L’analisi degli attentati (neo)jihadisti che da un anno a questa parte stanno insanguinando alcune grandi metropoli europee ha, banalmente, diviso i giornalisti – uso i termini correnti nella (contro)informazione della rete – fra cospirazionisti ed anticomplottisti: i primi sostengono che le stragi parigine ed ora belghe siano state pianificate dall’imperialismo americano per spingere, con entrambi i piedi, l’oligarchia europea nel mai sopito scontro di civiltà ( meglio dire, scontro d’ignoranze ); i secondi, al contrario, ritengono – nelle versioni più serie – che si stia formando un polo imperialista islamico – nel quale Daesh ha un posto d’onore – concorrente agli imperialismi occidentali ( più la Russia ).
Le argomentazioni, degli uni quanto degli altri, sono intelligenti ed efficaci, eppure i punti deboli non mancano.
Coloro che ritengono Daesh un movimento impermeabile all’eterodirezione mettono in risalto le profonde fratture interne alle società arabe e musulmane. Si tratta di un mondo martoriato dal colonialismo e ora dall’imperialismo: le ferite che i popoli islamici mostrano doloranti a noi occidentali, rischiano di non rimarginarsi più. Il capitalismo, come modello di produzione e di sfruttamento, è stato edificato anche con il loro sangue.
Un vecchio detto arabo recita ‘’la disperazione insegna a pregare’’: distrutto il nasserismo – e con esso anche il socialismo islamico – era quasi nell’ordine delle cose la diffusione, a macchia d’olio, dell’Islam politico. Inoltre, molti sostenitori dell’ “eterodirezione” integrale’’ dei cosiddetti fondamentalisti, non tengono conto dell’altissima densità demografica delle società nord-africane e mediorientali: una famiglia composta di oltre dieci membri quasi sicuramente costituirà, spinta dalla disperazione e dalla miseria più nera, l’anello debole sensibile agli slogan dei santoni con lo scialle. Il (neo)jihadismo ha un duplice movente che – se cediamo alla suggestione dell’ “eterodirezione” integrale – rischiamo di rimuovere inopportunamente, non capendo più nulla del fenomeno: (a) il movente sociale, ovvero di classe; (b) ed il movente psicologico. Sul fattore psicologico hanno ben lavorato i predicatori sauditi: il capitalismo opprime spiritualmente i musulmani delle nuove classi povere, allora la ‘’jihad’’ sarà il mezzo attraverso cui il riscatto sarà compiuto ed il globo purificato. Contro chi sarà rivolta la ‘’jihad’’, aggiungo io ? Ovviamente colpirà lo stesso musulmanesimo – l’Islam sciita ed i sunniti fedeli alla Sunnah – non certo il colonialismo israeliano, fratello gemello di Daesh, il quale arma i tagliagole di Jabat Al Nusra.
E’ importante precisare che questi giovani cadono nella rete wahhabita non per eccesso d’Islam ma per carenza di studio della vera dottrina coranica. Là dove regna l’ignoranza, il disagio sociale e la paura, i centri ‘’islamisti’’ hanno grande successo. Se poi all’emarginazione e allo sfruttamento si aggiunge il razzismo padronale ‘’dell’ uomo bianco’’ il gioco è fatto: il proselitismo di Casa Saud centra i suoi obiettivi. Un giovane marocchino emigrato in Europa, una volta perso il lavoro, che possibilità di sopravvivenza ha? Ben poche, a parte la rete della microcriminalità e delle mafie che hanno conquistato il monopolio dei traffici di droga fino allo sfruttamento della prostituzione nei bassi borghi.
Però Daesh non è certo soltanto un’armata di sbandati ed ex spacciatori della periferia parigina: stiamo parlando di milizie, molto ben armate, che operano in un’area geografica dove, piaccia o meno, Usa ed Israele hanno sempre fatto il bello ed il cattivo tempo. Inoltre le organizzazioni (neo)jihadiste hanno una struttura piramidale: il giovane indottrinato non ha nessun rapporto con i vertici formati da soggetti politici di ben altra provenienza sociale. Un’ organizzazione come Daesh – una volta preso atto di questa complessità – potrebbe anche ritrovarsi al vertice della piramide un ‘’Califfo del Mossad’’ ( Shimon Elliot, stando alle documentazioni di Snowden ) e avere una base agguerrita, istintivamente antioccidentale e disposta a compiere azioni di qualsiasi genere.
I vertici ‘’islamisti’’ – fantocci degli USA e di Israele e dei loro rispettivi servizi segreti – delineano l’orientamento strategico dei terroristi, mettono in circolazione armi e denaro sporco e si arricchiscono (anche) con la vendita del petrolio e dei reperti archeologici rubati ai popoli irakeno e siriano. La base deve essere – e non potrebbe essere altrimenti – lasciata libera di agire, intrattenendo rapporti strettissimi, non tanto con gli addestratori israeliani comunque presenti, ma con i predicatori wahhabiti: balordi la cui unica funzione è quella di offrire un ‘’movente ideologico’’ ai giovani miliziani. Alcuni di questi – pensate – credono addirittura nella giustezza del messaggio intollerante del monaco Wahhab e per esso sono disposti a dare la vita.
Alla teoria della eterodirezione integrale contrappongo – seguendo una mia personale interpretazione del fenomeno Daesh – l’eterodirezione dei vertici che non butta via la complessità sociologica dell’Islam politico e (neo)jihadista.
L’indagine sulle dinamiche eterodirettive dei vertici non contrasta affatto con l’analisi delle pulsioni emotive e psicologiche che spingono molti giovani marocchini, irakeni o sauditi ad entrare in Daesh ed in altre simili bande armate. Al contrario, un lavoro giornalistico serio ricomprende entrambi gli aspetti. Quanti fra i (contro)informatori, contando blog e numerose testate online, si sono sporcati le mani in questo senso? Il mondo islamico ( ed islamista ) è diversificato: i Fratelli Musulmani non sono wahhabiti ( anzi presentano addirittura alcune componenti filosciite ) e non tutti i salafiti seguono il messaggio sanguinario di Wahhab. I ‘’complottardi’’ hanno un brutto vizio: pensano che questa galassia sia monolitica e priva di varianti dottrinali, ragion per cui credono impossibili le fratture e le guerre intestine.
Daesh trova la sua origine storica nei Ikwan, quindi non esce fuori dal nulla. Per comprendere chi sono i Ikwan cito una parte eloquente di lungo articolo dello storico Alastair Crooke:
‘’Gli al-Saud, nella loro reincarnazione del XX° secolo, ebbero come guida il laconico e politicamente abile Abd-al-Aziz che, riunendo le tribù beduine divise, promosse gli Ikhwan sauditi, nello spirito di quei combattenti proseliti che furono al-Wahhab e Ibn Saud.
Le argomentazioni, degli uni quanto degli altri, sono intelligenti ed efficaci, eppure i punti deboli non mancano.
Coloro che ritengono Daesh un movimento impermeabile all’eterodirezione mettono in risalto le profonde fratture interne alle società arabe e musulmane. Si tratta di un mondo martoriato dal colonialismo e ora dall’imperialismo: le ferite che i popoli islamici mostrano doloranti a noi occidentali, rischiano di non rimarginarsi più. Il capitalismo, come modello di produzione e di sfruttamento, è stato edificato anche con il loro sangue.
Un vecchio detto arabo recita ‘’la disperazione insegna a pregare’’: distrutto il nasserismo – e con esso anche il socialismo islamico – era quasi nell’ordine delle cose la diffusione, a macchia d’olio, dell’Islam politico. Inoltre, molti sostenitori dell’ “eterodirezione” integrale’’ dei cosiddetti fondamentalisti, non tengono conto dell’altissima densità demografica delle società nord-africane e mediorientali: una famiglia composta di oltre dieci membri quasi sicuramente costituirà, spinta dalla disperazione e dalla miseria più nera, l’anello debole sensibile agli slogan dei santoni con lo scialle. Il (neo)jihadismo ha un duplice movente che – se cediamo alla suggestione dell’ “eterodirezione” integrale – rischiamo di rimuovere inopportunamente, non capendo più nulla del fenomeno: (a) il movente sociale, ovvero di classe; (b) ed il movente psicologico. Sul fattore psicologico hanno ben lavorato i predicatori sauditi: il capitalismo opprime spiritualmente i musulmani delle nuove classi povere, allora la ‘’jihad’’ sarà il mezzo attraverso cui il riscatto sarà compiuto ed il globo purificato. Contro chi sarà rivolta la ‘’jihad’’, aggiungo io ? Ovviamente colpirà lo stesso musulmanesimo – l’Islam sciita ed i sunniti fedeli alla Sunnah – non certo il colonialismo israeliano, fratello gemello di Daesh, il quale arma i tagliagole di Jabat Al Nusra.
E’ importante precisare che questi giovani cadono nella rete wahhabita non per eccesso d’Islam ma per carenza di studio della vera dottrina coranica. Là dove regna l’ignoranza, il disagio sociale e la paura, i centri ‘’islamisti’’ hanno grande successo. Se poi all’emarginazione e allo sfruttamento si aggiunge il razzismo padronale ‘’dell’ uomo bianco’’ il gioco è fatto: il proselitismo di Casa Saud centra i suoi obiettivi. Un giovane marocchino emigrato in Europa, una volta perso il lavoro, che possibilità di sopravvivenza ha? Ben poche, a parte la rete della microcriminalità e delle mafie che hanno conquistato il monopolio dei traffici di droga fino allo sfruttamento della prostituzione nei bassi borghi.
Però Daesh non è certo soltanto un’armata di sbandati ed ex spacciatori della periferia parigina: stiamo parlando di milizie, molto ben armate, che operano in un’area geografica dove, piaccia o meno, Usa ed Israele hanno sempre fatto il bello ed il cattivo tempo. Inoltre le organizzazioni (neo)jihadiste hanno una struttura piramidale: il giovane indottrinato non ha nessun rapporto con i vertici formati da soggetti politici di ben altra provenienza sociale. Un’ organizzazione come Daesh – una volta preso atto di questa complessità – potrebbe anche ritrovarsi al vertice della piramide un ‘’Califfo del Mossad’’ ( Shimon Elliot, stando alle documentazioni di Snowden ) e avere una base agguerrita, istintivamente antioccidentale e disposta a compiere azioni di qualsiasi genere.
I vertici ‘’islamisti’’ – fantocci degli USA e di Israele e dei loro rispettivi servizi segreti – delineano l’orientamento strategico dei terroristi, mettono in circolazione armi e denaro sporco e si arricchiscono (anche) con la vendita del petrolio e dei reperti archeologici rubati ai popoli irakeno e siriano. La base deve essere – e non potrebbe essere altrimenti – lasciata libera di agire, intrattenendo rapporti strettissimi, non tanto con gli addestratori israeliani comunque presenti, ma con i predicatori wahhabiti: balordi la cui unica funzione è quella di offrire un ‘’movente ideologico’’ ai giovani miliziani. Alcuni di questi – pensate – credono addirittura nella giustezza del messaggio intollerante del monaco Wahhab e per esso sono disposti a dare la vita.
Alla teoria della eterodirezione integrale contrappongo – seguendo una mia personale interpretazione del fenomeno Daesh – l’eterodirezione dei vertici che non butta via la complessità sociologica dell’Islam politico e (neo)jihadista.
L’indagine sulle dinamiche eterodirettive dei vertici non contrasta affatto con l’analisi delle pulsioni emotive e psicologiche che spingono molti giovani marocchini, irakeni o sauditi ad entrare in Daesh ed in altre simili bande armate. Al contrario, un lavoro giornalistico serio ricomprende entrambi gli aspetti. Quanti fra i (contro)informatori, contando blog e numerose testate online, si sono sporcati le mani in questo senso? Il mondo islamico ( ed islamista ) è diversificato: i Fratelli Musulmani non sono wahhabiti ( anzi presentano addirittura alcune componenti filosciite ) e non tutti i salafiti seguono il messaggio sanguinario di Wahhab. I ‘’complottardi’’ hanno un brutto vizio: pensano che questa galassia sia monolitica e priva di varianti dottrinali, ragion per cui credono impossibili le fratture e le guerre intestine.
Daesh trova la sua origine storica nei Ikwan, quindi non esce fuori dal nulla. Per comprendere chi sono i Ikwan cito una parte eloquente di lungo articolo dello storico Alastair Crooke:
‘’Gli al-Saud, nella loro reincarnazione del XX° secolo, ebbero come guida il laconico e politicamente abile Abd-al-Aziz che, riunendo le tribù beduine divise, promosse gli Ikhwan sauditi, nello spirito di quei combattenti proseliti che furono al-Wahhab e Ibn Saud.
Questi Ikhwan furono una riedizione del precedente movimento avanguardista, fiero e semi-indipendente, che era riuscito ad impadronirsi dell’Arabia Saudita agli inizi del XIX° secolo. Allo stesso modo, gli Ikhwan riuscirono a conquistare Medina, La Mecca e Gedda tra il 1914 e il 1926. Per contro, Abd al-Aziz cominciò a comprendere che i suoi interessi più ampi erano minacciati dal giacobinismo rivoluzionario professato dagli Ikhwan (nell’immagine a destra). Questi ultimi si ribellarono, impegnandosi in una guerra civile che durò fino al 1930, quando il re riuscì a eliminarli, con grandi raffiche di mitragliatrici.
Per questo re (Abd al-Aziz) le verità semplici dei secoli precedenti perdevano il loro valore. Si era scoperto il petrolio nella penisola. L’Inghilterra e gli Stati Uniti cominciavano a corteggiarlo, anche se erano più inclini a considerare Sharif Husain legittimo rappresentante dell’Arabia. I Saud avevano ancora bisogno di raffinare le loro capacità diplomatiche.
Per queste ragioni, il wahhabismo si è trasformato, da movimento di jihad rivoluzionario e di purificazione ideologica takfirita in un movimento di conservazione sociale politica e teologica’’ 1
Parto da questa osservazione di straordinaria importanza ‘’il wahhabismo si è trasformato, da movimento di jihad rivoluzionario e di purificazione ideologica takfirita in un movimento di conservazione sociale politica e teologica’’, e aggiungo: Daesh – seppur eterodiretta a livello di verticistico – agisce in modo imprevedibile e un domani, cellule scissionistiche, potrebbero addirittura provare a colpire Casa Saud, una delle centrali del terrorismo mondiale. Domanda: l’imperialismo nord-americano ed Israele hanno messo in conto, fin da subito, quest’ultima ipotesi? Chi scrive crede di sì: l’imperialismo – per dirla con Mao – sarà anche una ‘’tigre di carta’’ ma mantiene una incredibile capacità nel pianificare gli eventi.
Se i ‘’complottardi’’ non analizzano la genesi storica del fenomeno (neo)jihadista riducendo tutto ad un movimento artificiale ( cosa anti-storica ) privo di basi e ragioni sociali, i teorici del ‘’polo imperiale islamico’’ sottovalutano (a) la forte penetrazione della CIA, del Mossad e del MI6 britannico all’interno dei servizi d’intellingence sauditi sovrapponendo l’islamismo all’imperialismo, (b) in conclusione tendono a fare molteplici concessioni alla propaganda dei media di regime, sempre pronti a riempire di letame – si è visto con le importanti controinchieste successive ai fatti dell’11 settembre 2001 – il vero giornalismo d’inchiesta.
Qualche giorno fa osservavo sull’Interferenza.info che: ‘’I ragazzi delle periferie nord-europee hanno trovato – per disgrazia – nella ‘’moschea’’ un diversivo rispetto all’organizzazione politica e sindacale oppure agli stessi movimenti di sinistra. Il jihadismo avanza un po’ come la ‘’vecchia’’ mafia: là dove la sinistra e l’impegno sociale arretrano è abilissimo ad infiltrarsi, disimpegnando i giovani e sostituendo il conflitto di classe con la vile guerra fra bande’’ 2. Ricondurre tutto ad una ‘’pista complottarda’’ significa – fra le tante cose – evitare di fare i conti con le conseguenze, dirette ed indirette, dell’arretramento delle forze antimperialiste. Tale dimensione auto consolatoria non mi compete affatto.
Dal canto loro i ‘’debunker’’, tanto più se di sinistra, rischiano di dare una mano, seppur involontariamente ( questo vale per chi è in buona fede ), ai megafoni neocolonialisti e filosionisti: come si può negare l’evidente emanazione di leggi liberticide contro i documentaristi non allineati ? Da questo punto di vista, Thierry Meyssan, ha pienamente ragione ad ironizzare sulla vuota categoria di cospirazionismo: ‘’Diciamo pure che questa definizione non si applica soltanto ai deliri dei malati mentali. Così Platone, con il mito della caverna, affermava di mettere in discussione le certezze del suo tempo; Galileo con la sua tesi eliocentrica sfidava la lettura che la sua epoca dava della Bibbia; ecc’’ 3. Una battaglia per la libertà d’espressione e la libera ricerca, oggi come non mai, è urgente e doverosa.
Un radicale sa che lo Stato è nemico della Repubblica, quindi il potere capitalistico cerca in continuazione di creare una narrativa finalizzata a giustificare il militarismo e l’autoritarismo. Fattori endogeni ed esogeni si intersecano ripetutamente: la borghesia imperialista non può fare a meno di provare a plasmare ed eterodirigere disagi e malesseri esistenti da tempo nelle classi dominate ma soprattutto nel labilissimo sottoproletariato urbano. A volte ci riesce mentre in altri casi la situazione gli sfugge di mano. Questo intreccio di fattori, a chi segue la dicotomia complottardi/debuker, sfugge rovinosamente con conseguenze non da poco. Fa benissimo il marxista Michele Basso a ricordare ai più sprovveduti come: ‘’In Marx ed Engels si possono trovare numerose denunce delle trame di Napoleone III o della diplomazia zarista, di Thiers o di Bismarck. Marx cercava di avere notizie, dai suoi contatti russi, sull’attività della “Terza divisione”, cioè della polizia segreta zarista’’ 4. Al posto dei nomi Napoleone III, Thiers o Bismarck, mettiamoci quelli di Bush, Hollande e Netanyahu e il gioco è fatto.
La guerra attuale è condotta tanto dai servizi segreti, quanto dai santoni e i telepredicatori: la nuova classe povera – da Tunisi a Bruxelles – rischia di farsi carne da cannone, sotto il macabro effetto inebriante dell’oppio wahhabita. Non si tratta di un complotto ma l’ombra lunga di un processo molto complesso che ha la regia a Washington, che piaccia o no, è onnipresente.
http://www.ossin.org/arabia-saudita/1879-storia-del-wahhabismo-da-dove-viene-lo-stato-islamico
http://www.linterferenza.info/esteri/stragi-di-bruxelles-registi-aiutoregisti-attori-e-comparse/
http://www.voltairenet.org/article186998.html
http://cvh0047.ergonet.it/estero/5127-michele-basso-marx-dietro-le-quinte.html
http://www.linterferenza.info/attpol/la-guerra-del-xxi-secolo-servizi-segreti-santoni-e-e-telepredicatori/
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