Il romanzo
dello storico Diego Siragusa, Strela era
morto e vedeva la luna ( Editore
Zambon, 2015 ), narra la storia del partigiano Giovanni Benedetti,
conosciuto come Elis ed infine ribattezzato Strela.
Fin da
piccolo, il nostro protagonista, vive gli stenti e le sofferenze proprie di
tutte le famiglie contadine. Siragusa, senza mai trascurare la psiche del suo
protagonista, ci offre un assaggio del ‘’vivere quotidiano’’ sotto l’orrenda dittatura
fascista: ‘’Suo padre gli aveva detto di
andare, per quindici giorni consecutivi al castello di Carpi, di mattino, in
bicicletta con la pentola a prendere le sette porzioni di minestra. Si metteva
in fila e attendeva il proprio turno per ricevere sette mestoli di pasta o riso
con fagioli. I genitori non avevano diritto alla minestra e un mestolo per ogni
filgio lasciava la fame come prima’’ ( pag.
12 ). Il romanzo ricalca molto bene la dura contrapposizione fra le classi
sociali nell’Italia fascista: da un lato la burocrazia nera, i padroni ‘’con
camicia e cravatta’’, dall’altra parte un popolo sofferente la cui sola
assistenza consisteva ‘’in buoni per avere la minestra’’. Tutta la narrazione
non perde di vista la triplice guerra in corso dal 1943 al 1945: (a) la guerra civile; (b) la guerra patriottica; (c) la guerra di classe.
Iniziamente
Elis era disinteressato alla politica, aveva solo 12 anni quando ‘’sentì parlare in cortile suo padre e lo
zio Ciro della Russia, dei bolscevichi, di comunismo, di classe operaia e di
proletariato, ma nessuno gli aveva spiegato il significato di quelle parole. Si
diceva che se uno non è fascista allora vuol dire che è un bolscevico’’ ( pag. 16 ). Lo sfruttamento classista, in
quel piccolo e ‘’giocoso’’ mondo, sembrava quasi scivolargli addosso, fino a
quando, diciasettenne, si scontrò con la dura realtà: ‘’gli arrivò una lettera con l’invito a presentarsi al comando presso
la ‘’Camera del Fascio’’ di Carpi’’ ( pag.
17 ).
L’inquadramento
militare, fin dalla giovanissima età, era un pilastro della ‘’normalizzazione
fascista’’ rinsaldata dall’ideologia dello Stato corporativo. Per Elis –
ragazzo povero ed apparentemente privo di sbocchi – collaborare col regime
poteva essere una soluzione: ‘’A causa
delle continue assenze, un giorno lo chiamarono di nuovo al comando e gli
proposero di frequentare tutti i sabati di pomeriggio un corso per ottenere la
patente di guida. Siccome a quei tempi avere la patente era un privilegio
concesso solo ai benestanti, Elis accettò subito e dopo un anno l’ottenne
ritenendosi fortunato di poter guidare un automezzo quando sarebbe stato
chiamato per il servizio di leva’’ ( pag.
18 ). L’autore ha molta cura nel mettere a nudo lo stato d’animo dei
personaggi: le loro paure, le angosce, l’amore per la famiglia, l’unico bene di
cui i contadini poveri hanno realmente certezza.
A 19 anni,
Elis, venne chiamato come soldato di leva: ‘’Quando
giunse la notizia ufficiale che la sua compagnia doveva partire per la Russia,
per il povero Elis fu come se un colpo di maglio l’avesse schiacciato.
Conosceva gli effetti della guerra dai racconti tristi di suo padre, ma l’idea
di finire ammazzato e congelato nella steppa russa lo atterrì a tal punto che
pensò di fuggire e nascondersi’’ ( pag.
22 ). Il timore della morte, quindi, di non rivedere più le persone care
sembra perseguitare il nostro che – come dice Gastone Cottino nella sua
interessante recensione –mai avrebbe pensato di diventare un eroe, anzi ‘’Tenderebbe anzi a sottrarsi a tutto ciò
che sa di guerra e a ciò che essa comporta. Questo suo stato d’animo è ben
fotografato dall’autore in un immaginario inontro, di lui soldato in Francia
con le nostre truppe di occupazione, con una fanciulla impegnata nella
cospirazione antifascista: alle cui provocazioni risponde di non sentirsi “nè
carne nè pesce”’’ 1.
Diego Siragusa
dimostra di conoscere nell’analitico il contesto storico caratterizzato dal
conflitto fra le potenze imperialistiche, due mostri – l’imperialismo
‘’democratico’’ e quello fascista – pronti all’occorrenza ad allearsi contro il
comune nemico: l’Unione Sovietica. Puntualmente riporta una citazione del
collaborazionista francese Pierre Laval: ‘’Desidero
la vittoria della Germania altrimenti il bolscevismo vincerà ovunque’’. Urge
una domanda: fino a che punto, in Europa, è realmente esistita una ‘’borghesia
illuminata’’ e sinceramente antifascista ?
Il sogno di
Elis era quello di tornare sano e salvo a casa, eppure, a poco a poco, in lui
maturò la consapevolezza di non poter restare con le mani in mano contro il
fascismo ed il capitalismo, bisognava fare qualcosa: ribellarsi, combattere
organizzati per un mondo più giusto. Una sera conobbe il comunista Enzo Neri: ‘’Lavorava in clandestinità e spesso
spiegava ai ragazzo chi erano i fascisti, cos’era il capitalismo, il comunismo,
la Rivoluzione d’Ottobre e il bolscevismo’’ ( pag. 58 ); ‘’Per i giovani
come Elis, questi uomini erano un mistero perché si esponevano a pericoli
personali senza averne alcun vantaggio’’. La lotta di classe è nell’ordine
delle cose: se non sei tu a buttarti nell’agone della conflittualità politica,
è il padronato, con le sue angherie, a metterti alle strette costringendoti a
schierarti.
Nei primi
mesi del 1944, dopo tante esistazioni, finalmente si arruola coi partigiani
garibaldini operanti sui contrafforti liguri, sotto il comando di ‘’Virgola’’.
Più volte si distinse per un inaspettato eroismo: ‘’Così seppe che, grazie al suo coraggio, in quell’inferno di fuoco,
tra raffiche di mitra e bombe a mano, era riuscito a mettere un tale scompiglio
da consetire ai suoi compagni di fuggire sani e salvi con un solo partigiano
ferito lievemente’’ ( pag. 72 ).
Il nostro autore non è solo un profondo conoscitore di quel contesto storico ma
anche uno scrittore vivace. Il racconto è avvicente e lascia il lettore col
fiato sospeso: ‘’Neanche Tom Mix –
commentò fiero di sé – poteva fare di meglio’’, dice fiero il nostro
personaggio.
Il coraggioso
Siragusa pare non accettare ‘’un infausto
proclama che invita i partigiani a sospendere le operazioni e ad occultarsi in
attesa di tempi migliori’’ e nemmeno il nostro eroe abbassa la testa
accontentandosi di una ‘’liberazione formale’’ dalla soldataglia fascista. Ecco
una efficace descrizione della delusione profonda di chi pensava ad un
approfondizzarsi in chiave socialista della Rivoluzione antifascista: ‘’Elis si sentì attraversare da cento
pugnali e ritirò la mano mentre gli altri si accalcavano sul camion con
spallete e spinte. Si allontanò dalla folla e, con un gesto lento, sistemò la
manica sinistra della sua giacca dentro la tasca. Si sentì mutilano due volte:
privo del braccio e privo della riconoscenza che quel luminoso giorno di
libertà era giunto anche per merito suo’’ ( pag. 123 ).
Poco dopo
continua: ‘’Bevi, compagno, bevi ! Non ci
pensare più. Ora bisogna avere fiducia nel partito e nel compagno Togliatti
ministro della giustizia. Sei iscritto al partito tu ?’’ ( pag. 128 ) Domanda: che cosa n’è stato
dei proclami anticapitalistici del compagno Togliatti ( ministro della
giustizia ) ? Perché il PCI ha
accettato tanto facilmente il compromesso con la Democrazia Cristiana, alleata di ferro dell’imperialismo
statunitense ? Forse, fra le righe del testo di Siragusa, dobbiamo leggere una
tacita condanna di Stalin e dell’accettato, troppo supinamente, ‘’nuovo ordine’’
( in realtà ‘’nuovo disordine’’ ) di Yalta ?
Nei pressi di
Capriglio, un gruppo di partigiani, fra cui anche Strela, disarmati dallo
stesso ‘’fuoco amico’’, sarà fatto prigioniero dai nazi-fascisti. Lì il nostro
troverà la forza per essere, un’ultima volta, combattente antifascista. Gastone
Cottine descrive, con una passione che merita ascolto, gli ultimi atti di vita
dell’eroe:
‘’ Dopo essere stato gettato in
una cantina assieme a due di essi, uno dei quali orrendamente ferito, Strela
viene selvaggiamente torturato, nel tentativo di estorcergli sia i nomi delle
donne e degli uomini che gli hanno dato cibo e riparo, sia informazioni utili a
individuare e localizzare i partigiani con i quali ha combattuto.
Ma nè le sevizie, crudelissime, nè le
umiliazioni cui lo sottopone la soldataglia fascista, riescono a piegarlo.
Pur sapendo che l’ultimo prezzo da pagare sarà la condanna a morte,
Strela oppone a esse il più ostinato silenzio.
Nel momento della prova estrema egli
torna ad essere partigiano. Trova ancora la forza morale e le energie fisiche
per resistere alla raffica che gli ha maciullato il braccio ma non lo ha
ucciso, e, liberatosi dallo strato di terra sotto cui è sepolto e dai cadaveri
che l’avviluppano, per risollevarsi e percorrere, in uno slancio
quasi sovrumano, “lui morto che vedeva la luna”, i due interminabili chilometri
che lo separano dalla sua unica àncora di salvezza, rappresentata dal convento
missionario di Capriglio’’.
Restano
alcune domande conclusive: i partigiani che hanno dato la vita contro le orde
nazifasciste avrebbero accettato tanto facimente la nuova occupazione militare
statunitense ? Ed ancora: quando tempo dovrà passare affinchè si passa fare
chiarezza sui crimini commessi dagli Alleati – principalmente gli anglostatunitensi
– sui civili italiani, crimini volti a frenare la stessa Resistenza comunista ?
Oggigiorno, una nuova guerra di indipendenza è possibile oltre che auspicabile
? Il futuro ci saprà dare risposta.
Stefano Zecchinelli
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