sabato 28 gennaio 2012

Ceti medi e globalizzazione unipolare: i Forconi siciliani e gli Indignati a confronto, di Stefano Zecchinelli

Al momento di marciare
molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico (Bertolt Brecht)

























1. In questi giorni il movimento Forza d’urto in Sicilia ha quasi preso il monopolio delle azioni politiche rivolte contro il governo Monti, il commissariato che la nuova global class ha imposto all’Italia. Forza d’urto è la sigla che riunisce la AIAS (Associazione imprese autotrasporti siciliani), e il Movimento dei forconi. Per ciò che attiene, soprattutto questo ultimo movimento, ho letto varie analisi e, a parte qualche buon testo (fra cui segnalo l’analisi di Marco Ferrando), le semplificazioni sono state tante (i forconi sono fascisti, ecc…). Tutto ciò la dice lunga sulla capacità di analisi dei Partiti che si richiamano (a parole) all’anticapitalismo. In questo brevissimo intervento (e davvero non posso, ora come ora, dilungarmi più di tanto) proverò a fare qualche ulteriore riflessione sui forconi siciliani.

2. Fra i movimenti che hanno puntato il dito contro di loro ci sono (e non potevano mancare) gli Indignati, il Popolo viola, e la tutta la schiera cripto-nazista (unico giusto appellativo per chi inneggia ai bombardamenti NATO) della sinistra colta italiota. Un vecchio proverbio umano diceva ‘’il bue dice cornuto all’asino’’ e penso, personalmente, che il proverbio citato ritrae bene questo teatrino degli orrori. In realtà, gli Indignati da un lato e i forconi siciliani dall’altro, rappresentano due diverse (e non potevano essere che differenti ed in contrasto fra di loro) reazioni dei ceti medi alla globalizzazione unipolare. Tanto difficile capire ciò? Eppure il materiale per fare una corretta analisi, partendo dal metodo marxista, non manca di certo.

3. Arrivati a questo punto occorre segnalare due cose importanti: 1) l’eterogeneità dei ceti medi che vanno dagli sfruttatori ai semi-proletari; 2) gli effetti devastanti della globalizzazione unipolare (anche se preferisco la definizione di Samir Amin che ha parlato di imperialismo collettivo) sulle mezze classi, vera spina dorsale del vecchio capitalismo borghese. Separatamente farò delle considerazioni su questi due punti. Sembreranno cose ovvio, l’abìcì di uno studio razionale sulla nascita dei movimenti politici inter-classisti, ma mi tocca essere monotono.

4. Il Movimento dei forconi riunisce delle istanze sociali, che vanno, dalle rivendicazioni dei piccoli produttori meridionali (contadini, artigiani, commercianti), quindi tutte quelle professioni che pagano un prezzo altissimo all’imposizione del capitalismo manageriale, fino agli interessi delle lobby nazionali (le vecchie fazioni della borghesia italiana) che chiedono alla global class la loro fetta di torta in questa mattanza sociale.

Il capitalismo italiano si è sempre fondato su due cose per lui fondamentali: l’evasione fiscale e i bassi salari - ovviamente se il bottegaio non paga le tasse, non partecipa alla spesa pubblica ed indirettamente assorbe plusvalore. Questa è una cosa nota ma non sempre il noto è conosciuto.

I piccoli produttori, non potendosi coalizzare dietro una comune rivendicazione come, ad esempio, l’aumento del salario, finiscono facilmente alla mercè delle borghesie nazionali; queste hanno gioco facile nel metterli contro i lavoratori salariati, strumentalizzando, come di solito avviene, l’aumento dei prezzi. Le mezze classi, sono sempre indecise e titubanti, preferiscono il pragmatismo (prerogativa delle destre politiche) all’idealismo (o, almeno, ad una soluzione ragionata dei problemi); anche quando rivendicano una autonomia di pensiero finiscono per agganciarsi al polo dominante. Quindi è compito degli anticapitalisti tirarli dalla loro parte, facendogli capire (e mi riallaccio all’esempio fatto su) che la questione dei prezzi tocca loro quanto gli operai, perchè entrambi, consumatori.

Trotsky, nel Programma di transizione dà delle direttive ben precise. Sentiamo cosa dice:

‘’ Invocando falsamente le "eccessive" pretese degli operai, la grande borghesia si serve in modo artificioso della questione dei prezzi come di un cuneo tra gli operai e i contadini, tra gli operai e la piccola borghesia cittadina. Il contadino, l'artigiano, il piccolo commerciante, a differenza dell'operaio, dell'impiegato, del piccolo funzionario, non possono rivendicare un aumento di salario parallelo all'aumento dei prezzi. La lotta burocratica ufficiale contro il carovita serve solo a ingannare le masse. I contadini, gli artigiani, i commercianti devono, però, in quanto consumatori, intervenire attivamente, assieme agli operai, nella politica dei prezzi. Alle prediche dei capitalisti sui costi di produzione, di trasporto e di commercializzazione, i consumatori risponderanno: "mostrateci i vostri libri, esigiamo il controllo sulla politica dei prezzi". Organismi di questo controllo devono essere i comitati di sorveglianza dei prezzi, composti da delegati di fabbrica, da rappresentanti dei sindacati, delle cooperative, delle organizzazioni contadine, della gente modesta delle città, di domestici, ecc. In questo modo, gli operai potranno far vedere ai contadini che la causa dei prezzi elevati non risiede negli alti salari, bensì nei profitti eccessivi dei capitalisti e nei faux frais dell'anarchia capitalista’’.




Il marxismo, dal Prc e consorti, è stato messo in cantina da un pezzo quindi, non mi stupisco che davanti una reazione isterica della piccola (anzi piccolissima) borghesia (in questo caso si tratta dei ceti produttivi) hanno gridato, come un branco di ubriachi, ‘’al fascista!’’ (cosa pericolosa perché, così facendo, non si capisce più cosa è stato, storicamente, il fascismo).

Per dare una idea della trasversalità di questi movimenti (trasversalità che riguarda, in modo particolare, la base) farò una analogia – analogia che a me sembra opportuna – con il movimento di Pierre Poujade, sorto in Francia nei primi anni ’50 e che presenta qualche interessante affinità con ‘’i nostri’’ forconi.

5. L’inizio del movimento poujadista avvenne nel 1953 con una rivolta dei commercianti in un piccolo comune al centro della Francia. Pierre Poujade parlò di ‘’forchettoni’’, ‘’eminenze’’, ‘’Stato vampiro’’, ‘’senza patria’’ ed altre sparate populistiche da dare in pasto ai bottegai francesi. Fondò un movimento sindacale, l’Unione della Difesa dei Commercianti e Artigiani (UDCA), a cui aderì, inizialmente, anche Jean-Marie Le Pen, poi nota esponente della estrema destra francese. Chi vorrà approfondire la storia di questo movimento (negli stessi anni in Italia abbiamo in Fronte dell’uomo qualunque) vedrà che i gruppi sociali reagiscono in modo simile al ripresentarsi, continuo ed insanabile (l'unica soluzione è una rivoluzione sociale), di situazioni di instabilità. Gli esempi storici non mancano, quindi, ci si può sbizzarrire con le ricerche.

Politicamente il poujadismo non si integrò dentro il neo-fascismo francese ed appoggiò, in modo alterno, De Gaulle, Pompidou, Mitterrand, Chirac; insomma tutti esponente che spingevano, per un capitalismo francese, libero dall’egemonia Usa. Che dire? Una resistenza folcloristica dei ceti produttivi al processo di integrazione europea e, a conti fatti, questa è la cosa più importante che li accomuna ai forconi siciliani. Più sotto spiegherò (o almeno ci proverò) come mai questi ceti devono essere tolti di mezzo dalla nuova global class.

Posso passare al secondo punto da me indicato.

6. Il governo del mafioso di Arcore è caduto sotto le pressioni delle oligarchie europee che, inizialmente, si sono servite di Berlusconi per asfaltare lo Stato sociale italiano ma, appena il gioco si è fatto duro, hanno capito che questo omino perverso non poteva integrare l’Italia nell’ ‘’imperialismo della Triade’’ (Usa-UE-Giappone). Nei Partiti che si richiamano al ‘’comunismo’’ nessuno si è chiesto, in modo gramsciano, quale ‘’blocco storico’’ mandava (e manda?) avanti il ‘’Berlusca’’ (settori strategici dell’industria nazionale che sono sopravvissuti alle privatizzazioni successive al golpe giudiziario di Mani Pulite) e quale ‘’blocco storico’’ mandava (e manda) avanti la coalizione di centro sinistra (oligarchie anti-nazionali). In questo modo è iniziato uno spettacolo tragi-comico, degno, soltanto, della borghesia stracciona italiota.

Il commissariato guidato da Monti (che, per finalità, ha inquietanti analogie con la giunta militare di Videla) dovrà integrare l’Italia in questa forma di schiavismo pan-planetario, facendo ciò che le due coalizioni politiche italiane non sono riuscite a fare. Le conseguenze sull’oggetto della mia analisi (i ceti medi) sono considerevoli.

Siccome mi sono proposto, fin dall’inizio, di utilizzare il metodo marxista, prendo Marx, apro Il 18 brumaio di Lui Bonaparte e leggo:

‘’ La piccola proprietà è adatta, per la sua stessa natura, a servire di base a una burocrazia onnipotente e innumerevole. Essa crea su tutta la estensione del paese un livello eguale di rapporti e di persone: permette quindi di agire in egual modo su tutti i punti di questa massa uniforme partendo da un centro supremo. Essa distrugge gli strati aristocratici intermedi tra la massa del popolo e il potere dello Stato: provoca quindi dappertutto l'intervento diretto di questo potere dello Stato e l'ingerenza dei suoi organi diretti. Crea infine una popolazione in soprannumero, senza lavoro, che non trova posto né in campagna né in città, che ricerca quindi gli impieghi dello Stato come una specie di elemosina onorevole e ne provoca la creazione’’.

Il pezzo di Marx conserva una straordinaria attualità. Le tecnocrazie hanno una duplice necessità: da un lato devono spappolare i ceti medi, e dall’altro, devono creare dei potenti apparati burocratico-repressivi (usando il linguaggio dei politologi lo Stato Amministrativo si sostituisce a quello Politico). In ciò le analogie con i fascismi sono impressionanti ed è un peccato che nessuno, soprattutto in Partiti come SeL o il Prc, si permette di chiamare Mario Monti (o Giorgio Napoletano) fascista.

Sempre l’autore del Capitale, fotografa in modo eccellente la reazione di chi, egoisticamente, si aggrappa al vecchio capitalismo borghese (che sarebbe, il così detto capitalismo renano, basato sullo Stato sociale), rinunciando ad una prospettiva anticapitalistica:

‘’ In parte, esso sì abbandona a esperimenti dottrinari, banche di scambio e associazioni operaie, cioè a un movimento in cui rinuncia a trasformare il vecchio mondo coi grandi mezzi collettivi che gli sono propri, e cerca piuttosto di conseguire la propria emancipazione alle spalle della società, in via privata, entro i limiti delle sue meschine condizioni d’esistenza, e in questo modo va necessariamente al fallimento’’ (sempre da Il 18 brumaio).

Da una parte, quindi, c’è il piccolo artigiano che difende la sua attività, dall’altra il giovane neo-laureato che difende il suo titolo di studio e la possibilità di fare carriera, come manager o, meglio ancora, come ricercatore (e magari, poi, accademico) universitario. E’ un po’ come dire: il primo diventa un giovane aderente ai forconi siciliani, il secondo ha la brutta faccia di un indignato romano. Ai primi la global class mette davanti i grandi monopoli industriali che si mangiano le vecchie professioni borghesi, per i secondi, liberalizzazioni e tagli alla spesa pubblica, brutta spina nel fianco alla promozione sociale facile.

Se il Movimento dei forconi va a configurare una grottesca Vandea in cui, accontentati Zamparini e Scilipoti, è difficile prevedere dove sbatterà la testa la base di quel movimento, gli Indignati sono perfettamente funzionali all’integrazione dell’Italia nel capitalismo globalizzato mondiale. Questo ultimo ha, durante il giorno, le facce di Ferrero, Vendola, Bertinotti e dell'abietto anticomunista Marco Tavaglio, mentre di notte si orna con il sorriso di Montezemolo, Monti, Napoletano e Draghi.

Mi fermo qui e cerco di fare un breve bilancio.

7. Non penso, infatti, di avere altro da aggiungere ma, per dare al lettore un quadro ancora più preciso della situazione (ovviamente sono dei miei punti di vista, parziali, e totalmente opinabili), fisserei questi due punti concettuali, molto semplici, da cui si è snodata, di sopra, la mia analisi:

1) In Italia i ceti medi – che si dividono in ceti medi contemplativi e ceti medi produttivi – hanno reagito alla globalizzazione unipolare creando (principalmente) due movimenti, fra loro contrapposti: Forza d’urto e gli Indignati (Popolo viola, ecc…). Allora, da una parte, c’è chi resiste alla distruzione del capitalismo nazionale, dall’’altra c’è chi vorrebbe una globalizzazione nel segno della democrazia e dei diritti umani (pazzia!).

2) Non ho problemi a dire che gli Indignati, e derivati, sono molto peggiori dei forconi (e derivati). Se il Movimento dei forconi ha una base sociale che un vero movimento anticapitalista dovrebbe tirare dalla sua parte, gli Indignati non vanno oltre la spocchia dello studente medio che applaude ai bombardamenti NATO in nome della falsa-democrazia americana.

Sembreranno cose semplici e banali ma, purtroppo, non è così, Amen !

Stefano Zecchinelli

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