sabato 5 maggio 2018

''Antifa'', il braccio armato del neo-liberismo, di Diana Johnstone

Da Counterpunch una ampia analisi sulle origini e la pratica di un fenomeno finora poco esplorato ma già fortemente penetrato nelle mentalità, soprattutto della gente di sinistra: la moderna ideologia “antifascista”, che nel nome si richiama alla rispettata tradizione dei combattenti per la libertà,  usurpandone il credito grazie al facile meccanismo associativo, ma nei fatti non è che una degenerazione che include nel concetto di “fascismo” tutto quel che esula dal “politicamente corretto”, col risultato di soffocare il dibattito e servire di fatto da psico polizia per la repressione dell’ultima arma rimasta nelle mani del popolo, la libertà di espressione. Nell’articolo una ampia disamina della versione europea e della versione americana di questo inquietante fenomeno contemporaneo. 


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di Diana Johnstone, 9 Ottobre 2017

“I fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti” – Ennio Flaiano, scrittore italiano e coautore di soggetti e sceneggiature dei più grandi film di Federico Fellini.

Nelle ultime settimane, una sinistra totalmente disorientata è stata esortata da più parti a unirsi intorno ad un’avanguardia a volto coperto che si definisce Antifa, per antifascista. Incappucciata e vestita di nero, Antifa è sostanzialmente una variante dei Black Bloc, famosi per scatenare violenza nelle manifestazioni pacifiche in molti paesi. Importata dall’Europa, l’etichetta Antifa suona più politica. Serve anche allo scopo di stigmatizzare gli obiettivi che attacca come “fascisti”.

Nonostante il suo nome europeo importato, Antifa, è fondamentalmente solo un altro esempio della continua degenerazione nella violenza dell’America.

Precedenti storici

Antifa è salita alla ribalta per il suo ruolo nel rovesciamento della orgogliosa tradizione di “libertà di espressione” di Berkeley, per aver impedito di parlare lì a esponenti della destra. Ma il suo momento di gloria è stato il suo scontro con i conservatori a Charlottesville il 12 agosto, soprattutto perché Trump ha commentato che c’erano “persone valide da entrambe le parti”. Con esuberante Schadenfreude, i commentatori hanno colto al volo l’opportunità di condannare l’odiato Presidente per la sua “equivalenza morale”, dando così una benedizione ad Antifa.

Charlottesville è stata per Antifa l’occasione per il lancio di un successo editoriale: il Manuale Antifascista, il cui autore, il giovane accademico Mark Bray, è un Antifa sia in teoria che in pratica. Il libro “sta avendo un rapido successo“, si è rallegrato l’editore, Melville House. Infatti ha ottenuto subito il plauso di importanti media mainstream, come il New York Times, The Guardian e NBC, che finora non si erano distinti per precipitarsi a recensire libri di sinistra, men che mai quelli di anarchici rivoluzionari.

Il Washington Post ha accolto con favore Bray come il portavoce dei “movimenti di attivisti rivoluzionari” e ha osservato che “il contributo più illuminante del libro è quello sulla storia dell’impegno antifascista del secolo scorso, ma la sua parte più rilevante per il mondo di oggi è la sua giustificazione del soffocamento della libertà di espressione che colpisce i suprematisti bianchi“.

Il “contributo illuminante” di Bray è quello di raccontare una versione lusinghiera della storia di Antifa a una generazione la cui visione dualistica della storia, basata sull’Olocausto, l’ha privata delle informazioni e degli strumenti analitici per giudicare eventi multidimensionali come la recrudescenza del fascismo. Bray presenta l’Antifa di oggi come il glorioso erede legittimo di ogni nobile causa dall’abolizionismo in poi. Ma non c’erano antifascisti prima del fascismo, e l’etichetta “Antifa” non si applica in alcun modo a tutti i numerosi avversari del fascismo.

La pretesa implicita di portare avanti la tradizione delle Brigate Internazionali che hanno combattuto in Spagna contro Franco non è altro che un ingenuo meccanismo associativo. Dato che dobbiamo rispettare gli eroi della Guerra Civile Spagnola, una parte di questa stima dovrebbe riversarsi sui loro autoproclamati eredi. Purtroppo, non esistono veterani della Brigata di Abraham Lincoln ancora vivi che possano indicare la differenza tra una grande difesa organizzata contro l’invasione di eserciti fascisti e le schermaglie sul campus di Berkeley. Come per gli anarchici della Catalogna, il brevetto dell’anarchismo è scaduto molto tempo fa, e chiunque è libero di mettere in commercio il proprio generico.

Il movimento Antifascista originale fu uno sforzo dell’Internazionale Comunista di cessare le ostilità con i partiti socialisti europei al fine di costruire un fronte comune contro i movimenti trionfanti guidati da Mussolini e Hitler.

Dal momento che il fascismo si è affermato, e Antifa non è mai stata un serio avversario, i suoi apologeti puntano sull’argomento dello “stroncare sul nascere“: “se solo” gli antifascisti avessero battuto i movimenti fascisti abbastanza presto, questi sarebbero stati stroncati sul nascere. Dato che la ragione e il dialogo non sono riusciti a fermare l’ascesa del fascismo, sostengono, dobbiamo usare la violenza di strada – che, a proposito, fallisce ancora più decisamente.

Questo è totalmente astorico. Il fascismo esaltava la violenza e la violenza era il suo banco di prova preferito. I comunisti e i fascisti combattevano per le strade e l’atmosfera della violenza ha aiutato il fascismo a crescere come un bastione contro il bolscevismo, guadagnando il sostegno fondamentale dei grandi capitalisti e militaristi nei loro paesi, che li hanno portati al potere.

Dal momento che il fascismo storico non esiste più, l’Antifa di Bray ha allargato il proprio concetto di “fascismo” per includere tutto ciò che viola l’attuale canone di Identità Politica: dal “patriarcato” (un atteggiamento prefascista, quantomeno) a “transfobia” (problema decisamente post-fascista).

I militanti mascherati di Antifa sembrano essere più ispirati da Batman che da Marx o anche da Bakunin.

Storm Trooper del Partito di Guerra Neoliberale

Dal momento che Mark Bray offre le credenziali europee per l’attuale Antifa Usa, è opportuno osservare ciò che Antifa rappresenta in Europa oggi.

In Europa, la tendenza manifesta due forme. Gli attivisti Black Bloc invadono regolarmente diverse manifestazioni di sinistra per distruggere le vetrine e combattere contro la polizia. Queste manifestazioni di testosterone hanno un significato politico minore, se non provocare pubblici appelli a rafforzare le forze di polizia. Sono fortemente sospettati di infiltrazioni della polizia.

Ad esempio, lo scorso 23 settembre, diverse dozzine di ruffiani mascherati in nero, tirando giù manifesti e lanciando pietre, tentavano di assaltare il palco da cui lo smagliante Jean-Luc Mélenchon doveva arringare la folla di La France Insoumise, oggi partito leader della sinistra francese. Il loro messaggio inespresso sembrava affermare che per loro nessuno può essere abbastanza rivoluzionario. Di tanto in tanto, effettivamente individuano a caso uno skinhead da picchiare. Ciò serve a confermare le loro credenziali “antifasciste”.

Usano queste credenziali per arrogarsi il diritto di diffamare gli altri, in una specie di inquisizione informale autoproclamata.

Come primo esempio, alla fine del 2010, una giovane donna di nome Ornella Guyet è comparsa a Parigi alla ricerca di lavoro come giornalista in vari periodici e blog di sinistra. Ha “cercato di infiltrarsi dappertutto”, secondo l’ex direttore di Le Monde diplomatique, Maurice Lemoine, che quando l’ha assunta come tirocinante “da subito, intuitivamente, non ha avuto fiducia in lei“.

Viktor Dedaj, che gestisce uno dei principali siti di sinistra in Francia, Le Grand Soir, è stato tra coloro che hanno cercato di aiutarla, solo per avere una spiacevole sorpresa pochi mesi dopo. Ornella era diventata un inquisitore, dedito a denunciare “il cospirazionismo, la confusione, l’antisemitismo e il rosso-bruno” su Internet. Questo ha preso la forma di attacchi personali nei confronti di individui che lei giudicava colpevoli di questi peccati. Quello che è significativo è che tutti i suoi obiettivi si opponevano alle guerre di aggressione degli Stati Uniti e della NATO in Medio Oriente.

In effetti, i tempi della sua crociata coincidevano con le guerre dei “cambi di regime” che distrussero la Libia e la Siria. Gli attacchi prendevano di mira i principali critici di quelle guerre.

Viktor Dedaj era in cima alla sua lista. E c’era anche Michel Collon, vicino al Partito dei Lavoratori belga, autore, attivista e direttore del sito bilingue Investig’action. E anche François Ruffin, produttore cinematografico, editore del giornale di sinistra Fakir, eletto recentemente all’Assemblea Nazionale nella lista del partito di Mélenchon La France Insoumise. E così via. L’elenco è lungo.

Le personalità prese di mira sono diverse, ma tutti hanno una cosa in comune: l’opposizione alle guerre di aggressione. Per di più, a quanto ne so, quasi tutti quelli che si oppongono alle guerre sono nella sua lista.

La tecnica principale è la colpa presunta per associazione. In cima alla lista dei peccati mortali sta la critica dell’Unione Europea, associata al “nazionalismo” associato al “fascismo” associato all’ “antisemitismo”, con una tendenza al genocidio. Ciò coincide perfettamente con la politica ufficiale dell’UE e dei governi dei suoi paesi aderenti, ma Antifa usa un linguaggio molto più duro.

A metà giugno 2011, il partito anti-UE Union Populaire Républicaine guidato da François Asselineau è stato oggetto di insinuazioni feroci su siti Internet di Antifa firmati da “Marie-Anne Boutoleau” (uno pseudonimo di Ornella Guyet). Temendo la violenza, i responsabili hanno annullato gli incontri del UPR a Lione. L’UPR ha fatto una piccola indagine, scoprendo che Ornella Guyet era nell’elenco degli oratori di un seminario del marzo 2009 sui media internazionali organizzato a Parigi dal Centro per lo Studio delle Comunicazioni Internazionali e dalla Scuola dei Media e degli Affari Pubblici presso la George Washington University. Un’associazione sorprendente per una così zelante attivista contro i “rosso-bruni”.

Nel caso in cui qualcuno abbia dubbi, “rosso-bruno” è un termine usato per macchiare chiunque abbia generalmente opinioni di sinistra – cioè “rosso” – con il colore fascista “marrone”. Questa accusa può basarsi sul fatto di avere lo stesso parere di qualcuno di destra, sul parlare sulla stessa piattaforma con qualcuno di destra, pubblicare accanto a qualcuno di destra, essere visti in una manifestazione contro la guerra a cui partecipa anche qualcuno di destra, e così via. È un qualcosa di particolarmente utile per il Partito della Guerra, poiché ai giorni nostri molti conservatori si oppongono alla guerra più della gente di sinistra, che si è bevuta il mantra della “guerra umanitaria”.

Il governo non ha bisogno di reprimere le manifestazioni contro la guerra. Ci pensa Antifa.

L’umorista franco-africano Dieudonné M’Bala M’Bala, stigmatizzato per antisemitismo dal 2002 per la sua scenetta televisiva in cui ironizzava su un colono israeliano come parte dell’ “Asse del bene” di George W. Bush, non è solo un obiettivo, ma serve come presunzione di colpevolezza per associazione per chiunque difenda il suo diritto alla libertà di parola – come il professore belga Jean Bricmont, praticamente nella lista nera in Francia per aver cercato di spendere una parola in favore della libertà di espressione durante un talk show televisivo. Dieudonné è stato bandito dai media, denunciato e multato innumerevoli volte, persino condannato al carcere in Belgio, ma nei suoi spettacoli continua a fare il pienone di sostenitori appassionati, e il principale messaggio politico è l’opposizione alla guerra.

Tuttavia, le accuse di essere tolleranti su Dieudonné possono avere gravi effetti sugli individui in posizioni più precarie, in quanto in Francia il semplice accenno di “antisemitismo” può distruggere una carriera. Gli inviti vengono annullati, le pubblicazioni rifiutate, i messaggi non ottengono risposta.

Nell’aprile del 2016, Ornella Guyet è sparita dalla circolazione, in un contesto di forti sospetti sulle sue personali associazioni.

La morale di questa storia è semplice. Rivoluzionari radicali auto-proclamati possono essere la psicopolizia più utile per il partito della guerra neoliberale.

Non voglio dire che tutti, o la maggior parte, degli Antifa siano agenti dell’establishment. Solo che possono essere manipolati, infiltrati o qualcun altro si può spacciare per uno di loro, proprio perché si autorizzano da soli e di solito sono più o meno a volto coperto.

Silenziare il necessario dibattito

Chi è certamente sincero è Mark Bray, autore di The Intifa Handbook. È chiaro da dove proviene Mark Bray, quando scrive (p.36-7): “… la soluzione finale di Hitler uccise sei milioni di ebrei nelle camere a gas, con plotoni di esecuzione, per fame e mancanza di cure mediche in campi squallidi e nei ghetti, con le percosse, facendoli lavorare fino alla morte e portandoli al suicidio per disperazione. Nel continente circa due ebrei su tre sono stati uccisi, compresi alcuni dei miei parenti“.

Questa storia personale spiega perché Mark Bray sente con tanta passione il tema del “fascismo”. Questo è perfettamente comprensibile in una persona ossessionata dalla paura che “possa accadere di nuovo”.

Tuttavia le ondate emotive, anche le più giustificate, non portano necessariamente saggi consigli. Le reazioni violente alla paura potrebbero sembrare forti ed efficaci quando in realtà sono moralmente deboli e praticamente inefficaci.

Siamo in un periodo di grande confusione politica. Etichettare ogni manifestazione “politicamente scorretta” come fascismo impedisce la chiarezza del dibattito su questioni che hanno molto bisogno di essere definite e chiarite.

La scarsità di fascisti è stata compensata identificando la critica dell’immigrazione come fascismo. Questa identificazione, in connessione con il rifiuto delle frontiere nazionali, deriva gran parte della sua forza emotiva soprattutto dalla paura ancestrale della comunità ebraica di essere esclusa dalle nazioni in cui si trova.

La questione dell’immigrazione ha  aspetti diversi in luoghi diversi. Nei paesi europei non è la stessa cosa che negli Stati Uniti. C’è una distinzione di base tra immigrati e immigrazione. Gli immigrati sono persone che meritano considerazione. L’immigrazione è una politica che deve essere valutata. Dovrebbe essere possibile discutere la politica senza essere accusati di perseguitare la gente. Dopo tutto, i leader sindacali tradizionalmente si sono opposti all’immigrazione di massa, non per razzismo, ma perché può essere una strategia capitalista deliberata per ridurre i salari.

In realtà, l’immigrazione è un soggetto complesso, con molti aspetti che possono portare a ragionevoli compromessi. Ma estremizzare il problema fa cadere la possibilità di compromesso. Facendo dell’immigrazione di massa la regina delle prove sull’essere fascisti o meno, l’intimidazione di Antifa impedisce una discussione ragionevole. Senza discussione, senza la disponibilità ad ascoltare tutti i punti di vista, la questione semplicemente dividerà la popolazione in due campi, pro e contro. E chi vincerà un tale confronto?

Un recente sondaggio* mostra che l’immigrazione di massa è sempre più impopolare in tutti i paesi europei. La complessità della questione è dimostrata dal fatto che nella maggior parte dei paesi europei la maggioranza della gente crede di avere il dovere di accogliere i rifugiati, ma non approva la continua immigrazione di massa. L’argomento ufficiale secondo cui l’immigrazione è cosa buona e utile è accettato solo dal 40%, rispetto al 60% di tutti gli europei, i quali ritengono che “l’immigrazione è un male per il nostro Paese”. Una sinistra la cui causa principale sono le frontiere aperte diventerà sempre più impopolare.

Violenza infantile

L’idea che il modo per far tacere qualcuno sia di assestargli un pugno sul muso è americana come i film di Hollywood. È anche tipica della guerra tra gang di alcune zone di Los Angeles. Fare banda con quelli “come noi” per combattere le bande degli “altri” per il controllo del territorio è caratteristica dei giovani in circostanze incerte. La ricerca di una causa può conferire a questi comportamenti uno scopo politico: sia fascista che antifascista. Per i giovani disorientati, è un’alternativa all’entrare nei Marines.

L’Antifa americano assomiglia molto a un matrimonio della classe media tra l’Identità Politica e la guerra tra gang. Mark Bray (pag. 175) mostra la sua fonte di Antifa di Washington affermando che il motivo per voler fare parte dei fascisti è di schierarsi dalla parte del “ragazzo più potente del quartiere” e tirarsi indietro in caso di paura. La nostra banda è più dura della tua.

Questa è anche la logica dell’imperialismo statunitense, che dice abitualmente dei suoi nemici: “Non lo capiscono che con la forza”. Anche se Antifa afferma di essere un movimento rivoluzionario radicale, la loro mentalità è perfettamente tipica dell’atmosfera di violenza prevalente nell’America militarizzata.

In un altro verso, Antifa segue la tendenza degli eccessi della Identità Politica che stanno schiacciando la libertà di parola in quella che dovrebbe essere la sua cittadella, il mondo accademico. Le parole sono considerate così pericolose che devono essere istituiti degli “spazi sicuri” per proteggere le persone dalle parole. Questa estrema vulnerabilità al danno causato dalle parole è stranamente legata alla tolleranza per la violenza fisica reale.

Caccia all’oca selvatica

Negli Stati Uniti, l’aspetto peggiore di Antifa è lo sforzo di guidare la disorientata sinistra americana in una caccia all’oca selvatica, seguendo “fascisti” immaginari invece di mettersi apertamente insieme per elaborare un programma positivo coerente. Gli Stati Uniti hanno la loro parte di individui strambi, aggressioni gratuite, idee pazzesche, e individuare questi personaggi marginali, da soli o in gruppi, è una distrazione enorme. Le persone veramente pericolose negli Stati Uniti sono al sicuro a Wall Street, nei Think Tanks di Washington, negli uffici dirigenziali della sterminata industria militare, per non parlare delle redazioni di alcuni dei media mainstream che attualmente stanno adottando un atteggiamento benevolo verso gli “anti -fascisti”, semplicemente perché sono utili per concentrarsi sull’anticonformista Trump invece che su se stessi.

Antifa USA, definendo la “resistenza al fascismo” come resistenza nei confronti delle cause perse – la Confederazione, i suprematisti bianchi e, per quel che conta, Donald Trump – sta in realtà distraendo l’attenzione dalla resistenza all’establishment neoliberale dominante, che si oppone anch’esso alla Confederazione e ai suprematisti bianchi ed è già in gran parte riuscito a catturare Trump attraverso la sua implacabile campagna di denigrazione. Quel corpo dirigente che, con le sue insaziabili guerre in paesi lontani e l’introduzione di metodi di polizia, ha usato con successo la “resistenza popolare a Trump” per renderlo ancora peggiore di quanto già non fosse.

L’uso facile del termine “fascista” ostacola la identificazione ragionata e la definizione del vero nemico dell’umanità di oggi. Nel caos contemporaneo, i più grandi e pericolosi sconvolgimenti del mondo derivano tutti dalla stessa fonte, difficile da definire, ma a cui possiamo dare l’etichetta provvisoria semplificata di Imperialismo Globalizzato. Questo equivale a un poliedrico progetto di ridefinizione del mondo per soddisfare le esigenze del capitalismo finanziario, del complesso industriale militare, della vanità ideologica degli Stati Uniti e della megalomania dei capi delle potenze “Occidentali” minori, in particolare Israele. Potrebbe essere chiamato semplicemente “imperialismo”, tranne che è molto più vasto e più distruttivo dell’imperialismo storico dei secoli precedenti. È anche molto più mascherato. E poiché non contiene alcuna chiara etichetta di “fascismo”, è difficile denunciarlo in termini semplici.

La fissazione sulla prevenzione di una forma di tirannia che sorse oltre 80 anni fa, in circostanze molto diverse, ostacola il riconoscimento della mostruosa tirannia di oggi. Combattere la guerra precedente porta alla sconfitta.

Donald Trump è un outsider a cui non sarà permesso di entrare. L’elezione di Donald Trump è soprattutto un grave sintomo della decadenza del sistema politico americano, totalmente governato dal denaro, dalle lobby, dal complesso militare-industriale e dai grandi media. Le loro menzogne stanno minando la base stessa della democrazia. Antifa ha portato avanti l’offensiva contro l’unica arma ancora nelle mani del popolo: il diritto alla libertà di parola e di riunione.

Note.
*«Où va la démocratie?», inchiesta della Fondazione per l’innovazione politica a cura di Dominique Reynié, (Plon, Parigi, 2017).

http://vocidallestero.it/2017/10/12/antifa-in-teoria-e-in-pratica/

4 commenti:

  1. Posso confermare che la situazione francese citata dall'autrice è un esempio calzante.
    Lavoro a Lione da qualche anno e siccome quand'ero ancora in Italia avevo la buona abitudine di andare a manifestare coi compagni ogni primo maggio, martedì mi sono recato alla locale manifestazione organizzata dalla CGT a cui avevano aderito molti gruppi e gruppetti di sinistrati.
    Una volta raggiunto il corteo, me ne sono andato quasi subito. Alla sua testa, anziché lavoratori come ci si aspetterebbe, i soliti spinellatori incappucciati dei centri sociali con bandiere LGBT e nazi-femministe che hanno ingaggiato scontri con la polizia, nel resto del corteo una miriade di bandiere dei ribelli siriani e dei separatisti kurdi.
    Un militante dei Jeunes Communistes, organizzazione giovanile del PCF ormai compromesso col massone Mélenchon, mi passa un volantino. Gli do una rapida scorsa e vedo che alla fine si chiede genericamente pace in Siria. Chiedo al "camarade" quale sia precisamente la posizione del loro partito al riguardo e costui mi risponde che, pur condannando l'aggressione occidentale e i tagliagole fondamentalisti, non sostengono di certo Putin e il "tiranno Assad" (sic!).
    Gli ho voltato le spalle e me ne sono andato senza dire nulla in direzione casa, perché dopo quanto visto e sentito alla fine ho realizzato con una certa mestizia che tra tutte le persone presenti in quel momento quelle con cui solidarizzavo di più erano i poliziotti, senza dubbio custodi di un ordine iniquo ma allo stesso tempo padri di famiglia e lavoratori pagati come operai per prendersi gli sputi e le bombe carta dei suddetti stronzetti antifa di inizio corteo.

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  2. Aggiungo una cosa sull'Union Populaire Républicaine citata dall'autrice: sputtanata a sangue dalla sinistra tutta e dai sindacati, compresa la CGT, è da questi accusata di essere un partito di estrema destra e rosso-bruno, come da copione, ma in realtà il suo fondatore e segretario Asselineau proviene dalla tradizione del gaullismo di sinistra.
    Non essendo cittadino francese non ho votato alle ultime presidenziali ma se avessi potuto farlo avrei senz'altro dato il mio voto ad Asselineau poiché fra tutti i candidati è stato l'unico a prendere una posizione seria e decisa sui temi fondamentali.
    E' stato l'unico a dire chiaramente che bisogna uscire quanto prima da euro, NATO e UE, tutti temi sui quali il furbacchione Mélenchon ha evitato di esprimersi in maniera chiara facendo sempre mille distinguo.
    E' stato l'unico a dire chiaramente che è venuto il tempo per la Francia di scrollarsi di dosso l'influenza USraeliana, che Israele commette crimini, che bisogna sostenere Assad come il legittimo presidente siriano e rafforzare i rapporti con Iran e Russia (tra l'altro ha spesso difeso Putin dalle assurde critiche rivoltegli dai media francesi, allineatissimi più di quelli italiani al mainstream occidentale).
    Inoltre, è stato uno dei due soli candidati (l'altro era quello del NPA, su cui però stendiamo un velo pietoso per quel che riguarda tutto il resto del programma) a denunciare chiaramente il sistema iniquo della Françafrique e a chiederne l'immediato smantellamento contro gli interessi egoistici della Francia, laddove nel programma elettorale di Mélenchon, perfetto social-imperialista quando si tratta di andare ai fatti, non c'era nemmeno una parola al riguardo. Non solo, ma da quel che vedo Asselineau è anche il solo che si impegna seriamente per trovare una soluzione concreta ai problemi dei dipartimenti francesi d'Oltremare e per stabilire un rapporto finalmente equo con essi (se non altro per scongiurarne la secessione che a lui, in quanto gaullista di sinistra ma pur sempre gaullista, spiacerebbe assai). Il furbacchione Mélenchon rispose invece assai ambiguamente alle più che legittime proteste popolari in Guyana! Insomma per farla breve non sorprende affatto che l'UPR sia ingiuriata dalla sinistra politicamente corretta e dai sindacati gialli, e forse sarebbe il caso di sostenerla poiché, pur non essendo di ispirazione marxista, è forse quanto di più antimperialista si possa trovare nel panorama politico francese attuale (tra l'altro è fortemente statalista in economia, schierandosi senza riserve per la difesa delle aziende pubbliche contro le privatizzazioni).

    Cosa ne pensa Stefano Zecchinelli al riguardo?

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  3. ''Marine Le Pen non ha un coerente programma di nazionalizzazione di parte delle risorse, guardandosi bene dal toccare il potere dei banchieri e della borghesia, e in politica estera pochi analisti sottolineano il suo fanatismo sionista. Melenchon, al contrario, ha un programma che prevede la nazionalizzazione dell’industria pesante ed è contro la NATO e la UE. Si tratta di due ‘’populismi’’ molto diversi; uno reazionario ( Le Pen ), l’altro progressista ( Melenchon ). Detto questo anche l’ex trotskista Melenchon ha fatto pericolose concessioni all’imperialismo atlantico confermando la regola: la sinistra francese non riesce proprio ad essere antimperialista.

    Solo per fare un esempio è di qualche giorno fa l’uscita ‘’Bashar Al Assad è un criminale’’ 1, che, ad esmpio, cozza decisamente con le analisi fatte dai socialisti venezuelani e i comunisti cubani.





    Non è la prima volta che il nostro sbaglia; nel 2011 il leader della sinistra francese si rifiutò di chiamare ‘’guerra’’ l’aggressione imperialistica contro la Libia di Gheddafi perché – a suo dire – l’intervento militare aveva l’autorizzazione dalle Nazioni Unite. Peccato che il giurista di sinistra, Danilo Zolo, abbia sottolineato la contrarietà al diritto internazionale dell’ aggressione neocoloniale contro uno Stato indipendente e sovrano.

    Melenchon è per l’uscita dalla NATO e si oppone alla russofobia dilagante in Europa; questo è innegabile e gliene rendiamo merito. Tuttavia non possiamo dimenticarci delle sue prese di posizione in favore della ‘’Francia coloniale’’. Di fronte alla distruzione della Libia, gli antimperialisti europei non possono che restare delusi dalle sue parole: Melenchon pensa che questo intervento ‘’è legato ai paesi dell’Africa del Nord. Non c’è futuro possibile per la Francia se lei si oppone al sentimento della maggior parte dei popoli del Maghreb, vale a dire, per la libertà e contro i tiranni’’ 2.

    Quindi, restando aderente agli ‘’interessi nazionali’’, Melenchon avrebbe appoggiato l’imperialismo francese contro i patrioti del Fronte di Liberazione nazionale algerino ( cosa che lo stalinista PCF fece ) oppure i franchisti spagnoli contro i marxisti baschi dell’ETA? Il giornalista Jean Bricmon, con un elegante articolo, mette in risalto le contraddizioni della sinistra francese: ‘’Beh, ma l’onorevole Mélenchon vive in un paese dove è illegale anche sostenere il boicottaggio pacifico contro Israele. Chi può credere per un secondo che l’attuale atteggiamento di sostegno ai ribelli sarà interpretato dai popoli del Maghreb come supporto alla libertà e non, per esempio, al controllo di uno stato petrolifero, come la Libia, o a riprendere piede militarmente e politicamente contro le rivolte arabe e, per quanto possibile, dirigerle in base agli interessi occidentali?’’ ( Jean Bricmon, La sinistra francese e la guerra in Libia, 2011 ).

    Oggi il leader del Fronte della sinistra chiede l’ingresso della Francia nell’ALBA sudamericana e noi ci auguriamo che, sulla Siria, ascolti i consigli dei comunisti cubani e dei socialisti venezuelani. L’abbandono del militarismo guerrafondaio è la condizione necessaria per sconfiggere l’imperialismo statunitense e il sionismo, il populismo lepenista e i rigurgiti neofascisti. Melenchon ne è consapevole? James Petras ha intravisto nella rottura con la NATO un importantissimo punto d’inizio ma il processo a seguire necessita del protagonismo della classe operaia, allo stato delle cose priva di una direzione politica coerentemente anticapitalista. L’Alleanza Atlantica e Israele sono il nemico principale, il nostro sembra saperlo ma poi inciampa sui cosiddetti ‘’interessi nazionali’’, del tutto interni alle dinamiche capitaliste occidentali. In parole povere, resta a metà strada''

    http://www.linterferenza.info/esteri/la-sinistra-francese-abbandonera-limperialismo/

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  4. L'articolo in questione lo scrissi lo scorso anno. Credo che sia ancora attuale e meriti d'essere ripreso. La sinistra francese è storicamente malata di ''social-imperialismo'' quindi sostengo tatticamente Melenchon contro il neo-liberismo e la NATO, ma so benissimo che da parte sua non ci sarà nessun programma concreto d'abbandono dell'imperialismo. Più che altro bisogna capire nelle colonie francese in che modo i movimenti di liberazione nazionale si stanno organizzando. So che Kemi Seba sta facendo un buon lavoro in Senegal, solo per citare un esempio importante.

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