venerdì 18 maggio 2012

L'antipolitica, il grillismo e il controllo sistemico, di Eugenio Orso


Voglio proporre una definizione (spero) originale di antipolitica che potrebbe valere nelle attuali contingenze, senza prenderla troppo alla lontana scomodando la polis del demos e il mondo antico:
«Antipolitica è tutto ciò che si muove, politicamente critico ma non autenticamente rivoluzionario, al di fuori dei cartelli elettorali del sistema liberaldemocratico, e che potrà a sua volta diventare interno al sistema stesso in seguito ad affermazioni elettorali, assegnazioni di seggi in parlamento e cooptazione dei nuovi arrivati nella sub-dominanza politica nazionale.»
Se questa è l’antipolitica, tanto sbandierata propagandisticamente come un pericolo “per la democrazia” dall’apparato ideologico-massmediatico ed accademico in momenti elettorali e in momenti critici per la tenuta sistemica come questo, allora non è altro che l’anticamera per accedere ad una posizione di sub-potere all’ultimo livello della catena di comando neocapitalistica, che coincide con la dimensione nazionale.
Marine Le Pen, fuori degli italici confini, sarebbe antipolitica, secondo la definizione di antipolitica da me proposta?
Assolutamente no, perché è talmente interna al sistema liberaldemocratico, in tal caso francese, e alla sub-dominanza politica d’oltralpe, che addirittura è figlia di un politico di professione della République, Jean-Marie, e ne ha semplicemente raccolto il testimone.
«Come?» – dirà qualcuno, sdegnato – «Lo xenofobo e populista Le Pen è stato un politico “di sistema” liberaldemocratico?»
Certo, e così anche la sua figliola, perché Le Pen padre si è sempre presentato con il Front National alle elezioni, come gli altri partiti, allo stesso modo di gollisti e socialisti, ed ha sempre abbassato la testa davanti alle regole sistemiche in caso di sconfitta, senza provarsi ad incendiare piazze e a far erigere barricate per le strade, mentre la figliola, continuando la sua opera, ha messo in ombra la questione degli immigrati (con conseguente riduzione dell’intolleranza xenofobica) ed ha astutamente insistito su quella politicamente più pagante della sovranità politica e monetaria.
Qualcosa di simile varrà, probabilmente, per il temutissimo partito greco di estrema destra Alba radiosa (uno dei tre “destrorsi” presentatisi alle recenti politiche nell’Ellade), definito addirittura nazista per la simbologia pittoresca che usa e il suo approssimativo programma nazional-antieuropeista, che potrebbe fare la fine “parlamentarista” dell’ammorbidito Front National francese, o almeno quella del temuto Jobbik ungherese, comodamente seduto nel parlamento di Budapest e non certo per le strade a sparare.
Ma veniamo a noi e all’Italia, in cui le elezioni politiche ancora e chissà per quanto tempo non si potranno fare, a differenza della Francia che ha avuto le presidenziali, e addirittura della Grecia, primo paese occupato dalla Trojka globalista, che è andata alle urne per rinnovare il parlamento nazionale.
Ci sono state, qui da noi, elezioni amministrative parziali, che hanno riguardato meno di 7,2 milioni di aventi diritto al voto, elezioni indette per mantenere il rito elettorale liberaldemocratico – il popolo può esprimersi ancora, nonostante Monti non eletto e la sovranità nazionale ridotta a zero – ed elezioni che soprattutto non decidono aspetti rilevanti come la “riforma” del mercato del lavoro, la pressione fiscale, la cosiddetta spending review del governo (con un anglicismo caro a Monti), e simili questioni strategiche.
La bestia nera di queste elezioni non è stato un fronte nazionale populista ed antieuropeo, una formazione neonazista di nerboruti picchiatori, un partito xenofobo, o peggio (che Dio ci scampi!), omofobico, bensì le liste elettorali di un personaggio, ex attore di buon successo ed ex comico di grande successo, che presentavano i nomi di sconosciuti in prevalenza di giovane età, in molti casi dotati di buoni titoli di studio, non di rado precari, che soffrono per il peso delle politiche antipopolari degli ultimi esecutivi e per quello di una politica minore, che non decide più, ma che mangia risorse a tutto spiano in cambio dell’appoggio a governi di occupazione imposti all’esterno (non per voler a tutti i costi fare nomi: quello di Monti-Napolitano).
Anche se Napolitano dice che il voto invita a riflettere sulla governabilità, ma che non c’e nessun “boom”, e lui di “boom” ricorda quello degli anni sessanta – quando era un giovane dirigente comunista, sia pur amendoliano di destra e non più stalinista, o addirittura fascista come nei primi quaranta – i molti  voti acquisiti dalle liste di Grillo annunciano un nuovo partito politico che si inserirà prima o poi nel circuito liberaldemocratico.
Un nuovo partito che entrerà in parlamento a dividersi con gli altri i seggi nell’emiciclo, quando e se si terranno le politiche con il placet del grande capitale finanziario, cui lo stesso Napolitano (cortigiana di tutti nella sua lunga esistenza fatta di numerose metamorfosi) riporta senza fiatare.
Certo, qualche ragione c’è l’ha Debora Billi che nel suo post Elezioni: il Movimento 5 Stelle e il miracolo italiano, comparso oggi in Crisis e ComeDonChisciotte, dice che gli italiani hanno avuto culo, in qualche modo, gli è andata addirittura di lusso, perché l’”antipolitica” qui è rappresentata da bravi giovani, con le facce pulite, adeguatamente forniti di titoli di studio e specializzazioni, e non dalle teste rasate, da sciovinisti impuniti e da picchiatori psicopatici.
In tal senso, secondo la Billi, c’è stato un “miracolo italiano”.
Sarà vero … ma se le liste di Grillo sono una valvola di sfogo della pur timida e politicamente corretta protesta (naturalmente Nonviolenta! Ci mancherebbe solo questo!), allora il punto è un altro e forse, riflettendoci sopra, si capirà che proprio tanto culo gli italiani non hanno avuto, in prospettiva futura.
Ci si dovrebbe chiedere perché l’apparato ideologico-massmediatico ha dato tanto spazio al “populista” Grillo (così lo definivano coralmente prima delle elezioni giornali e televisioni) e alle sue liste incorruttibili dal “bollino blu” – pur evocando i soliti pericoli connessi al “populismo” – se queste potranno essere veramente pericolose per la stabilità e la riproducibilità sistemica complessiva, per il governo Monti-Napolitano, per i piani della classe globale in relazione all’Italia e al suo futuro.
Sarebbe stato meglio, e i media possono farlo, silenziare del tutto Grillo e i suoi giovani, ignorando totalmente la loro pur pacifica protesta e la loro presenza.
La risposta potrebbe essere che Grillo e i suoi grillini dalle facce pulite, giovani sconosciuti e sicuramente in buona fede, servono da valvola di sfogo del profondo ed ampio malessere politico e sociale che investe il paese (valvola di sfogo, appunto, esattamente come ha scritto la Billi nel suo post) per evitare che la protesta si irrobustisca, esca dai recinti sistemici e diventi effettiva, portando alla formazione di un vero blocco sociale e politico antagonista, capace di esprimere un’alternativa e di coagulare rapidamente intorno a sé le masse impoverite e tradite dalla politica minore.
Con Grillo e i suoi giovani il sistema non dovrebbe correre questo rischio, cioè il rischio che la tanto millantata “antipolitica” – il babau favorito dai media asserviti al potere – si trasformi in effettiva critica sociale al neocapitalismo, la quale, non trovando altri sbocchi possibili, potrebbe diventare in futuro “critica delle armi”.
Pericolo scampato, con la relativa affermazione di Grillo e dei grillini, che probabilmente costituiranno un partito per arrivare in parlamento?
Forse, ma intanto, nonostante le amministrative parziali in cui il movimento 5 Stelle ha spopolato, niente cambia per quanto riguarda la controriforma del lavoro, che s’ha da fare per ordine superiore ed esterno, o l’insostenibile fiscalità che induce al suicidio, e questo è un tragico dato di fatto.

Allego un interessante commento fatto da Eugenio Orso ad un mio articolo, sullo stesso argomento. Il mio articolo è questo: http://zecchinellistefano.blogspot.it/2012/05/dallanti-politica-alla-post-politica.html

Ho letto l'articolo relativo alla post-politica.


Veniamo la punto 1, con la precisazione che la mia personale definizione di antipolitica è velatamente ironica, ma soprattutto finalizzata allo sviluppo del discorso che ho inteso fare scrivendo il presente articolo.
Se per post-politica si intende la scomparsa progressiva della partecipazione popolare (per quanto manipolata e orientata nel senso voluto), lo svuotamento di contenuti dei partiti, che diventano sempre più "leggeri" e avulsi a comunità e territorio, nonché l’atto definitivo di morte della dicotomia destra/sinistra, non posso che convenire.
Le elezioni politiche, in quanto rito sistemico, non sembrano più tanto necessarie, e le élite neocapitalsitiche le sospendono a piacimento, sostituendo progressivamente la (putrefatta) liberaldemocrazia con una Dittatura indiretta della classe globale. In tal senso, l'esperimento greco e quello italiano. L'importante è che le masse-pauper, condannate a morte, non possano esprimersi in alcun modo sulle scelte strategico-politiche che le riguardano direttamente, o che lo facciano soltanto a cose fatte e a controriforme realizzate (esattamente come vuole l’infame rinnegato e servo Bersani del Pd, che sosterrà il governo di occupazione fino alla fine, fino al 2013).


Per quanto riguarda il punto 2 dell'articolo, vorrei fare qualche semplice precisazione.
Non senza un po' di ironia, confesso che io sono un "lavoratore intellettuale" (origine: ceto medio legato al lavoro intellettuale dipendente, oggi impoverito), e che non nutro particolare stima per bottegai, commercianti e piccoli faccendieri vari.
Il nucleo originario dell’elettorato e della militanza leghista, intorno al quale si è consolidato il potere della lega e quello personale del satrapo Bossi, è proprio costituito da questi soggetti (sociali), e non è certo un caso.
Che poi questo “movimento” sia un sublime esempio di interclassismo … 
E’ bene chiarire questo aspetto e mettere in dubbio l’interclassismo leghista, se non altro perché il voto operaio del nord intercettato dalla lega (elezioni politiche del 2008, in cui è emerso prepotentemente il problema) è confluito nel cosiddetto carroccio per disperazione degli operai abbandonati a sé stessi proprio da quei partiti (infami, ultrarevisionisti e infine servi del neoliberismo) che avrebbero dovuto rappresentarne gli interessi.
E siccome “voto non olet” (esattamente come il denaro, i gioielli, i lingotti, le porsche o le audi a6 …) la lega lo ha fagocitato opportunisticamente, ma poi per circa tre anni ha supportato politiche antipopolari e (neanche a dirlo) antioperaie, standosene come un topo nel formaggio a Roma e gestendo quattro ministeri.
La reintroduzione delle famigerate gabbie salariali è una proposta leghista, respinta persino da molti forzisti …
La lega bossiana se ne è sempre sbattuta degli attacchi al Ccnl e allo Statuto dei Lavoratori.
L’IMU si sarebbe accompagnata al “federalismo” voluto da Bossi e compari, imposto a Berlusconi, eccetera, eccetera.
Quello della lega è (o forse dobbiamo già dire era) un interclassismo sbilanciato, che danneggia in particolare i lavoratori dipendenti, e fra loro gli operai.
Altro piccolo rilievo, i bottegai “padani”, i piccoli commercianti inseriti in una rete distributiva abnorme come quella italiana, che solo la violenza della crisi razionalizza, i piccoli imprenditori del nord, figli della “sfiga” (con il senno di poi, in piena crisi della PMI) perché nati dalla frantumazione del tessuto produttivo nazionale in una miriade di piccole unità deboli ed esposte, sarebbero i mitici “ceti produttivi” che reggono le sorti del paese?
E’ chiaro che scherzo, ma c’è chi ha propagandato questa assurdità capitalistica e chi ci ha veramente creduto … mentre le delocalizzazioni, la grande distribuzione, la concorrenza “sleale” emergente iniziavano a farla da padroni.
Per quanto riguarda l’integrazione del “lavoro intellettuale subalterno” nel sistema neocapitalistico, stiamo un po’ attenti a non generalizzare troppo, perché molta parte di questi soggetti subirà un processo di riplebeizzazione (finendo nell’immenso calderone della classe povera), mentre soltanto una minoranza, invero piccola, può essere cooptata negli strati più bassi della classe globale neodominante.
A questo proposito ricordo che i vecchi marxisti, basandosi anzitutto sulla dicotomia sociale di Marx Borghesia/Proletariato si trovavano in imbarazzo davanti agli “impiegati”.
Cos’erano?
Non borghesi perché non proprietari dei mezzi di produzione, ma neppure proletari perché non subivano l’intenso sfruttamento degli operai e l’estorsione selvaggia del plusvalore.
In non pochi casi, avevano funzioni direttive di rilievo ed erano uomini di fiducia della proprietà, ben retribuiti.
I vecchi marxisti, per trarsi d’impaccio, conclusero che lo sviluppo del capitalismo avrebbe provocato il riassorbimento degli “impiegati” (che per noi potrebbero corrispondere al “lavoro intellettuale subordinato”) nel proletariato.
Pur muovendo da presupposti ormai non attuali, superati dal corso storico, i vecchi marxisti in fondo non si sono sbagliati del tutto, tranne che i ceti medi riplebeizzati e impoveriti alimenteranno la Pauper class e non il tradizionale proletariato otto-novecentesco, che è stato disintegrato dalle trasformazioni neocapitalistiche ancora in corso.


Saluti


Eugenio Orso

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