mercoledì 24 febbraio 2016

Diego Siragusa: Strela era morto e vedeva la luna, di Stefano Zecchinelli

Il romanzo dello storico Diego Siragusa, Strela era morto e vedeva la luna ( Editore Zambon, 2015 ), narra la storia del partigiano Giovanni Benedetti, conosciuto come Elis ed infine ribattezzato Strela.

Fin da piccolo, il nostro protagonista, vive gli stenti e le sofferenze proprie di tutte le famiglie contadine. Siragusa, senza mai trascurare la psiche del suo protagonista, ci offre un assaggio del ‘’vivere quotidiano’’ sotto l’orrenda dittatura fascista: ‘’Suo padre gli aveva detto di andare, per quindici giorni consecutivi al castello di Carpi, di mattino, in bicicletta con la pentola a prendere le sette porzioni di minestra. Si metteva in fila e attendeva il proprio turno per ricevere sette mestoli di pasta o riso con fagioli. I genitori non avevano diritto alla minestra e un mestolo per ogni filgio lasciava la fame come prima’’ ( pag. 12 ). Il romanzo ricalca molto bene la dura contrapposizione fra le classi sociali nell’Italia fascista: da un lato la burocrazia nera, i padroni ‘’con camicia e cravatta’’, dall’altra parte un popolo sofferente la cui sola assistenza consisteva ‘’in buoni per avere la minestra’’. Tutta la narrazione non perde di vista la triplice guerra in corso dal 1943 al 1945: (a) la guerra civile; (b) la guerra patriottica; (c) la guerra di classe.

Iniziamente Elis era disinteressato alla politica, aveva solo 12 anni quando ‘’sentì parlare in cortile suo padre e lo zio Ciro della Russia, dei bolscevichi, di comunismo, di classe operaia e di proletariato, ma nessuno gli aveva spiegato il significato di quelle parole. Si diceva che se uno non è fascista allora vuol dire che è un bolscevico’’ ( pag. 16 ). Lo sfruttamento classista, in quel piccolo e ‘’giocoso’’ mondo, sembrava quasi scivolargli addosso, fino a quando, diciasettenne, si scontrò con la dura realtà: ‘’gli arrivò una lettera con l’invito a presentarsi al comando presso la ‘’Camera del Fascio’’ di Carpi’’ ( pag. 17 ).

L’inquadramento militare, fin dalla giovanissima età, era un pilastro della ‘’normalizzazione fascista’’ rinsaldata dall’ideologia dello Stato corporativo. Per Elis – ragazzo povero ed apparentemente privo di sbocchi – collaborare col regime poteva essere una soluzione: ‘’A causa delle continue assenze, un giorno lo chiamarono di nuovo al comando e gli proposero di frequentare tutti i sabati di pomeriggio un corso per ottenere la patente di guida. Siccome a quei tempi avere la patente era un privilegio concesso solo ai benestanti, Elis accettò subito e dopo un anno l’ottenne ritenendosi fortunato di poter guidare un automezzo quando sarebbe stato chiamato per il servizio di leva’’ ( pag. 18 ). L’autore ha molta cura nel mettere a nudo lo stato d’animo dei personaggi: le loro paure, le angosce, l’amore per la famiglia, l’unico bene di cui i contadini poveri hanno realmente certezza.

A 19 anni, Elis, venne chiamato come soldato di leva: ‘’Quando giunse la notizia ufficiale che la sua compagnia doveva partire per la Russia, per il povero Elis fu come se un colpo di maglio l’avesse schiacciato. Conosceva gli effetti della guerra dai racconti tristi di suo padre, ma l’idea di finire ammazzato e congelato nella steppa russa lo atterrì a tal punto che pensò di fuggire e nascondersi’’ ( pag. 22 ). Il timore della morte, quindi, di non rivedere più le persone care sembra perseguitare il nostro che – come dice Gastone Cottino nella sua interessante recensione –mai avrebbe pensato di diventare un eroe, anzi ‘’Tenderebbe anzi a sottrarsi a tutto ciò che sa di guerra e a ciò che essa comporta. Questo suo stato d’animo è ben fotografato dall’autore in un immaginario inontro, di lui soldato in Francia con le nostre truppe di occupazione, con una fanciulla impegnata nella cospirazione antifascista: alle cui provocazioni risponde di non sentirsi “nè carne nè pesce”’’ 1.

Diego Siragusa dimostra di conoscere nell’analitico il contesto storico caratterizzato dal conflitto fra le potenze imperialistiche, due mostri – l’imperialismo ‘’democratico’’ e quello fascista – pronti all’occorrenza ad allearsi contro il comune nemico: l’Unione Sovietica. Puntualmente riporta una citazione del collaborazionista francese Pierre Laval: ‘’Desidero la vittoria della Germania altrimenti il bolscevismo vincerà ovunque’’. Urge una domanda: fino a che punto, in Europa, è realmente esistita una ‘’borghesia illuminata’’ e sinceramente antifascista ?

Il sogno di Elis era quello di tornare sano e salvo a casa, eppure, a poco a poco, in lui maturò la consapevolezza di non poter restare con le mani in mano contro il fascismo ed il capitalismo, bisognava fare qualcosa: ribellarsi, combattere organizzati per un mondo più giusto. Una sera conobbe il comunista Enzo Neri: ‘’Lavorava in clandestinità e spesso spiegava ai ragazzo chi erano i fascisti, cos’era il capitalismo, il comunismo, la Rivoluzione d’Ottobre e il bolscevismo’’ ( pag. 58 ); ‘’Per i giovani come Elis, questi uomini erano un mistero perché si esponevano a pericoli personali senza averne alcun vantaggio’’. La lotta di classe è nell’ordine delle cose: se non sei tu a buttarti nell’agone della conflittualità politica, è il padronato, con le sue angherie, a metterti alle strette costringendoti a schierarti.

Nei primi mesi del 1944, dopo tante esistazioni, finalmente si arruola coi partigiani garibaldini operanti sui contrafforti liguri, sotto il comando di ‘’Virgola’’. Più volte si distinse per un inaspettato eroismo: ‘’Così seppe che, grazie al suo coraggio, in quell’inferno di fuoco, tra raffiche di mitra e bombe a mano, era riuscito a mettere un tale scompiglio da consetire ai suoi compagni di fuggire sani e salvi con un solo partigiano ferito lievemente’’ ( pag. 72 ). Il nostro autore non è solo un profondo conoscitore di quel contesto storico ma anche uno scrittore vivace. Il racconto è avvicente e lascia il lettore col fiato sospeso: ‘’Neanche Tom Mix – commentò fiero di sé – poteva fare di meglio’’, dice fiero il nostro personaggio.

Il coraggioso Siragusa pare non accettare ‘’un infausto proclama che invita i partigiani a sospendere le operazioni e ad occultarsi in attesa di tempi migliori’’ e nemmeno il nostro eroe abbassa la testa accontentandosi di una ‘’liberazione formale’’ dalla soldataglia fascista. Ecco una efficace descrizione della delusione profonda di chi pensava ad un approfondizzarsi in chiave socialista della Rivoluzione antifascista: ‘’Elis si sentì attraversare da cento pugnali e ritirò la mano mentre gli altri si accalcavano sul camion con spallete e spinte. Si allontanò dalla folla e, con un gesto lento, sistemò la manica sinistra della sua giacca dentro la tasca. Si sentì mutilano due volte: privo del braccio e privo della riconoscenza che quel luminoso giorno di libertà era giunto anche per merito suo’’ ( pag. 123 ).

Poco dopo continua: ‘’Bevi, compagno, bevi ! Non ci pensare più. Ora bisogna avere fiducia nel partito e nel compagno Togliatti ministro della giustizia. Sei iscritto al partito tu ?’’ ( pag. 128 ) Domanda: che cosa n’è stato dei proclami anticapitalistici del compagno Togliatti ( ministro della giustizia ) ? Perché il PCI ha accettato tanto facilmente il compromesso con la Democrazia Cristiana, alleata di ferro dell’imperialismo statunitense ? Forse, fra le righe del testo di Siragusa, dobbiamo leggere una tacita condanna di Stalin e dell’accettato, troppo supinamente, ‘’nuovo ordine’’ ( in realtà ‘’nuovo disordine’’ ) di Yalta ?

Nei pressi di Capriglio, un gruppo di partigiani, fra cui anche Strela, disarmati dallo stesso ‘’fuoco amico’’, sarà fatto prigioniero dai nazi-fascisti. Lì il nostro troverà la forza per essere, un’ultima volta, combattente antifascista. Gastone Cottine descrive, con una passione che merita ascolto, gli ultimi atti di vita dell’eroe:

‘’ Dopo essere stato gettato  in una cantina assieme a due di essi, uno dei quali orrendamente ferito, Strela viene selvaggiamente torturato, nel tentativo di estorcergli sia i nomi delle donne e degli uomini che gli hanno dato cibo e riparo, sia informazioni utili a individuare e localizzare i  partigiani con i quali ha combattuto.

Ma nè le sevizie, crudelissime, nè le umiliazioni cui lo sottopone la soldataglia fascista, riescono a piegarlo. Pur  sapendo che l’ultimo prezzo da pagare sarà la condanna a morte, Strela oppone a esse il più ostinato silenzio.

Nel momento della prova estrema egli torna ad essere partigiano. Trova ancora la forza morale e le energie fisiche per resistere alla raffica che gli ha maciullato il braccio ma non lo ha ucciso, e, liberatosi dallo strato di terra sotto cui è sepolto e dai cadaveri che l’avviluppano,  per risollevarsi e percorrere, in uno  slancio quasi sovrumano, “lui morto che vedeva la luna”, i due interminabili chilometri che lo separano dalla sua unica àncora di salvezza, rappresentata dal convento missionario di Capriglio’’.

Restano alcune domande conclusive: i partigiani che hanno dato la vita contro le orde nazifasciste avrebbero accettato tanto facimente la nuova occupazione militare statunitense ? Ed ancora: quando tempo dovrà passare affinchè si passa fare chiarezza sui crimini commessi dagli Alleati – principalmente gli anglostatunitensi – sui civili italiani, crimini volti a frenare la stessa Resistenza comunista ? Oggigiorno, una nuova guerra di indipendenza è possibile oltre che auspicabile ? Il futuro ci saprà dare risposta.



Stefano Zecchinelli




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