martedì 8 gennaio 2019

Dal Niger al Sudan, l’Africa nella morsa dell’ipocrisia clericosinistra ----- DECRETI SICUREZZA E GRANDI IMBROGLI, di Fulvio Grimaldi



Intanto un plauso di cuore e di mente a Luigi Di Maio per la solidarietà totale data ai Gilet Gialli di Francia , la più bella e forte risposta alla globalizzazione finanzcapitalista da molti anni a questa parte, augurandoci che tale riscatto dei 5 Stelle si estenda ad altre aree politiche, sociali, ambientali  che erano nell’anima del MoVimento alle origini.

Due settimane davanti a Malta. Sarebbero bastate per sbarcare a Calais, Dover o Amburgo
Grande dibattito e grande esplosione di hate speech, discorsi dell’odio, rancore, invidia sociale (quelli che venivano attribuiti agli italiani che hanno votato questo governo) da parte dell’unanimismo politico-mediatico globalista e antisovranità, sul decreto sicurezza. Hate speech ulteriormente animati dalle due navi di Ong tedesche che girano per il Mediterraneo meridionale. Ong tedesche, vale a dire di quel paese e appoggiate da quel governo (oltreché da George Soros) che, dopo aver raso al suolo la culla della nostra civiltà (nuovamente barbari, alla faccia di Goethe, Bach, Duerer e Schopenhauer), si sono fatti giustizieri, insieme ai francesi e ai burattini di Bruxelles, del timido tentativo italiano di invertire il flusso della ricchezza perennemente dal basso verso l’alto.

Navi tedesche, mi viene da riflettere, che nel corso dei 18 giorni in cui andavano lacrimando su mari in tempesta e migranti, secondo l’immaginifico manifesto “in condizioni disperate” (benché rifornite da Malta di tutto il necessario…), tra Malta e Lampedusa, avrebbero potuto raggiungere, che so, New York, o magari Amburgo, visto che così tante città tedesche si erano dichiarate disposte ad ospitare i profughi. O Rotterdam, visto che è olandese la bandiera della Sea Eye. Non vi pare?
Posto che l’unica cosa buona fatta dal socio neoliberista e ultradestro della maggioranza di governo è stato mettere l’opinione pubblica di fronte al ricatto dell’Europa nei confronti dei paesi rivieraschi del Sud – o mangiate la minestra della destabilizzazione sociale ed economica di un’immigrazione incontrollata, o vi buttiamo dalla finestra -, posto che strumento di questo ricatto è la società anonima creata dal colonialismo tra multinazionali predatrici, trafficanti, Ong, santi peroratori dell’accoglienza senza se e senza ma, per sottrarsi a tale ricatto ritengo il decreto sicurezza del, per altri versi detestabile, fiduciario dei padroni, il minimo indispensabile per salvare una serie di paesi destinati al macero.



Razzista chi vuole rendere inappetibile l’Italia a migranti? Il contrario, antirazzista e anticolonialista
Pensate, un anticolonialista e antimperialista, uno che nel corso di quasi tutte le guerre e aggressioni di altro genere da parte degli antropofagi occidentali, ha vissuto, operato, scritto e filmato dalla parte delle vittime, con i rischi e le conseguenze connesse sul piano delle condizioni personali, che dice: il decreto sicurezza non basta! E che sarebbe giusto, umano, rispettoso dei diritti altrui, ostile a trafficanti e speculatori sulle pelli nere o brune, opposto alla tratta degli schiavi e agli eserciti industriali di riserva, evitare che vi possano essere motivi, perlopiù illusori, ma anche veri, per sollecitare lo spostamento di popolazioni. I famosi pull factor. Tutto ciò che rende appetibile per un africano abbandonare terra, patria, identità, cultura, fa torto e danno a lui e svuota e disarma il suo paese. Crudele, razzista? No, l’opposto. Il massimo del razzismo è quello degli eredi di coloro che sugli schiavi costruirono sviluppo, ricchezze, nazioni. Anche allora i civili facevano il bene dei selvaggi.

 Forse l’immenso divario che mi divide dai buonisti accoglitori di vecchio stampo, quelli che si mascheravano da sinistra (dal manifesto in su), come da quelli scopertisi tali dopo aver inflitto un massacro sociale e culturale ad autoctoni ed immigrati con pari entusiasmo, deriva in buona parte dal fatto che io dalle parti degli sradicati di oggi e accasati di ieri ci ho speso almeno metà della mia vita. E loro no. Dal che loro rivendicano il proprio diritto a stare, e bene, a casa propria, quella civile, moderna, democratica, ma anche il “diritto” degli altri a venirsene via da casa (chiamata “guerra, fame, dittatura”) e stabilirsi qui in un ghetto di cartone, in una stanza per dieci, in un campo di pomodori, in una cosca della mafia nigeriana, in una banlieu fuori dal mondo.. E io ho l’improntitudine xenofoba e razzista di mettere al primo posto il diritto di ognuno di restare a casa sua, di esservi trattato bene, di non essere oppresso e sfruttato.

Sinergie nella filiera dell’emigrazione
Non è segno di cecità, se non per gli irrimediabili utili idioti, ma di ipocrisia o di calcolo  non vedere la sinergia che esiste lungo la filiera che porta da Raqqa in Siria, o Herat in Afghanistan, o Dakar in Senegal, dove habitat ed economia sono stati occupati da necrofori armati o briganti economici dell’Impero e sue marche, all’organizzazione di trasporti in terra e traghettamenti da barca a barca (chiamati “salvataggi da naufragi”), fino alle cooperative delle creste sulla sopravvivenza, ai caporali, alla grande distribuzione dai prezzi discount, ai partner della criminalità organizzata.

Questo dello svuotamento di continenti e paesi da rapinare e della tracimazione di altri cui tagliare le gambe è la Grande Operazione globalista  per rilanciare il capitalismo dopo la crisi. Una trasparentissima strategia che ha il suo punto di forza nella cancellazione delle identità, particolarità, storia, nazionalità, culture, da Palmira e dalla Biblioteca Nazionale di Bagdad, fino alla cosiddetta integrazione del selvaggio nella società civile, il presunto meticciato e multiculturalismo, un amalgama senza faccia, senza anima e senza nome. E come con i barbari all’assalto di Roma, o con i colonialisti della depredazione e dei genocidi di Africa, Asia, America Latina e, oggi, con i neocolonialisti  di un mondialismo nel segno dell’élite finanzcapitalista e militarsecuritaria, unica identità da salvaguardare, con chi sta la Chiesa, tuttora potenza morale suprema a fianco dei manovratori? Ascoltate il papa.

Sudan, uno di quegli inverni che chiamano primavera araba



A proposito di Chiesa, sentivo stamane a Radio Uno sui tumulti in Sudan, oggi paese d’origine di gran parte dei migranti, l’immancabile frate missionario. E mi sono ricordato di quando, per una conferenza a Palermo, a un centro sociale che ospitava alcuni profughi dal Darfur, dovetti raccomandare di prendere cum granu salis i loro anatemi contro il governo di Khartum. Il frate, ovviamente comboniano, di quell’Ordine che in epoca pre-panarabista faceva il bello e il cattivo tempo in Sudan, con mano morta su tutto l’apparato scolastico e sanitario dell’immenso paese, sparava gli stessi anatemi sullo stesso governo, quello di Omar el Bashir. Così, grazie alla puntualissima Amnesty, i 12 morti ufficiali sono diventati 40 e la repressione, per quanto in nulla dissimile da quella fisiologicamente nostra, da Parigi, a Genova, Chicago, Atene, laggiù è ovviamente genocida. Come lo sarebbe al Bashir, secondo il Tribunale Penale dell’Aja, che non ha mai accusato chi non fosse di pelle nera. Nessuno dovrebbe negare che i manifestanti abbiano ottime ragioni, il pane, i prezzi, il carburante, ma non dire che questo accade in un paese che l’Occidente sottomette da decenni a sanzioni genocide e a mutilazioni che lo destabilizzano e lo privano delle proprie risorse, conferma ogni sospetto sulla nostra stampa.

Sono stato in Sudan o vi sono passato parecchie volte sulla strada per l’Eritrea o l’Etiopia.Oggi ne leggo i reportage da Khartum di una signora,  Antonella Napoli, il cui primo titolo, a mio avviso, non è tanto quello di giornalista della Repubblica, ma di fondatrice e presidente dell’Onlus “Italiani per il Darfur”. Basta e avanza per interpretare i suoi racconti.

Sud Sudan e Darfur: disfare il più grande e uno dei più ricchi paesi dell’Africa

Nasser, Nimeiri, Gheddafi

Già, il Darfur. Nel 1971 incontrai Gaafar Nimeiri, presidente del Sudan, e alcuni suoi ministri. Passammo una notte intera, in un villaggio del sud, a discorrere di storia, presente e futuro del paese e della rivoluzione araba. Sulla scia della rivoluzione anticoloniale di Gamal Nasser in Egitto e poi di Muammar Gheddafi in Libia, il colonello Nimeiri aveva preso il potere sostituendo il precedente governo di obbedienza britannica, storica potenza coloniale. Resosi di conseguenza ostico al sion-imperialismo, si vide innescare un’insurrezione separatista nella parte meridionale, cristiana, del paese. Protagonisti Israele, gli Usa, la Nato e il Vaticano, al quale il governo, nazionalizzando ogni cosa aveva sottratto il controllo dell’istruzione e degli ospedali. Li stavano i tre quarti dei ricchi giacimenti di idrocarburi del paese. Valse la pena per i cospiratori calare sul tavolo la carta di qualche centinaio di migliaia di morti. Neri. Quelli così cari ai loro prosecutori di oggi.

Nel 1986 il governo di Nimeiri, nel frattempo islamizzato, venne sostituito da quello di Sadiq el Mahdi, esponente dell’aristocrazia islamica, da tempo esule a Londra e strettamente collegato agli interessi di quella potenza. Più in nome dell’Umma, la comunità panislamica sostenuta dall’Occidente (vedi i Fratelli Musulmani), che del nazionalismo afro-arabo, ma sempre di segno contrario al neocolonialismo occidentale e favorevole all’Iraq di Saddam e all’URSS, fu il colpo di Stato che portò al potere, nel 1989, Omar al Bashir. L’ostilità revanscista dell’Occidente si manifestò presto e in vari modi. La rianimazione della rivolta cristiana nel Sud, il bombardamento di Clinton, nel 1997, della fabbrica farmaceutica di Al Shifa indispensabile per il Sudan e gran parte dell’Africa per i medicinali antimalarici. Rimasero sepolti 300 operai e si calcola che a seguito di quella distruzione morirono almeno 10mila sudanesi. Terza operazione, di lunga prospettiva e affine alla destabilizzazione del Sud, fu una specie di guerra civile nel Darfur, centro-ovest del paese, subito sostenuta da tutti gli arnesi delle rivoluzioni colorate, con in testa Soros e George Clooney. Il contributo di Roma sono i già menzionati “Italiani per il Darfur”.

La vera storia del Darfur


Con una validissimo ambasciatore italiano, innamorato del paese, a realizzare un reportage per il TG3, allora libero, andammo in Darfur e mi vennero spiegate le cose. Zona a gravissima desertificazione (dono del cambio climatico da noi inflitto a loro), tanto che la pista del nostro fuoristrada era seminata di carogne di ovini e bovini, subiva lo scontro per la pochissima acqua e le scarse terre fertili rimaste, cioè per la vita, tra tribù nomadi di allevatori e tribù stanziali di agricoltori. Il revanscismo colonialista, munito delle solite Ong, si gettò a pesce sull’occasione, inventandosi che il regime stava compiendo un genocidio, favorendo bande di briganti Janjawid (demoni a cavallo), che poi erano gli allevatori nomadi. E vai con vittime sudanesi raccolte nei campi e invitati poi a impinguire le colonne di rifugiati verso l’Europa, dove altre Ong si sarebbero occupate di loro.

Lo Stato più giovane del mondo muore subito. Nel sangue


Nel 2011, poi, sempre nel corso della collaudata strategia del divide et impera, il neocolonialismo riuscì a strappare a un Sudan indebolito da conflitti e dalle immancabili sanzioni, la sua parte meridionale, ricca di petrolio, di biodiversità, acqua, legname e altre ricchezze minerarie.  Non c’era solo il petrolio. C’era il Nilo con il quale, chiudendo il rubinetto, si potevano mettere in ginocchio, a valle, i riottosi Sudan ed Egitto. Un certo giro imperial-clericale festeggiò la nascita del più giovane Stato democratico del mondo e si tacque, da allora, sul bagno di sangue in cui questo artificio coloniale è sprofondato in seguito alla ferocissima lotta per i giacimenti tra due etnie opposte, i Nua e i Dinka, rappresentate rispettivamente da presidente e vicepresidente, con i loro immancabili sponsor. Una guerra civile con l’impiego di soldati bambini che nessuno denuncia. Un altro successo occidentale nell’Africa della “fuga da guerre, fame e persecuzioni”. Attendo ancora i comboniani “Nigrizia” e Zanotelli denunciare lo squartamento di un pacifico e acculturato paese africano, all’origine di una delle migrazioni più massicce.

Carcerieri per conto dell’Europa


Tutto questo non lo leggerete nei dispacci della fondatrice e presidente di “Italians for Darfour”, cronista invece della “primavera sudanese, repressa dal regime con tanto di lacrimogeni”,  né in altri reportages di quella nostra stampa libera e indipendente che, tanto per fare un esempio della sua linearità, coerenza e trasparenza, oggi si fa deprecatrice dei “tradimenti” dei 5 Stelle su Tap, Ilva, trivelle in mare, Terzo Valico, eccetera. Peraltro tutte questioni non definite e su cui sarà decisiva la scelta del ministro dell’Ambiente. Ma, stupefacentemente, tutte dispute in cui i deprecatori di oggi si trovavano ieri a deprecare chi ostacolava il progresso opponendosi a Tap, Ilva, Terzo Valico e altre loro remunerative devastazioni. Accanto a quei sindaci e governatori PD (con di mezzo un De Magistris che non capisce), oggi scopertisi umanitari benefattori, purchè di migranti. E al tempo stesso violatori di una legge votata dal parlamento e firmata dal venerato Capo dello Stato. Sono pubblici ufficiali e non possono farlo. Potrebbero farlo se si dimettessero. Ma perderebbero la poltrona. Del resto, conta il gesto, no?  Tocca farsi vedere antirazzisti.  E tocca contribuire a sfasciare quest’Italia ancora maledettamente unita e sovrana. Che giostra il mondo, ragazzi, tutta un “calcinculo”.

Appello ai buoni
Voglio fare un appello, vediamo che succede. Tra i migranti sudanesi si moltiplicano anche quelli del Niger. Tra sindaci, governatori e altre voces clamantes in moltitudine, ci siamo chiesti come potesse essere che sant’uomini come Zanotelli, Ciotti, Revelli, Noury, Bergoglio, Strada, non si fossero accorti che quel paese è stato rubato ai suoi abitanti. Eredi di antichissima civiltà, i nigerini si dissanguano nella resistenza a bande armate Nato, Usa, con la gigantesca base di droni, 500 italiani a fare da caporali di giornata, francesi in capo alla vecchia colonia, tedeschi, britannici, tutti a guardia di un colossale bidone zeppo di uranio, coltan , litio e altri beni utili alle bombe e all’elettronica delle democrazie occidentali. Ebbene, carissimi clericosinistri, non vogliamo allargare le nostre braccia, estendere le nostre grida, far tracimare le nostre lacrime anche sulle vittime e sui carnefici di questo episodietto della globalizzazione colonialista? Dai, su, facciamo in modo che possano restare a casa loro!

Ascolteranno l’appello i buoni? Accetto scommesse: il “SI” è dato a 97 a 1. Dovuto a una coda di paglia lunga da qui a Niamey.

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Hanno sepolto sotto anatemi i Cinque stelle per aver parlato di “terrorismo mediatico”. Per chiarivi le idee sui nostri media, andate su Facebook 
Adriano Colafrancesco
"Liberateci dalla stampa:
la tentazione del nuovo potere globale"
L'iniziativa al teatro Brancaccio di Roma: una mattinata di
incontri con Mario Calabresi, Ezio Mauro, Lucia Annunziata,
Massimo Giannini, Roberto Saviano e Vittorio Zucconi
Vale davvero la pena.

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/01/dal-niger-al-sudan-lafrica-nella-morsa.html

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