contadini poveri del Sud e degli operai del Nord. Questo, e un comunista come il nostro lo sapeva bene, consolidava l’alleanza borghesia-contadini ed allontanava i contadini dagli operai.
Cito ancora la parte finale del discorso di Mieli ‘’ Nessuna indulgenza per le aperture di Giolitti al riformismo socialista. Anzi: il suo è «un programma di trasformismo, di confusionismo delle forze politiche italiane». L'uomo di Dronero «ha dato sempre all'Italia i peggiori dei governi, i più truffaldini dei governi». Ma il vero bersaglio polemico di Gramsci è la democrazia contrapposta al liberalismo, in particolare quello dell'esperienza storica inglese’’.
Quello di Giolitti era un governo bonapartista che mediava interessi contrapposti fra fazioni della borghesia. La verità, caro Mieli, è che Gramsci condivideva, in termini diversi, quello che su Giolitti scrisse Trotsky:

‘’L’analogia con il bonapartismo, nettamente definita e concreta non solo aiuta a chiarire il ruolo dell’ultimo gabinetto Giolitto, che ha manovrato tra i fascisti e i socialisti, ma mette in luce anche l’attuale regime di transizione in Austria. Si può già oggi parlare della profonda necessità logica di un periodo di ‘’transizione bonapartista’’ tra il parlamentarismo e il fascismo’’ (Leon Trotsky, Scritti sull’Italia, Ed. Massari 2001).

Antonio Gramsci nel saggio ‘’Alcuni temi della quistione meridionale’’ si concentra proprio sul concetto di ‘’blocco agrario’’ dominato dai grandi proprietari fondiari. Queste sono le basi sociali da cui, nella prima analisi gramsciana, uscirà fuori il regime fascista. Lo capisce questo Paolo Mieli? Ma lasciamo stare, non capisce nulla. Inoltre bene faccio a citare Trotsky a dimostrazione di una convergenza di analisi fra il grande sardo e il costruttore dell’Armata Rossa (altro che Gramsci mussoliniano).
Ovviamente Gramsci riprende molto da George Sorel ma non si capisce perchè ciò dovrebbe dimostrare che Gramsci poteva aderire al fascismo. Sono tutte sciocchezze e niente altro.

Veneziani completa il tutto dicendo:

‘’ Vero, a patto di considerare che per lui come poi per Gobetti, esempio di Rivoluzione liberale era la rivoluzione bolscevica dei soviet. Lì è infatti il discrimine tra Mussolini e Gramsci, e tra il fascismo e l’italocomunismo: partiti dalla stessa radice, entrambi persuasi da Gentile e da Sorel del primato volontarista dell’azione - che in Gramsci si fa filosofia della prassi e in Mussolini attivismo - si divaricano invece sulla rivoluzione sovietica. Mussolini «scopre» la nazione, Gramsci e il Pc optano per l’Urss di Lenin’’

Ecco un’altra imprecisione. Replichiamo a Veneziani facendo parlare Gramsci, almeno capiremo che cosa davvero A.G. ammirava in Piero Gobetti:

‘’Perché avremmo dovuto lottare contro il movimento di Rivoluzione Liberale? Forse perché esso non era costituito di comunisti puri che avessero accettato dall’A alla Z il nostro programma e la nostra dottrina? Questo non poteva essere domandato perché sarebbe stato politicamente e storicamente un paradosso. Gli intellettuali si sviluppano lentamente, molto più lentamente di qualsiasi altro gruppo sociale, per la stessa loro natura e funzione storica. Essi rappresentano tutta la tradizione culturale di un popolo, vogliono riassumerne e sintetizzarne tutta la storia: ciò sia detto specialmente del vecchio tipo di intellettuale, dell’intellettuale nato sul terreno contadino. Pensare possibile che esso possa, come massa, rompere con tutto il passato per porsi completamente sul terreno di una nuova ideologia, è assurdo’’ (Antonio Gramsci, Scritti di economia politica, Ed. Universale Bollati Boringhieri 1994).

Gramsci era interessato alla evoluzione politica e culturale di Gobetti, inoltre Gobetti serviva ai comunisti come collegamento con ‘’gli intellettuali nati sul terreno della tecnica capitalistica che avevano assunto una posizione di sinistra, favorevole alla dittatura del proletariato nel 1919-‘20’’ (parole di Gramsci) e come collegamento con gli intellettuali meridionali, infatti Gramsci si interessò alla figura di Guido Dorso.
In questo modo si sarebbe potuto rompere il ‘’blocco agrario’’ di cui su ho parlato. Nessuna contrapposizione fra democrazia e liberalismo, Gramsci prende delle decisioni tattiche per favorire la rivoluzione sociale in Italia.
Veneziani ha scritto ‘’ Vero, a patto di considerare che per lui come poi per Gobetti, esempio di Rivoluzione liberale era la rivoluzione bolscevica dei soviet’’, però non chiarisce, stando a questa affermazione, come mai Gobetti abbia preso questa posizione. Per Gobetti la creazione di uno Stato dal basso, quindi di uno stato egalitario, era un principio fondamentale del liberalismo. Non c’è libertà senza uguaglianza, principio cardine dei liberali di sinistra.
Veneziano continua ‘’ Lì è infatti il discrimine tra Mussolini e Gramsci, e tra il fascismo e l’italocomunismo: partiti dalla stessa radice, entrambi persuasi da Gentile e da Sorel del primato volontarista dell’azione - che in Gramsci si fa filosofia della prassi e in Mussolini attivismo - si divaricano invece sulla rivoluzione sovietica. Mussolini «scopre» la nazione, Gramsci e il Pc optano per l’Urss di Lenin’’.
Mussolini non scopre nessuna nazione. Il fascismo ha dato il peggio di sé proprio per ciò che riguarda la questione nazionale, a partire dall’imperialismo nei Balcani, in Libia, in Etiopia, dalla soppressione delle minoranze linguistiche, e dalla fascistizzazione della italianità.
Mentre per ciò che riguarda il Gramsci liberale, abbiamo visto (e lo ripeto in modo monotono) che A.G. si preoccupò principalmente di fare delle scelte politiche che gli consentono di rompere il ‘’blocco storico’’ dominante. Veneziani fraintende gravemente sia il pensiero di Gramsci che quello di Gobetti.
Paolo Mieli non è da meno, dato che appiccica frasi decontestualizzate senza nemmeno citare i testi di riferimento. Leggere per credere:

‘’ La democrazia, scriverà ancora Gramsci su «Il Grido del popolo» nell'ottobre del 1918, «esplica una funzione morbosa di confusionismo, di scrocco, di predicazione dell'incoerenza. È impaludamento, più che effettivo progresso». Parole che rimandano a Sorel, il quale per primo aveva usato l'espressione «pantano democratico»’’.

Gramsci come tutti i marxisti non fa niente altro che criticare la democrazia borghese in linea, oltretutto, con lo studio di Lenin su ‘’Stato e rivoluzione’’, che poi parta dal volontarismo soreliano non penso che significhi gran che, almeno sulla base delle argomentazioni di Mieli.

Continua l’ex direttore del Corriere della sera:

‘’  E, guardandosi indietro, giudica una tappa fondamentale dello sviluppo del socialismo in Italia  E, guardandosi indietro, giudica una tappa fondamentale dello sviluppo del socialismo in Italia l'emancipazione da quei blocchi «demo-massonici» nei quali, «durante l'età giolittiana, in occasione di elezioni amministrative, i socialisti si erano mescolati con gruppi e personalità della democrazia radicale e repubblicana, il più delle volte sotto l'egida di un accentuato anticlericalismo (altra manifestazione, quest'ultima, del confusionismo ideologico imperante tra i democratici)’’.

Gramsci avrebbe quindi auspicato questo schifo ‘’  E, guardandosi indietro, giudica una tappa fondamentale dello sviluppo del socialismo in Italia l'emancipazione da quei blocchi «demo-massonici» nei quali, «durante l'età giolittiana, in occasione di elezioni amministrative, i socialisti si erano mescolati con gruppi e personalità della democrazia radicale e repubblicana, il più delle volte sotto l'egida di un accentuato anticlericalismo (altra manifestazione, quest'ultima, del confusionismo ideologico imperante tra i democratici)»’’? Non mi risulta. Nel discorso alla Camera del 16 maggio 1925, il grande sardo dice (e replica a Mieli):

"Il problema è questo: la situazione del capitalismo in Italia si è rafforzata o si è indebolita dopo la guerra, col fenomeno fascista? Quali erano le debolezze della borghesia capitalistica italiana prima della guerra, debolezze che hanno portato alla creazione di quel determinato sistema politico-massonico che esisteva in Italia, che ha avuto il suo massimo sviluppo nel giolittismo? Le debolezze massime della vita nazionale italiana erano in primo luogo la mancanza di materie prime, cioè la impossibilità per la borghesia di creare in Italia una sua radice profonda nel paese e che potesse progressivamente svilupparsi, assorbendo la mano d'opera esuberante. In secondo luogo la mancanza di colonie legate alla madre patria, quindi la impossibilità per la borghesia di creare una aristocrazia operaia che permanentemente potesse essere alleata della borghesia stessa. Terzo, la questione meridionale, cioè la questione dei contadini, legata strettamente al problema della emigrazione, che è la prova della incapacità della borghesia italiana di mantenere...’’

Quindi denuncia il ruolo della massoneria nella democrazia italiana, vero Mieli? Interessante la conclusione del discorso di A.G. :

‘’ Il Corriere della Sera ha sostenuto sistematicamente tutti gli uomini politici del Mezzogiorno, da Salandra ad Orlando, a Nitti, ad Amendola; di fronte alla soluzione giolittiana, oppressiva non solo di classi, ma addirittura di interi territori, come il Mezzogiorno e le isole, e perciò altrettanto pericolosa che l'attuale fascismo per la stessa unità materiale dello Stato italiano, il Corriere della Sera ha sostenuto sempre un'alleanza tra gli industriali del Nord e una certa vaga democrazia rurale prevalentemente meridionale sul terreno del libero scambio. L'una e l'altra soluzione tendevano essenzialmente a dare allo Stato italiano una più larga base di quella originaria, tendevano a sviluppare le "conquiste" del Risorgimento. Che cosa oppongono i fascisti a queste soluzioni? Essi oppongono oggi la legge cosiddetta contro la massoneria; essi dicono di volere così conquistare lo Stato. In realtà il fascismo lotta contro la sola forza organizzata efficientemente che la borghesia capitalistica avesse in Italia, per soppiantarla nella occupazione dei posti che lo Stato dà ai suoi funzionari. La "rivoluzione" fascista è solo la sostituzione di un personale amministrativo ad un altro personale".

Sembra che Gramsci ce l’abbia proprio con Mieli dato quello che su aveva detto l’ex direttore del Corriere della Sera. Davvero vergognoso.
Il discorso di Mieli è semplice: trasformare Gramsci in un liberale (era per il liberismo contro la democrazia, dicono Mieli e Veneziani) ed affiancarlo al suo ‘’ Una rilettura liberale di Giovanni Gentile’’. In questo modo si trasforma Gramsci in un anticomunista (il senso è questo anche se non è espressamente detto) e si salva il fascismo in quanto regime non autoritario ma con grandi lineamenti liberali (cosa sostenuta da Gentile –secondo Mieli- ed ora –sempre secondo Mieli- da Gramsci). Non è tutto; Mieli parte da una presunta contrapposizione ‘’democrazia contro liberismo’’, il gioco è questo: la democrazia viene fatta coincidere con il socialismo, mentre il liberismo con il suo superamento progressivo Morale della favola: il pantheon borghese si tira dentro Gentile, Gramsci e consacra la concezione dei neoconservatori (di cui Mieli è un esponente in Italia) che vede la democrazia pericolosa per il funzionamento del mercato.
Tutto qui, non c’è nulla di nuovo nell’operare di questi signori. Ritorno al testo di Veneziani.

4. Veneziani dice:

‘’Gramsci accusa il fascismo non di aver instaurato una dittatura totalitaria ma di aver tradito la rivoluzione nel compromesso con la borghesia, la monarchia, il capitale e la Chiesa. Ovvero accusa il fascismo di essere un totalitarismo incompiuto, imborghesito. E non respinge del fascismo né il cesarismo né la violenza, ma distingue tra un cesarismo e una violenza progressivi, che poi sarebbero quelli leninisti e comunisti, e un cesarismo e una violenza regressivi. Lo scrive nelle Note sul Machiavelli, e lo dice nello scontro alla Camera con Mussolini nel ’25. Ma chi stabilisce la differenza fra una dittatura e una violenza buone o cattive? L’Intellettuale Collettivo, lo stesso Partito, nuovo Principe assoluto e il suo Ideologo...’’

Errori sopra errori, imprecisioni sopra imprecisioni. Andiamo per ordine.

1) Gramsci accusa il fascismo non di aver instaurato una dittatura totalitaria ma di aver tradito la rivoluzione nel compromesso con la borghesia, la monarchia, il capitale e la Chiesa. (Marcello Veneziani)

Gramsci si aspettava la rivoluzione dal fascismo? Veneziani sta giocando molto sporco, prendo uno dei primi scritti di Gramsci sul movimento fascista. Antonio Gramsci descrive così la bestia nera:

‘’Il fascismo conservò sempre questo vizio d’origine. Il fervor dell’offensiva armata impedì fino ad oggi l’aggravarsi del dissidio fra i nuclei urbani, piccolo-borghesi, prevalentemente parlamentari e collaborazionisti, e quelli rurali, formati da proprietari terrieri grandi e medi e dagli stessi coloni, interessati alla lotta contro i contadini poveri e le loro organizzazioni, recisamente antisindacali, reazionari, più fiduciosi nell’azione armata diretta che nell’autorità dello Stato e nell’efficacia del parlamentarismo’’ (Antonio Gramsci, I due fascismi, 25 agosto 1921).

Non mi sembra la descrizione di un movimento rivoluzionario e siamo solo all’inizio.

2) . Ovvero accusa il fascismo di essere un totalitarismo incompiuto, imborghesito (Marcello Veneziani)

Parole mai usate da Gramsci. A.G. capirà che ‘’totalitario’’ era il nuovo sistema sociale emergente: il fordismo. Il fordismo si è cercato di introdurlo in Europa attraverso i fascismi che hanno tentato di conciliare l’inconciliabile: la vecchia ed anacronistica struttura sociale demografica europea con una forma modernissima di produzione e di modo di lavorare quale è offerta dal tipo americano più perfezionato, l’industria di Enrico Ford. Questo è il totalitarismo di cui parla Gramsci e che verrà ripreso da Marcuse (su ciò si legga ‘’Americanismo e fordismo’’). Veneziani parla di cose inesistenti.

3) E non respinge del fascismo né il cesarismo né la violenza, ma distingue tra un cesarismo e una violenza progressivi, che poi sarebbero quelli leninisti e comunisti, e un cesarismo e una violenza regressivi (Marcello Veneziani)

Il cesarismo non c’entra nulla (o al massimo c’entra ben poco) con il fascismo. Gramsci definisce cesarismo una particolare situazione storica in cui, i due blocchi sociali antagonisti, si equilibrano in modo catastrofico, e cioè che la lotta non può concludersi. Il nostro si riferisce prevalentemente alla dittatura di Napoleone I (bonapartismo progressivo) e alla dittatura di Napoleone III o Bismarck (bonapartismi regressivi). Siccome Veneziani poco più avanti dice ‘’ Lo scrive nelle Note sul Machiavelli, e lo dice nello scontro alla Camera con Mussolini nel ’25’’, io lo faccio smentire direttamente dall’interessato. Leggete cosa realmente dice Gramsci:

‘’ Si può dire che il cesarismo esprime una situazione in cui le forze in lotta si equilibrano in modo catastrofico, cioè si equilibrano in modo che la continuazione della lotta non può concludersi che con la distruzione reciproca. Quando la forza progressiva A lotta con la forza regressiva B, può avvenire non solo che A vinca B o B vinca A, può avvenire anche che non vinca né A né B, ma si svenino reciprocamente e una terza forza C intervenga dall'esterno assoggettando ciò che resta di A e di B. Nell'Italia dopo la morte del Magnifico è appunto successo questo, com'era successo nel mondo antico con le invasioni barbariche. Ma il cesarismo, se esprime sempre la soluzione "arbitrale", affidata a una grande personalità, di una situazione storico-politica caratterizzata da un equilibrio di forze a prospettiva catastrofica, non ha sempre lo stesso significato storico. Ci può essere un cesarismo progressivo e uno regressivo e il significato esatto di ogni forma di cesarismo, in ultima analisi, può essere ricostruito dalla storia concreta e non da uno schema sociologico. È progressivo il cesarismo, quando il suo intervento aiuta la forza progressiva a trionfare sia pure con certi compromessi e temperamenti limitativi della vittoria; è regressivo quando il suo intervento aiuta a trionfare la forza regressiva, anche in questo caso con certi compromessi e limitazioni, che però hanno un valore, una portata e un significato diversi che non nel caso precedente. Cesare e Napoleone I sono esempi di cesarismo progressivo. Napoleone III e Bismarck di cesarismo regressivo. Si tratta di vedere se nella dialettica rivoluzione-restaurazione è l'elemento rivoluzione o quello restaurazione che prevale, poiché è certo che nel movimento storico non si torna mai indietro e non esistono restaurazioni in toto. Del resto il cesarismo è una formula polemico-ideologica e non un canone di interpretazione storica. Si può avere soluzione cesarista anche senza un Cesare, senza una grande personalità "eroica e rappresentativa". Il sistema parlamentare ha dato anch'esso un meccanismo per tali soluzioni di compromesso’’ (Antonio Gramsci, Note su Machiavelli).

E’ incredibile la disonestà intellettuale con cui Veneziani ha trattato questi argomenti e questo signore passa anche per uno dei maggiori intellettuali che ci sono oggi in Italia. Come ho detto in un’altra occasione ‘’schifo e miseria della borghesia italiota’’.

In conclusione Veneziani dice:

‘’ E la scoperta del nazionalpopolare nel tentativo di una via italiana al comunismo. Ma in entrambi si insinua il germe leninista: nel primato della cultura si insinua il primato dell’Intellettuale Collettivo, del Partito-Principe tramite l’egemonia.
E nel secondo, il nazional-popolare non incontra la tradizione ma la sua negazione, attraverso l’idea di una Riforma irreligiosa e di un illuminismo portato alle masse da una dittatura pedagogica e totalitaria. La morte di Gramsci dopo il carcere riscatta il suo pensiero e lo accomuna a Gobetti e Gentile, martiri delle proprie idee o Eroi Intellettuali’’.

Ecco qui che il discorso di Veneziani arriva allo stesso punto di quello di Mieli. Fra neoconservatori ci si intende sempre.

Molto brevemente segnalo:

1) E la scoperta del nazionalpopolare nel tentativo di una via italiana al comunismo (Marcello Veneziani)


Non esistono ‘’vie nazionali al comunismo’’ nemmeno nello stalinismo più ceco, al massimo si parla di ‘’vie nazionali al socialismo’’. Qui non si sa nemmeno la differenza fra socialismo e comunismo. Veneziani vuole parlare del marxismo di Gramsci senza conoscere le nozioni fondamentali della teoria marxista. Comunque Antonio Gramsci –replico velocemente- ha fatto una critica al cosmopolitismo astratto. Il loro continua a sparare nel vuoto.

2) Ma in entrambi si insinua il germe leninista: nel primato della cultura si insinua il primato dell’Intellettuale Collettivo, del Partito-Principe tramite l’egemonia (Marcello Veneziani)

Per Gramsci l’egemonia è l’altra faccia del dominio; le due cose sono quasi complementari. Le classi dominanti non si limitano ad usare la forza ma usano anche la persuasione, creano una opinione pubblica a loro immagine e somiglianza. Non è un caso che la CIA, che ha un Ufficio per la promozione della cultura e un Ufficio per il condizionamento psicologico, studia Gramsci dai primi anni ’50.

3) E nel secondo, il nazional-popolare non incontra la tradizione ma la sua negazione, attraverso l’idea di una Riforma irreligiosa e di un illuminismo portato alle masse da una dittatura pedagogica e totalitaria (Marcello Veneziani)

Parole vuote, prive di senso.

4) La morte di Gramsci dopo il carcere riscatta il suo pensiero e lo accomuna a Gobetti e Gentile, martiri delle proprie idee o Eroi Intellettuali

Ecco fatto, si salvano i grandi pensatori, il resto non conta. Che poi per Gramsci l’intellettuale organico collettivo fosse il Partito comunista non importa, si può soprassedere, come si può soprassedere sul ‘’fare in Italia come in Russia’’. La critica di questi signori è molto sterile.

5. Per non lasciarmi niente in sospeso segnalo, all’inizio del testo di Veneziani:

‘’ Quanto Mussolini c’era in Gramsci. E quanto Sorel, quanto Gentile, maestri del fascismo. Quanta ammirazione c’era in Gramsci per il d’Annunzio di Fiume e per il futurismo, che furono i precursori artistici del fascismo. E quanta considerazione per Oriani, Papini e Prezzolini. Di un Gramsci mussoliniano scrissi diversi anni fa, prima di me avevano scritto Augusto del Noce e pochi altri. Ma prima di tutti lo aveva detto lo stesso Mussolini che nel ’21 alla Camera aveva riconosciuto Gramsci e i comunisti italiani suoi «figli spirituali». E aggiunse: «io per primo ho infettato codesta gente»’’.

Ripartiamo daccapo:

1) quanto Sorel, quanto Gentile, maestri del fascismo (M.V.)

Sorel è anche considerato il padre del sindacalismo rivoluzionario francese, è stato un esponente della Seconda Internazionale Comunista. Qui Veneziani utilizza –sulla scia di Norberto Bobbio- una interpretazione volta a decontestualizzare del tutto i teorici. Tipico dei liberali.

2) Quanta ammirazione c’era in Gramsci per il d’Annunzio di Fiume e per il futurismo, che furono i precursori artistici del fascismo.

Il futurismo ha avuto importanti varianti di sinistra, a partire da Majakovskij in Russia. Gramsci, del resto, in una lettera a Trotsky del 1922 definì il movimento come trasversale. Che dire inoltre della critica del grande sardo a Marinetti il quale, secondo Gramsci, scambiava le sgrammaticature per innovazioni artistiche.
Su Fiume il nostro dice, e cito ancora per bruciare definitivamente le tesi del duo Mieli-Veneziani:

‘’ L'avventura fiumana è il motivo sentimentale e il meccanismo pratico di questa organizzazione sistematica, ma appare subito evidente che la base solida dell'organizzazione è la diretta difesa della proprietà industriale e agricola dagli assalti della classe rivoluzionaria degli operai e dei contadini poveri. Questa attività della piccola borghesia, divenuta ufficialmente "il fascismo", non è senza conseguenza per la compagine dello Stato. Dopo aver corrotto e rovinato l'istituto parlamentare, la piccola borghesia corrompe e rovina gli altri istituti, i fondamentali sostegni dello Stato: l'esercito, la polizia, la magistratura. 
Corruzione e rovina condotte in pura perdita, senza alcun fine preciso (l'unico fine preciso avrebbe dovuto essere la creazione di un nuovo Stato: ma il "popolo delle scimmie" è caratterizzato appunto dall'incapacità organica a darsi una legge, a fondare uno Stato): il proprietario, per difendersi, finanzia e sorregge una organizzazione privata, la quale per mascherare la sua reale natura, deve assumere atteggiamenti politici "rivoluzionari" e disgregare la più potente difesa della proprietà, lo Stato. La classe proprietaria ripete, nei riguardi del potere esecutivo, lo stesso errore che aveva commesso nei riguardi del Parlamento: crede di potersi meglio difendere dagli assalti della classe rivoluzionaria, abbandonando gli istituti del suo Stato ai capricci isterici del "popolo delle scimmie", della piccola borghesia. 
La piccola borghesia, anche in questa ultima incarnazione politica del "fascismo", si è definitivamente mostrata nella sua vera natura di serva del capitalismo e della proprietà terriera, di agente della controrivoluzione. Ma ha anche dimostrato di essere fondamentalmente incapace a svolgere un qualsiasi compito storico: il popolo delle scimmie riempie la cronaca, non crea storia, lascia traccia nel giornale, non offre materiali per scrivere libri. La piccola borghesia, dopo aver rovinato il Parlamento, sta rovinando lo Stato borghese: essa sostituisce, in sempre più larga scala, la violenza privata all' "autorità" della legge, esercita (e non può fare altrimenti) questa violenza caoticamente, brutalmente, e fa sollevare contro lo Stato, contro il capitalismo, sempre più larghi strati della popolazione’’. (Antonio Gramsci, Il popolo delle scimmie, 2 gennaio 1921).

3) E quanta considerazione per Oriani, Papini e Prezzolini (M.V.)

Veneziani adesso può stare certo, c’era pochissima ammirazione. In verità a Fiume ci fu una rottura interna alla piccola borghesia radicale che, secondo lo storico Eros Francescangeli, pose le basi per la nascita degli Arditi del popolo. Le capisce queste cose Marcello Veneziani? Poveraccio, non sa proprio nulla. Penso che questo sia sufficiente. Cari liberali tenete giù le mani da Antonio Gramsci !!!

Note:

Ecco i link degli articoli di Veneziani e di Mieli: http://www.ilgiornale.it/cultura/gramsci_un_mussoliniano_parola_fondazione_gramsci/24-10-2011/articolo-id=553284-page=0-comments=1 e poi questo http://www.corriere.it/unita-italia-150/recensioni/11_ottobre_18/rapone-cinque-anni-che-paiono-secoli_3bc5cfd0-f95f-11e0-bc4b-5084eabf7820.shtml

Stefano Zecchinelli

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