Paolo Gentiloni l’ha spuntata: il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sostituisce l’amico fraterno Renzi alla Presidenza del consiglio. Da quando circolava con sempre più insistenza il suo nome, un ricordo sfocato mi è tornato alla mente. Correva l’autunno 1983 e a Roma si era conclusa da poco una delle più grandi manifestazioni per la pace della storia italiana. Un milione di persone per dire No ai missili nucleari Nato-Usa in Sicilia. Poi i sit-in di fronte al Parlamento duramente repressi dalle forze dell’ordine. Con alcuni dei componenti del Comitato XXIV ottobre ci si vede a cena in un signorile appartamento del centro. Tra gli ospiti, schivo e austero, c’era il giornalista Gentiloni, una breve e invidiata esperienza nel movimento studentesco di Mario Capanna, in procinto di assumere la direzione de La nuova ecologia, il periodico di Legambiente ideato con Chicco Testa ed Ermete Realacci che, non vorrei sbagliare, quella sera erano con noi pacifisti e antinucleari. Le evoluzioni o involuzioni del trio legambientalista sono note: Testa volò alla presidenza del Cda di Enel che contribuì a privatizzare; Realacci è oggi presidente della Commissione ambiente della Camera dei deputati, anch’egli in quota Giglio-Renzi, mentre il nobile di origini Gentiloni è incoronato Capo di governo.
Che differenze enormi tra il Gentiloni No war e No Nuke e il Gentiloni Pd. Ad agosto a Washington con l’amica-sorella-compagna Roberta Pinotti, molto probabilmente riconfermata ministra della difesa, offre agli Usa il consenso all’utilizzo della base di Sigonella per gli attacchi in Libia con i droni armati. Ai giornalisti Gentiloni spiega che “l’utilizzo delle basi italiane non richiede una specifica comunicazione al parlamento”. Così oltre a Sigonella, dall’hub aeroportuale di Pisa possono decollare gli aerei C-130 dell’US Air Force per trasportare armi e materiali militari in Libia e ai paesi nordafricani e mediorientali partner della campagna contro il “terrorismo internazionale”.
Alleati con cui Gentiloni (con Renzi e Pinotti) rafforzerà legami e affari, anche in nome e per conto del complesso militare industriale nazionale. La Libia innanzitutto, il cui fragile governo continua ad essere riconosciuto aldilà del Mediterraneo ma non in loco. O il Sultanato dell’Oman ad esempio, considerato dal ministro Gentiloni uno degli interlocutori privilegiati sul piano politico ed economico con cui discorrere sulle guerre in Iraq, Libia, Yemen e Ucraina. Ma soprattutto l’Arabia saudita, impegnata in un’escalation di morte in Yemen, grazie alle bombe e ai cacciabombardieri acquistati in Italia in palese violazione delle leggi e del diritto internazionale e l’assenso dell’uomo guida del ministero degli affari esteri.
Gentiloni ministro non ha perso occasione di far visita e farsi fotografare accanto ai generali in missione di guerra all’estero: a Mosul dove fanno la guardia alle imprese impegnate nella realizzazione di dighe dal controverso impatto socio-ambientale; a Kabul ed Herat dove operano con il Comando delle operazioni Nato in Aghanistan; in Libiano con le forze Unifil. A Roma Gentiloni ha ricevuto invece il Primo Ministro della Repubblica Federale di Somalia, Omar Abdirashid Ali Shamarke, accompagnato dai principali ministri del suo governo e dai manager di Confindustria Assafrica e Mediterraneo. Una visita, quella dei leader somali, conclusasi con un lauto assegno italiano: 21 milioni di euro in “aiuti alla cooperazione”, 7 in più di quanto era stato ricevuto l’anno prima.
Il 26 e 27 maggio a Taormina si terrà il vertice G7. A scegliere la località turistica siciliana era stato Matteo Renzi, ma una maledizione sembra dover mietere vittime una dopo l’altro tra i Potenti della terra. Sarà allora Gentiloni a dover fare da padrone di casa. “A Taormina si discuterà, tra le altre cose, delle situazioni di crisi a livello internazionale, soprattutto nel Mediterraneo e nel Medio Oriente e del problema della migrazione e dei profughi”, ha fatto sapere qualche mese fa Gentiloni. Quello di legare insieme guerre, migrazioni e aiuti è un chiodo fisso dell’(ex) ministro degli affari esteri. A maggio, recandosi a Tunisi, Gentiloni ha rafforzato la partnership con il governo nordafricano grazie agli aiuti militari e ad alcuni progetti strategici come ad esempio il “cavo di interconnessione elettrica Elmed”. In agosto è stata la volta della Nigeria per implementare con le autorità locali il famigerato “migration compact”, il piano elaborato in ambito Ue per impedire – anche manu militari – che i migranti provenienti dall’Africa occidentale raggiungano le coste del Mediterraneo per tentare la traversata verso il sud Italia. Solo qualche mese prima, Renzi e il capo della polizia Alessandro Pansa avevano firmato in Nigeria un accordo di cooperazione tra i due paesi per la “lotta al traffico di esseri umani” con tanto di “collaborazione reciproca anche per i rimpatri dei nigeriani che non hanno diritto a restare in Italia”.
Per portare a compimento la strategia del “migration compact”, del controllo delle frontiere europee del respingimento-deportazione dei migranti, Gentiloni si è recato a novembre in Niger, Mali e Senegal, in compagnia del Commissario Ue per le migrazioni Dimitris Avramopoulos. In particolare in Niger si è fatto un passo avanti per istituire veri e propri lager-hub dove concentrare i migranti in transito nel Sahara, in attesa che l’Ue valuti le loro domande d’asilo. Anche grazie a Gentiloni ministro, i confini della fortezza Europa hanno varcato il mare per insediarsi nel deserto africano.
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