Gli accordi sul nucleare iraniano sono stati accolti con entusiasmo da tutti i governi occidentali con l’esclusione dell’iper-militarista Israele: tutti i leader liberali ed i signori del business internazionale hanno applaudito l’ingresso dell’Iran nella cosiddetta comunità internazionale.
La verità è ben diversa: l’imperialismo statunitense non ha affatto attenuato la sua volontà di far riprecipitare l’Iran sotto il tallone del colonialismo, mentre Teheran ha messo nel tiretto le sue esigenze vitali. La rinuncia alla costruzione della centrale di Arak e dell’uranio arricchito al 20 %, con finalità civili e militari difensive, sono un duro colpo per il bastione sciita. Thierry Meyssan – insieme a James Petras e al nostro Fulvio Grimaldi – è l’unico giornalista antimperialista che ha descritto l’ ‘’abdicazione dell’Iran’’, dando al suo articolo un titolo un po’ troppo pessimista: ‘’Gli occidentali, per parte loro, perseguono sempre lo stesso obiettivo. Il piano d’attacco del presidente George W. Bush prevedeva che si distruggesse l’Afghanistan, poi l’Iraq, poi simultaneamente la Libia e la Siria (via Libano), e ancora simultaneamente il Sudan e la Somalia, e che, infine, si terminasse con l’Iran. Dal loro punto di vista, le sanzioni contro Teheran erano, in base a un dubbio pretesto, un modo semplice per indebolirla. Per essi, la resa dello sceicco Rohani è paragonabile a quella di Muammar Gheddafi, nell’abbandonare il suo programma nucleare e nel sottomettersi a tutti i requisiti di Washington per evitare la guerra. Ma, come nel caso di Gheddafi, le concessioni dello sceicco Rohani saranno utilizzate più tardi contro il suo paese’’ 1.
Nel 2005 Ahmadinejad rimobilitò la classe operaia iraniana contro la borghesia del bazar. I bazaristi come Rafsanjani e Khatami, dal 1989 ( anno del primo mandato di Rafsanjani ) al 2005 ( anno dell’ultimo mandato di Khatami ), hanno perseguito l’obiettivo di realizzare una ‘’modernizzazione capitalistica stile cinese’’ (con le dovute differenze, ovviamente), colpendo molto duramente il mondo del lavoro. Al pari della Cina dopo la svolta antimaoista di Deng ( 1978 ), l’Iran ‘bazarista’ si disimpegnò dalle resistenze nazionali, in nome della pacifica integrazione nel capitalismo globale: la disoccupazione interna è cresciuta a causa delle privatizzazioni fatte in nome del profitto mentre sul versante internazionale il prestigio della Rivoluzione khomeinista si è certamente affievolito. L’accordo di Khatami col genocida George Bush, riguardante la spartizione dell’Irak, è il punto più basso toccato dalla Teheran post-rivoluzionaria.
Il Guardiano della Rivoluzione Ahmadinejad aveva invertito la rotta: ispirandosi al processo di decolonizzazione valido per tutto il Terzo Mondo del suo amico personale Hugo Chavez, ha ‘’promosso le classi popolari, rafforzato l’antimperialismo, sviluppato infrastrutture e tecnologia, tagliato le unghie ai ceti famelici, quelli che nel 2009, con la famigerata “rivoluzione colorata”, avevano minacciato di riportare il paese ai nefasti filoccidentali dello Shah, il più spietato dei tiranni, e il più amato in Occidente’’ 2, come ben dice il sempre lucido Fulvio Grimaldi, profondo conoscitore di quel mondo. Durante i suoi governi, Israele ha subito tre brucianti sconfitte: (1) nel 2006 grazie agli armamenti provenienti da Teheran, gli Hezbollah hanno costretto alla ritirata dalla parte meridionale del Libano l’imperialismo israeliano; (2) alla fine del 2008, anche grazie al sostegno iraniano, Hamas ha dimostrato di saper resistere ad una operazione della potenza diPiombo Fuso, un’aggressione che – in un normale contesto di giustizia internazionale – avrebbe dovuto portare alla condanna del premier likudista Netanyahu per crimini contro l’umanità; (3) nel 2011 gli sciiti yemeniti hanno rovesciato il fantoccio filoisraeliano Saleh, restituendo forza ai ceti popolari e proletari di quel paese. La Rivoluzione nello Yemen ancora oggi prosegue grazie alla resistenza di Ansarola, sciiti zaiditi, comunque sostenuta dalla componente duodecimana di Teheran.
A livello internazionale il ‘’socialismo islamico’’ ne uscì rinvigorito: Ahmadinejad volò a Caracas ed in compagnia di Chavez alzò il pugno, simbolo del movimento operaio e comunista. Un gesto simbolico che ha colpito profondamente il dogmatismo dei chierici, oscurantisti ed ostili alle necessità reali dei ceti popolari.
Oggi lo sceicco Rohani entra in rotta di collisione con gli antimperialisti: abbandonando la strada della ‘rivoluzione degli oppressi’ dell’imam Khomeini accetta i dettati di Washington, eppure lo stesso ayatollah Khamenei aveva richiamato alla straordinaria capacità di resistenza del popolo iraniano ‘’L’Iran deve diventare immune dinanzi alle sanzioni che le vengono imposte per via del suo programma nucleare pacifico’’ 3. Ha ragione, allora, Meyssan quando dice nel già citato articolo ‘’ La squadra dello sceicco Rohani rappresenta sia gli interessi del clero sia quelli della borghesia di Teheran e Isfahan. Essa ambisce alla prosperità economica e non se la sente di farsi carico della lotta anti-imperialistica. La progressiva revoca delle sanzioni le permette di ottenere un ampio sostegno popolare, con gli iraniani che percepiscono – al momento – l’accordo come una vittoria che farà aumentare il loro tenore di vita’’. Il riallineamento dell’Iran, al contrario di quello che pensano alcuni esperti di geopolitica con il loro seguito rossobruno, è frutto della lotta di classe interna alla nazione islamica: dopo l’offensiva (neo)sharitiana, durata circa otto anni ( dal 2005 al 2013 ), il bazar cerca la chiave per rendere compatibile l’Islam sciita col capitalismo neoliberista. Se Ahmadinejad ha rispolverato il ‘’marxismo islamico’’ del mitico Ali Shariati, vero ideologo della Rivolta antimperialistica del 1978-’79, Rohani tende la mano al capitalismo italiano, non alieno da pessime simpatie israeliane. Domanda ( certamente sarò provocatorio ): Khamenei, da sempre vicino agli sharitiani per la sua linea antimperialistica, saprà fermare l’offensiva di Rohani e del bazar ?
La dialettica tra le fazioni khomeiniste è, in casi come questi, centrale: Rohani, al pari di Khatami, è un chierico, l’ex presidente un Devoto della causa. Lo slogan rivoluzionario dei chierici era ‘’né Occidente e né Oriente’’ oppure ‘’il popolo vuole l’Islam’’, al contrario i Devoti della causa mobilitarono la classe operaia sotto le bandiere ‘’morte all’America e morte ad Israele’’. I primi pensavano che gli iraniani avessero rovesciato Reza Pahlevi in quanto musulmani ovvero in nome della tradizione; i secondi, protagonisti dell’assalto all’ambasciata Usa definita da Khomeini un ‘’covo di spie’’, alzarono la bandiera dell’indipendenza nazionale estesa a tutte le nazioni in lotta contro l’imperialismo nord-americano.
La lotta contro Washington e Tel Aviv, per Ahmadinejad, è stata senza esclusioni di colpi, i contendenti non hanno optato per il fioretto: nel 2008, con l’aiuto del filoisraeliano Mousavi, gli Usa provarono ad organizzare una ‘’rivoluzione colorata’’, fortunatamente fallita. In quell’occasione il nostro dichiarò che se Obama avesse dato il via ad un intervento militare, la risposta sarebbe stata ‘’tanto forte da rompere i denti ai suoi militari’’. La sinistra europea – principalmente quella francese ed italiana – rappresentò questo Pasdaran di ferro, amico di Hugo Chavez, come un ‘’fondamentalista islamico’’ dimostrando una ignoranza folcloristica delle divisioni interne allo sciismo. Meyssan ci ricorda anche ‘’della falsificazione sul Congresso sull’olocausto, che mirava a dimostrare come gli Occidentali avessero distrutto ogni spiritualità nelle loro società e avessero creato una nuova religione intorno a questo fatto storico, per portare a credere che, nonostante la presenza di rabbini a questo congresso, celebrasse il negazionismo, senza contare l’affermazione che discriminasse gli ebrei’’.
Io non so fino a che punto Ahmadinejad, all’epoca molto giovane, condivise l’ingiusta e gravissima repressione dei comunisti iraniani, però al vertice della FAO di Roma, oramai datato, ha dato un colpo durissimo al neoliberismo: “Oggi i politici di alcune potenze mondiali sono costretti a svalutare i dollari per diminuire le conseguenze delle loro attività passate ma anche per imporre le loro volontà sul mercato mondiale. (…) Per coprire le continue spese per guerre ed occupazioni, compensati da forti e immorali consumi, e per rimpinguare le tasche del capitalismo mondiale e svuotare quelle delle altre nazioni, c’è stata una vasta iniezione di dollari senza garanzie e oggi tutto questo si è riflesso nella svalutazione del dollaro; un fenomeno che ha messo in pericolo tutte le relazioni economiche mondiali” 4. Rohani potrebbe pronunciare oggi le stesse parole ?
Washington, tramite questi accordi ( che forse dopo le elezioni del 2016 diventeranno carta straccia ), mira semplicemente ad indebolire il bastione persiano, salvo poi ritornare in conflitto con esso. L’Iran è ad un bivio: vuole continuare ad essere una Repubblica antimperialistica oppure si accontenterà di una ‘’via islamica’’ al capitalismo ? Il conflitto di classe dentro il mondo sciita – e non semplicemente l’Iran – definirà la base economica e politica di un paese ancora molto giovane e certamente con un grande spirito rivoluzionario. La via di Ahmadinejad è ancora valida ? I “senza scarpe” saprebbero come rispondere.
http://www.linterferenza.info/esteri/3234/
Nessun commento:
Posta un commento