‘’Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le
quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei
consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare
diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare
dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la
loro dignità di uomini’’ Antonio Gramsci
‘’Ma ieri ho saputo, che finalmente, si son
decisi a farlo, l'han messo dentro, avrà vent'anni, abbiam risparmiato il tempo
di ammazzarlo, perchè è malato ed è una cosa vera, che non uscirà vivo dalla
galera.
Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì, non poteva finire altro che così’’ Claudio Lolli
Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì, non poteva finire altro che così’’ Claudio Lolli
‘’ Un capo delle SA viene a chiederci se un suicida
possa essere sepolto con le nostre bandiere. Gli rispondo di sì, a condizione
che il suo crollo sia avvenuto in conseguenza dei travagli del nostro tempo’’ Joseph Goebbels
1. Una recente ricerca, nata in seno all’Istituto Antonio
Gramsci e condotta da Leonardo Rapone (Cinque anni che paiono secoli. Antonio
Gramsci dal socialismo al comunismo) sostiene l’assurda tesi che Gramsci,
ideologicamente, sarebbe stato un mussoliniano. Questa tesi infamante è
sostenuta anche da Marcello Veneziani e Paolo Mieli ed è stata sostenuta dal
filosofo democristiano, Augusto del Noce.
Veneziani e Mieli,
pensatori neoconservatori, hanno subito colto la palla al balzo scrivendo, il
primo, un articolo per ‘’Il Giornale’’ e, il secondo, un saggio breve sul
‘’Corriere della sera’’ Lì hanno sintetizzato quelli che sono per loro gli
aspetti salienti della filosofia di Gramsci.
In attesa di
occuparmi del vergognoso testo di Rapone, voglio far notare alcuni gravi errori
presenti nell’articolo di Veneziani e in quello di Mieli, testi che rientrano
in una vera e propria operazione di ‘’revisionismo culturale’’.
Gramsci sapeva molto
bene (si leggano le ‘’Note su Machiavelli’’) come le borghesie hanno la vitale
necessità di ricostruire in modo lineare la loro storia. Il grande sardo parlò
di ‘’spirito dello Stato’’ ed è proprio in virtù di ciò che nel pantheon dei
suoi ideologi la borghesia (uso questo termine antico anche se siamo davanti ad
una global class, che presenta delle proiezioni locali) cerca di tirare dentro,
l’eroico protagonista del Congresso di Lione.
Prima di passare ai
saggi in questione voglio riportare alcuni stralci dalle ‘’Lettere dal
carcere’’ del nostro (e teniamocelo stretto ad Antonio Gramsci):
‘’ Ecco il mio punto di vista: - Sono giunto a un punto
tale che le mie forze di
resistenza stanno per crollare completamente, non so con
quali conseguenze. In questi giorni mi
sento così male come non sono mai stato; da più di otto
giorni non dormo più di tre quarti d'ora per notte e intere notti non chiudo
occhio. E' certissimo che se l'insonnia forzata non determina essa alcuni mali
specifici, li aggrava però talmente e li accompagna con tali malesseri
concomitanti, che il complesso dell'esistenza diventa insopportabile e
qualunque via d'uscita, anche la più pericolosa e accidentata diventa
preferibile alla continuazione dello stato presente. Tuttavia, prima di entrare
nella via da te proposta, voglio ancora fare un tentativo presso il signor
direttore del carcere e se necessario presso il signor giudice di sorveglianza,
per vedere se sia possibile ottenere che siano rimosse le condizioni che
determinano l'attuale stato di cose. Ciò non è per nulla impossibile e lo
preferirei per evitare le spese notevoli che la visita di un medico di fiducia
porta con sé. D'altronde anche un tal medico non potrebbe non giungere alla
conclusione che le mie condizioni disastrose sono in tante parte dovute alla
mancanza di sonno, che la quistione si presenterebbe in questi termini e in
essi occorrerebbe risolverla almeno inizialmente. Si tratta di rimandare, nella
peggiore delle ipotesi, la realizzazione della tua proposta per il mese di
settembre. Alla fine di settembre dovrò per forza giungere a una conclusione,
se non voglio diventare pazzo o entrare in una fase che io stesso non so
immaginare tanto sono stremato’’
‘’Io ho attraversato molti brutti momenti, mi sono
sentito tante volte fisicamente debole e quasi stremato, però non ho mai ceduto
alla debolezza fisica e per quanto è possibile dire in queste cose, non credo
che cederò neanche d'ora in avanti. Eppure posso aiutarmi ben poco. Quanto più
mi accorgo di dover attraversare brutti momenti, di essere debole, di veder
aggravarsi le difficoltà, tanto più mi irrigidisco nella tensione di tutte le
mie forze volitive. Qualche volta riepilogo questi anni passati, penso al
passato e mi pare che se sei anni fa mi fossi prospettato di dover attraversare
ciò che ho attraversato, non l'avrei creduto possibile, avrei giudicato di
dovermi spezzare ad ogni momento. Proprio sei anni fa, sono passato, indovina?
da Ravisindoli, in
Abruzzo, che tu qualche volta hai ricordato per esserci
stata in villeggiatura, d'estate. Ci sono passato chiuso in un vagone di
metallo che era stato tutta la notte sotto la neve e io non avevo né
soprabito, né maglia di lana e non potevo neanche
muovermi perché bisognava stare seduti per la
mancanza di spazio. Tremavo tutto come per la febbre,
battevo i denti, e mi pareva di non essere in grado di finire il viaggio perché
il cuore sarebbe gelato. Eppure sono trascorsi sei anni da allora e sono
riuscito a cacciarmi di dosso quel freddo da ghiacciaia e se qualche volta mi
tornano quei
brividi (che un po' mi sono rimasti nelle ossa) mi metto
a ridere ricordando quel che allora pensavo
e mi paiono fanciullaggini’’.
Il trattamento che
Gramsci ha subito nelle carceri fasciste urla ancora, a quasi ottanta anni di
distanza, vendetta. E’ impressionante come il togliattismo abbia dato ideologi
alla global class, reazionari della peggior specie, a partire da questo Rapone.
Questo non mi
meraviglia, per carità, se al governo attuale abbiamo dei post-fascisti, la
dice lunga sulla linea di Togliatti riguardante la rivoluzione a tappe, a
incominciare dallo stesso Ercole Ercoli (Togliatti per l’appunto) che fece
l’appello ai fratelli in camicia nera nel 1936. Rapone non ha tradito nulla,
falsari erano e falsari sono questi miserabili signori.
Inizio adesso con
l’analizzare il testo di Veneziani e cercherò di smontarlo pezzo per pezzo,
poi, circa a metà lavoro farò i riferimenti opportuni al saggio di Mieli, e smonterò
il suo impianto metodologico. Vorrei che il lettore mi prendesse alla lettera
quando dico che voglio fare a pezzi l’articolo di Veneziani.
2. Senza perdermi in discorsi introduttivi riporto quello
che dice ‘’il loro’’:
‘’ E Gramsci fu dalla parte di Mussolini a sostenere
l’intervento e a riconoscerlo come capo del socialismo rivoluzionario (fra gli
interventisti intervenuti ci furono pure i futuri azionisti e i futuri
comunisti come il giovane Peppino Di Vittorio). Per un pelo Gramsci non collaborò
al Popolo d’Italia’’.
Gramsci ebbe uno
sbandamento davanti la prima guerra mondiale ma non fu per nulla interventista
nei termini detti da Veneziani.
Il primo articolo di
Gramsci è dedicato proprio al tema della guerra e si intitola ‘’Neutralità attiva
ed operante’’, pubblicato sul ‘’Grido del popolo’’ il 31 ottobre 1914.
Gramsci, influenzato
da Gaetano Salvemini, contrappose alla ‘’neutralità assoluta’’ del Partito
socialista, la neutralità operante, operante nel senso che fosse una rottura
con lo stato di inerzia in cui si trovava il proletariato italiano.
Cediamo la parola al
grande sardo:
‘’Ma i rivoluzionari che concepiscono la storia come
creazione del proprio spirito, fatta di una serie ininterrotta di strappi
operanti sulle altre forze attive e passive della società, e preparano il
massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione) non
devono accontentarsi della formula provvisoria ‘’neutralità assoluta’’, ma
devono trasformarla nell’altra ‘’neutralità attiva ed operante’’. Il che vuol
dire dare alla vita della nazione il suo genuino e schietto carattere di lotta
di classe, in quanto la classe lavoratrice, obbligando la classe detentrice del
potere ad assumere le sue responsabilità, obbligandola a portare fino all’assoluto
le premesse da cui trae la sua ragione di esistere, a subire l’esame della
preparazione con cui ha cercato di arrivare al fine che diceva esserle proprio,
la obbliga (nel caso nostro, in Italia) a riconoscere che essa ha completamente
fatto al suo scopo, poiché ha condotto la nazione, di cui si proclama unica
rappresentante, in un vicolo cieco, da cui essa nazione non potrà uscire se non
abbandonando al proprio destino tutti questi istituti che del presente suo
tristissimo stato sono direttamente responsabili’’ (Antonio Gramsci,
Neutralità attiva ed operante, 31 ottobre 1914).
Antonio Gramsci non
fa altro che interpretare le posizioni di Mussolini ed infatti nel paragrafo
seguente scrive:
‘’Non un abbracciamento generale vuole quindi il
Mussolini, non una fusione di tutti i partiti in un’unanimità nazionale, che
allora la sua posizione sarebbe antisocialista. Egli vorrebbe che il
proletariato, avendo acquistato una chiara coscienza della sua forza di classe
e della sua potenzialità rivoluzionaria, e riconoscendo per il momento la
propria immaturità ad assumere il timone dello Stato (a fare la (…) una
disciplina ideale, e permettesse che nella storia fossero lasciate operare
quelle forze che il proletariato, non sentendosi di sostituire, ritiene più
forti’’.
Dal 15 novembre
Mussolini sostenne aperte posizioni interventiste (il 24 novembre 1914 venne
espulso dal Partito socialista) non per ragioni ideologiche ma, perché, aveva
accettato di essere la marionetta degli imperialismi francese ed inglese –che
appoggiarono fin dall’inizio il regime fascista- e dei grandi industriali del
Nord.
Gramsci, invece, si
avvicinò sempre di più alle posizioni di Lenin, riguardanti la guerra
imperialistica. Inoltre l’articolo da me riportato mantiene il grande sardo molto
lontano dalle posizioni mussoliniane che influenzano gran parte del Partito
socialista.
Un Gramsci, quello di
allora, vicino a Serrati, con il quale coniò il concetto di ‘’politica
intransigente’’, non di certo vicino –come hanno dimostrato gli avvenimenti
futuri- alla marionetta dell’imperialismo inglese, Benito Mussolini.
La prima operazione
ideologica che possiamo intravedere è quella di inquadrare il fascismo come un
‘’sistema governativo’’ da discutere ma non come un imperialismo, bestiale
davanti a popolazioni inermi, e ascaro e stracciono davanti potenze come
l’Inghilterra prima e la
Germania nazista poi.
Continua Veneziani:
‘’ Non fu il solo, tra i fondatori del partito comunista,
a subire l’influenza di Mussolini. Nicola Bombacci finì a Salò con Mussolini. E
Angelo Tasca, fondatore del Pci e poi leader del Psi con Saragat alla fine
degli anni Trenta, finì collaborazionista a Vichy, funzionario del regime di
Pétain e sostenitore del patto tra l’Urss di Stalin e la Germania di Hitler’’.
L’ideologia qui non
c’entra nulla. Mimmo Franzinelli con una rigorosissima ricerca storica ‘’I
tentacoli dell’OVRA. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica
fascista’’ ricostruisce la storia dei ‘’comunisti’’ passati dall’altra parte.
Nulla a che vedere con la filosofia di Hegel o le ‘’vie nazionali al
socialismo’’.
Veneziani scrive che
Angelo Tasca fu ‘’ funzionario del regime di Pétain e sostenitore del patto tra
l’Urss di Stalin e la
Germania di Hitler’’, falsità storica: Angelo Tasca fu un sostenitore
del fascismo francese, un losco personaggio, ma non sostenne il Patto di non
aggressione (Germania-Urss), anzi scrisse ‘’ Le pacte germano-soviétique. L'historie et le
myhthe’’, tradotto in italiano ‘’ Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda’’,
in cui ‘’denunciò’’ una inesistente politica imperialista dell’Urss (cosa
pazzesca dato che l’Urss era uno Stato operaio seppur, come disse Trotsky, con
distorsioni burocratiche).
3. Andiamo avanti con il nostro discorso.
Veneziani si ricollega a Mieli e al suo saggio.
Dice M.V.:
‘’ All’epoca dell’Ordine nuovo gramsciano, scrisse Tasca,
eravamo tutti gentiliani, Togliatti incluso.
Il punto di raccordo
delle culture radicali del nostro Paese fu l’antigiolittismo, la critica al
moderatismo corrotto e corruttore, secondo i rivoluzionari dell’epoca e lo
stesso Salvemini. E la critica alla democrazia. Paolo Mieli, in un ampio saggio
sul Corriere della sera, sostiene con Rapone che Gramsci in quel tempo
criticava la democrazia ma difendeva il liberalismo. Vero, a patto di
considerare che per lui come poi per Gobetti, esempio di Rivoluzione liberale
era la rivoluzione bolscevica dei soviet. Lì è infatti il discrimine tra
Mussolini e Gramsci, e tra il fascismo e l’italocomunismo: partiti dalla stessa
radice, entrambi persuasi da Gentile e da Sorel del primato volontarista
dell’azione - che in Gramsci si fa filosofia della prassi e in Mussolini
attivismo - si divaricano invece sulla rivoluzione sovietica. Mussolini
«scopre» la nazione, Gramsci e il Pc optano per l’Urss di Lenin’’.
Giovanni Gentile
scrisse nel 1899 su saggio ‘’La filosofia di Marx’’ che piacque molto a Lenin.
E’ ovvio che abbia esercito una certa influenza sugli ordinovisti di allora.
Andando avanti
Veneziani si richiama al saggio di Mieli. Vediamo, ora, cosa dice Mieli:
‘’ E ancora nel 1917, quando tra i socialisti si fa largo
la tentazione di accogliere le avances di Giolitti per dar vita ad un governo
«migliore» che prepari «le condizioni più favorevoli di vita e di sviluppo
della classe operaia», Gramsci indica quello statista come «il pericolo
maggiore da combattere per i socialisti» e lo definisce «un avversario, forse,
in questo momento, il più temibile degli avversari». Nell'urto assai forte con
il giolittismo, fa notare Rapone, «resta, malgrado le analogie verbali, una
fondamentale diversità di ispirazione, e non solo per l'ovvia ragione che si
trattava di antigiolittismi che muovevano da fronti politici opposti, ma per il
diverso rapporto che dalle due parti si istituiva tra Giolitti e il
liberalismo: se per la frizzante intellettualità borghese Giolitti era il
simbolo dello scivolamento del liberalismo verso la democrazia, qui stava
l'origine della sua funzione corruttrice e da qui veniva ammonimento a
stringere piuttosto che ad allargare le maglie della concezione liberale, per
Gramsci Giolitti, semplicemente, nulla aveva a che vedere con il vero
liberalismo e ne faceva rimpiangere l'assenza in Italia». «I liberali in Italia
sono soltanto uno scherzo di cattivo genere. Essi non si distinguono in nulla
dalle altre correnti sociali; politicamente valgono zero», scrive. Quanto a
Giolitti, «in concreto ha sempre voluto dire: protezione doganale,
accentramento statale con la tirannia burocratica, corruzione del Parlamento,
favori al clero e alle caste privilegiate, schioppettate sulle strade contro
gli scioperanti, mazzieri elettorali». Nessuna indulgenza per le aperture di
Giolitti al riformismo socialista. Anzi: il suo è «un programma di
trasformismo, di confusionismo delle forze politiche italiane». L'uomo di
Dronero «ha dato sempre all'Italia i peggiori dei governi, i più truffaldini
dei governi». Ma il vero bersaglio polemico di Gramsci è la democrazia
contrapposta al liberalismo, in particolare quello dell'esperienza storica inglese’’.
Gramsci, in realtà,
quando critica Giolitti penso (personalmente) che inizi a gettare le basi
teoriche per i suoi studi sul cesarismo (regressivo e progressivo). Nella
elaborazione di questa nozione –che fra poco vedremo- il grande sardo si avvicinò
proprio, guarda un po’, a Leon Trotsky. Comunque cerchiamo di capire perché
Gramsci criticò Giolitti.
La critica del nostro
a Giolitti, rappresentante della borghesia italiana, non può essere svincolata
dalla analisi che Gramsci fece del Sud Italia. Secondo A.G. le classi sociali
nel meridione sono tre: 1) la grande
massa contadina amorfa e disgregata; 2)
gli intellettuali della media borghesia; 3)
i grandi proprietari terrieri e i grandi intellettuali. Lo strato medio degli
intellettuali riceve dallo strato medio dei contadini ‘’le pulsioni per la sua
attività politica ed ideologica’’ (parole di Gramsci). I grandi proprietari
terrieri e i grandi intellettuali centralizzano e dominano queste
manifestazioni. Da questo punto di vista Giustino Fortunato e Benedetto Croce
sono le due principali figure della reazione in Italia. Gramsci contesta a
Giolitti l’aver scelto una politica protezionistica alleandosi con il
contadiname cattolico del Nord Est, a discapito dei contadini poveri del Sud e
degli operai del Nord. Questo, e un comunista come il nostro lo sapeva bene,
consolidava l’alleanza borghesia-contadini ed allontanava i contadini dagli
operai.
Cito ancora la parte
finale del discorso di Mieli ‘’ Nessuna indulgenza per le aperture di Giolitti
al riformismo socialista. Anzi: il suo è «un programma di trasformismo, di
confusionismo delle forze politiche italiane». L'uomo di Dronero «ha dato
sempre all'Italia i peggiori dei governi, i più truffaldini dei governi». Ma il
vero bersaglio polemico di Gramsci è la democrazia contrapposta al liberalismo,
in particolare quello dell'esperienza storica inglese’’.
Quello di Giolitti
era un governo bonapartista che mediava interessi contrapposti fra fazioni
della borghesia. La verità, caro Mieli, è che Gramsci condivideva, in termini
diversi, quello che su Giolitti scrisse Trotsky:
‘’L’analogia con il bonapartismo, nettamente definita e
concreta non solo aiuta a chiarire il ruolo dell’ultimo gabinetto Giolitto, che
ha manovrato tra i fascisti e i socialisti, ma mette in luce anche l’attuale
regime di transizione in Austria. Si può già oggi parlare della profonda
necessità logica di un periodo di ‘’transizione bonapartista’’ tra il
parlamentarismo e il fascismo’’ (Leon Trotsky, Scritti sull’Italia, Ed.
Massari 2001).
Antonio Gramsci nel
saggio ‘’Alcuni temi della quistione meridionale’’ si concentra proprio sul
concetto di ‘’blocco agrario’’ dominato dai grandi proprietari fondiari. Queste
sono le basi sociali da cui, nella prima analisi gramsciana, uscirà fuori il
regime fascista. Lo capisce questo Paolo Mieli? Ma lasciamo stare, non capisce
nulla. Inoltre bene faccio a citare Trotsky a dimostrazione di una convergenza
di analisi fra il grande sardo e il costruttore dell’Armata Rossa (altro che
Gramsci mussoliniano).
Ovviamente Gramsci
riprende molto da George Sorel ma non si capisce perchè ciò dovrebbe dimostrare
che Gramsci poteva aderire al fascismo. Sono tutte sciocchezze e niente altro.
Veneziani completa il
tutto dicendo:
‘’ Vero, a patto di considerare che per lui come poi per
Gobetti, esempio di Rivoluzione liberale era la rivoluzione bolscevica dei
soviet. Lì è infatti il discrimine tra Mussolini e Gramsci, e tra il fascismo e
l’italocomunismo: partiti dalla stessa radice, entrambi persuasi da Gentile e
da Sorel del primato volontarista dell’azione - che in Gramsci si fa filosofia
della prassi e in Mussolini attivismo - si divaricano invece sulla rivoluzione
sovietica. Mussolini «scopre» la nazione, Gramsci e il Pc optano per l’Urss di
Lenin’’
Ecco un’altra imprecisione.
Replichiamo a Veneziani facendo parlare Gramsci, almeno capiremo che cosa
davvero A.G. ammirava in Piero Gobetti:
‘’Perché avremmo dovuto lottare contro il movimento di
Rivoluzione Liberale? Forse perché esso non era costituito di comunisti puri
che avessero accettato dall’A alla Z il nostro programma e la nostra dottrina?
Questo non poteva essere domandato perché sarebbe stato politicamente e
storicamente un paradosso. Gli intellettuali si sviluppano lentamente, molto
più lentamente di qualsiasi altro gruppo sociale, per la stessa loro natura e
funzione storica. Essi rappresentano tutta la tradizione culturale di un
popolo, vogliono riassumerne e sintetizzarne tutta la storia: ciò sia detto
specialmente del vecchio tipo di intellettuale, dell’intellettuale nato sul
terreno contadino. Pensare possibile che esso possa, come massa, rompere con
tutto il passato per porsi completamente sul terreno di una nuova ideologia, è
assurdo’’ (Antonio Gramsci, Scritti di economia politica, Ed. Universale
Bollati Boringhieri 1994).
Gramsci era
interessato alla evoluzione politica e culturale di Gobetti, inoltre Gobetti
serviva ai comunisti come collegamento con ‘’gli intellettuali nati sul terreno
della tecnica capitalistica che avevano assunto una posizione di sinistra,
favorevole alla dittatura del proletariato nel 1919-‘20’’ (parole di Gramsci) e
come collegamento con gli intellettuali meridionali, infatti Gramsci si
interessò alla figura di Guido Dorso.
In questo modo si
sarebbe potuto rompere il ‘’blocco agrario’’ di cui su ho parlato. Nessuna
contrapposizione fra democrazia e liberalismo, Gramsci prende delle decisioni
tattiche per favorire la rivoluzione sociale in Italia.
Veneziani ha scritto
‘’ Vero, a patto di considerare che per lui come poi per Gobetti, esempio di
Rivoluzione liberale era la rivoluzione bolscevica dei soviet’’, però non
chiarisce, stando a questa affermazione, come mai Gobetti abbia preso
questa posizione. Per Gobetti la creazione di uno Stato dal basso, quindi di
uno stato egalitario, era un principio fondamentale del liberalismo. Non c’è
libertà senza uguaglianza, principio cardine dei liberali di sinistra.
Veneziano continua ‘’
Lì è infatti il discrimine tra Mussolini e Gramsci, e tra il fascismo e
l’italocomunismo: partiti dalla stessa radice, entrambi persuasi da Gentile e
da Sorel del primato volontarista dell’azione - che in Gramsci si fa filosofia
della prassi e in Mussolini attivismo - si divaricano invece sulla rivoluzione
sovietica. Mussolini «scopre» la nazione, Gramsci e il Pc optano per l’Urss di
Lenin’’.
Mussolini non scopre
nessuna nazione. Il fascismo ha dato il peggio di sé proprio per ciò che
riguarda la questione nazionale, a partire dall’imperialismo nei Balcani, in
Libia, in Etiopia, dalla soppressione delle minoranze linguistiche, e dalla
fascistizzazione della italianità.
Mentre per ciò che
riguarda il Gramsci liberale, abbiamo visto (e lo ripeto in modo monotono) che
A.G. si preoccupò principalmente di fare delle scelte politiche che gli
consentono di rompere il ‘’blocco storico’’ dominante. Veneziani fraintende
gravemente sia il pensiero di Gramsci che quello di Gobetti.
Paolo Mieli non è da
meno, dato che appiccica frasi decontestualizzate senza nemmeno citare i testi
di riferimento. Leggere per credere:
‘’ La democrazia, scriverà
ancora Gramsci su «Il Grido del popolo» nell'ottobre del 1918, «esplica
una funzione morbosa di confusionismo, di scrocco, di predicazione
dell'incoerenza. È impaludamento, più che effettivo progresso». Parole che
rimandano a Sorel, il quale per primo aveva usato l'espressione «pantano
democratico»’’.
Gramsci come tutti i
marxisti non fa niente altro che criticare la democrazia borghese in linea,
oltretutto, con lo studio di Lenin su ‘’Stato e rivoluzione’’, che poi parta
dal volontarismo soreliano non penso che significhi gran che, almeno sulla base
delle argomentazioni di Mieli.
Continua l’ex direttore
del Corriere della sera:
‘’ E, guardandosi indietro, giudica una tappa
fondamentale dello sviluppo del socialismo in Italia E, guardandosi
indietro, giudica una tappa fondamentale dello sviluppo del socialismo in
Italia l'emancipazione da quei blocchi «demo-massonici» nei quali, «durante
l'età giolittiana, in occasione di elezioni amministrative, i socialisti si
erano mescolati con gruppi e personalità della democrazia radicale e
repubblicana, il più delle volte sotto l'egida di un accentuato
anticlericalismo (altra manifestazione, quest'ultima, del confusionismo
ideologico imperante tra i democratici)’’.
Gramsci avrebbe
quindi auspicato questo schifo ‘’ E, guardandosi indietro, giudica una
tappa fondamentale dello sviluppo del socialismo in Italia l'emancipazione da
quei blocchi «demo-massonici» nei quali, «durante l'età giolittiana, in
occasione di elezioni amministrative, i socialisti si erano mescolati con
gruppi e personalità della democrazia radicale e repubblicana, il più delle
volte sotto l'egida di un accentuato anticlericalismo (altra manifestazione,
quest'ultima, del confusionismo ideologico imperante tra i democratici)»’’? Non
mi risulta. Nel discorso alla Camera del 16 maggio 1925, il grande sardo dice
(e replica a Mieli):
"Il problema è questo: la situazione del capitalismo
in Italia si è rafforzata o si è indebolita dopo la guerra, col fenomeno
fascista? Quali erano le debolezze della borghesia capitalistica italiana prima
della guerra, debolezze che hanno portato alla creazione di quel determinato
sistema politico-massonico che esisteva in Italia, che ha avuto il suo massimo
sviluppo nel giolittismo? Le debolezze massime della vita nazionale italiana
erano in primo luogo la mancanza di materie prime, cioè la impossibilità per la
borghesia di creare in Italia una sua radice profonda nel paese e che potesse
progressivamente svilupparsi, assorbendo la mano d'opera esuberante. In secondo
luogo la mancanza di colonie legate alla madre patria, quindi la impossibilità
per la borghesia di creare una aristocrazia operaia che permanentemente potesse
essere alleata della borghesia stessa. Terzo, la questione meridionale, cioè la
questione dei contadini, legata strettamente al problema della emigrazione, che
è la prova della incapacità della borghesia italiana di mantenere...’’
Quindi denuncia il
ruolo della massoneria nella democrazia italiana, vero Mieli? Interessante la
conclusione del discorso di A.G. :
‘’ Il Corriere della Sera ha sostenuto sistematicamente
tutti gli uomini politici del Mezzogiorno, da Salandra ad Orlando, a Nitti, ad
Amendola; di fronte alla soluzione giolittiana, oppressiva non solo di classi,
ma addirittura di interi territori, come il Mezzogiorno e le isole, e perciò
altrettanto pericolosa che l'attuale fascismo per la stessa unità materiale
dello Stato italiano, il Corriere della Sera ha sostenuto sempre un'alleanza
tra gli industriali del Nord e una certa vaga democrazia rurale prevalentemente
meridionale sul terreno del libero scambio. L'una e l'altra soluzione tendevano
essenzialmente a dare allo Stato italiano una più larga base di quella
originaria, tendevano a sviluppare le "conquiste" del Risorgimento.
Che cosa oppongono i fascisti a queste soluzioni? Essi oppongono oggi la legge
cosiddetta contro la massoneria; essi dicono di volere così conquistare lo
Stato. In realtà il fascismo lotta contro la sola forza organizzata
efficientemente che la borghesia capitalistica avesse in Italia, per
soppiantarla nella occupazione dei posti che lo Stato dà ai suoi funzionari. La
"rivoluzione" fascista è solo la sostituzione di un personale
amministrativo ad un altro personale".
Sembra che Gramsci ce
l’abbia proprio con Mieli dato quello che su aveva detto l’ex direttore del
Corriere della Sera. Davvero vergognoso.
Il discorso di Mieli
è semplice: trasformare Gramsci in un liberale (era per il liberismo contro la
democrazia, dicono Mieli e Veneziani) ed affiancarlo al suo ‘’ Una rilettura liberale di Giovanni Gentile’’. In questo modo si
trasforma Gramsci in un anticomunista (il senso è questo anche se non è
espressamente detto) e si salva il fascismo in quanto regime non autoritario ma
con grandi lineamenti liberali (cosa sostenuta da Gentile –secondo Mieli- ed
ora –sempre secondo Mieli- da Gramsci). Non è tutto; Mieli parte da una
presunta contrapposizione ‘’democrazia contro liberismo’’, il gioco è questo:
la democrazia viene fatta coincidere con il socialismo, mentre il liberismo con
il suo superamento progressivo Morale della favola: il pantheon borghese si
tira dentro Gentile, Gramsci e consacra la concezione dei neoconservatori (di
cui Mieli è un esponente in Italia) che vede la democrazia pericolosa per il
funzionamento del mercato.
Tutto qui, non c’è
nulla di nuovo nell’operare di questi signori. Ritorno al testo di Veneziani.
4. Veneziani dice:
‘’Gramsci accusa il
fascismo non di aver instaurato una dittatura totalitaria ma di aver tradito la
rivoluzione nel compromesso con la borghesia, la monarchia, il capitale e la Chiesa. Ovvero
accusa il fascismo di essere un totalitarismo incompiuto, imborghesito. E non
respinge del fascismo né il cesarismo né la violenza, ma distingue tra un
cesarismo e una violenza progressivi, che poi sarebbero quelli leninisti e
comunisti, e un cesarismo e una violenza regressivi. Lo scrive nelle Note sul
Machiavelli, e lo dice nello scontro alla Camera con Mussolini nel ’25. Ma chi
stabilisce la differenza fra una dittatura e una violenza buone o cattive?
L’Intellettuale Collettivo, lo stesso Partito, nuovo Principe assoluto e il suo
Ideologo...’’
Errori sopra errori,
imprecisioni sopra imprecisioni. Andiamo per ordine.
1) Gramsci accusa il fascismo non di aver instaurato una
dittatura totalitaria ma di aver tradito la rivoluzione nel compromesso con la
borghesia, la monarchia, il capitale e la Chiesa. (Marcello Veneziani)
Gramsci si aspettava
la rivoluzione dal fascismo? Veneziani sta giocando molto sporco, prendo uno
dei primi scritti di Gramsci sul movimento fascista. Antonio Gramsci descrive
così la bestia nera:
‘’Il fascismo conservò sempre questo vizio d’origine. Il
fervor dell’offensiva armata impedì fino ad oggi l’aggravarsi del dissidio fra
i nuclei urbani, piccolo-borghesi, prevalentemente parlamentari e
collaborazionisti, e quelli rurali, formati da proprietari terrieri grandi e
medi e dagli stessi coloni, interessati alla lotta contro i contadini poveri e
le loro organizzazioni, recisamente antisindacali, reazionari, più fiduciosi
nell’azione armata diretta che nell’autorità dello Stato e nell’efficacia del
parlamentarismo’’ (Antonio Gramsci, I due fascismi, 25 agosto 1921).
Non mi sembra la
descrizione di un movimento rivoluzionario e siamo solo all’inizio.
2) . Ovvero accusa il fascismo di essere un totalitarismo
incompiuto, imborghesito (Marcello Veneziani)
Parole mai usate da
Gramsci. A.G. capirà che ‘’totalitario’’ era il nuovo sistema sociale
emergente: il fordismo. Il fordismo si è cercato di introdurlo in Europa
attraverso i fascismi che hanno tentato di conciliare l’inconciliabile: la
vecchia ed anacronistica struttura sociale demografica europea con una forma
modernissima di produzione e di modo di lavorare quale è offerta dal tipo
americano più perfezionato, l’industria di Enrico Ford. Questo è il
totalitarismo di cui parla Gramsci e che verrà ripreso da Marcuse (su ciò si
legga ‘’Americanismo e fordismo’’). Veneziani parla di cose inesistenti.
3) E non respinge del fascismo né il cesarismo né la
violenza, ma distingue tra un cesarismo e una violenza progressivi, che poi
sarebbero quelli leninisti e comunisti, e un cesarismo e una violenza
regressivi (Marcello Veneziani)
Il cesarismo non
c’entra nulla (o al massimo c’entra ben poco) con il fascismo. Gramsci
definisce cesarismo una particolare situazione storica in cui, i due blocchi
sociali antagonisti, si equilibrano in modo catastrofico, e cioè che la lotta
non può concludersi. Il nostro si riferisce prevalentemente alla dittatura di
Napoleone I (bonapartismo progressivo) e alla dittatura di Napoleone III o
Bismarck (bonapartismi regressivi). Siccome Veneziani poco più avanti dice ‘’
Lo scrive nelle Note sul Machiavelli, e lo dice nello scontro alla Camera con
Mussolini nel ’25’’, io lo faccio smentire direttamente dall’interessato.
Leggete cosa realmente dice Gramsci:
‘’ Si può dire che il cesarismo esprime una situazione in
cui le forze in lotta si equilibrano in modo catastrofico, cioè si equilibrano
in modo che la continuazione della lotta non può concludersi che con la
distruzione reciproca. Quando la forza progressiva A lotta con la forza
regressiva B, può avvenire non solo che A vinca B o B vinca A, può avvenire
anche che non vinca né A né B, ma si svenino reciprocamente e una terza forza C
intervenga dall'esterno assoggettando ciò che resta di A e di B. Nell'Italia
dopo la morte del Magnifico è appunto successo questo, com'era successo nel
mondo antico con le invasioni barbariche. Ma il cesarismo, se esprime sempre la
soluzione "arbitrale", affidata a una grande personalità, di una
situazione storico-politica caratterizzata da un equilibrio di forze a
prospettiva catastrofica, non ha sempre lo stesso significato storico. Ci può
essere un cesarismo progressivo e uno regressivo e il significato esatto di
ogni forma di cesarismo, in ultima analisi, può essere ricostruito dalla storia
concreta e non da uno schema sociologico. È progressivo il cesarismo, quando il
suo intervento aiuta la forza progressiva a trionfare sia pure con certi compromessi
e temperamenti limitativi della vittoria; è regressivo quando il suo intervento
aiuta a trionfare la forza regressiva, anche in questo caso con certi
compromessi e limitazioni, che però hanno un valore, una portata e un
significato diversi che non nel caso precedente. Cesare e Napoleone I sono
esempi di cesarismo progressivo. Napoleone III e Bismarck di cesarismo
regressivo. Si tratta di vedere se nella dialettica rivoluzione-restaurazione è
l'elemento rivoluzione o quello restaurazione che prevale, poiché è certo che
nel movimento storico non si torna mai indietro e non esistono restaurazioni in
toto. Del resto il cesarismo è una formula polemico-ideologica e non un canone
di interpretazione storica. Si può avere soluzione cesarista anche senza un Cesare,
senza una grande personalità "eroica e rappresentativa". Il sistema
parlamentare ha dato anch'esso un meccanismo per tali soluzioni di
compromesso’’ (Antonio Gramsci, Note su Machiavelli).
E’ incredibile la
disonestà intellettuale con cui Veneziani ha trattato questi argomenti e questo
signore passa anche per uno dei maggiori intellettuali che ci sono oggi in
Italia. Come ho detto in un’altra occasione ‘’schifo e miseria della borghesia
italiota’’.
In conclusione
Veneziani dice:
‘’ E la scoperta del nazionalpopolare nel tentativo di
una via italiana al comunismo. Ma in entrambi si insinua il germe leninista:
nel primato della cultura si insinua il primato dell’Intellettuale Collettivo,
del Partito-Principe tramite l’egemonia.
E nel secondo, il nazional-popolare non incontra la
tradizione ma la sua negazione, attraverso l’idea di una Riforma irreligiosa e
di un illuminismo portato alle masse da una dittatura pedagogica e totalitaria.
La morte di Gramsci dopo il carcere riscatta il suo pensiero e lo accomuna a
Gobetti e Gentile, martiri delle proprie idee o Eroi Intellettuali’’.
Ecco qui che il
discorso di Veneziani arriva allo stesso punto di quello di Mieli. Fra
neoconservatori ci si intende sempre.
Molto brevemente
segnalo:
1) E la scoperta del nazionalpopolare nel tentativo di una
via italiana al comunismo (Marcello Veneziani)
Non esistono ‘’vie
nazionali al comunismo’’ nemmeno nello stalinismo più ceco, al massimo si parla
di ‘’vie nazionali al socialismo’’. Qui non si sa nemmeno la differenza fra
socialismo e comunismo. Veneziani vuole parlare del marxismo di Gramsci senza
conoscere le nozioni fondamentali della teoria marxista. Comunque Antonio
Gramsci –replico velocemente- ha fatto una critica al cosmopolitismo astratto.
Il loro continua a sparare nel vuoto.
2) Ma in entrambi si insinua il germe leninista: nel
primato della cultura si insinua il primato dell’Intellettuale Collettivo, del
Partito-Principe tramite l’egemonia (Marcello Veneziani)
Per Gramsci
l’egemonia è l’altra faccia del dominio; le due cose sono quasi complementari.
Le classi dominanti non si limitano ad usare la forza ma usano anche la
persuasione, creano una opinione pubblica a loro immagine e somiglianza. Non è
un caso che la CIA ,
che ha un Ufficio per la promozione della cultura e un Ufficio per il
condizionamento psicologico, studia Gramsci dai primi anni ’50.
3) E nel secondo, il nazional-popolare non incontra la
tradizione ma la sua negazione, attraverso l’idea di una Riforma irreligiosa e
di un illuminismo portato alle masse da una dittatura pedagogica e totalitaria
(Marcello Veneziani)
Parole vuote, prive
di senso.
4) La morte di Gramsci dopo il carcere riscatta il suo
pensiero e lo accomuna a Gobetti e Gentile, martiri delle proprie idee o Eroi
Intellettuali
Ecco fatto, si
salvano i grandi pensatori, il resto non conta. Che poi per Gramsci
l’intellettuale organico collettivo fosse il Partito comunista non importa, si
può soprassedere, come si può soprassedere sul ‘’fare in Italia come in
Russia’’. La critica di questi signori è molto sterile.
5. Per non lasciarmi niente in sospeso segnalo, all’inizio
del testo di Veneziani:
‘’ Quanto Mussolini c’era in Gramsci. E quanto Sorel,
quanto Gentile, maestri del fascismo. Quanta ammirazione c’era in Gramsci per
il d’Annunzio di Fiume e per il futurismo, che furono i precursori artistici
del fascismo. E quanta considerazione per Oriani, Papini e Prezzolini. Di un
Gramsci mussoliniano scrissi diversi anni fa, prima di me avevano scritto
Augusto del Noce e pochi altri. Ma prima di tutti lo aveva detto lo stesso
Mussolini che nel ’21 alla Camera aveva riconosciuto Gramsci e i comunisti
italiani suoi «figli spirituali». E aggiunse: «io per primo ho infettato
codesta gente»’’.
Ripartiamo daccapo:
1) quanto Sorel, quanto Gentile, maestri del fascismo
(M.V.)
Sorel è anche
considerato il padre del sindacalismo rivoluzionario francese, è stato un
esponente della Seconda Internazionale Comunista. Qui Veneziani utilizza –sulla
scia di Norberto Bobbio- una interpretazione volta a decontestualizzare del
tutto i teorici. Tipico dei liberali.
2) Quanta ammirazione c’era in Gramsci per il d’Annunzio di
Fiume e per il futurismo, che furono i precursori artistici del fascismo.
Il futurismo ha avuto
importanti varianti di sinistra, a partire da Majakovskij in Russia. Gramsci,
del resto, in una lettera a Trotsky del 1922 definì il movimento come
trasversale. Che dire inoltre della critica del grande sardo a Marinetti il
quale, secondo Gramsci, scambiava le sgrammaticature per innovazioni
artistiche.
Su Fiume il nostro dice,
e cito ancora per bruciare definitivamente le tesi del duo Mieli-Veneziani:
‘’ L'avventura fiumana è il motivo sentimentale e il
meccanismo pratico di questa organizzazione sistematica, ma appare subito
evidente che la base solida dell'organizzazione è la diretta difesa della
proprietà industriale e agricola dagli assalti della classe rivoluzionaria
degli operai e dei contadini poveri. Questa attività della piccola borghesia,
divenuta ufficialmente "il fascismo", non è senza conseguenza per la
compagine dello Stato. Dopo aver corrotto e rovinato l'istituto parlamentare,
la piccola borghesia corrompe e rovina gli altri istituti, i fondamentali
sostegni dello Stato: l'esercito, la polizia, la magistratura.
Corruzione e rovina condotte in pura perdita, senza alcun
fine preciso (l'unico fine preciso avrebbe dovuto essere la creazione di un
nuovo Stato: ma il "popolo delle scimmie" è caratterizzato appunto
dall'incapacità organica a darsi una legge, a fondare uno Stato): il
proprietario, per difendersi, finanzia e sorregge una organizzazione privata,
la quale per mascherare la sua reale natura, deve assumere atteggiamenti
politici "rivoluzionari" e disgregare la più potente difesa della
proprietà, lo Stato. La classe proprietaria ripete, nei riguardi del potere
esecutivo, lo stesso errore che aveva commesso nei riguardi del Parlamento:
crede di potersi meglio difendere dagli assalti della classe rivoluzionaria,
abbandonando gli istituti del suo Stato ai capricci isterici del "popolo
delle scimmie", della piccola borghesia.
La piccola borghesia, anche in questa ultima incarnazione
politica del "fascismo", si è definitivamente mostrata nella sua vera
natura di serva del capitalismo e della proprietà terriera, di agente della
controrivoluzione. Ma ha anche dimostrato di essere fondamentalmente incapace a
svolgere un qualsiasi compito storico: il popolo delle scimmie riempie la
cronaca, non crea storia, lascia traccia nel giornale, non offre materiali per
scrivere libri. La piccola borghesia, dopo aver rovinato il Parlamento, sta
rovinando lo Stato borghese: essa sostituisce, in sempre più larga scala, la
violenza privata all' "autorità" della legge, esercita (e non può
fare altrimenti) questa violenza caoticamente, brutalmente, e fa sollevare
contro lo Stato, contro il capitalismo, sempre più larghi strati della
popolazione’’. (Antonio Gramsci, Il popolo delle scimmie, 2 gennaio 1921).
3) E quanta considerazione per Oriani, Papini e Prezzolini
(M.V.)
Veneziani adesso può
stare certo, c’era pochissima ammirazione. In verità a Fiume ci fu una rottura
interna alla piccola borghesia radicale che, secondo lo storico Eros
Francescangeli, pose le basi per la nascita degli Arditi del popolo. Le capisce
queste cose Marcello Veneziani? Poveraccio, non sa proprio nulla. Penso che
questo sia sufficiente. Cari liberali tenete giù le mani da Antonio Gramsci !!!
Note:
Ecco i link degli articoli
di Veneziani e di Mieli: http://www.ilgiornale.it/cultura/gramsci_un_mussoliniano_parola_fondazione_gramsci/24-10-2011/articolo-id=553284-page=0-comments=1
e poi questo
http://www.corriere.it/unita-italia-150/recensioni/11_ottobre_18/rapone-cinque-anni-che-paiono-secoli_3bc5cfd0-f95f-11e0-bc4b-5084eabf7820.shtml
Stefano Zecchinelli
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