lunedì 8 giugno 2015

La sindrome di Soros, di Alexander Cockburn

George Soros ha annunciato qualche settimana fa che starebbe donando 100 milioni di dollari a Human Rights Watch, a condizione che questa ONG trovi ulteriori donatori per altri 10 milioni di dollari l’anno. È stato ricompensato con fragorosi applausi per la sua disinteressata munificenza.

La relazione tra i "Diritti Umani" e il corso dell’Impero è ben colto in due dichiarazioni, la prima dell'ex direttore esecutivo di HRW, Aryeh Neier: "Quando abbiamo creato Human Rights Watch, una delle finalità principali in via preliminare è stata quella di sfruttare la potenza, i fondi e l'influenza degli Stati Uniti per cercare di promuovere i diritti umani in altri Paesi".



Dopo questa osservazione, sorprendente nella sua sfacciata auto-presunzione imperiale, ecco Soros dichiarare recentemente alla radio pubblica nazionale PR che nello sviluppo di HRW accelerato dalla sua donazione “coloro che si occuperanno delle ricerche non saranno necessariamente americani… gli Stati Uniti hanno perso il loro alto profilo morale e questo ha messo in pericolo la credibilità e la legittimità degli americani di essere in prima linea nel patrocinio dei diritti umani.”

Soros, il finanziere internazionale, ha fatto i suoi miliardi speculando sulla moneta; poteva distruggere le riserve di un Paese, accelerando la sua disgregazione sociale. Poi Soros il filantropo potrebbe finanziare le indagini di HRW sugli abusi che i suoi interventi hanno contribuito a provocare. Egli offre nella sua singola persona un notevole profilo di interventismo liberale nella nostra epoca, in cui l’esplicita destabilizzazione economica e politica (per lo più calibrata di concerto con il Governo americano) ha fatto tranquillamnte ricorso alla clava morale e politica di un rapporto delle Nazioni Unite sui diritti umani, che è a sua volta utilizzato per tenere alta la pressione per un attacco imperiale diretto sia per mezzo di sanzioni economiche che di sabotaggi dissimulati e bombardamenti aerei o di una miscela di tutti e tre. Il Ruolo delle ONG dei diritti umani nell’attacco della NATO alla ex Jugoslavia è un ottimo esempio.

Oppure date un'occhiata alla ingerenza di Soros in Georgia. I suoi milioni e le ONG sotto il suo controllo hanno svolto un ruolo attivo nell’insediamento dell’instabile e decisamente autoritario Mikheil Saakashvili. La Fondazione per la Difesa delle Democrazie ha citato un ex parlamentare georgiano che dice che nei tre mesi precedenti la Rivoluzione delle Rose nel 2003, "Soros ha speso 42 milioni di dollari per favorire il rovesciamento di Shevardnadze." Inoltre l’ex Ministra degli Esteri georgiana Salome Zourabichvili è stata citata nella rivista francese Hérodote spiegando:. "Le ONG Che gravitano attorno alla Fondazione Soros hanno innegabilmente portato alla rivoluzione. Tuttavia, non si può terminare la propria analisi con La Rivoluzione e si vede chiaramente che, in seguito, la Fondazione Soros e le ONG sono state integrate nel Potere”. Consultate la relazione piuttosto ovattata di Human Rights Watch sulla Georgia di tre anni più tardi e troverete la dichiarazione che " Il sostegno degli Stati Uniti al Governo del presidente Saakashvili ha portato ad un atteggiamento meno critico verso le violazioni dei diritti umani nel Paese".

Soros ha creato il suo Open Society Institute ma, secondo quanto un veterano di “ConterPunch” esperto nella politica e nella topografia intellettuale della regione mi ha esposto, “Nell’Europa centro/orientale le organizzazioni di Soros sono qualsiasi cosa tranne che una ’Open Society’. Esse finanziano una ristretta gamma di produzione intellettuale affamando chi è in disaccordo… molte delle figure principali facevano parte dei profughi della guerra fredda in esilio. Molto reazionari, o molto neoliberal se più giovani. Alla base esse hanno realmente ‘privatizzato l’azione politica’, come dici tu. Esse hanno anche privatizzato la produzione intellettuale, poiché lo stato neoliberale ha sottratto la riserva di risorse dalle accademie lasciando solo le fondazioni a finanziarle. Questo segue le parole dette da Bill Simon nel 1974, il quale sosteneva che il rubinetto dei finanziamenti deve essere chiuso per le persone ‘sbagliate’ e aperto per quelle giuste. Questo potrebbe essere meglio realizzato privatizzando le basi della politica dopo gli eccessi democratici degli anni ’60 e ’70, privatizzandola fino a quando lo Stato non possa essere ripescato.”

Con il denaro extra di Soros, lo HRW farà balenare grandi fondi davanti agli occhi delle sue reclute non-americane. Riguardo gli alti salari che seguiranno vale la pena citare l’esperienza dell’Eritrea, la quale si trovò subito in difficoltà con il sistema delle ONG dopo l’indipendenza nel 1991. Il giornalista di base in Eritrea Tom Mountain mi disse “Primo, l’Eritrea non permetterà alle ONG di pagare tanto i salari del servizio civile. Perché? Le ONG vengono in un Paese, trovano i migliori e i più brillanti e gli danno salari di dieci o venti volte superiori alla media locale, pagando la loro obbedienza e spesso mettendoli contro il loro Paese. Secondo, l’Eritrea ha stabilito un tetto del 10% per le spese operative, e le ONG che non vorranno o potranno aderire saranno cacciate, più o meno allo stesso tempo L’Eritrea ha cacciato i ‘peacekeepers’ che erano qui.”

In altre parole, le fondazioni, no-profits, ONG -comunque le volete chiamare- possono al caso operare nobilmente, ma nel complesso il loro crescente potere va al passo con l’umore dei nostri tempi: privatizzazione dell’azione politica, direttamente controllata e manipolata dai ricchi e dai loro dirigenti. La tradizione del volontariato è spenta dai professionisti, vera burocrazia del pagare-bene fare-bene.

Non sono ancora certo del motivo per cui Ralph Nader, nel suo vasto romanzo del 2008 Only the Super-Rich Can Save Us(Solo i super-ricchi possono salvarci) abbia abbracciato l’affermazione contenuta nel titolo (a meno che l’intero esercizio non fosse una estesa incursione nell’ironia). In quanto classe internazionale, i super-ricchi non sono chiaramente interessati a salvarci, al di là di fare appello a riforme richieste per contenere seri disordini sociali.

Per molti decenni i super-ricchi in questo Paese hanno pensato che la maggiore minaccia alla stabilità sociale risiedesse nella sovrappopolazione e nella fonte di geni malsani dei poveri. Le loro assegnazioni e le ONG puntano diligentemente su questi problemi con le sterilizzazioni forzate, con l’esclusione di slavi ed ebrei dalle sponde americane e con altri espedienti portati avanti dagli attuali dirigenti liberal.

Ancora di recente, “globalizzazione” e “sostenibilità” sono diventati dei mantra necessari e sarebbe stupido il candidato ad una sovvenzione che non non ricami sopra queste due parole. Le ONG sostenute dai ricchi sono istintivamente ostili ai cambiamenti sociali radicali, almeno nei termini che una persona di sinistra degli anni ’50 o ’60 potrebbe concepire. Il movimento ambientalista statunitense ora è strategicamente controllato e quindi neutralizzato come forza radicale dal Pew Charitable Trust, il principale erogatore di patrocini e fondi.

Riguardo il ruolo delle ONG occidentali nel terzo mondo, raccomando di dare uno sguardo all’esemplare libro del 1996 scritto dal grande giornalista indiano P. Sainath, Everybody Loves a Good Drought(Tutti amano una buona siccità):

“La teologia dello sviluppo mantiene le ONG all’esterno delle istituzioni. Esse rappresentano una credibile alternativa. La maggioranza delle ONG sono, ahimè, integrate profondamente con le istituzioni, con il governo e con gli enti finanziari… inoltre forniscono occupazione impiegatizia. Il Nepal, qui vicino, ha oltre 10.000 impiegati nelle ONG, uno per ogni 2.000 abitanti. Comparatelo con quanti insegnanti, dottori e infermieri ha per 2.000 cittadini. Il flusso del denaro attraverso i conti bancari delle sue 150 ONG straniere costituisce il 12% del PIL del Nepal.

“Il problema con i termini ONG, No-Profit o quello che sia“, mi ha scritto Sainath “è che possono significare qualsiasi cosa o niente. Una squadra di calcio è una ONG. Io credo che questa parola sia venuta a galla quando è morto il volontariato in occidente. Dà un’occhiata ai salari dei top manager delle No-Profit e delle ONG. Il volontariato è una tradizione molto più antica, senz’altro in Paesi come il nostro, risalente fino ai tempi di Budda.

“Senza dubbio una piccola percentuale di esse fanno un grande lavoro e ne fanno tanto, bisogna andare oltre il significato di queste parole. Io le rispetto e le ammiro, ma esse costituiscono una percentuale molto piccola. D’altra parte troverai che ogni grande multinazionale crea la propria ONG, ci sono di mezzo questioni di tasse oltre le PR e quel che conta molto è che possono aiutare la penetrazione dei mercati.

Quindi una ONG che si occupa di acqua e siccità scopre e raccomanda ai governanti di uno Stato che la migliore soluzione è l’irrigazione a goccia. Così succede che nello stesso tempo la suddetta azienda ipocritamente accenna che ha importato milioni di irrigatori a goccia da Israele o da qualsiasi posto ad un prezzo molto modesto e che sono disponibili per la salvezza dell’umanità.

D’altra parte devo aggiungere che c‘è qualcuno che merita rispetto e ammirazione. Molto spesso ci sono piccoli gruppi che NON prendono soldi dalle grandi aziende o finanziamenti stranieri, ma operano su iniziative locali come alcuni vecchi gruppi gandiani, alcuni gruppi di sinistra, gente che crede nella promozione dell’auto-dipendenza e vuole che gli abitanti dei villaggi non dipendano più dal governo ma da se stessi. Alle volte essi diventano dei movimenti. Ma i gruppi più grandi sono maggioritari, gruppi che danno impiego ai colletti bianchi.

“Un altro fenomeno del periodo di liberalizzazione-privatizzazione sono gruppi che gestiscono apertamente in modo aziendale o semi-aziendale o imprenditoriale, ‘imprenditori sociali’ o come volete chiamarli, si possono trovare mille nomi, essi deridono la roba no-profit.”

Molti di questi sono attivi nel micro-credito e hanno considerevolmente distrutto quello che questo era all’inizio, ed è un legittimo strumento per le donne dei villaggi poveri rendere la vita un po’ meno dura per se stesse. Ora le grandi finanziarie e banche multinazionali si sono mosse fermamente per catturare il settore del micro-credito.

La sorprendente carriera del “micro-credito” come strategia per lo “sviluppo”è davvero molto istruttiva. Le ONG occidentali e i loro ricchi donatori si sono impossessati estaticamente del termine. Tanto per cominciare, esso aveva qualcosa di vigorosamente austero in se: i micro-prestiti sono per definizione piccoli, perciò ovviamente evitano grandi ambizioni politiche, del tipo organizzarsi politicamente per forzare il Governo a intraprendere una seria azione o, se necessario, rovesciarlo e metter in atto macro-azioni come la riforma agraria e la ridistribuzione della ricchezza.

Nel 2006, come riporta Sainah, “il Governo dell’Andhra Pradesh passò una legge, entusiasticamente supportata nella legislatura, per contenere le attività succhia-interessi di alcune ONG/no-profit e altri gruppi. Il presidente del consiglio disse alla Camera che questa gente era peggio di semplici prestatori di denaro. In effetti, essi caricavano tassi d’interesse che si rivelavano tra il 24 e il 36 percento e anche oltre.”


All’inizio del ventesimo secolo Lenin e Martov stavano organizzando i loro Congressi internazionali e cercavano sovvenzioni a questo fine. Martov, il menscevico, disse a Lenin che doveva assolutamente smetterla di pagare alberghi e saloni con il denaro rapinato da Stalin nelle banche georgiane a Tiblisi. Lenin rassicurò Martov poi chiese a Stalin di cambiare banca, cosa che egli fece, fino ad allora il record europeo delle rapine in banca. Era il modo, forse l’unico modo, al di là della morsa di inaffidabili milionari. Allora come ora.

Alexander Cockburn
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/cockburn10082010.html
8/10.10.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ETTORE MARIO BERNI

 http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=7541

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