Il conflitto
fra l’imperialismo israeliano e le masse palestinesi che si sono mobilitatate –
denominato stupidamente dai giornalisti corrotti occidentali come ‘’Intifada
dei coltelli’’ – segue le stesse dinamiche sociali che storicamente hanno
caratterizzato la decolonizzazione: dal
mondo arabo all’America Latina fino all’Asia. Gli arabi israeliani che
camminano lungo le strade di Gerusalemme rischiano il linciaggio, la società
israeliana è profondamente malata di razzismo, una nuova forma di fascismo
sottitenso ed onnipresente. Certamente non è una notività, spiega lo storico
Ilan Pappe: ‘’Tale atteggiamento non è unico nella storia. La maggior parte
delle società coloniali formate da coloni (si distinguono dalle colonie che si
dedicano all’estrazione di risorse, n.d.t.) hanno adottato questo
atteggiamento verso i nativi che per le società di questo tipo sono un
ostacolo che va rimosso, insieme alle pietre nei campi, alle zanzare nelle
paludi, e, nel caso del primo sionismo, insieme agli ebrei meno adeguati, sia
fisicamente che culturalmente’’.
Si tratta di un naturale processo evolutivo: se il popolo
palestinese cerca una nuova guida politica, forte, compatta ed antimperialista,
in grado di respingere fermamente i ricatti dell’imperialismo statunitense e
della dittatura israeliana, il regime di Tel Aviv si sposta sempre di più a
destra. Netanyahu, anche nell’ideologia ( si pensi all’attuale riabilitazione
di Hitler ), ha instaurato una dittatura pinochetista in piena regola. Non
siamo davanti ad una ipotetica ( ed improbabile ) propaganda filoaraba: già
Gideon Levy, giornalista onesto della sinistra israeliana, aveva denunciato la
progressiva ed intollerabile militarizzazione del paese. Una cosa propria di un
regime liberticida quale, ormai, Israele è. Inutile fare giri di parole.
In tutto il mondo gli analisti onesti di orientamento
marxista, non hanno dubbi sul carattere genocidiario delle politiche di
Israele. James Petras è sempre, tanto duro, quanto preciso e puntuale: ‘’Israel
está matando en todos lados a palestinos que tratan de reivindicar su
territorio, tratando de asegurar el acceso a las regiones, a los sitios
religiosos. Podemos decir que Israel no tiene ninguna razón para atacar así a
muchachos con piedras o manifestántes. Los israelíes dicen que están
bombardeando la Franja de Gaza, porque allí hay instalaciones y fábricas de
armas. Pero en realidad, casi las únicas víctimas de estos bombardeos fueron
una mujer palestina embarazada y su hija de tres años que perecieron’’. Petras nel suo
intervento settimanale ad lahaine
smaschera le bufale dei media ufficiali: nessuna autodifesa, gli squadroni
dell’IDF sionista uccidono in modo
indiscriminato donne e bambini. I termini esatti sono questi: pulizia etnica
nella totale impunità e nell’indifferenza del mondo ( imperialista ) intero.
La
reazione della sinistra palestinese non s’è fatta attendere: Hamas e la Jihad islamica hanno chiamato il popolo palestinese a ribellarsi
davanti l’occupazione coloniale. Soltanto una mobilitazione patriottica può
dare la libertà.
Ed
i marxisti ? L’appello del Fronte
popolare di liberazione della Palestina si spinge ben oltre: ‘’Tutte le
componenti del nostro popolo - comitati popolari nei campi e nei villaggi,
giovani, studenti, donne, lavoratori ed intellettuali - devono impegnarsi,
sotto la bandiera palestinese, nel movimento popolare contro l'occupazione e
contro i coloni, intensificando la rivolta popolare verso un livello
successivo, che sia in grado di sviluppare tutto il suo potenziale in tutti i
territori occupati, per scontrarsi vittoriosamente con l'occupazione nelle aree
in rivolta’’. Parole forti, si chiede ai lavoratori arabi di ‘’intensificare le
fiamme della rivolta’’, contro la brutalità dei coloni. Il perno di questo
movimento antimperialista ? I comitati popolari, i giovani, gli studenti, il
mondo del lavoro e – la parte più interessante – il movimento dei prigionieri
politici. Queste forze sociali, un giorno, dovranno essere la spina dorsale
della Palestina libera ed indipendente.
Lotta di
classe o guerra di religione ?
La
natura del conflitto, in questi giorni, ha fatto discutere importanti studiosi
che, con modalità differenti, si collocano nel campo antisionista. Gilad
Atzmon, studioso ed ebreo ostile alla dittatura israeliana, afferma che ‘’Un
conflitto religioso è quello in cui le azioni e la retorica del conflitto sono
dominate da simbolismi, argomentazioni e ideologie religiose’’. Ed ancora: ‘’Sembra
che la moschea di Al sia diventata il fattore unificante dei palestinesi. E
questa unificazione è stato uno sviluppo positivo per i palestinesi. Se per
qualche tempo è parso che ad Israele fosse riuscito a piegare la volontà dei
palestinesi e a spezzare la loro capacità di combattere come un solo popolo,
l’attuale assalto ebraico ad Al Aqsa ha unito i palestinesi e gli arabi e non
solo i musulmani’’.
L’analisi di Atzmon è interessante ma incompleta: il
colonialismo prima e l’imperialismo poi hanno sempre cercato di distruggere le
culture dei popoli colonizzati portando avanti un sistematico, come diceva
Marx, ‘’genocidio culturale’’. Questo avviene su scala internazionale in cui si
propinano – anche contro il mondo arabo e musulmano – i (dis)valori
dell’americanismo e del sionismo, molte volte tramite la propaganda e
l’egemonizzazione etica, altre volte col militarismo e la violenza neonazista
dei coloni israeliani.
I coloni rispondono ad una ideologia suprematista, quella del
Talmud di Babilonia, smascherata da Israel Shahak ed Alan Hart in quanto
antiebraica e quindi, essa stessa, antisemita. Loro non rispondono alle Leggi
della Torah, ma a precetti rabbinici fasulli che legittimano le pretese
imperiali della borghesia israeliana. Il loro agire è repellente, ricalca
quello dei narcos messicani, ma a differenza dei narcotrafficanti loro uccidono
nel nome di Dio. Su questo, certamente, concordo con Atzmon e con la sua
coraggiosa analisi.
Per rendere chiara la mia posizione riporto uno stralcio – e
lo metto in evidenza – di un recente articolo di llan Pappe, storico e membro
del Partito comunista israeliano:
‘’Quando si analizza l’origine dell’attuale
Intifada, si può giustamente indicare l’occupazione e l’estesa colonizzazione
ebraica.
Però la disperazione che ha prodotto gli attuali disordini non è una conseguenza diretta della colonizzazione del 1967, ma piuttosto di quasi 100 anni di invisibilità, disumanizzazione e di potenziale distruzione dei palestinesi, ovunque siano’’
Però la disperazione che ha prodotto gli attuali disordini non è una conseguenza diretta della colonizzazione del 1967, ma piuttosto di quasi 100 anni di invisibilità, disumanizzazione e di potenziale distruzione dei palestinesi, ovunque siano’’
La lotta religiosa – sacra religione islamica contro razzismo
talmudico – è una consegueza dell’occupazione colonialistica. I coloni sono
violenti e paiono forti– oltre che per la loro soggettiva cattiveria, cosa che
non nego e salta all’occhio di chiunque – perché dietro hanno una struttura
statale capitalistica che li sorregge. L’elemento soggettivo è sempre presente
( cattiveria di Netanyahu; codardia dei coloni, ecc … ), quello ideologico è
importante ( razzismo del Talmud di Babilonia contrapposto alla Torah ) ma è la
forza economica e militare di Israele a rendere possibile ciò. L’imperialismo
si erge sulla struttura economia borghese, sul potere delle lobby ( lo Zionist
Power ) e dopo di ciò – ripeto: dopo di ciò – le soprastrutture come
l’ideologia, gli sproloqui talmudici e – volendo – l’americanismo.
Pappe non volta le spalle alla sua formazione culturale
marxista ‘’E’ stata la politica
israeliana e le azioni contro la Moschea Al-Aqsa che hanno acceso l’attuale
ondata di proteste e di attacchi individuali che è stata però innescata da
un’atrocità lunga un secolo: il culturicidio crescente della Palestina’’. Aggiungo:
ed una delle tante cose che permette la politica israeliana è la penetrazione
dei capitali – ripeto: Capitali – israeliti in occidente, oppure la presenza di
uomini chiave ( filosionisti ) all’interno delle organizzazioni
sovrannazionali. Questi ‘’killers economici’’ avranno anche il loro balordo
credo, talmudico o protestante che sia, però, il datore di lavoro a cui
rispondono è l’economia capitalistica di cui, oggi, Israele è colonna portante.
Quella condotta dal popolo palestinese non è una lotta
religiosa – a parte la sacrosanta difesa della cultura millenaria musulmana –
ma una grande lotta di classe portata avanti, in nome e per gli interessi, del
mondo del lavoro. In Palestina come in Europa, la scintilla, è sempre la
stessa: la libertà, l’indipendenza, l’emancipazione politica e sociale.
Stefano Zecchinelli
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