venerdì 11 maggio 2012

Coesistenza pacifica ed esportazione del processo rivoluzionario, di Stefano Zecchinelli


1. In questo intervento voglio chiarire alcuni problemi riguardanti la storia del movimento operaio e la teoria marxista. Mi soffermerò, principalmente, sulla coesistenza pacifica (che risale, circa, al XX Congresso del PCUS) e sui problemi riguardanti l’esportazione del processo rivoluzionario. La mia analisi, oltretutto, avrà alla base un utilizzo (comparato) delle principali correnti del marxismo eretico (bordighismo, trotskismo, maoismo, marxismo occidentale). Non intendo ricevere un premio come campione di eclettismo (anche perché non ho problemi a schierarmi e la mia posizione è chiarissima) ma uno studio comparato penso sia necessario per dimostrare come davanti situazioni analoghe marxisti apparentemente distanti abbiano avuto inaspettate confluenze.

2. La tesi che Cruscev avanzò al XX Congresso rifiutava la teoria dell’imperialismo di Lenin, nello stesso modo in cui Lenin respinse la previsione marxiana che voleva l’iniziale successo della rivoluzione socialista solo nei Paesi a capitalismo avanzato.
Ovviamente entrambe le ipotesi di Cruscev si sono rivelate errate:

(1) L’unico vero capitalismo reale è quello imperialistico ed infatti – proprio dagli anni ’60 – l’imperialismo americano iniziò una ininterrotta guerra contro i popoli coloniali.

(2) Il marxismo della II Internazionale eurocentrico aveva una visione unilineare del processo storico che – seguendo la teoria dei cinque stadi – vedeva il capitalismo come uno stadio inevitabile. Ma la polarizzazione della ricchezza verso le metropoli capitalistiche ha creato delle vere ‘zone di tempesta’ nelle periferie in ribellione contro l’imperialismo globale.

La tesi del XX Congresso si è dimostrata una vera catastrofe.
Adesso criticherò la ‘coesistenza pacifica’ mettendo a confronto una serie di pensatori marxisti che hanno influenzato il panorama politico-culturale del secolo scorso.
Inizierò con il confrontare Leon Trotsky (che secondo Hosea Jaffe è stato l’ultimo grande pensatore anti-colonialista) ed Ernesto Guevara.

3. Il confronto fra queste due grandi figure esula dalla mistica neo-trotskista che vede in Guevara un ‘trotskista inconscio’ e da quella neo-stalinista che vede in lui una sorta di Stalin II.
In questa sede prenderò in esame criticamente la loro critica alle burocrazie, cosa che meglio mi consente di inquadrare il ruolo dell’Urss (anche partendo dalla sua natura sociale) in un periodo relativamente ampio: fine anni ’20, fine anni ’60.
Una vasta schiera di neo-trotskisti ha intravisto nella critica di Guevara alle burocrazie una sorta di spirito libertario che lo accomunava al Trotsky della battaglia anti-stalinista. Un vero insieme di idiozie!
Vediamo cosa intende per burocrazia Ernesto Guevara e cosa rappresenta nelle teorie di Trotsky la burocratizzazione:

‘’Il burocratismo, evidentemente, non nasce con la società socialista, ne è una sua componente inevitabile. La burocrazia statale esisteva già all’epoca dei regimi borghesi, con il loro seguito di prebende e di clientelismo, poiché all’ombra del bilancio prosperava un gran numero di profittatori che costituivano la corte del politico di turno’’ (Ernesto Guevara, Scritti scelti, Editore Massari)

L’analisi di Trotsky non solo è più profonda ma riguarda qualcosa di estremamente diverso:

‘’La conquista del potere non modifica solo l’atteggiamento del proletariato verso le altre classi, ma ne cambia anche la struttura interna. L’esercizio del potere diviene la specialità di un gruppo sociale determinato, che tende a risolvere la propria questione sociale con tanta maggiore impazienza quanto più elevata è l’idea che ha della propria missione’’ (Leon Trotsky, La rivoluzione tradita, A.C. Editoriale Coop.)

Il burocratismo – per il costruttore dell’Armata Rossa – è un fenomeno sociale che ha portato alla nascita di un corpo estraneo al proletariato. Questa impostazione a mio avviso presenta due punti forti e due punti deboli. Vediamo gli aspetti negativi:

(1) Lo studio di Trotsky sulla burocrazia staliniana fonda le sue radici nella lotta di Robert Michels all’autocrazia guglielmina, quindi è una riproposizione – in un contesto molto diverso – della ‘’legge ferrea del funzionamento oligarchico’’. Tutte teorie che nascono in Germania (o almeno nel centro Europa)e che criticano la direzione delle socialdemocrazie nei Paesi a capitalismo maturo. L’approccio teorico è quindi eurocentrico ed esclude lo studio dei modi di produzione asiatici. Questo sarà uno dei motivi per cui il trotskismo teorico (Mandel, Naville, Maitan, ecc…) si è dimostrato inferiore del maoismo teorico europeo (Bettelheim, Samir Amin, Gianfranco La Grassa, ecc…) dalla seconda metà degli anni sessanta in poi.

(2) Contrapponendo la burocrazia – come ceto parassitario – al proletariato chiamato a fare una rivoluzione politica, Trotsky ha dato lo spunto ai suoi tristi epigoni per ripresentare l’eterna contrapposizione fra politicanti cattivi e masse buone.
La storia chiama gli antimperialisti a doversi schierare con delle masse a discapito di altre, ciò che deve essere valutata, invece, è la direzione strategica delle masse. Dall’altra parte Lev Davidovic non solo ha sempre battuto sulla avanguardia di classe (la crisi del proletariato è la crisi della sua avanguardia storica, usando le sue parole) ma ha dato una dura lezione al populismo di sinistra reprimendo senza indugi il movimento anarchico.

In estrema sintesi adesso elenco i punti forti di questa teoria:

(1) E’ molto difficile dimostrare che l’Urss negli anni ’60 fosse un Paese socialista, sulla base della definizione di socialismo data da Lenin (Soviet più elettrizzazione) mentre è innegabile che abbia avuto un processo degenerativo. Trotsky fu il primo a capire che la involuzione di uno Stato operaio (quindi di uno Stato in cui la borghesia sia stata spazzata via da una rivoluzione proletaria) era strettamente riconnessa alla politica internazionale, quindi alla esportazione di un coerente programma anticapitalistico.
Non è casuale che il teorico maoista nepalese Buburam Bhattarai abbia dovuto affrontare lo stretto legame che intercorre fra politica interna e politica estera, in senso rivoluzionario.

(2) Nel capitolo conclusivo di ‘’La rivoluzione tradita’’ il costruttore dell’Armata Rossa precisa:

‘’Se come seconda ipotesi, un partito borghese rovesciasse la casta dirigente sovietica, troverebbe non pochi servitori tra i tecnici, tra i direttori, tra i segretari del partito, tra i dirigenti in generale’’

Lo studio del nostro parte esclusivamente dal fatto economico, quindi: ‘’L’obiettivo del nuovo regime sarebbe di ristabilire la proprietà privata dei mezzi di produzione’’ (quello che gli Usa fecero fare all’alcolizzato Eltsin).
L’imperialismo americano ha fatto proprio questo: organizzando i gruppi sociali scontenti della pianificazioni e movimenti separatisti finanziati dalla CIA, ha vinto la battaglia geo-politica contro l’Urss. La caduta del regime sovietico è stata una catastrofe geo-politica – al di là di quello che dicono i neo-trotskisti che hanno ululato con i capitalisti yankee – anche se gli Usa hanno trovato fedeli collaboratori all’interno degli apparati burocratici dei Partiti al potere nei Paesi dell’Est (si veda il caso della Polonia).

Giustissima – per continuare - la difesa incondizionata dell’Urss, inoltre ponendo l’accento sulla natura sociale dei regimi (struttura economica) il nostro getta le basi per una critica marxista alla categoria del totalitarismo.
Alla fine risulta che se in Guevara la critica alla burocrazia è una semplice critica ai metodi clientelari dei burocrati, in Trotsky è uno studio sulla evoluzione sociale dello Stato operaio (date le circostanze storiche di fine anni ’20), in questo caso segnando (secondo Trotsky) un arretramento nel processo rivoluzionario.
Si possono porre molte obiezioni (ovviamente): la situazione concreta poneva il problema ‘socialismo in un solo paese o in nessun paese’ (cosa con cui i neo-trotskisti non fanno i conti), il conflitto interno al Partito che sfociò poi nei processi, fino al carattere anacronistico (e su questo concordo) della dicotomia stalinismo/trotskismo.
Di sicuro le analisi di Bukarin (da un lato), Stalin (dall’altro) e poi Trotsky, rappresentano tre soluzioni diverse ai problemi che il movimento operaio ha affrontato in mezzo a due guerre imperialiste. Che dire? Lecito discuterne ed è doveroso ribadire le proprie posizioni.
Passo adesso a parlare dell’esportazione del processo rivoluzionario.

4. Un interessante sintesi della posizione politica cruscioviana viene data da Gyorgy Lukàcs, grande filosofo marxista e sostenitore del socialismo sovietico (prima e dopo Stalin):

‘’Il discorso del 1956 di Cruscev rifiuta la tesi leniniana sull’inevitabilità delle guerre mondiali, ormai superata dalla storia, e non meno nettamente di quanto Lenin a suo tempo rifiutò la tesi di Marx secondo cui le rivoluzioni proletarie potrebbero avere inizio e successo internazionale solo nei paesi più evoluti’’ (Gyorgy Lukàcs, Marxismo e politica culturale, Editore Il Saggiatore)

Senza soffermarci sull’idea balorda secondo cui le guerre mondiali sarebbero finite (ed infatti il cannone della guerra non ha mai smesso di tuonare dal 1945 ad oggi!) questa posizione presenta due gravi errori in rapporto alla teoria marxista rivoluzionaria:

(1) L’imperialismo interviene ovunque i regimi capitalisti siano in pericolo. Lo dimostra il fatto che l’imperialismo americano ha soccorso (e soccorre) borghesie compradore, in qualsiasi parte del globo in cui ci sia una rivoluzione nazionale/socialista (Cuba, Algeria, Siria, Vietnam, Cina, ecc…).

(2) La costruzione del socialismo che inizia (e deve iniziare) in un singolo Paese non può avvenire in condizioni pacifiche. La ‘’guerra fredda’’ è stata prima di tutto una ‘’guerra preventiva ideologica’’, vinta dagli Usa sul piano egemonico informativo/egemonico culturale prima che socio-economico.

Cerco di andare più a fondo.

5. Per ciò che attiene il primo problema (su citato) cambio totalmente registro; questa volta parto da Amadeo Bordiga (un italiano, fondatore del Partito comunista d’Italia, teoria della ‘’sinistra comunista’’):

‘’ Fermo restando che dopo la fase delle liberazioni nazionali ogni alleanza è spietatamente condannata si deve porre la spiegazione del restare in piedi del capitalismo in relazione non alla scoperta di ricette come il protagonismo dello Stato nell'economia, ma ai rapporti imperiali dei più grandi apparati industriali, e alla persistenza, non invasione nel territorio, non sconfitta delle guerre, degli apparati di Stato (comitati di delega degli interessi capitalistici giusta Marx, sia o non sia lo Stato gestore di aziende e botteghe) più continui e persistenti storicamente.
Indubbiamente il concentramento di potere di Mosca è anche un ostacolo che sbarra la via alla rivoluzione e lo è non solo come capitale della corruzione proletaria ma pure come forza fisica. Va detto chiaro.
Ma ha di vita solo 34 anni. Il territorio e il popolo sono miscugli di economie e tipi sociali.
Giappone e Germania sono a terra. Francia e Italia hanno subìto scosse tremende. La stessa Inghilterra è in crisi grave.
Ecco come vengo al chiodo America. Altri pochi anni e la polizia detta O.N.U. sarà efficiente a distanza di minuti in ogni punto del mondo.
Se possibile togliamo Baffone da Mosca e mettiamoci, per non sfottere nessuno, Alfa; Truman, che oggi ci sta pensando sopra, arriverà cinque minuti dopo’’ (Alfa ad Onorio, 9 luglio 1951)

Lasciando stare la critica eccessiva all’Urss (vista come industrialismo di Stato), Bordiga aveva ben chiaro che l’imperialismo Usa non avrebbe tollerato in nessuna parte del mondo possibili rivoluzioni socialiste (fa anche un cenno, in polemica con Damen, alle rivoluzioni anti-coloniali) le quali, sviluppandosi in permanenza, avrebbero potuto mettere a repentaglio il loro stesso dominio sul mondo (globalizzazione unipolare).
Ora come mai un filosofo marxista del calibro di Lukàcs considerava finito il periodo delle guerre imperialiste mentre un settario come Bordiga aveva ben chiaro dove avrebbe portato il mondo unipolare dominato dal condor a stelle e strisce? Non so, saranno i misteri del crusciovismo fase suprema dell’anticomunismo.
Il secondo problema richiede una ripresa di alcuni problemi trattati nei precedenti paragrafetti.

6. La rigidità dei sistemi socialisti va contestualizzata con un metodo di analisi appropriato: la CIA faceva (e fa) i suoi sporchi affari (comprando anche comunisti di sinistra, come i lambertisti francesi), per non parlare del NED, della Trilateral ed altri colossi vari.
Allora il multipartitismo in Cecoslovacchia avrebbe portato Vaclav Havel, con largo anticipo, a smerciare funghetti allucinogeni, fra badanti in fuga e giovani donne trasformate in prostitute (senza silicone nei seni perché quello costa!).
Ciò che mi preme dire e che una economia pianificata difficilmente può, con l’accerchiamento imperialistico, coniugare libertà politica e giustizia sociale. Il caso umano del grande filosofo marxista Karel Kosik (proprio in Cecoslovacchia) mi sembra molto eloquente (su ciò segnalo: Karel Kosik, La nostra crisi attuale, Editori Riuniti).
Ci sarebbero altre vicende umane da ricordare, come quella di Milovan Gilas in Jugoslavia, ma non è il caso che mi dilunghi. Il problema che ho segnalato all’inizio dell’articolo resta irrisolto anche nella fase conclusiva: la coesistenza pacifica.
Nelle parte finale di questo testo dirò in che termini, per me, deve essere posta la questione.

7. Ritorno al confronto Guevara-Trotsky. Il costruttore dell’Armata Rossa (che fu il primo a capire questo problema gravosissimo) dice:

‘’Dallo sviluppo ineguale, a sbalzi, del capitalismo il carattere ineguale, a sbalzi, della rivoluzione socialista; mentre dalla reciproca interdipendenza dei vari paesi, spinta ad un grado assai avanzato, deriva l’impossibilità non solo politica, ma anche economica di costruire il socialismo in un paese solo’’(Leon Trotsky, La Terza Internazionale dopo Lenin, Editore Samonà e Savelli)

Questo approccio ha un lato positivo ed un lato negativo. Il lato debole è il rischio di cadere nel cosmopolitismo astratto, delegittimando il ruolo (geo-strategico) degli Stati nazionali che secondo Trotsky dovevano sparire (la scomparsa dello Stato era presente in Marx ed era un elemento chiaramente utopico).
Di contro (lato positivo) Trotsky non solo capisce, prima ancora di Mao e del maoismo, il percorso multi-lineare della storia ma è anche il primo a dare una reale soluzione al problema della rivoluzione nei Paesi coloniali. Lev Davidovic – come ben indica Hosea Jaffe – è uno dei precursori delle teorie terzomondiste (questa è la mia posizione definitiva!).
Un po’ più rozzo nella argomentazione teorica è il Che:

‘’La parte che tocca a noi, sfruttati e sottosviluppati del mondo, è quella di eliminare le basi di sostentamento dell’imperialismo: l’oppressione dei nostri paesi, dai quali gli imperialisti traggono capitali, materie prime, tecnici e operai a basso prezzo e dove esportano nuovi capitali – strumenti di dominio- armi e articoli di ogni genere, facendoci sprofondare in una dipendenza assoluta’’ (Ernesto Guevara, Creare due, tre, molti Vietnam, Editore Baldini&Castoldi)

Le cose da tenere presenti sono sostanzialmente due: 1) lo scambio ineguale imposto dai Paesi capitalistici ai Paesi coloniali (e Trotsky nel 1920 fu una sorta di profeta su ciò); 2) il ruolo strategico dello Stato nazionale (e Trotsky qui si porta dietro tutte le debolezze del marxismo classico).
La riprese delle lotte sociali (che partono a livello nazionale e si sviluppano su scala più ampia) possono far emergere, nei singoli Stati nazione, blocchi egemonici nazional-popolari contrapposti alle elite neo-liberiste. L’ingresso stesso in un ordine mondiale (ovviamente transitorio) policentrico può ampliare i margini di manovra degli Stati e dei ceti subalterni contro l’imperialismo.

8. Gli elementi che emergono a seguito di questa mia breve disamina sono:

(1) La lotta antimperialista deve individuare il cuore pulsante dell’imperialismo globale: gli Stati Uniti. Quindi la contraddizione principale resta Washington.

(2) In questa fase ‘’i bianchi colonizzano i bianchi’’ (Bordiga), quindi la rottura con l’imperialismo yankee necessita la riconquista – in una prospettiva proletaria – della sovranità nazionale degli Stati europei.

(3) La colonizzazione yankee dell’Europa era un processo in corso già alla fine degli anni ’20. Non è un caso che agli sbandamenti teorici del Comintern, Trotsky replicò:

‘’ La fase attuale acquista di nuovo l'aspetto di una "collaborazione" militare tra l'America e l'Inghilterra e anche alcuni giornali francesi temono di veder sorgere una dittatura anglosassone. Evidentemente gli Stati Uniti possono sfruttare e sfrutteranno la "collaborazione" con l'Inghilterra per far marciare alla stessa briglia il Giappone e la Francia. Ma tutto ciò costituirebbe una tappa non verso una dominazione anglosassone, ma verso una dittatura americana destinata a pesare sul mondo, Gran Bretagna compresa’’ (Leon Trotsky, Il disarmo e gli Stati Uniti d’Europa, 1929)

Che dire? Si prenda la posizione di Lukàcs del 1963 a la si confronti con quella del costruttore dell’Armata Rossa. Non è difficile capire chi è andato più lontano.

Stefano Zecchinelli 

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