mercoledì 28 settembre 2011

Limiti e forza del comunismo di sinistra (ancora un chiarimento su Bordiga, il maoismo, e la questione nazionale), di Stefano Zecchinelli


''Per l'imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità'' Thomas Sankara

''Fino alla vittoria sempre. Patria o morte'' Ernesto Guevara

''Anche se nell'Irlanda del Nord non ci fossero centomila disoccupati, la miseria delle paghe griderebbe vendetta per gli enormi profitti della classe dominante e capitalistica, che prospera con le ferite, il sudore e le fatiche del popolo'' Bobby Sands








Un mio recente articolo sul conflitto nel Nord Africa ha scatenato non poche polemiche da parte di alcuni militanti della Sinistra Comunista. Alla luce di ciò, penso che sia corretto che ritorni, brevemente, sulla questione riguardante l'impalcatura teorica del, volgarmente detto, ‘’bordighismo’’ per poi approfondire quello che io considero il modo migliore di studiare i movimenti anticoloniali.

1. Premetto, prima di criticare alcune concezioni teoriche fondamentali della Sinistra Comunista (con particolare riferimento a ‘’Battaglia Comunista’’) che, personalmente, considero Bordiga uno dei migliori teorici marxisti del novecento. Questo è importante per far capire al lettore che non c’è nessuna ostilità di fondo ma che, anzi, con tutti i limiti possibili, la mia critica vuole essere sincera e costruttiva.
La Sinistra Comunista, in tutte le sue correnti, è un derivato di alcune concezioni puramente ottocentesche del processo storico che portano a considerare la scienza, integralmente applicabile alla sociologia.
Da qui l’elemento più interessante che ha caratterizzato la ‘’vita politica’’ di Bordiga: l’attesa.
L’ingegnere napoletano si diede addirittura (al pari di Karl Korsch) una data di scadenza, il 1975, entro cui il capitalismo sarebbe dovuto crollare. Data ampiamente superata. Da ciò devo fare due deduzioni molto semplici:  1) la ‘’teoria del crollo’’ deve essere abbandonata dato che il capitalismo è, essenzialmente, transizionistico (non è un caso che Bordiga scambiò una crisi congiunturale per una crisi strutturale); 2) la madre di tutti i mali è, e ci ritorno, la folle idea di ricondurre il marxismo ad una scienza esatta.
Come deve essere affrontata la questione? Prendo Gramsci, apro ‘’Il materialismo storico’’ e riporto una nota intelligente:

‘’L’unità è data dallo sviluppo dialettico delle contraddizioni tra l’uomo e la materia (natura – forze materiali di produzione). Nell’economia il centro unitario è il valore, ossia il rapporto tra il lavoratore e le forze industriali di produzione (i negatori della teoria del valore cadono nel crasso materialismo volgare ponendo le macchine in sé – come capitale costante o tecnico – come produttrici di valore all’infuori dell’uomo che le conduce). Nella filosofia – la prassi – cioè rapporto tra la volontà umana (superstruttura) e la struttura economica. Nella politica – rapporto tra lo stato e la società civile – cioè l’intervento dello Stato (volontà centralizzata) per educare l’educatore, l’ambiente sociale in genere. (Da approfondire e porre in termini più esatti)’’ (Antonio Gramsci ‘’Il materialismo storico’’, Editori Riuniti pag. 113).

Nulla da aggiungere; là dove la Sinistra Comunista si ferma (nessuna analisi delle soprastrutture), il grande sarde scende a fondo. Tutto è criticabile, ma per me l’approccio giusto è questo.

2. Per ciò che riguarda l’analisi della struttura economica e sociale dell’Urss, la Sinistra Comunista si divide: Damen e Cervetto ritengono l’Urss un capitalismo di stato (analisi simile a quella del trotskista Toni Cliff), mentre Bordiga parlerà di superindustrialismo di stato. Tutte queste analisi (che prendo in considerazione, e in passato ho in parte condiviso) hanno un minimo comune denominatore: il capitale si auto-riproduce e la concorrenza fra più capitali non è ritenuta rilevante. Io preferisco parlare di regimi a ‘’transizione bloccata’’ e mi dissocio dai loro, validissimi e stimolanti, studi (altro disaccordo).
Sulla questione del capitalismo di stato in Urss abbiamo, nel 1952, la rottura fra ‘’Battaglia Comunista’’ (Onorato Damen) e ‘’Programma Comunista’’ (Amadeo Bordiga e Bruno Maffi) – fino a qui ci siamo ma vediamo il seguito.
Damen avanzò la tesi (per me folle) che Usa e Urss fossero due superpotenze di pari pericolosità; Bordiga (da grande teorico marxista) prese in esame i loro limiti effettivi di crescita e disse:

‘’ La questione va quindi vista internazionalmente. Come nell’economia è internazionale quella “rete di interessi” che è il regime borghese, così in politica è internazionale la questione del potere. Nell’uno e nell’altro senso i caratteri si vanno precisando da un secolo ad oggi.
Ora il momento storico è questo: gli stalinisti impiantano tutta la propaganda sull’attacco all’America e sulla pace. Il proletariato li segue, è finora indiscutibile. Tu riconosci o almeno concedi che sia importante fare rilevare il pericolo di opporsi ad essi per considerazioni di liberalismo di persone o popoli, e non su base classista.
Si tratta non di limitarsi a tacciare di errori nel senso nazionale russo la politica stalinista, ma di far leva sull’anticlassismo della posizione: 1944: tutte le forze con l’America, scioglimento etc. — 1951 tutto contro l’America, per dire: avete tradito allora e, giustamente dici, da molto prima di allora.
È già molto audace (nella lotta contro la spietata diseducazione in cui concorrono occidente ed oriente) dire “politicamente”: fatevi indietro che l’America così non la fregate, la fregheremo noi classisti, sarà fregata solo dal proletariato mondiale su base classista autonoma anche da voi.
È inutilmente bluffistico dire: prima vi mettiamo alla pari, non uno un millimetro prima dell’altro, e poi col colpo nostro vi sbirilliamo giù tutti e due colla stessa palla.
La sinistra si deve difendere dalla sciocca accusa di non vedere la storia e biascicare tesi astratte: deve provare che sono gli altri a non aver vista la storia.
Fermo restando che dopo la fase delle liberazioni nazionali ogni alleanza è spietatamente condannata si deve porre la spiegazione del restare in piedi del capitalismo in relazione non alla scoperta di ricette come il protagonismo dello Stato nell’economia, ma ai rapporti imperiali dei più grandi apparati industriali, e alla persistenza, non invasione nel territorio, non sconfitta delle guerre, degli apparati di Stato (comitati di delega degli interessi capitalistici giusta Marx, sia o non sia lo Stato gestore di aziende e botteghe) più continui e persistenti storicamente.
Indubbiamente il concentramento di potere di Mosca è anche un ostacolo che sbarra la via alla rivoluzione e lo è non solo come capitale della corruzione proletaria ma pure come forza fisica. Va detto chiaro.
Ma ha di vita solo 34 anni. Il territorio e il popolo sono miscugli di economie e tipi sociali.
Giappone e Germania sono a terra. Francia e Italia hanno subìto scosse tremende. La stessa Inghilterra è in crisi grave.
Ecco come vengo al chiodo America. Altri pochi anni e la polizia detta O.N.U. sarà efficiente a distanza di minuti in ogni punto del mondo.
Se possibile togliamo Baffone da Mosca e mettiamoci, per non sfottere nessuno, Alfa; Truman, che oggi ci sta pensando sopra, arriverà cinque minuti dopo.
Mi sono spiegato? Se così non è vuol dire che sto infessendo io pure. Mal di poco, per il mio convinto marxismo, a dialettica non volontarista. Ti farò anche quel papiello, non dubitare’’ (Alfa ad Onorio – 9 luglio 1951).

Al di là dell’internazionalismo astratto (che è cosmopolitismo, e poco ha che vedere con l’Internazionale di Lenin) Bordiga ha pienamente ragione. Nei decenni a seguire gli Usa hanno distrutto l’Urss, facendo leva (e finanziando) movimenti separatisti, hanno letteralmente deindustrializzato l’America Latina e molti paesi africani ed asiatici. Mi dispiace dirlo ma le analisi di Damen (valido dirigente politico) sono deboli e portano ad astrarre i processi reali di lotta.

3. Ultima questione e poi chiudo con Damen e Bordiga. Merito indiscusso dell’ingegnere napoletano è quello di aver capito (però senza scendere a fondo) che il capitalismo segue uno sviluppo ineguale (‘’e combinato’’ come direbbe Trotsky). Negli anni ’60 la questione nazionale (a differenza di quello che scrisse Damen riprendendo Rosa Luxemburg) era di importanza letale (e lo è ancora oggi). A dimostrazione che conosco la materia faccio parlare Bordiga:

‘’ Chiuso il problema della rivoluzione nazionale nell’Occidente– e dunque delle alleanze fra borghesia e
proletariato – "sarebbe errore gravissimo il non vedere e il negare che nel mondo presente hanno ancora effetto e influenza grandissima i fattori etnici e nazionali […] ad esempio in India, Cina, Egitto, Persia, ecc. […] alla scala mondiale il problema scottante nel 1920 [ed anche negli anni seguenti, fino a metà degli anni ’70, ove il rapporto di forze lo consenta: affinché la effettiva ‘solidarietà’ non rimanga solo una vuota parola e dunque una beffa] anche nell’area dell’ex impero russo, di dare appoggio politico e armato a moti indipendentisti di popoli di oriente, non è in alcun modo chiuso. […] Il dire ad esempio che il rapporto fra capitale industriale e classe degli operai salariati si pone nello stesso modo nel Belgio e nel Siam […] non significa essere estremisti, ma in effetti significa non aver capito nulla del marxismo’’ (Amadeo Bordiga ‘’I fattori di razza e nazione nella teoria marxista’’, Tesi 6 – pag. 17).

Cari compagni, è proprio così, e sono certo che questa citazione vale (togliendo i limiti tattici che Bordiga ha sempre avuto) anche per la situazione attuale.

4. In conclusione, come emerge dal testo, ho un giudizio ottimo su Bordiga, buono sulla Sinistra Comunista storica, ma, nonostante ciò non mi esento dal fare delle critiche, soprattutto davanti (scusate se eccedo) il collasso teorico del neo-bordighismo (questo meriterebbe un discorso a parte, perchè il mio giudizio diventerebbe molto poco conciliante).

5. L’ultima parte di questo articolo riguarda i movimenti anticoloniali.

Replico, in estrema sintesi, ad alcune obiezioni facendo notare che il carattere progressivo di quei movimenti è stato ribadito dalla stessa Quarta Internazionale (trotskista). Sulla semplificazione ‘’Mao stalinista’’, riporto l’opinione di due grandi dirigenti e teorici della organizzazione che fece capo a Leon Trotsky.

‘’ Sarebbe una forzatura di sapore spontaneistico attribuire un ruolo esclusivo alla spinta dal basso del movimento delle masse, di cui il partito avrebbe subito del tutto passivamente l'iniziativa. Proprio per la sua collocazione nel contesto socio-politico cinese durante molti anni e per l'impronta che i suoi quadri hanno ricevuto nella guerra antimperialista e nella guerra civile, non solo il PCC fa – contro l'opinione esplicitamente espressa da Stalin, vale la pena di non dimenticarlo – una scelta diametralmente opposta a quelle fatte da altri partiti comunisti in circostanze analoghe, ma è in grado di tradurre in pratica questa scelta fino alla conclusione vittoriosa. In questo senso, la caratterizzazione del PCC come partito stalinista ci sembra, quanto meno, un abuso terminologico’’ (Aldo Bronzo, I comunisti in Cina. Dalle origini alla presa del potere, prefazione di Livio Maitan, Nuove Edizioni Internazionali)

‘’ La rivoluzione culturale costituisce senza alcun dubbio per i marxisti rivoluzionari il fenomeno più complesso che si sia avuto nel corso degli ultimi decenni. Per l'ampiezza del movimento delle masse, per i conflitti sociali ch'essa manifesta e per i suoi aspetti estremamente contraddittori, esige da chi voglia ricercarne il significato obbiettivo una analisi delicata e difficile. Le risposte semplicistiche "Mao come Stalin", "Mao sferra la rivoluzione politica", che risultano molto più da schemi preconcetti che da un'analisi scientifica della realtà, non riescono a spiegare la complessità del fenomeno, per cui risultano teoricamente sterili e politicamente deboli.
I tentativi di superare queste difficoltà con l'impiego di analogie tratte dalla storia sono comprensibili. Essi non comportano minori rischi di cadere in errore. Certamente, la storia è l'unico laboratorio delle scienze sociali. La storia delle rivoluzioni trascorse è la sola fonte per formulare le leggi obbiettive dei rivolgimenti presenti. Ma i riferimenti debbono essere accuratamente scelti per isolare le particolarità nazionali dai tratti generali comuni a tutte le rivoluzioni’’ (Ernest Mandel ‘’La rivoluzione culturale cinese’’, 20 maggio 1967).

I problemi che qui sorgono sono due: 1) è sbagliato ridurre Mao all’emulo di Stalin e al nemico giurato di Cruscev (a riguardo Mao Tse Tung ‘’Su Stalin e sull’Urss. Scritti sulla costruzione del socialismo 1958-1961); 2) l’effettivo valore storico della ‘’rivoluzione culturale’’ cinese.
I punti forti del maoismo teorico (e concludo anche con la ‘’rivoluzione culturale’’) sono, per me, due: 1)riconoscimento del carattere multilineare dell’evoluzione storica (e qui Mao parte da Mariategui, mentre la rottura con Stalin è fortissima); 2) centralità della formazione della borghesia anche dentro il Partito comunista al potere.
Non è casuale che Ernest Mandel conclude il suo saggio sulla ‘’rivoluzione culturale’’ così:

‘’ Per il trotskysmo l'esperienza della "rivoluzione culturale"conferma che la teoria della possibile degenerazione di una
rivoluzione socialista trionfante, teoria considerata eretica vent'anni fa da tutto il movimento comunista ufficiale, è stata oggi ammessa parzialmente, praticamente da tutte le rivoluzioni vittoriose dalla seconda guerra mondiale in poi. Tito, Castro, Mao Tse-tung, ciascuno a suo modo, l'hanno ripresa. La necessità della rivoluzione politica, della "rivoluzione nella rivoluzione", come dicono oggi i cubani, comincia a farsi luce in una parte non trascurabile del movimento comunista internazionale. Ma l'esperienza della "rivoluzione culturale" dimostra anche che non vi è alcuna altra via per una lottaefficace contro la degenerazione burocratica della rivoluzione che quella abbozzata da Lenin e Trotsky: il consolidamento e l'istituzionalizzazione del potere operaio fondato su consigli (soviet) democraticamente eletti; la più larga democrazia proletaria; il diritto a più tendenze e a più partiti sovietici; la limitazione, ed in seguito l'abolizione progressiva, dalla diseguaglianza delle remunerazioni; la gestione dell'economia in mano agli stessi lavoratori; lo sviluppo pianificato delle forze produttive; l'estensione internazionale della rivoluzione’’.

Posizione corretta però ciò che Mandel, a mio avviso, non coglie è che un Partito comunista, quando abbandona la sua ‘’missione storica’’ diventa pienamente funzionale agli interessi storici (e non solo congiunturali) del capitalismo. Insomma, un chiaro limite della ‘’teoria della sostituzione’’ di Trotsky, ma, in fondo, tutto è perfettibile.

Mi fermo qua. Spero che al lettore sia chiara la mia posizione certamente positiva sui movimenti anticoloniali (non ho affrontato le questioni riguardanti i movimenti latino-americani), e, soprattutto, il motivo per cui ritengo (rischiando anche di essere imputato di terzo-mondismo) che quelle esperienze storiche continuino ad avere, davanti i tremendi colpi dell’imperialismo americano, una grande attualità.

Stefano Zecchinelli

1 commento:

  1. Prezioso contributo che ti ringrazio di averci rivolto. Si capisce e si apprezza lo studio e l'impegno con cui hai articolato il tuo pensiero politico.

    RispondiElimina