domenica 6 ottobre 2019

Paolo Borgognone: Storia alternativa dell’Iran islamico






Storia alternativa dell’Iran islamico



Dalla rivoluzione di Khomeini ai giorni nostri (1979-2019)

Prefazione di Diego Siragusa

Non riesco a dimenticare un celebre quadro di Pieter Bruegel il Vecchio,  Parabola dei ciechi, in cui sei ciechi vanno aggrappati l’uno all’altro con un bastone dietro a un cieco che è caduto in un fosso. Il quadro riproduce le parole del vangelo di Matteo (15:14) quando Gesù dice rivolto ai farisei: «Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!». In Bruegel scorgo i segni della consapevolezza della follia collettiva, della cecità di massa di un’umanità irrazionale dominata da un desiderio di ottimismo che le impedisce di vedere le minacce che gravano sul proprio destino.
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, l’Europa e gli Stati Uniti vivevano una stagione di incanto edonistico, di spensieratezza e di ottimismo determinato dalle conquiste scientifiche, da stili di vita appaganti, da una più diffusa ricchezza indotta dai commerci e dallo sviluppo industriale. Quel periodo, finito con le prime cannonate della Grande Guerra, passò alla storia come la “Belle Époque”. Nessuno poteva o voleva prevedere e vedere la tragedia che si preparava dietro le quinte. Nemmeno le forze demiurgiche della borghesia trionfante, che aveva costruito il transatlantico Titanic, seppero intuire che quella tragedia, consumatasi nelle fredde acque del mare del nord, fosse il preludio della catastrofe.
Oggi osservo che il passaggio dal 2018 al 2019, nei messaggi augurali dei capi di stato rivolti alla propria popolazione, è stato segnato da questo benevolo e rassicurante ottimismo teso a sdrammatizzare e a tracciare sentieri di luce, nonostante una situazione internazionale gravida di serie minacce alla pace. Ho ascoltato i discorsi di Putin e Mattarella e nessuno di loro ha fatto riferimento alla situazione internazionale e ai rischi di guerra e di logoramento dei rapporti tra gli stati. Analogamente un capetto di un partitino della sinistra italiana, rappresentato in Parlamento, ha rivolto un messaggio autoprodotto tramite Facebook dicendo amenità e trascurando del tutto la politica estera. Quanto diverso quel famoso messaggio augurale pronunciato dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini il 31 dicembre del 1978 rivolto agli italiani: «… Lo ripeto qui a voi, italiani e italiane, quello che ebbi a dire innanzi al Parlamento quando fui insediato come Presidente della Repubblica: “Si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte; si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che stanno lottando contro la fame”.»
Oggi solo Papa Francesco osa mettere in guardia il mondo da quella Terza Guerra Mondiale che, dice lui, è già iniziata e che ha definito “a bassa intensità” o “a pezzi”. Perché questa trascuratezza mentre una parte del mondo, il Medioriente, da settant’anni non conosce pace e, molto probabilmente, sarà ancora il teatro di conflitti bellici? La Belle Époque” occidentale, fatta di consumi tecnologici ed edonistici, di informatica, di comunicazione tramite mezzi sociali di diffusione di notizie, ha trasformato i cittadini in macchine desideranti di consumi illimitati, l’apoteosi del materialismo capitalistico fondato sul pilastro dell’ideologia liberista. Questa trasformazione antropologica ha contaminato ogni forma di pensiero critico e falsificante. I linguaggi si sono dissolti per lasciare il posto a un solo linguaggio: quello del dogma dell’unica formazione sociale vincente, del modello di vita e di produzione che si sostanzia nel capitalismo liberista. Non è casuale che le lingue europee abbiano ceduto la loro autonomia per accogliere in modo servile la neolingua anglo-americano-sassone che imperversa a ogni pie’ sospinto come lingua universale dell’impero. In questa trasformazione antropologica e linguistica emergono nitide le radici infestanti del pensiero unico e dell’unico centro di diffusione dell’informazione che emargina ogni forma di dissenso nel recinto dell’eresia e dell’irrilevanza. Eroica diventa la resistenza delle minoranze militanti e degli intellettuali che hanno rifiutato la greppia di conventicole organizzate attorno a partiti di potere o attorno a giornali compiacenti controllati e finanziati dalle lobby sempre riconducibili a massonerie economiche e finanziarie in combutta con lobby sioniste, attivissime nella censura di ogni notizia che contraddica la religione e il culto per lo stato di Israele. L’accordo sottoscritto tra lo stato ebraico e facebook,[1] per censurare e bloccare tutti coloro che criticano le politiche criminali israeliane, sono un esempio allarmante di questo stato di degrado e di controllo totalitario dell’informazione. Analogamente segnalo l’attacco ai liberi pensatori, ai docenti del mondo accademico la cui carriera e stata rovinata dalle pressioni delle lobby sioniste. Questa è stata la sorte di Norman Finkelstein, di Tim Anderson, Marc Lamont Hill, Steven Salaita. Hatem Bazian, Ahlam Muhtaseb, William Robinson, Rabab Abdulhadi sono stati anche minacciati.
Il lettore sappia che in questo poderoso lavoro di Paolo Borgognone troverà la documentazione necessaria per capire l’architettura del potere imperiale israelo-americano che governa il mondo occidentale e che non desiste, nonostante le sconfitte e gli incidenti di percorso, nel suo progetto di dominio del mondo intero. Nel caso dell’Iran vi sono tutti gli ingredienti per capire la strategia globale dell’imperialismo nordamericano, in coppia con lo stato coloniale sionista, finalizzata alla reductio ad unum dei modelli socio-economici su scala planetaria e, in particolare, alla frammentazione del Medioriente in tanti piccoli stati, divisi e disarmati, sotto l’egemonia totale dello stato ebraico allargato fino ai futuri confini del Grande Israele, dal Nilo fino all’Eufrate, un territorio giudaizzato che dovrebbe comprendere tutta la Palestina storica, la Giordania, metà dell’Iraq, quasi tutta la Siria, un terzo dell’Arabia Saudita e una parte dell’Egitto. Un disegno messianico folle che si chiama TERRA PROMESSA. Promessa da chi? Gli ebrei, credenti e atei, rispondono all’unisono: da Dio. Bene: allora che dio sia convocato a testimone e firmi un atto notarile! Gli ebrei sionisti, però, sanno che le promesse divine non esistono nel diritto internazionale. Ma insistono, confidando nella credulità religiosa dei più e nel sostegno dei sionisti cristiani che negli USA, si dice, che siano circa cinquanta milioni. Per raggiungere questo obiettivo, nel medio e lungo periodo, Israele ha bisogno di sconvolgere il Medioriente e di imporre la propria volontà, scatenando guerre per procura e mettendo l’uno contro l’altro le varie fazioni in lotta, sia politiche che religiose. In questo progetto c’è una convergenza di interessi tra Stati Uniti e Israele che agiscono come una volontà monolitica e senza contraddizioni interne. Questo potentissimo blocco politico-militare si comprende in tutta la sua dimensione se si prende atto che ormai è Israele che comanda gli Stati Uniti, almeno nella politica estera, e che il controllo che la lobby ebraica esercita sull’economia, sulla finanza, sull’informazione, sulla scuola pubblica e privata è capillare ed efficacissimo. Anche tutte le case produttrici cinematografiche di Hollywwod sono controllate da ebrei sionisti. Intendeva dire questo Sharon con quella frase famosa mai smentita: «Ogni volta che facciamo qualcosa tu mi dici che l’America farà questo o quello… Devo dirti qualcosa molto chiaramente: non preoccuparti della pressione americana su Israele. Noi, il popolo ebraico, controlliamo l’America, e gli americani lo sanno».[2]
Questo controllo ossessivo dell’informazione, a livello planetario, se da una parte dimostra la potenza degli ebrei sionisti, dall’altra è il segno della perdita della sua sicurezza e rivela la paura che la sua narrazione di piccolo paese super sviluppato, accerchiato da un’orda di arabi barbari, sta perdendo molti seguaci. La consapevolezza che ampi settori dell’opinione pubblica americana non sono più disposti a vedere le proprie tasse dirottate per armare Israele, si sta rivelando un fiume carsico che ogni giorno rafforza la sua capacità di penetrazione. Indagini sociologiche rivelano la perdita di credibilità di Israele presso i grandi mezzi di informazione, CNN, CBC, New York Times, Washington Post, e il successo di fonti alternative messe a disposizione da internet che stanno liberando la mente dei cittadini dal culto acritico verso Israele e il sionismo. Così Philip Weiss, ex giornalista del New York Times, ora blogger esperto di questioni mediorientali, ha dichiarato: «Farò sventolare alta la mia strana bandiera di anti-sionista, non di post-sionista».[3]
Il 2019 sarà l’anno del 40° anniversario della caduta dello scià di Persia, Reza Pahlavi, e del sequestro dei diplomatici americani nella sede della loro ambasciata a Tehran. Quell’assedio, grazie al tam tam dell’apparato della disinformazione occidentale, fu presentato come la violazione di elementari diritti diplomatici e un oltraggio al diritto internazionale. Non fu detto che nel comune sentire degli iraniani gli USA rappresentavano il sostegno fondamentale del regime dello scià e un soggetto che ebbe un ruolo di primo piano nel rovesciamento del governo democratico di Mossadeq nel 1953, quel Mossadeq che aveva nazionalizzato il petrolio in mano agli americani e agli inglesi sottraendolo alla Anglo-Iranian Oil Company. Nel sentimento popolare era viva la coscienza che lo scià aveva accumulato immense fortune depositate nelle banche americane e che il MOSSAD, il famigerato servizio segreto israeliano, aveva addestrato la SAVAK, la spietata polizia segreta dello scià. Gli iraniani volevano la restituzione di quei beni, la garanzia che gli USA, e i suoi alleati, non avrebbero più complottato contro l’Iran. La risposta fu una chiusura netta. Il presidente dell’epoca, Jimmy Carter reagì con la missione americana fallita per salvare gli ostaggi conosciuta come Operazione Artiglio dell'Aquila (Operation Eagle Claw). Da allora i rapporti tra i due paesi peggiorarono.
Il 4 novembre 2018, grazie a un invito dell’Università di Tehran, ho avuto la fortuna di partecipare ad una grande manifestazione per il 39° anniversario dell’assedio all’ambasciata americana. Ho potuto verificare direttamente, anche facendo una dichiarazione alla TV iraniana, la dimensione dell’avversione del popolo iraniano agli Stati Uniti e a Israele. Mi ha colpito la grandezza dell’ex ambasciata americana e le mura che recintano un enorme parco, segno tangibile dell’immenso ed esclusivo ruolo di controllo e di direzione esercitato in Iran sotto la monarchia dello scià.
Il giorno dopo, gli amici iraniani mi hanno portato a visitare L'EBRAT MUSEUM, un edificio costruito come prigione, progettato da ingegneri e disegnatori tedeschi nel 1932 per ordine di Reza Shah. L'edificio fu terminato nel 1937 con una struttura progettata per impedire qualsiasi forma di fuga. Le pareti sono insonorizzate per annullare all'esterno le urla dei prigionieri torturati. Il direttore del Museo mi ha accompagnato nella visita mostrandomi tutte le celle, i cimeli dei prigionieri, la squallida sala delle docce, le stanze della tortura con manichini che mostrano le varie tecniche di supplizio a cui i prigionieri furono sottoposti. In alcune salette si proiettano dei cortometraggi con interviste alle vittime sopravvissute alla detenzione e alle torture che raccontano le violenze subite. Anche i rappresentanti del clero sciita entrarono e sostarono in questa prigione: gli ayatollah Ali Khamenei, Rafsanjani, Ali Rajaee, Beheshti, Motahari e Taleghani. 
Gli aguzzini dello scià non risparmiarono nemmeno le donne. Lungo i corridoi ho osservato le centinaia di fotografie delle detenute, alcune coi segni in volto delle percosse. Questo era il regno della SAVAK la spietata polizia segreta. Uno dei capi della SAVAK, Parviz Sabeti, fuggì in Israele con la sua famiglia all'inizio della rivoluzione e poi si trasferì negli Stati Uniti. È ancora vivo, si chiama Peter Sabeti e fa il costruttore edile a Orlando in Florida. Diversa fu la sorte del Direttore della SAVAK, il generale Nematollah Nassiri, che fu arrestato e giustiziato con un processo sommario assieme a 438 agenti.[4] 
L’assedio dell’ambasciata durò 444 giorni e la data del 4 novembre per gli iraniani è una specie di festa della liberazione dall’oppressione di un regime crudele di cui gli USA furono il principale sostenitore. Poi vennero le pagine di storia torbide del regime komeinista fatte di tribunali del popolo che comminavano sentenze di morte sommarie agli oppositori e di imposizioni di costumi e stili di vita anacronistici improntati a norme coraniche desuete e oscurantiste.
Da allora, gli USA e Israele, e i paesi occidentali in generale, non hanno smesso di complottare contro la repubblica islamica col proposito di farla cadere attraverso rapporti e finanziamenti con tutta l’opposizione iraniana, in patria e all’estero, compresi anche settori sedicenti marxisti. La dichiarazione di sostegno alla causa palestinese, politica e materiale, fu un duro colpo per lo stato sionista e per il suo protettore, gli USA. La repubblica islamica, quindi, era divenutane parte “dell’asse del male” come i dirigenti americani solevano allora, e anche adesso, denominare tutti coloro che non si piegano al loro modello totalitario libero-scambista. Gli strumenti classici dell’imperialismo nordamericano e della sua creatura sionista, lo stato di Israele, per combattere l’Iran sono stati: la coscrizione obbligatoria degli apparati di informazione e delle cancellerie dei paesi occidentali nei ranghi della CIA e del MOSSAD, l’uso delle sanzioni economiche per destabilizzare l’economia e innescare una rivolta dal basso, sostegno e finanziamento dei gruppi di opposizione, prevalentemente attivi tra i ceti abbienti che rimpiangevano l’epoca d’oro dello scià. Necessario, quindi, fare un uso spregiudicato di ogni forma di dissenso interno all’Iran per dipingere i suoi dirigenti, soprattutto i capi religiosi, come fanatici criminali assetati di sangue che hanno trascinato l’Iran in un regime medievale, una replica tipica dei rivoluzionari termidoriani francesi col loro “regno del terrore”. Per onestà occorre dire che i dirigenti iraniani fornirono molti argomenti ai loro avversari, interni ed esterni, e hanno continuato anche in seguito. Il libro di Borgognone fornisce una descrizione minuziosa di tutte le fasi della tormentata vicenda della repubblica islamica, mettendo in evidenza con ammirevole attitudine analitica le lotte di potere tra i vari partiti e la dislocazione politica delle classi iraniane.

In questi 40 anni l’Iran è cambiato, piaccia o no ai suoi detrattori. Nonostante gli errori imperdonabili, la repubblica islamica si è consolidata ed è diventata un baluardo della lotta antimperialista e antisionista in Medioriente. La grande maggioranza della sinistra occidentale non ha capito nulla di questo ruolo”progressista” del regime iraniano e si è lasciata pietrificare dal confessionalismo religioso islamico, dalla presenza degli hayatollah alla guida della repubblica, da intollerabili precetti religiosi imposti al popolo per legge, dalle dimostrazioni speciose di dissenso organizzato, come il movimento 18TIR e l’Onda Verde, e da episodi oscuri e controversi, come la morte misteriosa di Neda Agha Soltan, una ragazza che si trovava, per caso, presente a una manifestazione dell’opposizione. Su questi, e altri, episodi la stampa occidentale, cosiddetta “mainstream”, ha suonato la grancassa all’unisono inventando crimini inesistenti, alterando versioni di fatti e incidenti coadiuvata da fuoriusciti iraniani e da agenti prezzolati dell’opposizione in esilio. Valga per tutti la vicenda di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana, che dal 2006 al 2014 ha scontato una pena per omicidio volontario del proprio marito, eseguito, su sua commissione,  dal presunto amante e da un complice. Fu diffusa la voce in occidente che fosse stata lapidata[5] in quanto adultera, condanna che, ovviamente, suscitò un moto di profonda indignazione nell’opinione pubblica. Notizia del tutto falsa, amplificata ad ampio raggio con interventi personali della moglie dell’ex presidente francese Sarkozy, Carla Bruni, e di Hillary Clinton Segretaria di Stato di Barak Obama. Non taccio gli anacronismi e le arretratezze del sistema giudiziario iraniano, ma mi sembra ragionevole la replica dell’ex presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad che denunciò il caso Sakineh come una campagna mediatica contro l'Iran, evidenziando i casi delle 53 condanne a morte nei confronti di donne pendenti negli Stati Uniti d'America al settembre 2010, del tutto ignorate dall’informazione occidentale. Attivissimo in quest’opera di diffamazione dell’Iran il sanculotto ebreo sionista Bernard-Henry Lévy votato al silenzio e alla giustificazione quando Israele massacra migliaia di palestinesi innocenti, ma pronto e febbrile nell’arte di cavalcare e diffondere menzogne al servizio dello stato ebraico.

 

In 40 anni di Repubblica islamica, l’Iran, nonostante l’attacco alla sua economia e alla sua stabilità politica, ha conosciuto un innegabile progresso materiale, culturale e scientifico. Le università sono piene di giovani e le ragazze sono in numero prevalente. Gli scienziati iraniani sono stati mobilitati nella ricerca sul nucleare civile con notevoli risultati. Ricerca scientifica e sua applicazione alla difesa nazionale vanno di pari passo. L’alleanza con la Russia e la Cina si dimostra solida e permette di avere a disposizione un grande mercato. Israele, per realizzare il suo folle progetto, ha esortato più volte gli Stati Uniti a intervenire militarmente contro l’Iran diventato il suo più pericoloso antagonista. La ricostruzione scientifica dei fatti avvenuti l’11 Settembre 2001 a New York e al Pentagono portano logicamente alla ipotesi che la CIA, il Mossad e l’FBI abbiano costruito un “inside job”, un lavoro fatto dall’interno per scatenare l’arabofobia, l’islamofobia a vantaggio unico di Israele e dell’Occidente egemonizzato dagli USA. Sono troppi gli indizi che conducono a Israele.[6] Quando l’ex generale Wesley Clarck, ex Comandante in Capo della NATO in Europa, rivela alla televisione Democracy Now[7] che, pochi giorni dopo l’11 Settembre 2001, un collega del Pentagono lo informa che il governo americano sta preparando la guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein e che è stato fatto un progetto per sovvertire in cinque anni i governi di sette paesi: Siria, Iran, Iraq, Libano, Libia, Sudan e Somalia allora appare evidente che l’unico e diretto beneficiario di questo progetto criminale ed eversivo è, oltre al Complesso Militare Industriale americano, ISRAELE. L’attacco all’Iraq nel mese di marzo del 2003, col falso pretesto delle armi di distruzione di massa, che non furono mai trovate, fu il primo atto per avvicinarsi ai confini iraniani. Primo atto coronato da successo. Il secondo atto doveva essere la Siria. Un altro stato forte e coeso che “dava fastidio a Israele” e che doveva essere eliminato per procedere, poi, all’eliminazione dell’Iran sciita, sostenitore del movimento libanese Hetzbollah, pur esso sciita, con un esercito di circa cento mila uomini, super armato e spina nel fianco dello stato ebraico.

Dopo l’Iraq, come sovvertire la Siria? Semplice. Lo stesso metodo applicato in Ucraina: la “rivoluzione colorata”. Organizzare manifestazioni dell’opposizione, sull’esempio delle “primavere arabe”, finanziare e introdurre migliaia di mercenari e innescare una guerra civile fino al rovesciamento del governo legittimo. Così avvenne, come testimoniano diverse fonti tra cui, la stessa Hillary Clinton e, soprattutto, l’ex ministro francese degli Esteri Roland Dumas in una intervista televisiva durante la quale racconta di essere andato a Londra al Foreign Office[8] per salutare dei colleghi che gli avevano confidato che “stavano preparando una cosa in Siria” e chiedendogli se i francesi volessero partecipare. La parte più interessante di questa intervista è la domanda che il giornalista rivolge a Dumas: “Perché?” La risposta è chiara e pronta: perché è nell’interesse di Israele, come gli aveva confidato il primo ministro israeliano. 

Come tutti sappiamo, il progetto di distruggere la Siria e portare al governo dei fantocci filoisraeloamericani è clamorosamente fallito, grazie all’esercito siriano, alla Russia di Putin, alle milizie di Hetzbollah e all’Iran che ha aiutato e armato la Siria. Mentre scrivo, il presidente Trump annuncia che ritirerà il contingente americano che era in Siria illegalmente senza essere stato chiamato da nessuno. Israele ha manifestato il suo disappunto vedendo fallire clamorosamente i suoi progetti criminali. Stati Uniti, Inghilterra, Turchia, Israele, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi sono stati la Santa Alleanza in questa missione fallita che ha distrutto un paese sovrano, tra i più evoluti del mondo arabo, provocando una catastrofe umanitaria di immani proporzioni.

Un’altra ossessione di Israele è la possibilità che l’Iran acquisisca la bomba atomica e diventi inattaccabile. L’uso del nucleare per scopi civili è stato ripetutamente affermato dai dirigenti iraniani e l’amministrazione Obama, mostrando flessibilità e lungimiranza, stipulò nel 2015 un accordo con Teheran e con i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania. Lo stato sionista, nell’ultimo decennio, ha organizzato ed eseguito, con spietata precisione, l’uccisione di scienziati iraniani come Ardeshir Hassanpour e Mustafa Ahmadi Roshan[9] pur di impedire che l’Iran si dotasse dell’arma atomica che Israele possiede da diversi decenni sfuggendo consapevolmente ai controlli dell’AIEA, l’Agenzia per la limitazione delle armi atomiche. Con l’avvento dell’Amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno deciso di annullare quell’accordo sempre avversato dallo stato sionista che lo aveva definito «la resa dell’Occidente all’asse del male guidato dall’Iran». La verità è che Israele possiede stivati nei bunker nel deserto del Negev tra 300 e 400 missili a testata atomica pronti al lancio su missili balistici, come il Jericho 3, e su cacciabombardieri F-15 e F-16 forniti dagli Usa, cui si aggiungono ora gli F-35. L’accordo sottoscritto dagli iraniani consente le ispezioni dell’AIEA e vi è l’impegno a non costruire armi atomiche sotto il controllo internazionale. Israele ha centinaia di armi atomiche e non consente ispezioni a nessuna istituzione internazionale. Osserva Manlio Dinucci: «Gli alleati europei degli Usa, che formalmente continuano a sostenere l’accordo con l’Iran, sono sostanzialmente schierati con Israele. La Germania gli ha fornito quattro sottomarini Dolphin, modificati così da poter lanciare missili da crociera a testata nucleare. Germania, Francia, Italia, Grecia e Polonia hanno partecipato, con gli Usa, alla più grande esercitazione internazionale di guerra aerea nella storia di Israele, la Blue Flag 2017».[10] Quindi: chi minaccia chi? La condotta israeliana è più simile a quella di un’associazione per delinquere che a uno stato moderno e democratico.

Mentre scrivo, il Segretario di Stato americano, il superfalco Mike Pompeo, sta visitando nove stati mediorientali per riprendere i rapporti con gli arabi amici, isolare l’Iran e rassicurare Israele. È andato in Egitto e ha fatto un discorso all'Università americana del Cairo accusando Obama, senza mai nominarlo, per le sue politiche «fuorviate» che hanno «diminuito il ruolo dell'America nella regione, danneggiato i suoi amici di lunga data e incoraggiato il suo principale nemico: l'Iran».

Riprendendo il discorso pronunciato da Obama al Cairo nel 2009, ha detto a un pubblico invitato di funzionari egiziani, diplomatici e studenti stranieri: «Ricordate: era qui, proprio qui in questa città, un altro americano stava davanti a voi. Vi ha detto che gli Stati Uniti e il mondo musulmano hanno bisogno di "un nuovo inizio". I risultati di questi errori di valutazione sono stati disastrosi». Dopo aver criticato l’accordo del 2015 sul nucleare iraniano, l’alleggerimento delle sanzioni e l’inerzia di Obama per impedire la crescita di Hetzbollah in Libano a scapito della sicurezza di Israele, Pompeo, pomposamente, ha aggiunto: «La buona notizia è questa: l'era della vergogna americana autoinflitta è finita, così come le politiche che hanno prodotto tanta sofferenza inutile». Non basta, «Ora arriva il vero 'nuovo inizio'», dice messianicamente dopo aver intitolato, senza alcun pudore, il suo discorso: “Una forza per il bene: Il ruolo rinvigorito dell'America in Medio Oriente”.[11] “Una forza per il bene”!!! Questa è la dichiarazione più evidente della IRREDIMIBILITA’ degli Stati Uniti come potenza globale terroristica e aggressiva che attribuisce, da sempre, a se stessa il titolo di “forza salvifica”. Pompeo in questo modo afferma che la guerra non dichiarata contro l’Iran continua, dunque, annullando la politica di distensione obamiana e facendo la faccia feroce come, certamente, gli ha chiesto di fare il primo ministro israeliano Netanyhau. La questione palestinese, vera causa, prima e ultima, della instabilità mediorientale? Di questa non si parla. Dopo aver seppellito qualunque ipotesi di pace, l’amministrazione Trump si affida al “genocidio incrementale dei palestinesi”, come direbbe Ilan Pappe, al furto continuo di terra in Cisgiordania nella speranza che la disperazione dei palestinesi si traduca in un esodo biblico verso la Giordania, la Siria in ricostruzione e altri paesi arabi disposti ad accoglierli in massa. In tal modo assisteremmo alla scomparsa della Palestina storica e alla sua giudaizzazione completa. Non è forse questo il fine del “Piano Ynon” che Borgognone, correttamente, rammenta all’inizio di questo saggio? Oded Ynon è un giornalista e il suo breve saggio, apparso nel febbraio del 1982 sul giornale sionista Kivunim (Direzioni), è intitolato “Una strategia per Israele negli anni Ottanta”, un piano ideato per Ariel Sharon e per il generale Rafael Eitan. Esso prevede la dissoluzione di tutti gli attuali stati arabi e la formazione di altri tanti piccoli stati arabi in base a divisioni religiose ed etniche. Nonostante il saggio sia caratterizzato da un volgare anticomunismo e faccia riferimento alla minaccia sovietica, che non c’era e non esiste più, esso delinea il progetto di trasformazione di Israele in una potenza imperiale mondiale. Ynon attacca gli accordi di Camp David coi quali l’Egitto riottenne la penisola del Sinai occupata da Israele in cambio della pace rimpiangendo “la perdita dei giacimenti petroliferi del Canale di Suez” e di altre ricchezze naturali. Ynon aveva previsto la distruzione dell’Iraq e auspicato anche la distruzione, che non è avvenuta, della Giordania dove esiste una maggioranza di palestinesi: “Non vi è alcuna possibilità che la Giordania continui ad esistere a lungo nella sua struttura attuale, e la politica di Israele, sia in guerra che in pace, dovrebbe essere diretta alla liquidazione della Giordania sotto l’attuale regime e il trasferimento del potere alla maggioranza palestinese. (…) non è possibile continuare a vivere in questo paese nella presente situazione senza separare le due nazioni, assegnando agli arabi la Giordania e agli ebrei le zone ad ovest del fiume [Giordano]”. Chiarissimo: i palestinesi siano deportati in Giordania e tutta la Cisgiordania sia data a noi ebrei. “La convivenza autentica e la pace regneranno sul paese solo quando gli arabi capiranno che senza il dominio ebraico tra il Giordano e il mare essi non avranno né esistenza né sicurezza”. Nella sua brutalità, Ynon non poteva essere più esplicito e perentorio. Qui sta la chiave ermeneutica per capire la centralità della minaccia sionista sul mondo intero. Se questo progetto fosse realizzato del tutto, regnerebbe nel mondo la legge della jungla, la fine del diritto internazionale e delle istituzioni sovrannazionali, come l’ONU, che oggi appaiono molto depotenziate e svilite, prive di autorità. Ergo, chiunque ostacoli questo progetto è un nemico di Israele e degli Stati Uniti controllati da Israele. L’Iran sostiene la causa palestinese e combatte il sionismo? Che l’Iran sia sovvertito, come gli altri sei paesi citati dal generale Clarck!

Se la diplomazia nordamericana fosse autonoma, e non condizionata strettamente dalla lobby sionista, probabilmente una politica di distensione e di fiducia reciproca sarebbe stata possibile con l’Iran. Nel 2000, gli USA riconobbero le proprie responsabilità in relazione al colpo di stato che aveva deposto, nel 1953, il governo laico e progressista di Mossadeq e riportato sul trono la dinastia dei Pahlavi. Fu Madeleine Albright, all’epoca segretario di Stato, che definì il regime dello scià «brutale e repressivo». Non si sa quanto fosse sincera quell’affermazione, ma occorreva iniziare dall’ammissione di quel crimine storico, chiedere scusa al popolo iraniano e avviare un nuovo corso tra i due governi perseguendo il reciproco vantaggio. Così non è mai stato perché, dietro le quinte, il veto israeliano ha orientato e imposto a tutte le amministrazioni USA l’obiettivo dell’eversione del regime antimperialista e antisionista iraniano. Accettare l’Iran così come esso è significa per Israele cancellare il progetto del grande Israele e la conseguente pulizia etnica della Palestina, così come si presenta nel “Piano Ynon”. Basta sfogliare i giornali e la pubblicistica occidentale, nel periodo in cui alla presidenza della repubblica islamica c’era l’uomo più antisionista del gruppo dirigente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, per avere la controprova del ruolo decisivo di Israele e dei sionisti. L’informazione occidentale lo presentò come un tiranno nazista, “l’Hitler iraniano”, sfruttando alcune sue infelici e maldestre affermazioni sulle dimensioni dell’Olocausto e sulle esagerazioni numeriche delle vittime ebraiche eliminate dai nazisti. Furono orchestrate campagne furibonde a favore dei candidati filo-occidentali e sfacciatamente filo-americani avversari di Ahmadinejad nelle elezioni del 2009. Ma Ahmadinejad vinse le elezioni per la seconda volta consecutiva col il 62,63% dei voti. Cosa accadde? In Occidente si levarono grida e strepiti accusando il regime di brogli. Se avesse vinto il candidato coccolato dagli americani e dai sionisti, ovviamente, le elezioni sarebbero state glorificate come un trionfo della democrazia, ma quando vincono gli altri tutta la stampa occidentale, come un plotone d’esecuzione, accusa il vincitore di brogli. Un’altra accusa diffusa a piene mani contro Ahmadinejad fu quella di essere “antisemita”. Fu alterata persino la traduzione di alcuni suoi discorsi pur di sostenere quest’accusa. Nessuno scrisse che, per legge, nel Parlamento iraniano devono essere rappresentati gli ebrei, i cristiani e le altre minoranze religiose. Nessuno mostrò le foto che ritraggono Ahmadinejad coi rabbini ortodossi iraniani, coi quali intratteneva ottimi rapporti, né le foto dei rabbini giunti dagli Stati Uniti  a Tehran per incontrarlo. Avrebbero dovuto ammettere che il presidente iraniano era molto popolare nel suo paese, che era stato un efficace sindaco di Tehran e che aveva un occhio di riguardo per i più poveri.

Nella storia delle Repubblica islamica dell’Iran c’è un episodio che non è stato narrato e che la grande stampa evita di divulgare.
Nel mese di maggio del 2003, mentre era in corso l’attacco anglo-americano all’Iraq, le autorità iraniane inviarono una proposta di negoziato agli Stati Uniti tramite gli svizzeri. Cosa chiedevano gli iraniani?
• La fine del comportamento ostile degli Stati Uniti per mezzo di interferenze, in terne ed esterne e la presentazione dell’Iran come "asse del male";
(interferenza nelle relazioni interne o esterne, lista del terrorismo).
• Abolizione di tutte le sanzioni: sanzioni commerciali, restituzione dei beni congelati, sentenze, impedimenti nel commercio internazionale e presso leistituzioni finanziarie.
• Iraq: creazione di un governo democratico e pienamente rappresentativo in Iraq, sostegno alle richieste iraniane per le riparazioni di guerra irachene, rispetto degli interessi nazionali iraniani in Iraq e legami religiosi con Najaf / Karbal.
• Pieno accesso alla tecnologia nucleare pacifica, alle biotecnologie e alla tecnologia chimica.
• Riconoscimento dei legittimi interessi di sicurezza dell'Iran nella regione con capacità di difesa adeguate.
• Terrorismo: ricerca di terroristi anti-iraniani, soprattutto MKO (Mojahedin-e-Khalq Organization (People's Mujahedin of Iran)  e sostegno al rimpatrio dei loro membri in Iraq, azione decisiva contro i terroristi anti-iraniani, soprattutto l'MKO e le organizzazioni affiliate negli Stati Uniti.

Cosa chiedevano gli Stati Uniti?

• piena trasparenza per la sicurezza con l’impegno che l’Iran non avrebbe sviluppato o posseduto armi di distruzione di massa; piena cooperazione con l'AIEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica) basata sull'adozione da parte iraniana di tutti gli strumenti e i protocolli AIEA)

• Terrorismo: azione decisiva contro qualsiasi terrorista (soprattutto al Qaida) sul territorio iraniano, piena cooperazione e scambio di tutte le informazioni pertinenti.
• Iraq: coordinamento dell'influenza iraniana per l'attività a sostegno della stabilizzazione politica e la creazione di istituzioni democratiche e un governo non religioso.
• Medio Oriente:
1) fine di ogni sostegno materiale ai gruppi di opposizione palestinese (Hamas, Jihad, ecc.) dal territorio iraniano, pressioni su queste organizzazioni per fermare azioni violente contro i civili entro i confini del 1967.
2) l'azione su Hezbollah per diventare una mera organizzazione politica all'interno del Libano
3) accettazione della dichiarazione di Beirut della Lega Araba (iniziativa saudita, approccio di due stati)
passi:
• Iraq: costituzione di un gruppo comune, sostegno attivo dell'Iran per la stabilizzazione dell'Iraq, impegno degli Stati Uniti per sostenere attivamente le richieste di risarcimento iraniane nell'ambito delle discussioni sui debiti esteri dell'Iraq.
• Terrorismo: impegno USA per disarmare e rimuovere MKO dall'Iraq e agire contro la sua leadership, impegno iraniano per un'azione rafforzata contro i membri di Al Qaida in Iran, accordo sulla cooperazione e lo scambio di informazioni
• Dichiarazione generale iraniana "per sostenere una soluzione pacifica in Medio Oriente che coinvolga le parti interessate"
• Dichiarazione generale USA secondo cui "l'Iran non apparteneva all'asse del male"
• Accettazione da parte degli Stati Uniti di eliminare gli impedimenti contro l'Iran nelle istituzioni finanziarie e commerciali internazionali.[12]

Le “colombe”, presenti in entrambi i campi in conflitto, si erano adoperate per quello che nei documenti era chiamato “il grande affare” iraniano. Nell’amministrazione di Bush Junior non mancavano i segnali di disponibilità, come fanno supporre certe affermazioni di Condoleeza Rice. Tuttavia, era oggettivamente difficile per un paese antimperialista e anticoloniale poter accettare le limitazioni al sostegno alla causa palestinese e la trasformazione di Hetzbollah in un partito politico. Nella controproposta americana risulta evidente l’influenza della lobby sionista ampiamente presente nell’amministrazione Bush. Nonostante gli incontri diplomatici e i traccheggiamenti per non apparire come coloro che hanno voluto chiudere le trattative, il tentativo di negoziato era destinato a naufragare.
La proposta iraniana, distensiva e conciliativa, si era sviluppata all’interno della presidenza Khatami, notoriamente considerato un moderato, un riformista, e fu un tentativo animato da buone intenzioni che la controparte lesse come un segnale di debolezza per arginare la crisi interna di un regime di cui gli USA e Israele si auguravano il collasso. Un’occasione mancata che sul New York Times del 28 aprile 2007 Nicholas D. Kristof commentò con queste parole:

Nella rubrica di domenica ho esposto i tentativi di raggiungere un "grande affare" tra Stati Uniti e Iran, prima che i sostenitori della linea dura dell'amministrazione Bush uccidessero lo sforzo nel 2003. Qui sto fornendo ulteriori informazioni di base e i documenti completi. (…) Sembra una cattiva gestione diplomatica di altissimo livello che l'amministrazione Bush abbia rifiutato quel processo a priori e ora stia invece battendo i tamburi di guerra e considerando gli attacchi aerei sui siti nucleari iraniani.[13]

La verità prima è ultima è questa: la politica estera degli Stati Uniti, sotto la dettatura dello stato ebraico che la dirige, non accetterà mai alcuna sorta di pacificazione o di cordiale intesa con la repubblica islamica dell’Iran finché questa non rinuncerà alla sua ideologia antisionistica e al sostegno alle legittime aspirazioni del popolo palestinese. Questa era la linea di demarcazione che i dirigenti iraniani al governo nel 2003 non potevano varcare. Il progetto del Grande Israele, quindi, deve andare avanti anche a costo delle peggiori avventure. Come scrisse l’ambasciatore svizzero in Iran, Tim Guldimann, in una lettera inviata al Dipartimento di Stato americano: “Ho avuto la chiara impressione che c’è una forte volontà del regime [iraniano] di affrontare il problema con gli Stati Uniti ora e di metterlo alla prova con questa iniziativa”.[14] Iniziativa lungimirante e saggia, mentre Bush e la sua cricca battevano i tamburi di guerra. Il mondo, dunque, continua la sua esistenza guidato da ciechi, come nel quadro di Pieter Bruegel il Vecchio



[1] The Independent, 15/09/2016.

[2] Ariel Sharon, Primo Ministro d’Israele, 31 ottobre 2001, risposta a Shimon Peres, come riportato in un programma della radio Kol Yisrael.
[3] https://www.ilfarosulmondo.it/lisraelizzazione-degli-usa-e-le-guerre-senza-nome/
[4] https://diegosiragusa.blogspot.com/2018/11/rapporto-dalliran.html
[5] In Iran non esiste la pena della lapidazione.
[6] https://youtu.be/Xs9EJiGMfgs   Conferenza di Christopher Bollyn, uno tra i maggiori studiosi di terrorismo e autore di diversi libri sull’11 settembre. Secondo Bollyn tutte le premesse e diversi indizi conducono a identificare Israele come il beneficiario principale della messa in scena dell’11 settembre 2001.
[7] https://www.youtube.com/watch?v=69Xo5Gxn2o4
[8] https://youtu.be/jeyRwFHR8WY
[9] Diego Siragusa,  Il terrorismo impunito, pagg: 481-483, Zambon Editore, 2012.
[10] https://diegosiragusa.blogspot.com/2018/05/israele-200-armi-nucleari-puntate.html
[11] Fonte: https://abcnews.go.com/beta-story-container/Politics/wireStory/pompeo-egypt-amid-concerns-us-mideast-policy-60279845
[12]    Trita Parsi, Treacherous alliance, the secret dealings of israel, iran, and the united states, yale university press, 2007, pagg.341-346.
[13] https://kristof.blogs.nytimes.com/2007/04/28/irans-proposal-for-a-grand-bargain/

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