domenica 28 giugno 2015

La guerra dei Saud contro la Siria, di Bahar Kimyongur

Qualsiasi osservatore del conflitto siriano desideroso di saperne di più sulla rivolta anti-regime avrà qualche difficoltà a poterlo fare, data l’inflazione di gruppi armati, oramai oltre un migliaio. La guerra fratricida in cui sono sprofondate le principali milizie jihadiste dall’inizio dell’anno, evidenzia la confusione particolare su ruolo ed evoluzione di al-Qaida nel conflitto. Eppure, al di là delle rivalità economiche e territoriali, la stessa ideologia e la stessa strategia le uniscono e le collegano a un attore chiave nella guerra siriana: il regno dell’Arabia Saudita.

Il wahhabismo siriano prima della guerra
 
Il movimento religioso fu fondato circa 250 anni dal predicatore estremista Muhammad bin Abdul Wahhab nel Najd in Arabia Saudita, non è una moda apparsa improvvisamente in Siria e favorevole alla primavera araba. Il wahhabismo ha una forte base sociale nei siriani che da diversi anni vivono in Arabia Saudita e altre teocrazie della penisola araba. In Siria, gli immigrati del Golfo sono singolarmente chiamati “sauditi” perché al loro ritorno a casa vengono confusi con i veri sauditi. La maggior parte di tali emigranti di ritorno, infatti, sono impregnati di puritanesimo rituale, di costume, familiare e sociale che caratterizza i regni wahhabiti (1). Ma il wahabismo siriano è anche  composto da predicatori salafiti espulsi dal regime di Damasco e ospitati dai regni del Golfo. Nonostante la distanza e la repressione, questi esuli poterono mantenere le reti d’influenza salafite nelle loro regioni e tribù originali. La proliferazione dei canali satellitari wahhabiti in Siria ha rafforzato la popolarità di alcuni esuli siriani convertitisi al “tele-coranismo”. Il più rappresentativo di questi è probabilmente Adnan Arur. Esiliato in Arabia Saudita, lo sceicco della discordia (fitna) com’è soprannominato, anima diversi programmi su Wasal TV e Safa TV, dove ha reso popolari i discorsi anti-sciiti e anti-alawiti, tra cui quello in cui chiede di “macellare gli alawiti e gettarne la carne ai cani.” Nella regione di Hama da cui proviene, Arur ha mantenuto un’influenza notevole, al punto che il suo nome è stato scandito nelle prime manifestazioni anti-regime nel 2011.
Dal punto di vista storico e territoriale, la wahhabizzazione dilagante tra le popolazioni rurali in Siria, ha sopraffatto l’istituzionale sunnismo siriano Hanafi dal presunto orientamento tollerante. Dopo la svolta liberale adottata dal partito Baath nel 2005, il wahabismo ebbe una significativa ripresa nei sobborghi poveri delle città siriane o in piccole città come Duma o Daraya, facendo rivivere lo spettro della discordia tra le comunità. Molti siriani arricchitisi in Arabia Saudita lanciarono campagne di beneficenza nel Paese d’origine, aumentando così la loro influenza tra i siriani svantaggiati. Ogni vuoto dello Stato fu presto riempito dalle reti caritative collegate ad ambiziosi sceicchi esuli. Uno dei più noti è Muhammad Surur Zayn al-Abidin. È il capo di una corrente di un proselitismo a metà strada tra il movimento della Fratellanza musulmana siriana e il wahhabismo (2). Nel frattempo, i siriani nel Golfo sono diventati i maggiori sponsor privati della jihad in Siria, presto aiutati nel loro “sacro” compito da ricchi donatori sauditi, come anche quwaytiani, bahrayni e giordani, quasi sempre di osservanza wahhabita (3). Nonostante la relativa calma, che dava reputazione al regime di sicurezza di Damasco prima dei disordini e della guerra che vediamo da tre anni, il Paese subì diversi casi di scaramucce e provocazioni confessionali. (4) Un nativo della città a maggioranza sunnita di Tal Qalaq, nel governatorato di Homs, mi disse di un  tentato pogrom anti-alawita più di un anno prima delle prime manifestazioni democratiche del marzo 2011. Altri siriani hanno confermato l’instaurarsi nel decennio precedente di un’atmosfera velenosa di risentimento delle comunità dei quartieri poveri di Damasco e Idlib e in alcuni villaggi. Le autorità siriane preferirono sopprimere tali incidenti per evitarne il contagio. Nel marzo 2011, gli slogan contro gli sciiti di Hezbollah ed Iran urlati alle porte della moschea Abu Baqr Sadiq di Jablah, sulle coste siriane, presto lasciò il posto ad appelli alla guerra contro le minoranze. Mentre i siriani protestavano contro ingiustizia, tirannia, corruzione e povertà, alcune forze conservatrici cercarono deliberatamente di deviare la rabbia popolare su obiettivi inermi, il cui unico crimine era quello di esistere. Così, prima ancora che le truppe di al-Qaida sparassero il loro primo colpo in Siria, i predicatori wahabiti stavano già manovrando.

La wahhabizzazione della ribellione siriana
 
Se all’inizio della rivolta siriana, tra la stragrande maggioranza dei combattenti sunniti si potevano trovare alcuni ribelli drusi, cristiani, sciiti e alawiti, sotto la pressione di agitatori e dei generosi donatori del Golfo, la ribellione rapidamente si omogeneizzò sul piano confessionale e si radicalizzò, costringendo alcuni combattenti delle minoranze a smobilitare ed esiliarsi. Nella loro propaganda, i gruppi di ribelli siriani adottarono gli insulti anti-sciiti in voga nel regno dei Saud. Sciiti, ma anche alawiti, drusi e ismailiti vennero sempre più accusati dai ribelli di essere miscredenti (qufar), negazionisti (rafidha), zoroastriani (majus), trasgressori (tawaghit, plurale di taghut), politeisti, adoratori di icone, pietre o tombe (mushriqin), satanisti, invasori persiani cripto-iraniani, safavidi o cripto-giudei (5). Nel frattempo, battaglioni dalle connotazioni confessionali si formarono anche nell’Esercito libero siriano: battaglioni Muawiya, Yazid, Abu Ubayda Jarrah, Ibn Taymiyah, Ibn Qatir, la brigata turkmena Yavuz Sultan Selim dal nome del sultano-califfo ottomano che nel XVI.mo secolo massacrò aleviti, alawiti e sciiti… Tra questi gruppi di insorti a connotazione religiosa c’è la famosa brigata Faruq, la spina dorsale dell’esercito libero siriano. Nessun media occidentale s’è nemmeno chiesto il significato di Faruq. (6) Era il soprannome del califfo Omar Ibn Qatab, considerato un usurpatore dagli sciiti. Nessuno si può dimenticare Qalid al-Hamad, l’uomo che squartò un soldato dell’esercito governativo prima di morderne il cuore e il fegato, prima gridò: “Oh, eroe! Uccidere gli alawiti e tagliare i loro cuori per mangiarli!” Ma se ci ricordiamo che questo individuo non era un membro di al-Qaida o un semplice miliziano, ma un comandante della famosa brigata al-Faruq dell’Esercito libero siriano (ELS) apparentemente moderato ed oggi guidato da Salim Idris. Il predicatore Adnan Arur che invocava lo sterminio nelle sue comparsate televisive fa parte dell’esercito libero siriano (ELS) e non della cosiddetta ribellione “estremista”.
Questi esempi dimostrano che la presentazione dell’Esercito libero siriano (ELS) come ribellione democratica, laica e plurale sia un puro prodotto del marketing presso l’opinione pubblica occidentale. Oggi, i nostri media indicano il Fronte islamico (FI), la principale coalizione jihadista che riunisce circa 80000 combattenti, quale possibile alternativa ad al-Qaida. Il leader del Fronte islamico è Zahran al-Lush. È il figlio di Muhammad al-Lush, predicatore ultra-conservatore ed esule siriano in Arabia Saudita. Zahran al-Lush che invano ha resistito al ramo siriano di al-Qaida, cioè al-Nusra e Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (EIIL), o Desh, ha la stessa retorica settaria dei suoi concorrenti. In un discorso al castello omayade di Qasr al-Hayr al-Sharqi nei pressi di al-Suqna, nel luglio 2013, ecco cosa dichiarò urbi et orbi Zahran al-Lush: “I figli degli omayadi sono tornati nel Levante malgrado voi. I mujahidin del Levante elimineranno le brutture dei rafidha purificando il Levante… gli sciiti rimarranno per sempre sottomessi e umiliati come lo sono stati nella storia. E l’Islam ha sempre distrutto il loro Paese… La dinastia degli omayadi ha sempre distrutto il loro Stato“. (7) All’inizio dell’ottobre 2013, quattro gruppi jihadisti con diverse migliaia di combattenti indipendenti da al-Qaida annunciarono la creazione nella Siria orientale dell’Esercito siriano della comunità della Sunnah (Jaysh al-Sunna wal Jama’a). Non solo questa nuova coalizione sfoggia un nome chiaramente settario anti-sciita, ma in aggiunta accusa i suoi nemici di essere safavidi, il nome di una dinastia sciita che governò l’Iran nel 1501-1736. Inoltre, il nuovo esercito settario proclama la volontà di combattere le “sette” fino al giorno del giudizio. (8) Pertanto, non sarebbe realistico considerare la ribellione armata contro al-Qaida un segno della rispettabilità e della tolleranza di tali gruppi. Infatti, tutti i movimenti ribelli attivi in Siria sono taqfîri, cioè conducono la guerra contro gli “increduli”, prima contro le correnti dell’Islam considerate eretiche e non-credenti, poi contro le minoranze cristiane e, infine, contro i sunniti. La distinzione fatta dai media occidentali tra ribelli e jihadisti è abusiva. Tra al-Qaida, Fronte islamico ed Esercito libero siriano c’è la distinzione tra Pinco Panco e Panco Pinco.

Il regno wahhabita attacca la fortezza siriana
 
In tre anni di conflitto in Siria, il regime dei Saud non ha potuto semplicemente esportare la sua ideologia. Fin dall’inizio della crisi incombente, in effetti, Riyadh si poneva come l’avanguardia nella guerra contro il regime siriano. S’è distinto come il primo Paese a rompere le relazioni diplomatiche con Damasco. Quando vi fu l’insurrezione armata in Siria, il regno wahhabita tentò immediatamente di prenderne il controllo. Incaricò i suoi agenti locali d’inviare risorse finanziarie, logistiche e militari ai gruppi di insorti più affidabili. In Libano, Turchia e soprattutto Giordania, l’intelligence saudita ha organizzato campi di addestramento per i ribelli siriani. Nella Terra dei Cedri, l’Arabia Saudita mobilita il Movimento del Futuro di Hariri, una potente famiglia politica libanese-saudita asservita alla dinastia wahhabita, nonché le cellule terroristiche nel Nord di questo Paese. I gruppi terroristici nel nord del Libano sono la forza di riserva tradizionale del regime di Riyadh nella guerra contro il partito Hezbollah ben radicato tra la popolazione sciita del Libano meridionale. Dall’inizio della “primavera siriana” (marzo 2011), lo stesso nord del Libano è sempre servito da base d’attacco dell’Arabia Saudita contro la Siria. Mercenari pro-sauditi di ogni origine, ma inizialmente siriani, accorsero nelle province di Homs e Damasco dal territorio libanese.
Il capo delle operazioni anti-siriane non è altri che il principe Bandar bin Sultan, segretario generale del Consiglio nazionale della sicurezza saudita. Il principe è anche soprannominato “Bandar Bush” per via dei suoi stretti legami con l’ex-presidente degli Stati Uniti. Aduso alle operazioni segrete, il principe Bandar fece dell’eliminazione del presidente siriano una questione personale. Giunse ad arrivare a Tripoli, capitale del nord del Libano, per incoraggiare pagandoli i volontari della jihad anti-sciita, anti-Hezbollah e anti-siriana (9). A volte incarica i suoi migliori agenti hariristi, come il deputato Oqab Saqr, di assicurarsene la logistica. Secondo un’indagine del quotidiano Time, Oqab Saqr alla fine dell’agosto 2013 era ad Antiochia, città turca che funge da retroguardia dei jihadisti anti-siriani del fronte settentrionale, per rifornire diverse unità dell’esercito siriano libero (FSA) a Idlib e Homs. (10) Il 25 febbraio 2013, il New York Times rivelò che le armi provenienti dalle scorte segrete dell’esercito croato furono acquistate dall’Arabia Saudita e inviate ai ribelli siriani dalla Giordania. Si è parlato di “diversi aerei carichi di armi” e di una “ignota quantità di munizioni.” (11) Il 17 giugno 2013, citando diplomatici del Golfo, Reuters disse che l’Arabia Saudita fornì ai ribelli siriani missili antiaerei acquistati in Francia e Belgio. L’inviato afferma che il trasporto delle armi fu finanziato dalla Francia. (12) In Libano, Turchia e Giordania, l’Arabia Saudita muove le sue pedine mentre gli altri mandanti della ribellione, come il regime di Ankara e l’emiro del Qatar, si toglievano dai piedi. Oggi la Siria è vittima di una guerra saudita, una guerra d’invasione e conquista dell’Arabia Saudita.

Le legioni saudite sferzano la Siria
 
Vedendo che gli Stati Uniti erano riluttanti ad inviare truppe per combattere il regime di Damasco, dopo l’attacco chimico avvenuto il 21 agosto 2013, il regime di Riyadh ha deciso di raddoppiare gli sforzi per aumentare sensibilmente la spesa militare e il numero di mercenari sauditi nella guerra contro la Siria. Nel frattempo, centinaia di sauditi, soldati attivi e riservisti, sono andati in Siria a rafforzare i gruppi terroristici più radicali come al-Nusra e Desh. Nelle ultime settimane, il quotidiano libanese al-Safir e i media di Stato siriani hanno scoperto il maggiore coinvolgimento della monarchia wahabita, indicando che alcuni membri dell’esercito saudita, tra cui un colonnello, sono stati catturati dall’Esercito siriano ad Aleppo, mentre un generale capo di stato maggiore dell’esercito saudita, Nayaf Adil al-Shumarim, era stato ucciso in un attacco suicida a Dayr Atiyah. I media siriani ne hanno pubblicato la foto in uniforme dell’esercito saudita. Al-Shumari era il figlio del capo della guardia reale saudita. Un’altra personalità saudita, Mutlaq al-Mutlaq, figlio del generale saudita Abdullah Mutlaq Sudayri, è stato ucciso ad Aleppo. Alla sua morte, le autorità saudite hanno cercato di dissociarsi dal suo ingaggio in Siria, affermando che era latitante nel Paese in guerra. Le osservazioni del giornale al-Safir, tuttavia, indicano che lo zio paterno di Mutlaq al-Mutlaq è anch’egli in Siria tra i jihadisti. (13) Tra le migliaia di sauditi attualmente presenti in Siria, ci sono anche sceicchi influenti come Abdullah al-Muhaysany. In un video pubblicato su Youtube, si vede con un’arma in mano decantare il fronte al-Nusra e lo Stato Islamico dell’Iraq e Levante (SIIL), entrambi filiali di al-Qaida in Siria e maledire shiiti e alawiti (14). L’inerzia dei servizi segreti sauditi di fronte alla presenza di figure pubbliche come al-Muhaysany solleva interrogativi. All’inizio del conflitto, le autorità saudite sembravano voler mantenere i loro cittadini lontani dalla guerra in Siria. Nel settembre 2012, diversi religiosi appartenenti ad un ente governativo avevano anche sconsigliato i loro cittadini dal recarsi a combattere in Siria. (15) Oggi, Riyadh sembra invece predicare con veemenza la guerra totale nel Paese. Alla fine di novembre 2013, l’Esercito arabo siriano annunciava di aver catturato non meno di 80 combattenti sauditi a Dayr Atiyah, durante la battaglia del Qalamun. Il 15 gennaio 2014, l’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite Bashar al-Jafari ha detto che il 15% dei combattenti stranieri in Siria è saudita. Nei suoi ultimi due interventi, il presidente siriano Bashar al-Assad ha sottolineato la minaccia del wahhabismo all’Islam e al mondo, aggiungendo: “(…) tutti devono contribuire alla lotta contro il wahabismo e alla sua eradicazione.” Il presidente siriano ha confermato che la guerra siriana è diventata una guerra dell’Arabia Saudita contro la Siria.

Conclusione
 
Quando parliamo del ruolo dell’Arabia Saudita nella guerra di Siria, per ignoranza o malafede, gli analisti occidentali spesso sono vaghi o semplicemente ripetono banalità sulla rivalità tra Iran e la dinastia Saud. Se i media occidentali, soprattutto francesi, sono avari di critiche verso le monarchie del Golfo, sono totalmente silenziosi sull’ossessione dei Saud nel confessionalizzare a tutti i costi un conflitto eminentemente politico, geostrategico e ideologico. E’ vero che i “nostri” esperti collegano il discorso religioso e l’estremismo della ribellione, ma ne parlano come conseguenza e non come  causa principale del conflitto e della sua perpetuazione. Tuttavia, le forze del regime hanno sempre sottolineato la solidarietà interconfessionale e l’unità del Paese al centro della lotta (che i media mainstream continuano a menzionare, facendo passare le forze lealiste per i membri di una sola comunità) mentre i gruppi armati inaspriscono le loro differenze e purezza dalle comunità considerate devianti rispetto alla popolazione in generale. Qualora questi miliziani fanatici  prendessero il potere, si avranno caos e terrore. Nelle cosiddette zone “liberate”, il gioco pericoloso anti-sciita e anti-alawita offerto dalla propaganda saudita s’è rapidamente trasformato in una campagna per sterminare tutto ciò che non è sunnita, prima, e tutto ciò che è diverso, poi. Ciò è il fenomeno che vediamo oggi, con la liquidazione di oltre mille jihadisti in due settimane di guerra tra fazioni rivali che sostengono la stessa fede e la stessa pratica teologica.
In tre anni di crisi e di guerra in Siria, la strategia saudita è passata dal ‘soft power‘ della wahhabizzazione rampante alla guerra diretta. I Saud hanno sabotato qualsiasi prospettiva di riforma, democratizzazione e riconciliazione in Siria. Poi hanno spinto i siriani a uccidersi a vicenda lanciando contro le forze lealiste i gruppi armati creati da zero a loro immagine. Vedendo fallire il loro piano per rovesciare il regime, hanno deciso di fare di tutto per ridurre in polvere la Siria con l’aiuto di al-Qaida. Mentre il regime teocratico di Riyadh è in guerra contro al-Qaida a livello interno, alcuni esperti occidentali dubitano ancora del sostegno di Riyadh ai terroristi in Siria. Tuttavia, la manipolazione dei servizi sauditi dei gruppi di al-Qaida come al-Nusra e il SIIL non è solo una costante della politica estera saudita, ma in aggiunta le milizie del Fronte islamico (FI) e dell’Esercito libero siriano (ELS) che l’Arabia Saudita sostiene, hanno ufficialmente un’ideologia quasi identica a quella di al-Qaida. Così tutti, dal capo dell’intelligence saudita Bandar bin Sultan al leader supremo di al-Qaida, Ayman al-Zawahiri, dall’emiro di al-Nusra, Abu Muhammad al-Julani, al comandante dell’Esercito libero siriano Salim Idris, all’emiro di Desh Abu Baqr al-Baghdadi e al comandante del Fronte islamico (FI), Zahran al-Lush, sostengono lo stesso discorso, gli stessi metodi e gli stessi obiettivi in Siria. Il terrorismo di tali bande e del loro mandante saudita non lascia scelta alla Siria sovrana che resistere o sparire. Siamo sicuramente ancora lontani dalla pace.

Note
 
(1) Ho osservato tale fenomeno della wahhabizzazione nei miei numerosi viaggi in Siria tra il 1998 e il 2005. E’ stato osservato da Alper Birdal e Yigit Gunay, autori di un libro critico sulla primavera araba (Arap Bahari Aldatmacasi, ed. Yazilama, 2012). La figura dell’opposizione siriana Haytham Mana ha parlato perfino di una wahhabizzazione progressiva in Siria, durante una conferenza a Bruxelles del 3 novembre 2013.
(2) Muhammad Surur Zayn al-Abidin attualmente vive in Giordania.
(3) Secondo un articolo del 12 novembre del New York Times firmato da Ben Hubbard, dodici quwaytiani, tra cui un certo Ghanim al-Matayri, inviavano apertamente fondi per la jihad in Siria. Anche imam che vivono in Europa sono coinvolti nel traffico internazionale di armi in Siria, come l’imam siriano esiliato in Svezia Haytham Rahmah.
(4) A Qamashli, nella Siria nord-orientale, si ebbero sanguinosi disordini interetnici nel 2004 tra tifosi di calcio arabi e curdi.
(5) La leggenda narra che un ebreo convertito all’Islam, Abdullah Ibn Saba, sia il fondatore dello sciismo. Alcune fonti sunnite indicano Ibn Saba come agente provocatore ebreo che aveva la missione di distruggere l’Islam dall’interno. Ma fino ad oggi le autorità sciite negano l’esistenza stessa di questo personaggio e accusano gli autori di tale “mito” di cercare di screditare la loro fede.
(6) Faruq significa che distingue il bene dal male.
(7) Vedi
(8) Vedi
(9) Per dettagli su Bandar bin Sultan, Bahar Kimyongür, Syriana, la conquista continua, Ed. Investig’Action e Couleur Livres, Charleroi, 2012
(10) Times, Ribelli laici e islamici della Siria: Chi armano i sauditi e il Qatar?, 18 settembre, 2012
(11) New York Times, I sauditi aumentano gli aiuti ai ribelli in Siria con armi croate, 25 febbraio 2013
(12) Reuters, L’Arabia saudita fornisce missili ai ribelli in Siria: fonte del Golfo, 17 giugno 2013
(13) al-Safir, Jihadisti sauditi fluiscono in Siria, 5 dicembre 2012
(14) Vedi, Lo slogan dello sceicco saudita mette nello stesso paniere sciiti e USA, un controsenso. Il regno di cui è cittadino non solo è un protettorato degli Stati Uniti, ma inoltre Washington è uno dei principali sostenitori della jihad in Siria.
(15) Reuters, I sauditi scoraggiano i cittadini dalla “jihad” siriana, 12 settembre 2012

 https://aurorasito.wordpress.com/2014/01/26/la-guerra-dei-saud-contro-la-siria/

Nessun commento:

Posta un commento