La “Casa” ovvero la Cosa dell’Altro mondo
Freedom house: questo è il nome, brillantissimo, di
una delle più cospicue Ong [le cosiddette organizzazioni non
governative!], segnalatasi per le sue ripetute operazioni a pro del grande
capitale transnazionale – e a propaganda di esso – e delle istituzioni
sovrastatuali che l’assecondano; essa dice di sé: “è una organizzazione non
profit e non di parte, una voce chiara per la democrazia e la libertà nel
mondo, che opera sull’intero pianeta per diffondere la libertà politica ed
economica”. Quanto al suo carattere “governativo”, che invoca “libertà” e “democrazia”
per l’universo mondo, non c’è ombra di dubbio, dalla forma di governo nazionale
a quella sovranazionale. Per quei pochi che ancòra non sono avvezzi alla lingua
inglese, è bene far osservare che “freedom house” sta a significare
semplicemente “casa della libertà”! Si soppesi, perciò, quanta sia la
fantasia con cui il prof. Buttiglione abbia suggerito al cav. Berlusconi il
nome per il suo “polo” – in perfetto allineamento Cia.
Che la “n” di codeste organizzazioni stia per “non
poco”, anziché per il preteso “non”, l’abbiamo già ripetutamente detto,
ancorché non sistematicamente [cfr. nn. 46,
47, 60, 72-75, 77, 80, 81, 83]. Merita adesso con maggiore precisione
riepilogare il tutto per fare il punto sulle loro caratteristiche “governative”;
queste sono tese sia a procurare vantaggi economici al grande capitale, quello
soprattutto che vola all’estero, sia a bieche operazioni di “copertura”, che in
italiano convien chiamare di “spionaggio”, di propaganda, ovvero di filtro per
attività illecite (finanziamenti neri, traffico di droga, fornitura di armi,
ecc). La subordinazione che asseconda la
falsa coscienza dell’“umanitario” apre una fetta di mercato, come si dirà più
oltre, attraverso la formazione di varie O(n)g, banche etiche, istituzioni
(come Medici senza frontiere),
fondazioni come quella “per una società aperta” di Soros, ecc.,
le quali agevolano la stratificazione di un mercato finanziario parallelo e
funzionale alle grandi linee creditizie.
Quello “umanitario” è un
mercato facile, redditizio e di sicura espansione. Nell’era del capitale
transnazionale, “aiuto” equivale a guadagno, e pertanto i gestori degli “aiuti”
debbono azionare microimprenditori, anche individuali, per rispondere agli
interessi della macroeconomia dominante. I movimenti di classe e il loro
sviluppo teorico non possono ignorare l’ampiezza e la portata mondiale di
questa messinscena e aggressione antiproletaria, che non è solo menzogna o
dispotismo ma soprattutto utile, profitto. Ma proprio per la complessità
di tali funzioni “governative”, conviene procedere con ordine, cominciando da
quelle economiche per finire con quelle maggiormente legate ai servizi segreti.
Una precisazione è opportuna prima di procedere. Va da sé –
come è normale – che si può mandar salva dall’impostazione stessa delle
critiche, che precede, e dal loro successivo sviluppo quella piccola minoranza
di Ong che certamente c’è e che prosegue con relativa indipendenza nella
sua lotta di classe antimperialistica. Non per nulla codeste organizzazioni
antagoniste non ricevono fondi da Bm, Fmi o istituzioni “governative”
usamericane ed europee, e si sostengono solo assai limitatamente con
l’autofinanziamento militante. Tuttavia non li ricevono neppure organizzazioni
“volontarie” minori che con la lotta di classe non hanno nulla a che fare,
anzi; esse pretendono di diffondere l’ideologia “buonista” e caritatevole, del
soccorso ai diseredati, agli umili e ai poveri, secondo cui non ci sono “né
buoni, né cattivi” [come sostengono, nettamente al contrario di noi, quelli di Emergency],
ideologia che fa il paio con la sparizione “neo-revisionistica” delle differenze
tra destra e sinistra.
Ma, appunto per questo – cioè la loro scarsissima forza,
ossia la loro disarmante debolezza – rispetto all’invadenza delle grandi O(n)g
[paradossalmente, si può dire che tra queste la meno compromessa potrebbe
essere proprio una delle più antiche organizzazioni, ricca di suo, Amnesty
international, nonostante le sue frequenti “amnesie” filoamericane di
contro alla sua ferrea memoria anticomunista] legate alle transnazionali e alle
organizzazioni sovrastatuali, l’infima minoranza di quelle piccole e autonome
può ben poco, oggi, sotto il predominio del modo capitalistico della produzione
sociale: questa è esattamente la stessa cosa che si può dire a proposito degli
“ectoplasmi” delle esistenti organizzazioni politiche comuniste sparse nel
mondo e nei singoli paesi.
Va anche premesso a scanso di equivoci – ma ciò dovrebbe
spiegare molte cose ai “comunisti” – che mai le O(n)g hanno preteso di
porsi in antitesi al modo di produzione capitalistico, e mai perciò hanno
rivendicato la proprietà delle condizioni oggettive della produzione. Ma non
sono neppure arrivate almeno ad “accettare” negativamente il sistema
capitalistico, a es. come i sindacati di classe i quali fanno della lotta economica
sulle condizioni antagonistiche del lavoro salariato il loro fulcro. Molti
nell’“asinistra” affrontano la questione solo nel suo aspetto esterno
incombente [Bm e Fmi] e non nei suoi potenziali aspetti “dal
basso”, accompagnando il pentimento degli ex marxisti e la loro conversione al
“nuovismo”. Cosicché America latina, Europa dell’Est, Africa, possano essere
portati dagli organismi sovrastatuali come “testimonianze” del trionfo del
“libero mercato” e della “crisi del marxismo”.
Si può anche rammentare quanto ebbe a scrivere Marx [per le Istruzioni
ai delegati Ail, nel 1864 – cfr. L’inchiesta operaia, la Città del Sole,
Napoli 1994-2000], a proposito delle piccole cooperative. “Ristretto tuttavia alle forme insignificanti in
cui i singoli schiavi salariati possono elaborarlo con i loro sforzi individuali,
il sistema cooperativo non trasformerà mai la società capitalistica.
Per modificare la produzione sociale in un unico sistema vasto e armonioso di
lavoro libero e cooperativo, si richiedono cambiamenti sociali generali
– cambiamenti delle condizioni generali della società che non saranno
mai realizzati se non con il trasferimento delle forze organizzate della
società, cioè il potere dello stato, dai capitalisti e dai proprietari fondiari
ai produttori stessi”.
La magnifica invenzione
La finzione della solidarietà fornita dalle O(n)g come
“neoliberalismo dal basso”, a sostegno del vero liberalismo che procede
sempre dall’alto del grande capitale, rappresenta l’ambiguità caratteristica di
queste organizzazioni non governative. [Un buon riferimento di base è
fornito dagli studi di James Petras, Progetti di solidarietà o
“neoliberalismo dal basso”?: le pesanti ambiguità dell’azione delle
organizzazioni non governative; e L’ambiguità del ruolo delle Ong in
America latina, parzialmente tradotti e pubblicati da Contropiano,
rispettivamente nel 1996 e nel 1999]. Riferisce Petras che i governanti
liberali, dagli anni 1980, cominciarono a finanziare e promuovere una strategia
“dal basso”, parallela alla convergenza sul privato a séguito della destatizzazione
diffusa, attraverso l’organizzazione delle O(n)g. Già questa origine la
dice lunga sul supponente carattere “non governativo” di siffatte
“organizzazioni”.
“L’antistatalismo è stato il libretto ideologico di transito
da una politica di classe a una politica di “sviluppo comunitario”, dal
marxismo alle Ong” – scrive Petras – in quanto si contrappone al potere
“statale” lo pseudopotere “locale” del cosiddetto “comunitarismo”. Anche la
terminologia usata è un chiaro sintomo di tutto ciò (a parte l’ampio uso di
parole come “nord e sud del modo”, “globalizzazione”, e via declassando il
vocabolario): prevalgono pseudoconcetti quali “esclusione”, “povertà”,
“discriminazione” (di etnìa, razza, religione, genere, ecc.). Nonostante la loro
parvenza “sociale”, le proteste movimentiste recenti si sono mostrate, pur
nella loro vivacità folcloristica, vieppiù staccate dalla lotta di classe,
favorendo in tal modo il liberismo del capitale imperialistico.
A dispetto di un precedente impegno “populista”, soprattutto
negli anni 1970, quasi nessuna O(n)g denunciava la responsabilità dei
governanti usamericani ed europei, proprio perché da essi ricevevano i finanziamenti;
ciò, nel decennio successivo (soprattutto grazie alla Bm), ha portato sia a un
aumento spaventoso del loro numero, sia a una sempre meglio mirata loro
finalizzazione. Tutta questa strategia liberista del “privato sociale”
costruita intorno alle O(n)g è stata fin dall’inizio sostanzialmente
finalizzata a prevenire l’antagonismo della classe lavoratrice. La
funzione delle O(n)g è, perciò, prevista come compensazione degli alti
costi che le popolazioni dei paesi dominati sono costrette a pagare attraverso
lo “scambio ineguale” imposto dalle politiche di “aggiustamento strutturale”
per pagare il servizio del debito estero, a sostegno degli interessi delle
transnazionali [nei programmi sono coinvolte molte di tali grandi imprese
private e banche varie, ecc.]. Ma ciò, dice la Bm, permetterà a quei paesi “di sfuggire alla trappola del debito”. Ma
chi ha messo codesta “trappola”?
Intanto alcuni dabbenuomini cianciano sulla “cancellazione
del debito” (quello “ufficiale” degli stati, lasciando intonso quello assai più
cospicuo delle istituzioni finanziarie private), e mettono sù concerti della serie
“Jovanotti & Bono with J.P.2’s Jubilee 2000”: chi da Seattle volesse
sbarcare a Genova si troverebbe guidato da uno sfrenato consesso di “monache”
(realmente!); ci sarà pure in mezzo qualche comunista, ma che ci sta a fare in
quel raduno? Sicché le piccole imprese private (non) governative hanno
provveduto a fornire aiuto alle popolazioni bisognose, per non farle cadere
sotto l’egemonia di una lotta sistematica contro il sistema,
sottraendole in toto all’antagonismo contro l’economia del capitale e
contro la sua politica.
Non per caso sono stati “cooptati”, o quanto meno
direttamente coinvolti, nell’attività “non” governativa diversi dirigenti di
movimenti sociali “popolari” o “sindacali”. “L’apparenza della solidarietà e
dell’azione sociale – scrive Petras – copre un conformismo conservatore con la
struttura di potere nazionale ed internazionale”, così come accadde per
l’azione dei “missionari” dal XVI secolo, o per i “poveri” inglesi dal XVII
secolo, o ancòra per gli interventi del cosiddetto “stato sociale” dal finire
del XIX secolo fino ai nostri giorni.
Via via che il tempo passava si vedeva con crescente
chiarezza come il “non” governativo si traducesse in un’attività contro la
spesa pubblica: “piccolo è bello, privato è meglio” – sembra essere il loro slogan.
Il ricordato antistatalismo fu perciò l’elemento di base che favorì la crescita
“privatistica” di tali organizzazioni, le quali solo apparentemente si
mostravano “di sinistra”. La Banca mondiale e diverse fondazioni imperialistiche
usavano le O(n)g – precisa Petras – per sottrarre allo stato nazionale
le funzioni di protezione e di prestazione di servizi sociali; ossia, perfino
l’assistenzialismo keynesiano era insidiato. Tra tali fondazioni maggiormente
in vista, oltre alla Rockefeller, una menzione speciale va alla cosiddetta “Fondazione
per la società aperta” di Soros – il quale, tra l’altro, inventava e pagava la radio belgradese B.92
fatta conoscere nel mondo (anche dell’asinistra) come “indipendente”, per
seguire una diversa tattica di dolce strangolamento finanziario e di
“informazione”, complementare a quella della lobby militare aggressiva
Usa-Nato: ecco la parvenza dell’“indipendenza” e delle “voci della libertà”,
nei residui brandelli dell’ex Jugoslavia.
Le O(n)g si sono presentate sùbito, infatti, nella
forma delle piccole imprese private. Conseguentemente, è l’attività privata
“volontaria” che sta alla base dei servizi da esse resi, la qual cosa, pure
questa, ha il duplice effetto di indebolire qualsiasi tipo di intervento
pubblico e di sostituire alla coscienza di classe l’attività del “volontariato”
come surrogato di impegno per la collettività. Il volontarismo solidaristico – profit o non profit? – è arma di
seduzione per il populismo: “lo sviluppo può avere successo soltanto se è
intrapreso dal popolo, dal governo e dalle istituzioni finanziarie
internazionali congiuntamente” [sic!], cosicché a tale popolo, nei suoi
“cittadini coscienti”, “sia dato “potere” e “proprietà” dei progetti locali”
[attraverso le cosiddette Cbo – ossia le O(n)g minori
vincolate alle “comunità di base locali”, che praticamente lavorano in subappalto
per quelle più grandi] affinché “si attivi
politicamente per far sì che i rispettivi governi influenzino le scelte di Bm
e Fmi”. Beata ingenuità!
Si è fatta così strada nel senso comune – con l’ideologia
della “sussidiarietà” – l’idea che il pubblico possa essere sia
“privato” che “statale”; idea enormemente favorita dal demenziale comportamento
di gran parte del sedicente “stato sociale” della borghesia, che è pur sempre
lo stato liberale del capitale.
Incontri ravvicinati
Le Organizzazioni non governative sono associazioni
volontarie e non profit, non appartenenti al settore pubblico,
tra privati che, attraverso un legame transnazionale fra enti di nazionalità
diversa, perseguono un fine di interesse generale (umanitario, religioso,
politico, scientifico, sociale) che trascende l’ambito di un solo stato, per
fungere da intermediazione con i governi: sulla base di questa definizione
ufficiale sopra indicata, si precisa che le O(n)g sono nate come
espressione della società civile, per “riempire uno spazio” lasciato vuoto
dagli stati. Le grandi organizzazioni ricevono fondi da governi, entità
sovranazionali [Onu, Bm, Fmi, ecc.], e si avvalgono della collaborazione,
attraverso sub-progetti, delle organizzazioni più piccole [Cbo – oltre
alle Cbo ci sono le Cso (organizzazioni per la società civile)], ciò
permette di avere un riferimento istituzionale – ovverosia, un controllo
– verso i “beneficiati” dei progetti.
Nella percezione italiana delle O(n)g – in Italia ne
sono registrate circa 150 – è presente l’elemento della “cooperazione” e della
“solidarietà”. Esse presentano un fondamento “etico” comune: a differenza di
“buona parte” [sic!] delle organizzazioni for profit e delle
altre Onp – cioè, a prescindere dal profitto dell’“altra parte” delle
imprese, per non parlare delle banche popolari “etiche” (vero ossimoro
economico) di province come Padova e Bologna, quest’ultima attivata presso
l’Arci [!]. Di una tale contraddizione già parlò abbondantemente Marx,
riferendo le considerazioni di Lutero che, a proposito delle “sanguisughe” –
come li chiama Hardcastle – che “furono
i nostri primi banchieri”, osservava come un qualunque “ladruncolo” che “senza
nessun pericolo, senza lavorare, siede vicino alla stufa e fa cuocere le
mele”, “potrebbe starsene a casa a
divorare in dieci anni il mondo intero”. Sempre Lutero lamentava che anziché
additato come “vizio, peccato, vergogna”, il prestito di denaro fosse
“nobilitato” ed esaltato come “pura virtù e onore, proprio come se rendesse
alla gente servizi caritatevoli e cristiani”.
Perciò, nulla di nuovo sotto il sole della “carità” e
“solidarietà” coatta (e il cosiddetto commercio “equo e solidale” senza
profitto ingiusto, à la Proudhon, rientra nella medesima incongruente
rubrica economica). La chiesa cattolica – scriveva Büsch – proibiva di
richiedere interessi sul denaro prestato, ma non di utilizzare a proprio utile
le ricchezze date in ipoteca per il mutuo ricevuto: la cosa non sembra molto
diversa dai cosiddetti “programmi di aggiustamento” strutturale [lèggi: libera
disponibilità delle risorse naturali e umane dei paesi debitori da parte delle
grandi imprese transnazionali] imposti dal Fmi o dalla Bm, e portati a effettuazione
tramite O(n)g e organizzazioni del genere. “La chiesa stessa o le
comunità che le appartenevano e pia corpora trassero grandi benefici da
questa interdizione. Senza l’interdizione dell’interesse la chiesa e i monasteri
non avrebbero mai potuto diventare così ricchi”. Ecco qui la grande
“novità”.
L’appello all’“eticità” è il riconoscimento del
funzionamento imperfetto degli attuali meccanismi economici e delle relazioni
internazionali. Conseguentemente si impone la volontà “sussidiaria” di lavorare
per il superamento delle differenze tra “nord e sud del mondo” attraverso la
ricerca di rapporti equi tra popoli, culture e sessi, la promozione di
uno sviluppo autogestibile dall’interno che permetta di giungere ad una autonomia
e indipendenza.
Tutta la costellazione non governativa, quindi, è un
sottoinsieme del cosiddetto “terzo settore” che, oltre alla raccolta di fondi e
al reclutamento di volontari, è vòlta alla sensibilizzazione dell’opinione
pubblica e alla “contrattazione” con le autorità governative a vari livelli.
Perfino la Bm (fin dal 1990) dice che le O(n)g sono “in gran parte [sic!]
indipendenti dai governi”, specificando che “anche i gruppi di cittadini che influenzano
[lobby] la politica e la consapevolezza sociale sono Ong”. Più
chiaro di così! [cfr. in rete Ngo café].
L’invasione degli ultracorpi
La crescita numerica delle O(n)g, e della loro
dimensione, è avvenuta esponenzialmente a partire dalla seconda metà degli anni
1970. Dal 1970 al 1985 gli “aiuti” distribuiti dalle O(n)g
internazionali sono cresciuti di dieci volte. Nel 1992 hanno gestito 7,6 mrd $.
Negli anni 1990, le O(n)g erano già migliaia, con riferimento a piccoli
gruppi “comunitari”, ma che dovevano rendere conto dei loro programmi solo ai loro
finanziatori; esse, allora, già ricevevano quasi 10 mmrd lire e continuavano
così a proliferare, sollecitando la richiesta di ulteriori fondi, in reciproca
competizione tra loro, nella misura in cui ciascuna sapesse prospettare lauti
guadagni per i “donatori” esteri. Attraverso l’attività professionale di managers,
più o meno corrotti o comunque gestiti nella lottizzazione dei posti, con
l’incremento del finanziamento di tali O(n)g si sono approfondite
contemporaneamente la povertà delle popolazioni dominate coinvolte e la
polarizzazione mondiale di classe.
Oggi è stimato che il 15% del totale degli aiuti
internazionali passi attraverso di loro. Le statistiche sul numero delle O(n)g
sono notoriamente inaffidabili, ma si stima che il numero totale di quelle
nazionali si avvicini alle 30.000 unità [le Cbo, sono centinaia di
migliaia, peraltro in crescita quali “terminali” di un processo di
decentramento congruo con la strategia centralistica delle grandi
transnazionali e delle grandi O(n)g]. In siffatta temperie merita
riguardo la posizione nei confronti delle O(n)g da parte della Bm. Dai documenti
ufficiali di quest’ultima [cfr. http://www.worldbank.org/infoshop] si
evince che la Bm riconosce il ruolo importante che rivestono le “organizzazioni
non governative” nell’affrontare lo sviluppo e le questioni poste dalla società
civile, formulando insieme a esse risoluzioni congiunte su vari temi.
La Bm ha lavorato con le O(n)g da molti anni,
incrementando la propria interazione e collaborazione su scala mondiale negli
ultimi anni. Appunto dagli anni 1970, la collaborazione con le O(n)g è
diventata una delle principali attività finanziate dalla Bm. Nel 1973 solo il
6% dei progetti finanziati dalla Bm erano gestiti tramite O(n)g, nel
1993 erano un terzo, e nel 1994 la metà [ma occorre considerare anche la
“qualità” della collaborazione Bm-O(n)g]. Perciò, al fine di “dialogare” con la “dura contestazione”
delle O(n)g, la Bm ha pensato bene di istituire una propria
divisione intitolata allo “sviluppo ambientalmente sostenibile”, affidandola
peraltro a un esperto doc proveniente da quelle aree dominate. In
occasione della conferenza di Madrid (ottobre 1994), le favolose O(n)g
organizzarono, manco a dirlo, un “forum alternativo”. In un afflato di amorevoli
sensi, entrambe le “parti” [ma sono realmente “due”?] hanno concordemente
dichiarato: “le istituzioni finanziarie internazionali e le organizzazioni
sociali rappresentate al forum alternativo hanno un obiettivo comune [sic!]:
raggiungere un miglioramento permanente e sostenibile della condizione umana,
specialmente quella dei poveri di tutto il mondo”. Non servono commenti.
Da parte sua, il
dipartimento governativo Usa prevede una serie lunghissima di “punti focali”
per le O(n)g: vecchiaia, disabili, disarmo, famiglia, diritti umani e
umanitari, sviluppo sostenibile, popolazioni indigene, palestinesi [sic!],
giovani, e inoltre alimentazione, habitat, energia atomica, lavoro, salute,
cultura, popolazione, rifugiati politici, infanzia, donne, e chi più ne ha più
ne metta.
Più di 1500 O(n)g, con programmi connessi agli
obiettivi Onu, sono associate al Dipartimento di pubblica informazione [Dpi]
dell’Onu stessa, con il quale cooperano regolarmente. In tale contesto le O(n)g
sono considerate parte integrante delle attività di informazione
dell’Onu (e in particolare del Dpi): una risoluzione dell’assemblea generale
stabilisce di “assistere attivamente e incoraggiare i servizi informativi
nazionali, le istituzioni scolastiche e tutte le altre organizzazioni
governative e non governative di ogni genere interessate a diffondere
informazioni relative all’Onu”.
Nel 1968, con ulteriori precisazioni formulate nel 1996, fu
specificato che le O(n)g “avrebbero sostenuto il lavoro dell’Onu”,
venendo in questa integrate – anche se non sono considerate come sua componente
“ufficiale” – nel ruolo di “consultazione” entro il cosiddetto Ecosoc.
Tale statuto è assicurato alle più grandi O(n)g internazionali,
allineate con l’Ecosoc. L’accordo Dpi-O(n)g è gestito da una
commissione esecutiva che indirizza le informazioni e rappresenta gli interessi
comuni [sic!] delle due parti. A tal fine, il Dpi dell’Onu
organizza sessioni annuali per le principali O(n)g, con la
partecipazione di alti funzionari della stessa Onu, accademici, opinionisti,
ecc., oltre a svariate altre attività altrettanto “ufficiali” [cfr. l’indirizzo
di rete <http://www.un.org>, dove il riferimento Dpi/Ngo
sta sotto “informazioni generali”].
“Le organizzazioni della società civile hanno già dato un
importante contributo all’articolazione e alla difesa delle regole
"globali". È chiaro che l’Onu avrà molto da guadagnare da
un’ulteriore apertura a queste forze vitali” – dichiara l’Unctad [la
commissione dell’Onu per lo sviluppo e il commercio] nel suo rapporto del
millennio 2000, aggiungendo che “le Ong hanno giocato un ruolo molto
attivo, importante e costruttivo, nel sostegno degli obiettivi e dei princìpi
dell’Unctad, contribuendo al lavoro dell’istituzione”. La X conferenza di
Bangkok ha riaffermato questi legàmi nel quadro dello sviluppo della “globalizzazione”.
La stessa Unctad sceglie O(n)g considerate “qualificate” per le
politiche di sviluppo economico: globalizzazione, investimenti e tecnologia,
infrastrutture, commercio, servizi, con particolare attenzione ai paesi meno
sviluppati, su temi che vanno dalla fame nel mondo, al petrolio, alle crisi
finanziarie borsistiche [obiettivi
previsti per il convegno di Bruxelles, 14-20 maggio 2001 – cfr. <
http://www.unctad.org/iia/civil/index.htm>].
Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan in persona, ha
osservato che “si deve raggiungere una nuova sintesi tra l’iniziativa privata e
il bene pubblico”. Si tratta proprio di quella stessa Organizzazione delle nazioni
unite che, per oltre mezzo secolo, ha disatteso ogni applicazione delle
risoluzioni che imponevano allo stato di Israele di restare nei propri confini
e di non esercitare la propria violenza sul popolo palestinese: tollerando anzi
che gli israeliani da Golda Meir a Begin, da Shamir a Sharon aggrediscano i
palestinesi imponendo al contempo che siano questi ultimi a ... sospendere ogni
violenza. E le nostre “anime belle” dell’asinistra credono ancòra che l’Onu
sia riformabile democraticamente! Questo è l’habitat in cui vegetano le
organizzazioni non poco governative.
Ma anche l’Ue non è stata a guardare. Abbiamo già ricordato
[sempre sul no.73] il ruolo del cosiddetto “ufficio europeo per gli aiuti umanitari d’urgenza” detto Echo [già diretto dalla fantastica
Emma Bonino], che è andato a far danni in Bosnia, ex Jugoslavia in genere,
regione dei Grandi laghi in Africa, Ruanda in particolare, Afghanistan e
Colombia; ha distribuito qualcosa come 7 mmrd lire con contratti che erano completamente
fittizi “tramite organizzazioni partner”. Echo aveva completa libertà
nella loro scelta, per collaborare con “organizzazioni internazionali, governative
e non governative o altri organismi operanti nel campo degli aiuti
umanitari”; tali organizzazioni erano controllate, attraverso accordi
fiduciari, da una O(n)g con sede in Lussemburgo che aveva relazioni
consolidate con numerosi servizi della Commissione europea stessa.
Giochi di guerra
Quanto detto sulla privatizzazione
della “sinistra”, negli ultimi venti anni circa, guidata dalle fondazioni Usa
e dalle istituzioni sovrastatuali, se da un lato ha fatto sì che i movimenti di
massa con obiettivi politici generali abbiano abbandonato il campo, dall’altro
hanno proseguito sia i movimenti monotematici (della serie “cuccioli di foca”,
peraltro simpaticissimi), sia quelli confusamente protestatari e interclassisti
(della serie “Seattle”). Attraverso questi nuovi movimenti “privatizzati” si
sono sviluppate quelle peculiari O(n)g di “copertura” propagandistica,
spionistica e militare le quali, per reperire i finanziamenti, hanno adattato
la loro falsa “causa” all’ideologia dominante.
La “solidarietà sociale”
è la formula ormai largamente introiettata, che legittima per incarico
istituzionale la gestione da parte delle O(n)g delle truppe di “volontariato”, votate
all’“assistenza umanitaria”. L’intercapedine alla comprensione degli obiettivi
reali della guerra è stata realizzata dall’ormai demistificata falsificazione
della “guerra umanitaria”, alla cui difesa, dunque, si ricollega la storia
recente con il ruolo delle strutture “umanitarie”, religiose e laiche, le O(n)g,
l’impiego “missionario” dell’esercito ecc. L’alternanza, pertanto, di
eliminazione delle resistenze per via militare e l’opera “umanitaria” di O(n)g
e strutture filantropiche varie in grado di offrire un’immagine di manovalanza
dedita, generosa e competente, spiana ovunque la strada all’imprenditoria
internazionale e particolarmente nei difficili paesi ex comunisti.
Come le “missioni
civilizzatrici” che portavano il cristianesimo ai pagani offrirono in passato
il pretesto per giustificare la conquista imperialistica di Asia e Africa,
oggi la protezione dei “diritti umani” tramite le O(n)g può
costituire la copertura per l’intervento militare di tipo imperialistico in
tutto il mondo. In questo campo dei “diritti umani” le ambiguità, dianzi
denunciate, dell’asinistra – che reputa avventatamente le O(n)g come la
sola alternativa possibile, di fronte al declino dei movimenti di massa –
portano diritto all’utilizzazione di simili organizzazioni per scopi del tutto
contrari a quelli formalmente dichiarati.
In tale contesto, fin dal
1984 è in funzione negli Usa la Ned [National endowment for democracy,
fondazione nazionale per la democrazia – simili fondazioni sono “organizzazioni
non governative senza fini di lucro”], creata e finanziata dal governo,
ma diretta e amministrata autonomamente da uomini d’affari e sindacalisti,
professori e politici. Sorta sotto la dirigenza reaganiana, tale struttura ha
fatto da paravento alle operazioni occulte della Cia attraverso altre quattro
istituzioni parallele. In gergo, “democrazia” significa regime politico
favorevole all’accettazione del dominio Usa, mentre “non democratici”
[termine opposto a unamericans] sono tutti coloro che avversano i relativi
interessi della classe dominante, posta al riparo dalla cortina
politico-nazionalista di facciata.
La funzione
internazionale di questa fondazione, come di altre simili, è di fare da filtro
a finanziamenti politici in grado di garantire una copertura per il
conseguimento di fini specifici. Fondi clandestini o neri del tipo di quelli
oggi erogati dalla Ned erano impiegati dagli anni 1940, tramite la Cia,
fino a una larvata denuncia, alla metà degli anni ’60, della corruzione o della
deviazione politica dei movimenti d’emancipazione sociale, vòlta alla
destabilizzazione politica contro la sinistra internazionale.
Tale strategia è
proseguita nell’ex Jugoslavia fin dalla guerra di Bosnia (1994), dove sono
emersi collegamenti tra alcune O(n)g e relativi finanziamenti
governativi con la finalità, dietro copertura “umanitaria”, di trasferimento di
armi per preparativi militari [cfr. Michel Collon, Poker menteur, Epo,
Bruxelles 1998]; la cosa riguardava anche voli di ricognizione di aerei Usa in
preparazione dei bombardamenti avvenuti qualche mese più tardi. Inoltre,
utilizzando gli stessi canali, è stata attuata una strategia congiunta di
militari e imprenditori per la realizzazione di contratti competitivi, di
diverse provenienze di capitali occidentali, in vari settori produttivi.
Già dal 1992, anno di
fondazione di Echo [la ricordata organizzazione “umanitaria” della
comunità europea], la struttura dei “medici senza frontiere” in Georgia
(Caucaso) informava sulla minaccia che gravava sui mercati potenziali
dell’occidente nei paesi dell’est. Grazie alla mediazione “umanitaria”,
perciò, lì e altrove si sarebbe creata una domanda di prodotti occidentali, rendendo
da questo momento in poi la regione interessante per investimenti sicuri [tra
le ultime bravate di Kouchner, ex “medico senza frontiera” assunto direttamente
dall’Onu, è il favoreggiamento della francese Alcatel per la telefonia
kosovara], e per losche coperture finalizzate a spionaggio e fornitura d’armi.
Quanto scritto sopra,
circa la stretta connessione (di dipendenza) delle O(n)g da Bm, Fmi e
Onu, si ripresenta qui, perciò, per gli aspetti militari rispetto alla Nato. Su
una scala così allargata, prima la Bosnia e poi il Kosovo hanno fornito un
vasto terreno di sperimentazione per la “cooperazione” tra le O(n)g e
la Nato. Le O(n)g e la Nato vanno mano nella mano – scrive Diane
Johnstone. Nella ex Jugoslavia, e specialmente in Bosnia Erzegovina, le O(n)g
hanno finalmente trovato una giustificazione della loro collocazione accanto alla
Nato. Hanno ottenuto finanziamenti e prestigio dalla situazione. Gli impiegati
locali di tali organizzazioni occidentali hanno ottenuto vantaggi politici e
finanziari rispetto al resto della popolazione locale: la “democrazia” non
dipende dalle scelte popolari, ma da ciò che trova l’approvazione dei
“donatori” esterni. Ciò nutre l’arroganza dei cosiddetti benefattori e il
cinismo della popolazione locale, che deve scegliere tra opporsi a quelli
venuti da fuori o cercare un qualche adattamento.
Tragicamente ridicolo,
pertanto, è definire le O(n)g “a-politiche” e “neutrali”. Questo “mito
della neutralità”, in effetti, nasconde gli interessi di una “nuova classe
media professionale transnazionale” (l’ideologia dominante direbbe “globalizzata”),
pronta a esercitare il proprio “mestiere” nel “privato sociale” e nel “mercato
del benessere” per l’“industria degli aiuti”. Le ambizioni istituzionali delle O(n)g
legate ai governi più potenti, fomentano la loro concorrenza reciproca, per
ottenere cospicui finanziamenti, fino a gonfiare le denunce degli abusi sui
quali ciascuna di esse è “specializzata” [così, a es., O(n)g croate
ufficialmente operanti in campo psico-sociale hanno ottenuto fondi in misura
spropositata per la loro dichiarata attività].
Ricordammo [cfr.
no.83] il ruolo peculiare ricoperto nell’ex Jugoslavia dall’Osservatorio
Helsinki sui diritti umani, che fin dall’autunno 1997 prospettò
minacciosamente un intervento della “comunità internazionale” – sub specie
Osce – per riportare l’ordine nel paese qualora le elezioni fossero state
turbate, a loro dire, da azioni “contro la libertà” e da brogli. A fini
propagandistici preparatòri, tramite una O(n)g intitolata all’abanese
“Madre Teresa”, fu creato un sistema sanitario parallelo kosovaro, sotto la
protezione dell’Oms e dell’Unicef; successivamente si è appurato che tale
organizzazione dalla Svizzera, attraverso l’Italia, per opera di mafiosi
albanesi riforniva regolarmente di armi l’Uck.
Oltre a Médicins sans frontières (per tanta bontà premiati
col Nobel), o Croce rossa o Missione Arcobaleno o Cooperazione
e sviluppo (attraverso cui si usano le ambulanze per introdurre armi) o Caritas,
e via soccorrendo, una menzione particolare merita Care – una O(n)g
canadese al confine Usa, con una forte base in Australia – la quale, come
abbiamo avuto modo di ricordare [cfr. no.77], mandò tre “verificatori”
in missione (ossia, per spionaggio) al confine tra Croazia e Serbia. I responsabili
della spedizione [cfr. humanitarian spies, in rete <http:// www.emperors-clothes.com>]
avevano già operato – col nome Care, ma per conto Cia – chi in El Salvador e in
Honduras in funzione contras antisandinista (per destabilizzare il confinante
Nicaragua) [La strategia relativa all’organizzazione di “squadre della morte” è
stata riportata pari pari dai paesi latinamericani nei Balcani], chi in Irak,
Yemen, Ruanda, Zaire e Kenya
Se Freedhom house lo ha scelto Berlusconi, I care
lo ha preferito Veltroni!
Il responsabile del già citato Ned – finanziato dal
governo Usa per anni, in funzione degli interventi in Jugoslavia, con svariati
miliardi, in un modo che è stato definito il migliore quanto al rapporto costo-prestazione
– ha apprezzato l’opera delle O(n)g riunite a Belgrado nel 1998 per
l’appoggio dato a organizzazioni e partiti di opposizione al “regime” di
Milosevic – appoggio concretizzatosi in “una valigia piena di milioni di
dollari”, come ha scritto l’insospettabile stampa Usa – consegnata a Vojislav
Kostunica per il tramite di indefinibili O(n)g e della radio
“libera-di-Soros” B2-92. Abbiamo altresì
ricordato l’impiego di truppe militari del progetto Alba per appoggiare
l’opera “umanitaria” dei “volontari” ongisti in Albania; e in genere la
simbiosi bellica umanitaria volontaria [Nato + Fmi + Ong] che ha caratterizzato
sempre più gli eventi aggressivi militari politici sociali degli anni 1990.
Nel Kosovo, i miliardi erogati a favore delle associazioni
“umanitarie” italiane dal governo (in primo luogo all’ufficiale
“missione Arcobaleno” che ha gestito l’intero affare) arrivano a tutte le
organizzazioni che si fregiano dell’attributo di non governativo, a
cominciare dalle solite organizzazioni clericali “pacifiste” quali Caritas,
per finire al consorzio laico Cocis.
Dai Balcani (obiettivo primo: Kosovo) al sud America (Colombia in
particolare): in Colombia, infatti,
l’enorme proliferazione di migliaia di O(n)g ha il duplice obiettivo di
vanificare la “nuova” militanza nelle piccole Ong meno pericolose da parte di ex “sinistri” e di costruire
un’altra rete di O(n)g filoamericane per la gestione “formale” dei fondi
dell’“assistenza” mondiale, al fine di preparare il terreno all’azione militare
prevista dal piano Colombia e ridurre a “spettacolo” e folclore ogni
potenziale antagonismo (secondo la moda “della serie Seattle”, con forum
ed “eventi” vari).
In generale, i
“suggerimenti” di destinazione delle risorse a sanità (come, a es., per la
prevenzione dell’Aids), istruzione e altre spese di pubblica utilità, diventano
pertanto preziose indicazioni per investitori stranieri attraverso l’attività
pionieristica svolta da O(n)g e strutture “umanitarie” varie, dietro la
cui facciata, come accennato, si veicolano per lo più informazioni, spionaggio,
traffici di droga, armi e schiavi, finanziamenti, ecc. Naturalmente le O(n)g
còlte in fallo si dichiarano “all’oscuro ed estranee ai fatti loro addebitati”.
https://rivistacontraddizione.wordpress.com/2017/08/07/organizzazioni-non-poco-governative/
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