giovedì 29 ottobre 2015

La Nuova Intifada, di Stefano Zecchinelli

Il conflitto fra l’imperialismo israeliano e le masse palestinesi che si sono mobilitatate – denominato stupidamente dai giornalisti corrotti occidentali come ‘’Intifada dei coltelli’’ – segue le stesse dinamiche sociali che storicamente hanno caratterizzato la decolonizzazione:  dal mondo arabo all’America Latina fino all’Asia. Gli arabi israeliani che camminano lungo le strade di Gerusalemme rischiano il linciaggio, la società israeliana è profondamente malata di razzismo, una nuova forma di fascismo sottitenso ed onnipresente. Certamente non è una notività, spiega lo storico Ilan Pappe: ‘’Tale atteggiamento non è unico nella storia. La maggior parte delle società coloniali formate da coloni (si distinguono dalle colonie che si dedicano all’estrazione di risorse, n.d.t.)  hanno adottato questo atteggiamento verso i nativi che per le società  di questo tipo sono un ostacolo che va rimosso, insieme alle pietre nei campi, alle zanzare nelle paludi, e, nel caso del primo sionismo, insieme agli ebrei meno adeguati, sia fisicamente che culturalmente’’.
Si tratta di un naturale processo evolutivo: se il popolo palestinese cerca una nuova guida politica, forte, compatta ed antimperialista, in grado di respingere fermamente i ricatti dell’imperialismo statunitense e della dittatura israeliana, il regime di Tel Aviv si sposta sempre di più a destra. Netanyahu, anche nell’ideologia ( si pensi all’attuale riabilitazione di Hitler ), ha instaurato una dittatura pinochetista in piena regola. Non siamo davanti ad una ipotetica ( ed improbabile ) propaganda filoaraba: già Gideon Levy, giornalista onesto della sinistra israeliana, aveva denunciato la progressiva ed intollerabile militarizzazione del paese. Una cosa propria di un regime liberticida quale, ormai, Israele è. Inutile fare giri di parole.
In tutto il mondo gli analisti onesti di orientamento marxista, non hanno dubbi sul carattere genocidiario delle politiche di Israele. James Petras è sempre, tanto duro, quanto preciso e puntuale: ‘’Israel está matando en todos lados a palestinos que tratan de reivindicar su territorio, tratando de asegurar el acceso a las regiones, a los sitios religiosos. Podemos decir que Israel no tiene ninguna razón para atacar así a muchachos con piedras o manifestántes. Los israelíes dicen que están bombardeando la Franja de Gaza, porque allí hay instalaciones y fábricas de armas. Pero en realidad, casi las únicas víctimas de estos bombardeos fueron una mujer palestina embarazada y su hija de tres años que perecieron’’. Petras nel suo intervento settimanale ad lahaine smaschera le bufale dei media ufficiali: nessuna autodifesa, gli squadroni dell’IDF sionista uccidono in modo indiscriminato donne e bambini. I termini esatti sono questi: pulizia etnica nella totale impunità e nell’indifferenza del mondo ( imperialista ) intero.
La reazione della sinistra palestinese non s’è fatta attendere: Hamas e la Jihad islamica hanno chiamato il popolo palestinese a ribellarsi davanti l’occupazione coloniale. Soltanto una mobilitazione patriottica può dare la libertà.
Ed i marxisti ? L’appello del Fronte popolare di liberazione della Palestina si spinge ben oltre: ‘’Tutte le componenti del nostro popolo - comitati popolari nei campi e nei villaggi, giovani, studenti, donne, lavoratori ed intellettuali - devono impegnarsi, sotto la bandiera palestinese, nel movimento popolare contro l'occupazione e contro i coloni, intensificando la rivolta popolare verso un livello successivo, che sia in grado di sviluppare tutto il suo potenziale in tutti i territori occupati, per scontrarsi vittoriosamente con l'occupazione nelle aree in rivolta’’. Parole forti, si chiede ai lavoratori arabi di ‘’intensificare le fiamme della rivolta’’, contro la brutalità dei coloni. Il perno di questo movimento antimperialista ? I comitati popolari, i giovani, gli studenti, il mondo del lavoro e – la parte più interessante – il movimento dei prigionieri politici. Queste forze sociali, un giorno, dovranno essere la spina dorsale della Palestina libera ed indipendente.

Lotta di classe o guerra di religione ?

La natura del conflitto, in questi giorni, ha fatto discutere importanti studiosi che, con modalità differenti, si collocano nel campo antisionista. Gilad Atzmon, studioso ed ebreo ostile alla dittatura israeliana, afferma che ‘’Un conflitto religioso è quello in cui le azioni e la retorica del conflitto sono dominate da simbolismi, argomentazioni e ideologie religiose’’. Ed ancora: ‘’Sembra che la moschea di Al sia diventata il fattore unificante dei palestinesi. E questa unificazione è stato uno sviluppo positivo per i palestinesi. Se per qualche tempo è parso che ad Israele fosse riuscito a piegare la volontà dei palestinesi e a spezzare la loro capacità di combattere come un solo popolo, l’attuale assalto ebraico ad Al Aqsa ha unito i palestinesi e gli arabi e non solo i musulmani’’.
L’analisi di Atzmon è interessante ma incompleta: il colonialismo prima e l’imperialismo poi hanno sempre cercato di distruggere le culture dei popoli colonizzati portando avanti un sistematico, come diceva Marx, ‘’genocidio culturale’’. Questo avviene su scala internazionale in cui si propinano – anche contro il mondo arabo e musulmano – i (dis)valori dell’americanismo e del sionismo, molte volte tramite la propaganda e l’egemonizzazione etica, altre volte col militarismo e la violenza neonazista dei coloni israeliani.
I coloni rispondono ad una ideologia suprematista, quella del Talmud di Babilonia, smascherata da Israel Shahak ed Alan Hart in quanto antiebraica e quindi, essa stessa, antisemita. Loro non rispondono alle Leggi della Torah, ma a precetti rabbinici fasulli che legittimano le pretese imperiali della borghesia israeliana. Il loro agire è repellente, ricalca quello dei narcos messicani, ma a differenza dei narcotrafficanti loro uccidono nel nome di Dio. Su questo, certamente, concordo con Atzmon e con la sua coraggiosa analisi.
Per rendere chiara la mia posizione riporto uno stralcio – e lo metto in evidenza – di un recente articolo di llan Pappe, storico e membro del Partito comunista israeliano:
‘’Quando si analizza l’origine dell’attuale Intifada, si può giustamente indicare l’occupazione e l’estesa colonizzazione ebraica.
Però la disperazione che ha prodotto gli attuali disordini non è una conseguenza diretta della colonizzazione del 1967, ma piuttosto di quasi 100 anni di invisibilità, disumanizzazione e di potenziale distruzione dei palestinesi, ovunque siano’’
La lotta religiosa – sacra religione islamica contro razzismo talmudico – è una consegueza dell’occupazione colonialistica. I coloni sono violenti e paiono forti– oltre che per la loro soggettiva cattiveria, cosa che non nego e salta all’occhio di chiunque – perché dietro hanno una struttura statale capitalistica che li sorregge. L’elemento soggettivo è sempre presente ( cattiveria di Netanyahu; codardia dei coloni, ecc … ), quello ideologico è importante ( razzismo del Talmud di Babilonia contrapposto alla Torah ) ma è la forza economica e militare di Israele a rendere possibile ciò. L’imperialismo si erge sulla struttura economia borghese, sul potere delle lobby ( lo Zionist Power ) e dopo di ciò – ripeto: dopo di ciò – le soprastrutture come l’ideologia, gli sproloqui talmudici e – volendo – l’americanismo.
Pappe non volta le spalle alla sua formazione culturale marxista ‘’E’ stata la politica israeliana e le azioni contro la Moschea Al-Aqsa che hanno acceso l’attuale ondata di proteste e di attacchi individuali che è stata però innescata da un’atrocità lunga un secolo: il culturicidio crescente della Palestina’’. Aggiungo: ed una delle tante cose che permette la politica israeliana è la penetrazione dei capitali – ripeto: Capitali – israeliti in occidente, oppure la presenza di uomini chiave ( filosionisti ) all’interno delle organizzazioni sovrannazionali. Questi ‘’killers economici’’ avranno anche il loro balordo credo, talmudico o protestante che sia, però, il datore di lavoro a cui rispondono è l’economia capitalistica di cui, oggi, Israele è colonna portante.
Quella condotta dal popolo palestinese non è una lotta religiosa – a parte la sacrosanta difesa della cultura millenaria musulmana – ma una grande lotta di classe portata avanti, in nome e per gli interessi, del mondo del lavoro. In Palestina come in Europa, la scintilla, è sempre la stessa: la libertà, l’indipendenza, l’emancipazione politica e sociale.


Stefano Zecchinelli




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