mercoledì 11 novembre 2015

Il PKK deve chiarire la sua posizione, di Stefano Zecchinelli

La sinistra occidentale ha appoggiato acriticamente il PKK – Partito del lavoratori del Kurdistan – e il suo ramo siriano: il YPG. Per mesi abbiamo visto le bandiere palestinesi, durante varie iniziative politiche, sventolare insieme a quelle della sinistra curda, eppure tale entusiasmo potrebbe rivelarsi immotivato. In pochi, infatti, anche e soprattutto nella sinistra occidentale, si sono premurati di analizzare la strategia che effettivamente il PKK e il YPG stanno portando avanti nello scacchiere mediorientale. In questo modo si rischia di assumere una posizione di tipo ideologico ma priva di fondamento politico.
Ho preferito seguire un altro metodo, quello cioè di consultare e verificare le fonti, in particolare quelle turche e palestinesi, per cercare di chiarire il reale rapporto che intercorre fra il PKK e il YPG con le altre forze antimperialistiche presenti in quell’area. Questo lavoro ha portato a degli esiti diversi rispetto a quelle che sono le convinzioni più o meno diffuse dei giornalisti e dei militanti della sinistra europea e occidentale. Il PKK viene considerato dalla gran parte della sinistra turca come un’ organizzazione separatista con addirittura delle venature razziste al proprio interno. Parole forti, che possono non piacere, ma questo è ciò che emerge da questo lavoro.
Nel 2014, il Partito comunista turco (di recente diviso in due tronconi), ha definito il PKK come una forza politica nazionalista che sta negoziando una soluzione politica con Erdogan, e il mancato appoggio dei curdi alla rivolta di Gezi Park – secondo i comunisti turchi – sarebbe la prova di ciò.
Nel marzo del 2015 la CIA ha creato il The Sirian Democratic Force, una replica dell’Esercito Libero Siriano, il quale include anche le milizie dell’YPG. Le milizie curde si sono rivoltate contro la Siria baathista iniziando la curdizzazione del Nord del paese. Thierry Meyssan, giornalista antimperialista che aveva sostenuto l’organizzazione di Ocalan (da lui definita, erroneamente, filorussa) sembra aver rivisitato le sue posizioni. Leggiamo:
‘’L’YPG che, fino al mese scorso, ha ricevuto le sue armi e i suoi soldi da Damasco, si è rivoltato contro la Repubblica araba siriana. I suoi miliziani invadono i villaggi conquistati, espellono gli insegnanti e decretano la curdizzazione forzata delle scuole. Il curdo, che era parlato e insegnato a scuola, diviene la lingua unica e obbligatoria. Le milizie della Repubblica araba siriana, compresi gli Assiri, sono ridotti a difendere le loro scuole armi in pugno contro i loro compatrioti curdi’’.
( Fonte: http://www.voltairenet.org/article189147.html )
La Rete Voltaire ci fornisce anche la copia di un documento, per la precisione un decreto, in cui si sostiene la costruzione di uno Stato etnico a scapito del governo di Damasco ( Fonte: http://www.voltairenet.org/IMG/pdf/_Kurdistan_-3.pdf ). A vantaggio di chi? I giornalisti della Rete Voltaire non hanno dubbi: degli Usa ma soprattutto di Israele.
Nel 2013 gli Usa hanno ridisegnato la regione: la costituzione di un Kurdistan indipendente e di un Sunnistan siriano, restano fra gli obiettivi di Washington. Erdogan in Turchia è stato capace di restare in sella, cercando di fare della Turchia la potenza egemone della regione. E’ vero che Erdogan è un fedele alleato degli USA e della NATO ma è anche vero che questi ultimi non possono permettersi che la Turchia aumenti più di tanto la sua forza politica e militare e vogliono porre dei limiti alla sua capacità di esercitare egemonia in tutto il Medio Oriente. Il separatismo etnico dei curdi e del PKK potrebbe tornare funzionale a questa politica di bilanciamento delle forze in campo e costituire una spina nel fianco del caudillo di Ankara. Del resto gli Usa non debbono impensierire Israele, il loro maggiore e più importante alleato nella regione (oltre, naturalmente, all’Arabia Saudita). La Turchia, dunque, è uno dei tasselli fondamentali del mosaico, a patto però di non uscire dai binari che le sono stati assegnati e di contenere le sue ambizioni espansionistiche.
Washington potrebbe quindi, a tal fine, essere interessata ad un appoggio tattico al PKK e al separatismo curdo.
Naturalmente il sottoscritto non ha mai negato i sacrosanti diritti nazionali dei curdi i quali hanno tutte le ragioni per rivendicare la propria autonomia e indipendenza politica e culturale. Tuttavia il PKK di trova nel bel mezzo di un “gioco” che potrebbe rivelarsi assai rischioso e aprire (come già sta aprendo…) delle forti contraddizioni .
Justin Raimondo rivela come gli armamenti del PKK, troppe volte, sono risultati di provenienza statunitense:
‘’ I numeri di serie delle armi catturate a dei combattenti del PKK hanno permesso di risalirne la filiera fino a dei carichi statunitensi destinati all’esercito e alla polizia iracheni. In risposta a lamentele turche a questo riguardo, gli Stati Uniti pretendono che queste armi sarebbero state dirottate dagli Iracheni – verosimilmente il governo curdo autonomo -, ma i Turchi non credono ad una parola: se questa enorme quantità di armi di fabbricazione USA (1260 unità trovate finora) si rivelasse essere stata fornita direttamente dagli Stati Uniti al PKK, ha avvertito Abdullah Gül, quando era ancora Ministro degli Esteri turco, le relazioni turco-americane “andrebbero in frantumi”. I diplomatici statunitensi hanno immediatamente rigettato tale ipotesi e Washington ha inviato sul posto il consigliere generale del Pentagono, William J. Haynes, dove ha incontrato i più alti responsabili delle forze armate turche. Secondo almeno una fonte, “L’incontro verteva su di una inchiesta in corso, scrupolosamente condotta dal Dipartimento USA della Difesa, su alcune informazioni secondo cui delle armi USA erano in procinto di essere vendute ad opera di truppe USA di stanza in Iraq”.’’
http://www.voltairenet.org/article160662.html
Il Partito dei lavoratori del Kurdistan non hai mai provveduto a fare opportuna chiarezza relativamente a queste gravi accuse. In Iran, l’organizzazione politica che rappresenta i curdi iraniani mantiene ottimi rapporti con il Partito Curdo della Vita ( Pejak ) che punta al rovesciamento della Repubblica Islamica dell’Iran. Eppure, l’Iran khomeinista, è un punto di riferimento per la sinistra islamica e per i movimenti di liberazione nazionale palestinesi e libanesi. Come si pone il PKK rispetto a tutto ciò?
Il PKK non ha appoggiato la rivolta di Gezi Park scontrandosi frontalmente con i comunisti turchi e ora sembra assecondare le milizie dell’YPG da poco alleate di Al Nusra contro la Siria baathista. Ocalan approva il progetto di Obama riguardante la creazione del Sunnistan siriano? Anche in questo caso l’amministrazione americana vuole unire i fondamentalisti sunniti contro il governo di Bashar Al Assad ( Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=zD3JKrGZZp4 )
A tal fine, il Presidente Obama dichiara testualmente che le milizie dell’YPG sono “friends on the round” ( Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=3lD4I0RJ0FM ). Il sito sinistra.ch conferma questa analisi: ‘’Il coinvolgimento militare americano spiana la strada ad una creazione de facto di un corridoio curdo, forzando l’ISIS a spostarsi dalle regioni di Damasco e Aleppo. Perciò, con il supporto dato al PYD, il centro della guerra organizzata dagli Stati Uniti in Siria si rivolge contro le forze leali al governo socialista di Assad’’ ( Fonte: http://www.sinistra.ch/?p=4107 )
Alla luce di tutto ciò diventa assolutamente necessario che il PKK faccia la dovuta chiarezza ed esca dall’ambiguità. Che rapporti ci sono con l’YPG? Qual è la sua posizione rispetto alla crisi siriana? E come si posiziona nei confronti dell’Iran? E infine, quali e di che natura sono, se ci sono, i rapporti con gli USA?

http://www.linterferenza.info/esteri/il-pkk-deve-chiarire-la-sua-posizione/

1 commento:

  1. io penso che sei l'ennesimo demente della sinistra italiana che non ha niente di meglio da fare che scrivere stronzate, prima di parlare del PKK e del YPG fai un salto al fronte e poi apri la bocca.

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