martedì 14 febbraio 2012

LA LOTTA DEGLI ZAPATISTI È UN ESEMPIO PER IL CILE, INTERVISTA A CARMEN CASTILLO ECHEVERRIA, CINEASTA CILENA

La Jornada 6 ottobre 2004
INTERVISTA A CARMEN CASTILLO ECHEVERRIA, CINEASTA CILENA
LA LOTTA DEGLI ZAPATISTI È UN ESEMPIO PER IL CILE
"IL NOSTRO È IL PAESE DEI RICCHI, DEL DENARO, DEL CONSUMISMO"
Salvador Allende e Miguel Enríquez, leader del MIR, "rimangono nella memoria sociale perché sono eroi del popolo. Sono quelli che hanno lottato per la giustizia, la libertà e per un mondo solidale e democratico"
HUGO GUZMAN R. - ESCLUSIVO PER LA JORNADA

Il pomeriggio di sabato 5 ottobre del 1974, 30 anni fa, Carmen Castillo Echeverría cadeva tramortita e con un braccio spezzato per l'effetto di una granata esplosa in mezzo alla stanza di una casa che serviva da rifugio al capo della resistenza contro la dittatura militare cilena. Accanto a lei, la sua mitraglietta Scorpio ed il suo compagno, il medico Miguel Enríquez Espinosa, segretario generale del Movimento di Sinistra Rivoluzionaria (MIR), che affrontò diverse decine di militari.

Oggi sappiamo che lo scontro è durato tre ore e che 10 colpi hanno ucciso l'uomo che aveva deciso di non uscire dal Cile e mettersi a capo dei primi passi dei lunghi 17 anni di lotta contro la dittatura.

La cineasta Carmen Castillo, si oppone "al culto alla morte in cui normalmente cade la sinistra", rivendica "la costruzione di una resistenza ed una ribellione nuova che crea ed inventa" e che si fonde "con la memoria popolare" dove figurano i leader e le organizzazioni di quella che fu la "sinistra rivoluzionaria" dell'America Latina.

"Adesso tocca a Miguel", disse il presidente Salvador Allende a sua figlia Beatriz, Tati, in pieno combattimento nel palazzo de La Moneda. In effetti, Miguel Enríquez alla testa del MIR - che arrivò a 10 mila militanti e circa 500 armi - capeggiò la nascente resistenza che, alla fine, lasciò sul campo 450 militanti del MIR assassinati o scomparsi e circa 4 mila dei loro famigliari in prigione e in esilio.

Quel pomeriggio Carmen Castillo si salvò grazie alle cure di un medico ed un'infermiera che sono ancora coperti dall'anonimato. Ferita, la picchiarono e torturarono.

Dopo settimane nell'Ospedale Militare, fu espulsa dal Cile sotto lo sguardo attento del generale Manuel Contreras, capo della Dina (Direzione di Intelligenza Nazionale), la polizia segreta di Pinochet. Tre decenni più tardi, con diverse iniziative in Cile ed in altri paesi in ricordo di Miguel Enríquez, evoca e prospetta.

- Trent'anni dopo i cileni, soprattutto i giovani, ricordano Miguel Enríquez, Salvador Allende. A cosa è dovuto il persistere di questo ricordo?

- Restano nella memoria sociale perché sono gli eroi del popolo. Sono quelli che hanno lottato per la giustizia, per la libertà e per un mondo solidale, democratico. E questo continua ad essere l'obiettivo nella misura in cui questo Cile è il paese dei ricchi, del denaro, del consumismo, del neoliberismo. Salvador Allende e Miguel Enríquez sono due figure fondamentali nella memoria viva popolare, in tutti quelli che creano ed inventano nuove forme di organizzazione e di pensiero. Perché non sono le stesse idee né gli stessi modi di prima; non possono essere gli stessi perché il mondo è cambiato, la realtà è cambiata. Persiste l'essenza del desiderio di lottare contro le ingiustizie, di creare un potere popolare, di creare autonomie, di sapere che se si è in due e non uno, si è più forti, di capire che solo la lotta ci renderà liberi. In Cile cominciano a costituirsi le reti tra la gente, le università, nelle zone suburbane.

"Miguel Enríquez è parte della memoria popolare ed è di supporto ai gruppi organizzati, ai raggruppamenti della società civile popolare. Miguel è presente, con i suoi obiettivi, perché la situazione dei poveri, del popolo, è uguale o peggiore. Non c'è una politica di stato in Cile che risponda alle minime richieste popolari, gli indici di diminuzione della povertà sono falsi. Non considerano povero qualcuno se ha una radio, o un frigorifero: sono gli oggetti che determinano se c'è o no la povertà. Si ignora se la gente ha un lavoro, se mangia bene, se ha salute ed educazione".

- Miguel Enríquez ed altri dirigenti rivoluzionari sono visti come dogmatici, meno flessibili di quello che è oggi l'espressione di ribellione.

- Eravamo in un'altra epoca. Credo, in ogni caso, che il MIR in origine fosse poco dogmatico, molto iconoclasta, non bisogna dimenticare che invitò a votare per Allende, non eravamo rinchiusi in una logica di lotta armata, ci rendemmo conto che il periodo pre-rivoluzionario era di massa; creammo cultura, creammo mezzi di comunicazione, inventammo un linguaggio. Non eravamo stalinisti e facemmo una pesante critica del mondo del socialismo reale, pensavamo alla lotta continentale. Tu citi altri dirigenti e con loro arrivò l'alleanza con l'Esercito Rivoluzionario dal Popolo argentino, con i Tupamaros dell'Uruguay e quelli dell'Esercito di Liberazione Nazionale in Bolivia. Indubbiamente dopo il colpo di Stato (dell'11 settembre 1973, in Cile) peggiorammo, certo, diventammo dogmatici, chiusi, apparve il culto alla morte, la nozione di avanguardia, non eravamo più capaci di leggere la realtà del Cile.

- Può esserci un punto di incontro tra quei movimenti rivoluzionari e le espressioni di resistenza antineoliberista, lo zapatismo, il movimento indigeno di oggi?

- I sopravvissuti del MIR, di quegli anni, con i giovani di oggi, in questi giorni abbiamo discusso ricordando Miguel. Il MIR, come partito, finisce negli anni 90. Ma in Cile c'è una cultura mirista, una posizione mirista, e questa cultura e questa posizione ha molto a che vedere con lo zapatismo, questa cultura di ribellione in Cile ha molto a che vedere con lo zapatismo nelle nuove forme di ribellione, nelle nuove lotte e nella radicalità di oggi. Molti vecchi miristi, molti vecchi ribelli, ci siamo accorti di non essere stati annichiliti a partire dall'apparizione dello zapatismo. Siamo stati sconfitti ma non annichiliti nell'anima e nel desiderio che il mondo cambi.

"Per esempio, è impressionante come in Cile si studino i testi dello zapatismo, le lotte dello zapatismo, tra il movimento mapuche, nel movimento suburbano, nei piccoli cordoni industriali che stanno apparendo, tra gli studenti. Per me, nella memoria e nella pratica di tutti i giorni c'è una relazione io direi ontologica, poetica, filosofica e dell'intelligenza politica tra quello che fu il mirismo e la ribellione di Miguel Enríquez con fenomeni come lo zapatismo".

- Il Cile si mostra come la panacea del neoliberismo. È sorta una forma di pensiero diverso, c'è una ricostruzione della ribellione?

- Esiste un pensiero nuovo e critico. A livello del potere non ci sono intellettuali critici, gli unici che appaiono sono gli impresari, i politici in alto, i funzionari che non hanno nessuna relazione con la società civile, il divertimento, l'allegra compagnia. Ma c'è un pensiero nuovo che sta emergendo, per fortuna, senza dogmatismo. Quello che permane della memoria è il resistere, il creare. C'è un pensiero critico, persone che l'esprimono, c'è una cultura musicale nuova, c'è l'hip-hop, c'è teatro critico, ci sono cellule universitarie, ci sono reti popolari. C'è una circolazione di pensiero tra la base, attraverso quelli che stanno in basso. Si sta costruendo una ribellione. Si vede. Non so se questo si trasformerà un giorno in un'alternativa più visibile, ma per il momento il compito è costruire il movimento popolare ed il suo pensiero in questo Cile che viene mostrato tanto di successo. Esiste un'altra faccia della realtà.

- Evocare Miguel Enríquez, il movimento rivoluzionario degli anni '70 che alcuni hanno sepolto, può avere a che vedere con una cultura politica, un senso di appartenenza ribelle a livello latinoamericano?

- Certo, è la cultura di dire "basta", di dire "no", come dicono gli zapatisti. In America Latina c'è una cultura di ribellione, ed è una cultura che crea, che inventa, intelligente. E' una cultura, un sentimento, che hanno tentato di schiacciare e, in verità, non ci sono riusciti.

- Come si sente a 30 anni da quel pomeriggio di pallottole, di dolore?

- Mi sento molto forte perché sto vivendo, realmente, agendo. Non sento nostalgia, perché Miguel è presente nella mia mente, nel mio corpo, ed è presente come qualcuno con cui pensiamo ed agiamo insieme. Questo sento, oggi, in molti compagni. Ho, abbiamo, molta energia, molta forza, c'è molta forza in quello che sta accadendo in questi giorni, in questa epoca.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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