Dai compagni del Comitato Kanafani ricevo e con grande piacere pubblico. S. Z.
Partiamo da un concetto: a rendere finora intrattabile la “guerra alla Siria” è stata, principalmente, la quantità di soggetti armati, sia formali che informali, coinvolti nella destabilizzazione della Repubblica Araba Siriana, a cui va sommata la variabilità dei loro rapporti reciproci e, non ultimi, i collegamenti semi-occulti con le potenze straniere committenti. Per questo, la descrizione degli attori in campo, e dei relativi posizionamenti, ci è parsa un utile lavoro propedeutico ad altre necessarie riflessioni.
Non ci siamo posti l’obiettivo di essere esaustivi sull’argomento “guerra in Siria”, ma anzi rinviamo ad altri futuri interventi il compito di entrare nel merito di questioni specifiche che pure ci stanno a cuore, come ad esempio “la questione palestinese all’interno dell’aggressione alla Siria”, o che reputiamo urgente affrontare, come ad esempio “il fenomeno dello Stato islamico – ISIS”.
Al netto delle sbandate e della sostanziale sublimazione (o peggio) della sinistra occidentale sul fronte della lotta internazionalista all’imperialismo/sionismo, c’è da dire che la guerra stessa, sotto alcuni aspetti, è indubbiamente cambiata: all’intervento diretto militare sulla nazione-obiettivo si è sostituita la cosiddetta “proxy war”. La guerra per procura non è solamente la più distruttiva per i Paesi che la subiscono ma, come vedremo, anche la più rischiosa per i Paesi che la commissionano. Nel caso della Siria, il piano di porre fine al “regime Assad” attraverso un bombardamento NATO (stile Libia) è stato, nel febbraio 2012, sventato dal veto di Cina e Russia presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In seguito a ciò, non essendo praticabile l’intervento via terra, dopo le disastrose avventure in Iraq ed Afghanistan, il teatro siriano è divenuto un pantano che, oltre a centinaia di migliaia di vittime, la distruzione dell’ultimo Stato arabo sovrano e solidale con il popolo palestinese, rischia di risucchiare tutto il resto del mondo in un conflitto definito “mondiale su scala regionale”. Tuttavia, nonostante le difficoltà incontrate, la criminale strategia dell’imperialismo rimane sostanzialmente immutata e continua a puntare “sull’organizzazione e l’armamento del dissenso -oramai pienamente eterodiretto- in Siria”.
Però una cosa va detta, se la guerra è cambiata, tale trasformazione non è certamente causa necessaria e sufficiente a rendere indistinguibili “aggressore ed aggredito”. Per quanto complessi gli avvenimenti, per quanto fitta la cortina fumogena della disinformazione, pensiamo ci sia ancora la possibilità di riflettere criticamente sulla realtà che ci circonda. Del resto, chi sa leggere gli avvenimenti storici si renderà conto di una logica e conseguenziale evoluzione dei metodi utilizzati dal nemico di classe. A questo proposito, non desta particolare sorpresa la lettura delle parole del colonnello Lawrence, il quale, all’interno dei suoi «Ventisette articoli» del 1917, scolpiva ad uso britannico un comandamento di pregnante attualità: «Non cercare di fare troppo con le tue mani. Meglio gli arabi lo facciano accettabilmente che tu alla perfezione. E’ la loro guerra, e sei lì ad aiutarli, non a vincerla per loro». E così è stato!
Iniziamo questo approfondimento proprio dalle forze “ribelli” siriane, tentando di sottolineare come i diversi Paesi coinvolti nella guerra per procura manovrino ognuno le proprie pedine su quell’incerto terreno comune che è l’opposizione al “regime” siriano. Incontreremo, quindi, la Turchia con il suo neo-ottomanesimo legato alla Fratellanza Musulmana (in un particolare rapporto che potremmo definire «commensale» nei confronti dell’amico Qatar), l’imperialismo USA che, messo in difficoltà dal multipolarismo, abbandona il suo vecchio progetto per un Medio Oriente detto “Allargato” a favore del c.d. Wright plan, la politica regionale dell’entità sionista e di casa Saud (entrambe, per motivi diversi, in contrasto con l’Iran dei colloqui di Vienna e degli accordi sul nucleare), la Francia che rincorre il sogno di un nuovo Sykes-Picot, ecc…
Tratteremo poi la composizione delle «forze governative» e degli alleati del governo Assad, la longa manus dell’Iran nelle organizzazioni sciite scese in campo, l’intervento militare diretto della Russia di Putin, la posizione delle principali organizzazioni della Resistenza palestinese sulla “crisi siriana” e i curdi-siriani che con le loro organizzazioni sembrano rincorrere una propria progettualità, apparentemente slegata sia dal destino dell’opposizione siriana sia dalla resilienza del governo Assad.
Infine, per non risultare eccessivamente scollati dai gravi fatti di questi giorni, diremo solo che, dopo 5 anni di stallo, si avverte chiaramente nel campo imperialista l’urgenza di intruppare la comunità internazionale, con annessa opinione pubblica, in un intervento militare diretto nel Levante.
Abbiamo buona ragione di credere che, a questo scopo, l’appello globale alla lotta contro l’ISIS risulterà assolutamente funzionale, così come abbiamo ascoltato dalle televisioni di tutto il mondo a seguito dell’«attentato di Parigi» del 13/11/2015. Tuttavia, come già spiegato, riteniamo inutile interrogarsi su questi aspetti prima di una condivisione collettiva di una serie di ragionamenti che possiamo tranquillamente definire propedeutici.
Comitato del Martire Ghassan Kanafani
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