Conoscevo la storia dell'Iran contemporaneo, almeno dal colpo di stato contro Mossadeq fino a oggi, e, soprattutto, avevo seguito con passione la vicenda della rivoluzione popolare contro lo scià Reza Pahlevi. L'invito rivoltomi dall'Università di Tehran, per un incontro tra addetti ai lavori sul tema del DECLINO DELL'EGEMONIA USA E LE VOCI DI RESISTENZA, non mi ha trovato impreparato. I miei interlocutori conoscevano i miei lavori, libri e articoli, e, in particolare, il mio impegno accanto alla resistenza palestinese a cui l'Iran postrivoluzionario ha sempre dato il proprio sostegno.
A causa di un ritardo dell'aereo partito da Milano Malpensa, ho perso a Doha, in Qatar, la coincidenza per Tehran. Trascorro la notte in un lussuoso albergo e, alle 5 del mattino, ritorno in aeroporto per raggiungere Tehran con un altro volo. Durante il viaggio rivedo la mia relazione di circa 20 minuti sul tema che mi era stato proposto.
All'aeroporto Komeini mi aspetta una persona che, per riservatezza, chiamo Hossein. Molto gentile, mi prende la valigia, mi conduce in hotel e sarà il mio accompagnatore fisso per 5 giorni. Mi promette che, in serata, mi porterà a visitare la MILAD TOWER che domina su tutta la città.
Sapevo alcune notizie su questa torre, alta 435 metri, grazie al mio amico Fabrizio Cassinelli, giornalista dell'ANSA, autore di un pregevole libro che ho recensito nel mio blog: L'iran svelato. Fabrizio racconta la storia della fornitura degli ascensori che fu affidata a una ditta italiana per il valore di 9 milioni di euro. Purtroppo, a causa delle sanzioni imposte all'Iran dagli Stati Uniti, col consenso gregario degli stati europei, l'Italia perse questa fornitura importante. Subentrò una ditta tedesca la quale, richiamata all'obbedienza atlantica dalla signora Merkel, dovette, pur essa, soccombere. Conclusione: una ditta giapponese si aggiudicò la fornitura.
Hossein è orgoglioso della Milad Tower. "L'abbiamo costruita noi iraniani - mi dice - . Tra diversi progetti che sono stati presentati, il migliore era il nostro."
(I vari progetti di torre)
Ha ragione ad essere orgoglioso, in effetti, il progetto realizzato è il migliore. La torre accoglie diverse sale espositive con opere d'arte e installazioni con manichini di silicone creati con notevole verosimiglianza che riproducono personaggi emeriti della storia persiana: poeti, scienziati, scrittori, atleti, uomini politici e personaggi del clero sciita.
Tehran è una città abitata da circa 8.600.000 persone. Pulita e ben ordinata. Niente scritte sui muri, niente spazzatura. La manutenzione dei viali, dei parchi e dei giardini è costante. Le grandi arterie stradali l'attraversano facilitando il traffico che, verso le ore 17, diventa piuttosto intenso. Osservo che un grande boulevard è dedicato a Nelson Mandela e all'Africa. Hossen mi informa che c'è una grande strada dedicata a Bobby Sands, il militante nordirlandese membro della Provisional Irish Republican Army, morto il 5 maggio 1981 dopo uno sciopero della fame condotto ad oltranza per protesta contro il regime carcerario cui erano sottoposti i detenuti repubblicani. Ne parla con orgoglio Hossein, come per dirmi che l'Iran è vicino ai combattenti dell'indipendenza.
Nella città, spesso in prossimità degli incroci stradali, vi sono delle nicchie col ritratto di ufficiali e soldati semplici morti da martiri durante la guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein, combattuta dal settembre 1980 all'agosto 1988.
Da quasi 40 anni gli Stati Uniti, e i loro più fedeli alleati, tentano di mettere l'Iran in ginocchio con le sanzioni ma ottenendo deboli risultati. I negozi della città sono pieni di merci, la motorizzazione estesa, rarissimi i mendicanti. L'hotel che mi ospita è lussuoso ed efficiente. Nei ristoranti, spesso affollati, non manca nulla. La Russia, la Cina, l'India, la Corea del Sud e altri paesi si sono sostituiti all'occidente vanificando in buona parte gli effetti delle sanzioni. In questi giorni, il presidente Trump suona le trombe del ripristino duro delle sanzioni che Obama aveva attenuato. Avverto una certa preoccupazione alla quale gli iraniani reagiscono con l'orgoglio e manifestazioni di resistenza. In ogni caso l'ONU ha redarguito le sanzioni in generale ma, soprattutto quelle che riguardano i pezzi di ricambio degli aerei e del macchinario sanitario. L'ONU mette in guardia dal rischio di mettere a repentaglio la sicurezza dell'aviazione civile e di colpire le strutture sanitarie pubbliche che usano macchine sofisticate nelle loro attività terapeutiche. Ma il presidente Trump se ne infischia e prosegue nella sua attività di demolitore di ogni forma di dialogo.
(L'ingresso dell'abitazione di Komeini)
Al mattino visita al quartiere Jamaran, famoso perché qui vi abitò l'imam Komeini. Hossein, che è molto religioso e devoto dell'imam, mi conduce dentro la casa del simbolo della rivoluzione iraniana. Komeini viveva in poco spazio, semplicemente, mangiava pochissimo e in questa modesta casa ricevette il presidenye sovietico Michail Gorbačëv. Al piano inferiore c'è un piccolo museo con molti ritratti e cimeli dell'imam. Mi colpisce la foto di Komeini assiene a mons. Hilarion Capucci, amico mio e indimenticabile combattente della causa palestinese.
(Komeini e mons. Capucci)
Subito dopo, Hossein mi porta a visitare L'EBRAT MUSEUM, un edificio costruito come prigione, progettato da ingegneri e disegnatori tedeschi nel 1932 per ordine di di Reza Shah. L'edificio fu terminato nel 1937 con una struttura per impedire qualsiasi forma di fuga. Le pareti sono insonorizzate per annullare all'esterno le urla dei prigionieri torturati. Hossen mi presenta al direttore del Museo che mi accompagna nella visita mostrandomi tutte le celle, i cimeli dei prigionieri, la squallida sala delle docce, le stanze della tortura con manichini che mostrano le varie tecniche di supplizio a cui i prigionieri furono sottoposti. In alcune salette si proiettano dei cortometraggi con interviste alle vittime sopravvissute alla detenzione e alle torture che raccontano le violenze subite. Anche i rappresentanti del clero sciita entrarono e sostarono in questa prigione: gli ayatollah Ali Khamenei, Rafsanjani, Ali Rajaee, Beheshti, Motahari e Taleghani.
Gli aguzzini dello scià non risparmiarono nemmeno le donne. Lungo i corridoi osservo le centinaia di fotografie delle detenute, alcune coi segni in volto delle percosse. Questo era il regno della spietata polizia segreta, la famigerata SAVAK addestrata dal MOSSAD, l'altrettanto famigerato servizio segreto israeliano. Uno dei capi della SAVAK, Parviz Sabeti, fuggì in Israele con la sua famiglia all'inizio della rivoluzione e poi si trasferì negli Stati Uniti. E' ancora vivo, si chiama Peter Sabeti e fa il costruttore edile a Orlando in Florida. Diversa fu la sorte del Direttore della SAVAK, il generale Nematollah Nassiri, che fu arrestato e giustiziato con un processo sommario assieme a 438 agenti.
Domenica 4 novembre
Al mattino è prevista una grande manifestazione per ricordare il 39esimo anniversario dell'assedio dell'ambasciata americana a Tehran e l'ostaggio dei diplomatici. Decine di pullman hanno portato i manifestanti nelle piazze. Sorprendente è il muro perimetrale della ex ambasciata: uno spazio immenso riservato a Sua Maestà gli Stati Uniti d'America che con lo scià Reza Pahlavi oggettivamente controllavano l'Iran permettendo alle corporations americane e inglesi enormi profitti con l'estrazione del petrolio che Mossadeq aveva nazionalizzato, sottraendolo alla Anglo-Iranian Oil Company, e destinando i profitti al popolo iraniano. Un caso da manuale di imperialisno fase suprema del capitalismo, per dirlo con Lenin.
(Mossadeq)
Appena nominato Primo Ministro, Mossadeq mantenne le promesse, sciolse l'Anglo-Iranian Oil Company e costituì la National Iranian Oil Company. Per ritorsione la Gran Bretagna congelò i capitali iraniani che erano in gran parte nelle sue banche, rafforzò la presenza militare nel Golfo Persico, attuò un blocco navale che impediva l'esportazione di petrolio e dispose un embargo commerciale. La questione divenne competenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Mossadeq si recò a New York per difendere il suo Paese e ottenne una vittoria diplomatica sull'Inghilterra. Proseguì il suo viaggio in America con una visita a Washington dove incontrò il Presidente Truman. Per la sua vittoria all'ONU fu proclamato "Uomo dell'anno 1951" dalla rivista "Time".
A causa della crisi economica e delle resistenze alle sue riforme per modernizzare il Paese, Mossadeq fu abbandonato da molti suoi alleati, e, in particolare, dal clero sciita guidato dall'Ayatollah Kashani. Grandi latifondisti e religiosi, che gestivano immense proprietà, si allearono contro Mossadeq che, nell'agosto del 1953, fu destituito con un colpo di stato militare favorito da un'operazione dei servizi segreti americani e britannici, denominata “Operazione Aiace”. Il ruolo degli Stati Uniti nella crisi è considerato tra le cause della radicalizzazione della rivoluzione islamica, che raggiunse l’apice nella crisi degli ostaggi dell'Ambasciata americana.
Le strade e le piazze attorno alla ex ambasciata sono piene di gente con cartelli su cui si legge "DOWN WITH U.S.A. - DOWN WITH ISRAEL, VICTORY TO ISLAM", ABBASSO GLI STATI UNITI, ABBASSO ISRAELE, VITTORIA ALL'ISLAM.Vedo tantissime donne e ragazze che indossano il chador il quale, abolito dallo scià, era diventato per contrasto uno dei simboli della rivoluzione su sollecitazione del clero sciita che lo volle reintrodurre.
Sul chador occorre fare chiarezza. E' stato utilizzato sulla stampa occidentale, anche con alcune ragionevoli motivazioni, per attaccare l'Iran e gli aspetti più retrivi della religione islamica verso le donne. Questa usanza di nascondere le donne, in Medioriente, è molto antica e ne parlò persino Plutarco nella sua opera Vite Parallele. Oggi solo le donne anziane, sia quelle delle zone urbane sia quelle delle zone agricole, e quelle che praticano la religione in modo tradizionale, indossano il chador. La grande maggioranza, invece, preferisce il ruwsari, il foulard variamente colorato e disegnato.
Osservo che le donne sono presenti in modo notevole nelle attività produttive e nei servizi pubblici. Le giovani generazioni manifestano un alto grado di istruzione, hanno consuetudine con la lingua inglese e conoscono il resto del mondo tramite la televisione.
Mentre mi portava in hotel, Hossein mi ha chiesto di parlargli di Roma, poi, cambiando discorso, mi ha confessato che gli piace il calcio e lo pratica. "Quand'ero giovane - mi dice - mi piaceva Paolo Maldini."
(L'ingresso della ex ambasciata americana a Tehran)
Le strade e le piazze attorno alla ex ambasciata sono piene di gente con cartelli su cui si legge "DOWN WITH U.S.A. - DOWN WITH ISRAEL, VICTORY TO ISLAM", ABBASSO GLI STATI UNITI, ABBASSO ISRAELE, VITTORIA ALL'ISLAM.Vedo tantissime donne e ragazze che indossano il chador il quale, abolito dallo scià, era diventato per contrasto uno dei simboli della rivoluzione su sollecitazione del clero sciita che lo volle reintrodurre.
Sul chador occorre fare chiarezza. E' stato utilizzato sulla stampa occidentale, anche con alcune ragionevoli motivazioni, per attaccare l'Iran e gli aspetti più retrivi della religione islamica verso le donne. Questa usanza di nascondere le donne, in Medioriente, è molto antica e ne parlò persino Plutarco nella sua opera Vite Parallele. Oggi solo le donne anziane, sia quelle delle zone urbane sia quelle delle zone agricole, e quelle che praticano la religione in modo tradizionale, indossano il chador. La grande maggioranza, invece, preferisce il ruwsari, il foulard variamente colorato e disegnato.
(Donne col chador e col foulard)
Osservo che le donne sono presenti in modo notevole nelle attività produttive e nei servizi pubblici. Le giovani generazioni manifestano un alto grado di istruzione, hanno consuetudine con la lingua inglese e conoscono il resto del mondo tramite la televisione.
Mentre mi portava in hotel, Hossein mi ha chiesto di parlargli di Roma, poi, cambiando discorso, mi ha confessato che gli piace il calcio e lo pratica. "Quand'ero giovane - mi dice - mi piaceva Paolo Maldini."
(Il generale Mohammad Ali Jafari)
Sul palco degli oratori si alternano vari personaggi. Il Gen. Mohammad Ali Jafari, il comandante in capo della Guardia rivoluzionaria paramilitare iraniana, ha fatto un discorso in cui ha promesso che l'Iran "può superare questa guerra economica e il fallimento del progetto di sanzioni è imminente".
"Mr. Trump! - ha gridato - Non minacciare mai l'Iran perché i gemiti delle forze americane spaventate di Tabas si possono ancora sentire", ha detto Jafari, riferendosi alla missione americana fallita per salvare gli ostaggi conosciuta come Operazione Artiglio dell'Aquila (Operation Eagle Claw).
Riscuote un certo successo un grande cartello che mostra il generale Qassem Soleimani mentre tiene al guinzaglio Trump e Netanyhau, i nemici mortali dell'Iran. "Generale, - recita il cartello - puoi contare su noi studenti." Soleimani è un mito, è molto popolare, è la mente della difesa nazionale, l'uomo che dirige le operazioni in Siria. Serio, intelligente, taciturno, preparatissimo, è nel mirino dei servizi segreti avversari.
Mentre ci sono le elezioni di medio-termine, che potrebbero cambiare i rapporti di forza nel Congresso americano, Trump fa l'energumeno dichiarando: "Le sanzioni stanno arrivando", in Iran si risponde con l'immagine di Qassem Soleimani che replica: "Mi batterò contro di te".
Al telefono un amico mi chiede come va l'economia. Non lo so. Non ho conoscenze sufficienti. So soltanto che ho cambiato 100 euro per 16.000.000 di rial. Sì, avete letto bene: 16 milioni. Il panorama politico e la dislocazione delle classi? Non mi sono ancora occupato di questi argomenti e sbaglierei a formulare giudizi. Chi conosce l'Iran molto meglio di me mi dice che le riforme sono necessarie e vitali, che il processo di espansione della democrazia e della partecipazione non è rinviabile, che vi è una opposizione annidata tra le classi agiate e occidentalizzate che hanno come modello il liberismo occidentale e gli USA. Soprattutto non è ammissibile una repubblica confessionale, teocratica, come Israele che si è autoproclamato lo stato di soli ebrei.
Hossein si avvicina a una giornalista della TV nazionale che sta raccogliendo una serie di interviste. Non so cosa le abbia detto e come mi abbia presentato. La giovane giornalista si avvicina e mi chiede una intervista mentre il cameraman mi inquadra. La conversazione è tutta in inglese. Le domande riguardano la manifestazione, le sanzioni, il ruolo di Obama e quello di Trump, la presenza iraniana e russa in Siria come muro contro la strategia di dominio totale di Israele e dell'imperialismo americano in Medioriente. Mi pernetto di concludere l'intervista esortando gli iraniani a resistere e dichiarandomi favorevole alla loro bomba atomica utile per annullare la minaccia di Israele, già potenza nucleare.
Alle ore 19, ora locale, il telegiornale ha mandato in onda varie interviste, tra cui la mia, ma solo per circa 8 secondi.
Lunedì 5 Novembre
Inaspettatamente, gli amici iraniani mi fanno una sorpresa: visita agli studi televisivi di HISPANTV e PRESSTV. HISPANTV è un canale televisivo iraniano appartenente all'IRIB (la radiotelevisione pubblica) che trasmette in lingua spagnola. Questo canale, creato il 21 dicembre 2011 per rafforzare i legami del governo iraniano con i paesi dell'America Latina, trasmette notiziari, film e programmi di carattere politico. PRESSTV è una rete televisiva in lingua inglese che trasmette informazione 24 ore su 24. Il canale è di proprietà della IRIB, l'Islamic Republic of Iran Broadcasting, ovvero la compagnia di stato dell'Iran responsabile dei media.
Inaspettatamente, gli amici iraniani mi fanno una sorpresa: visita agli studi televisivi di HISPANTV e PRESSTV. HISPANTV è un canale televisivo iraniano appartenente all'IRIB (la radiotelevisione pubblica) che trasmette in lingua spagnola. Questo canale, creato il 21 dicembre 2011 per rafforzare i legami del governo iraniano con i paesi dell'America Latina, trasmette notiziari, film e programmi di carattere politico. PRESSTV è una rete televisiva in lingua inglese che trasmette informazione 24 ore su 24. Il canale è di proprietà della IRIB, l'Islamic Republic of Iran Broadcasting, ovvero la compagnia di stato dell'Iran responsabile dei media.
Mi presentano i capi redattori che mi illustrano la loro attività dichiarandomi la loro disponibilità alle collaborazioni esterne. Siccome rilascio abitualmente interviste alla radio iraniana in Italia PARSTODAY, mi sembra di aver capito che sono disponibili a ospitare miei commenti o interviste.
La giornata si conclude con un incontro serale col prof. Foad Izadi che mi ha invitato a questo incontro. E' famoso in Iran e i suoi commenti politici alle varie televisioni, soprattutto a RUSSIATODAY, possono essere visti tramite Youtube. Ha studiato negli Stati Uniti e mi invita per un prossimo convegno di studi. Auspica da parte mia articoli, commenti, interviste e libri sull'Iran.
Poche ore dopo, partenza per l'aeroporto Komeini e ritorno a casa. Hossein mi accompagna, paziente, mite e gentilissimo. Mi aiuta a portare la valigia sul nastro trasportatore e mi segue fino al metal detector. "You are my brother" - mi dice salutandomi, sei mio fratello. "Sì, Hossein, anche tu sei mio fratello".
https://diegosiragusa.blogspot.com/2018/11/rapporto-dalliran.html?fbclid=IwAR3sjlUQ17wMcx8wRP79_hjjlS-oYyLrFk1FBsjtXklCfHcRb4JAq0602uY
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