martedì 20 ottobre 2015

Israele, i media e l'anatomia di una società malata, di Eric Draitser

Il video (vedi nell'articolo) che mostra il tredicenne palestinese Ahmed Manasrah morire dissanguato a terra, in un quartiere di Gerusalemme Est, è stato descritto come “scioccante”, “disturbante” e “doloroso da guardare”. L’abuso verbale e gli insulti degli israeliani che guardano il ragazzino contorcersi agonizzante sono stati variamente etichettati come “senza cuore”, “crudeli”… e lo sono davvero. Nel video, divenuto virale sui social media, si possono sentire gli spettatori gridare Muori figlio di puttana. Muori! Muori!


Se da un lato si è parlato tanto a proposito di questo video e di altri incidenti simili che comprendono esecuzioni extragiudiziali di giovani palestinesi accusati di aver pugnalato israeliani (la veridicità di alcune di queste accuse è ancora da dimostrare), dall’altro ci sono state poche riflessioni sulle implicazioni sociologiche. Nello specifico è diventato un tabù domandarsi che tipo di conclusioni ideologiche e psicologiche possano essere tirate sulla società israeliana, una società dove questi comportamenti non sono un’ eccezione; dove, più che essere un’anomalia, sono indicativi di un’attitudine significativa, se non addirittura prevalente. Un trattamento così innegabilmente barbarico non è semplice odio e non può essere spiegato o giustificato… ma è esattamente quello che fanno i mass media.
È sufficiente dire che ci sono molti analisti politici, attivisti e altre figure restii a condannare apertamente la società israeliana o il comportamento dei loro membri. Hanno, a buon ragione, paura di essere etichettati come anti-semiti, terrorizzati dal vedere i loro argomenti manipolati e presentati come colmi di odio e razziali, invece di poter contare su un dialogo aperto e un esame critico. Sebbene simili accuse siano a volte giustificate, come nel caso dei bigotti fascisti e neo-nazi per cui “Ebreo” è sinonimo di “Male”, più spesso si tratta di manipolazioni ingannevoli e coscienti create ad-hoc per proteggere la società israeliana dalle critiche che così palesemente merita.
Ma coloro il cui interesse è la giustizia e l’onestà intellettuale non possono restare in silenzio, non possono permettersi di diventare vittime di un’ auto-censura indotta dalla paura. Perché zittire le critiche contro Israele vuol dire di fatto fallire nel difendere adeguatamente una popolazione oppressa; vuol dire abdicare dalla responsabilità di alzarsi contro l’ingiustizia, la brutalità del colonialismo e l’inumanità del Sionismo contemporaneo. Allo stesso tempo vuol dire abbandonare il dovere di decostruire le narrative dominanti nell’interesse dalla giustizia sociale, sfidare la propaganda dei mass media la cui funzione primaria è quella di fare da scudo al potere contro la scomoda luce della critica. Io non posso, e non starò, zitto.
La propaganda dei Media e il pericolo della falsa equivalenza
Leggendo il New York Times, il Washington Post e altri maggiori organi di stampa notoriamente liberali, uno potrebbe essere giustificato nel pensare che la natura del conflitto israelo-palestinese è “occhio per occhio, dente per dente”, che sia il prodotto di una relazione causa-effetto-controeffetto. Questo è esattamente come viene dipinto il conflitto in quasi tutti i cosiddetti giornali “rispettabili”.
Prendiamo, per esempio, un articolo pubblicato in America nell’autorevole New York Times giusto qualche ora dopo l’incidente, dal titolo Accoltellamenti e ritorsioni mortali si aggiungono alle sfide sulla sicurezza per Israele. Già nel decostruire il titolo, è chiaro dove sta la faziosità e l’inganno; il Times permea il titolo stesso dell’articolo con la presunzione di colpevolezza della parte palestinese. Stando alla logica sintattica della costruzione del titolo sono gli accoltellamenti (presentati per primi) alla base del problema e, quindi, le “ritorsioni mortali” sono soltanto questo, ritorsioni appunto. L’effetto è di giustificare l’omicidio di palestinesi dipingendoli semplicemente come ritorsioni ad un fattore esterno: la violenza contro gli israeliani.
Ma ovviamente, chiunque abbia anche una comprensione approssimativa della questione sa perfettamente che gli accoltellamenti sono di per sé una ritorsione contro gli attacchi dei coloni israeliani e delle forze di sicurezza sui palestinesi, così come sono la conseguenza di una simile brutalità e di un’occupazione infinita, povertà e disparità sociale. La storia del colonialismo è strapiena di esempi di questo tipo.
Tuttavia gli israeliani, e lo stato d’Israele stesso, sono presentati come le vittime. Il titolo incornicia il problema presentandolo come una “sfida sulla sicurezza” per Israele, piuttosto che, ad esempio, un problema colonialistico o una feroce occupazione. Così, prendendoli nel complesso, il titolo e l’articolo di accompagnamento hanno l’effetto cumulativo di trasformare le vittime in responsabili e i responsabili in vittime, invertendo infine la relazione oppressore/oppresso. Questa inversione è assolutamente necessaria per lavare via tutti i crimini di Israele e assolvere dalla colpa lo stato e i suoi fanatici, fascisti di estrema destra.
Perfino il trattamento, a detta loro imparziale, del problema da parte di una testata che si presuppone essere moderatamente liberale come NBC News nasconde una rappresentazione disonesta del conflitto e delle recenti violenze. Nel coprire l’incidente, NBC News ha pubblicato una storia sull’esecuzione di Ahmed Manasrah e i sui seguenti insulti dal titolo Il video virale di Ahmed Manasrah colpito a morte racchiude in sé tutto il conflitto israelo-palestinese. L’articolo si propone di esporre la questione in maniera equa presentando gli eventi che hanno circondato l’atroce uccisione di Ahmed come emblematici dell’intero conflitto. Essenzialmente, NBC News prova qui a presentare le diverse narrative in competizione delle fonti israeliani e palestinesi come prova di un più grande sforzo mirato a conquistare l’opinione pubblica, cerca quindi di convincere i lettori che le attuali accuse e controaccuse sono parte di questo gioco, che la verità è semplicemente insondabile; dopo tutto, se le fonti israeliane dicono “x” e quelle palestinesi dicono “y”, chi potrà mai arrivare alla verità?
Il lettore dell’articolo di NBC viene lasciato con la conclusione, assolutamente disonesta sebbene politicamente molto utile, che entrambi gli schieramenti siano allo stesso modo colpevoli, entrambi degni di essere biasimati, e che il conflitto stesso è al di là di ogni analisi critica. In più, presentando il problema in questa maniera, la testata, NBC in questo caso, viene vista come imparziale, avendo fornito un resoconto in qualche modo bilanciato. In verità, ha semplicemente oscurato la vera natura del conflitto: lo scontro tra un oppressore coloniale e le sue vittime, sbattute fuori e private di tutto sistematicamente da sette decenni.
Ma a parte la falsa equivalenza, nascondendo la verità del problema, NBC News qui rivela inavvertitamente qualcosa di fondamentalmente vero sul conflitto: davvero quest’incidente racchiude in sé l’intero conflitto israelo-palestinese. Anche se non lo intendeva in questo senso, NBC News espone correttamente il fatto che il comportamento degli israeliani di fronte alla telecamera è emblematico dell’intera società israeliana, una società che vede i bambini palestinesi come “cani”, “figli di puttana” che non meritano di respirare, né di vivere.
La patologia del fascismo di Israele
Quello che il video di Ahmed Manasrah ha mostrato chiaramente al mondo è l’inumanità del Sionismo, un’ideologia sulla supremazia ebrea che necessariamente piazza i non-ebrei in una condizione d’inferiorità rispetto a loro, che assegna minor valore alla vita di un non-ebreo. Non è semplicemente l’odio che motiva i disgustosi commenti degli spettatori, è un radicato, intergenerazionale, senso di superiorità razziale che deumanizza i palestinesi e gli arabi in generale.
Questo punto fondamentale è discusso di rado, ma è proprio al centro del conflitto palestinese. Stimando gli arabi al livello di subumani, molti israeliani sono in grado di giustificare, spesso ad un livello inconscio, tutte le forme di brutalità, violenza e oppressione. Bisogna precisare che ci sono alcuni israeliani che combattono contro questa mentalità (Gideon Levy è probabilmente il più illustre e attivo oppositore di quest’ideologia suprematista) ma purtroppo sono sovrastati dal rabbioso barbarismo della destra israeliana (e buona parte del centro, bisogna aggiungere).
Questo fenomeno, che ti porta ad essere marchiato come antisemita così velocemente, è quello che sottostà dietro ad ogni politica di Israele e all’accettazione attiva o passiva di queste da parte del corpo politico. Sebbene il dissanguarsi di Ahmed Manasrah in mezzo ad una valanga d’insulti da parte d’israeliani possa ottenere un breve attimo di sfogo di shock sui sociale media, rimane soltanto un singolo episodio di questa violenza. È davvero così diverso dai bulldozer israeliani che demoliscono innumerevoli case palestinesi? È in qualche modo più barbaro dell’appiccare fuoco alle case palestinesi con i bambini dentro?
Forse sarebbe meglio non scandalizzarsi e arrabbiarsi per il video, ma piuttosto vederlo come la logica conseguenza dell’ideologia fascista e suprematista esposta dai leader dello stato d’Israele. Perché gli israeliani nel video stanno semplicemente seguendo l’esempio di politici come il ministro della giustizia Ayelet Shaked che, all’apice della criminale operazione a Gaza nell’estate 2014, ebbe infelicemente a dire:
La popolazione palestinese ci ha dichiarato guerra e noi dobbiamo rispondere con la guerra. Non con una singola operazione, non con una lenta e controllata escalation a bassa intensità, non con la distruzione di infrastrutture terroristiche, non con uccisioni mirate. Basta con le risposte asimmetriche. Questa è una guerra… Non è una guerra contro il terrorismo e non è una guerra contro l’estremismo, non è nemmeno una guerra contro le Autorità Palestinesi… Questa è una guerra fra due popoli. Chi è il nemico? Il popolo palestinese… Cosa c’è di così orribile nel comprendere che l’intero popolo palestinese è il nemico? Ogni guerra è fra due popoli e in ogni guerra il popolo che ha cominciato la guerra, l’intero popolo, è il nemico... Dietro ogni terrorista ci sono dozzine di uomini e donne, senza le quali costui non sarebbe mai stato spinto al terrorismo. Sono tutti combattenti nemici e il sangue di cui si macchiano dovrebbe ricadere su tutti loro. Questo adesso include anche le madri dei martiri… Dovrebbero seguire i loro figli, niente sarebbe più giusto. Dovrebbero andarsene, così come dovrebbe esser distrutte fisicamente le case in cui hanno allevato le serpi. Altrimenti, altre piccole serpi verranno allevate lì.
Una retorica simile, con tutta la sottostante deumanizzazione, ha reminiscenze di ogni tipo con le ideologie fasciste, dal nazismo tedesco degli anni trenta alla recente politica ucraina di Right Sector e del battaglione Azov. La nozione di “guerra totale” contro un intero popolo, inclusi donne e bambini che non combattenti, è molto oltre la semplice propaganda di guerra, è la base del genocidio e della pulizia etnica.
Ed è esattamente questo il punto: la pulizia etnica, sia come concetto che come obiettivo militare, è diventata la politica corrente dell’attuale stato d’Israele. Quindi perché sorprendersi quando dei giovani israeliani augurano la morte ad un palestinese agonizzante, chiamandolo “figlio di puttana”. Dopo tutto, Ahmed Manasrah non è solo un’altra “piccola serpe”?
…e un’ultima cosa
 Se la storia passata è di qualche indicazione, quanto scritto sopra attirerà sicuramente qualche reazione negativa, condanne, email di odio e insulti di ogni tipo. “Antisemita”, “traditore”, e “auto-razzista” sono soltanto alcuni dei più comuni epiteti che mi sono sentito rivolgere innumerevoli volte quando ho scritto o parlato d’Israele, del Sionismo, della supremazia ebrea, e di argomenti di questo tipo. Non solo queste infamie non faranno in modo di fermarmi, bensì mi motiveranno ancora di più a parlare, perché sono un segnale che le parole hanno colpito un nervo, un nervo scoperto, che ha un disperato bisogno di essere denunciato.
Ugualmente riconosco il privilegio con cui scrivo queste righe. Da ateo dichiarato che rigetta l’etno-nazionalismo e il tribalismo riguardante la politica ideologica del Sionismo, il mio background ebreo mi fornisce un po’ di copertura dalle accuse di antisemitismo (naturalmente non le ferma però). Non solo mi permette di scrivere e parlare liberamente in modo più aperto di questi problemi ma mi ricorda anche che ho il dovere di fare tutto ciò.
Poiché coloro che non si oppongono giustamente contro i crimini dell’imperialismo, del colonialismo, dell’oppressione e del genocidio sono senza dubbio complici di questi ultimi. Io, per una volta, non lo sarò.

Eric Draitser è il fondatore di StopImperialism.org e il conduttore di CounterPunchRadio. È un analista geopolitico indipendente che vive a New York.

15.10.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DOSTOJEVSKIJ

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15724

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