sabato 24 settembre 2011

Stato palestinese. Quale? di Fulvio Grimaldi


Stato palestinese. Quale?
Divampano sull’evento epocale, non le polemiche, i pro e i contro, ma semplicemente la celebrazione festosa dell’imminente riconoscimento dello Stato palestinese. Se non al Consiglio di Sicurezza, dove veta l’obeso sicario di Israele, almeno dalla maggioranza degli Stati membri, in modo da passare da “osservatore” a “Stato osservatore”, magari Stato-non-membro. Stato riconosciuto, governo riconosciuto. Il governo e l’ANP, Autorità Nazionale Palestinese. Cioè la più corrotta e rinnegata ciurmaglia mai apparsa sulla scena palestinese. Sono loro che si sono inventati questa operazione. Di pura propaganda e immagine. Tale da raccogliere attenzione e consensi internazionali (Nato?)? No, tale da affossare per secoli una soluzione giusta, definitiva, di inclusione, antirazzista e antintegralista: lo Stato Unico. Quello di cui fu propositore antesignano proprio Muammar Gheddafi, con i suoi 40mila rifugiati palestinesi (i meglio trattati e integrati di tutto il mondo arabo, oggi oggetto di pogrom come i neri) e a cui aderì il meglio dell’intellettualità ebraica, a cominciare da Ilan Pappe, filo palestinese e pacifista internazionale.
Israele sbatte le sciabole. Ci sarà pure la divisione tra falchi e colombe nel governo del fascista Netaniahu e del nazista Lieberman (non si fanno mancare niente), tra chi li vorrebbe cacciare tutti, quei palestinesi inesistenti, per Eretz Israel monoetnico (con tutti quegli europei?) e monoconfessionale, e chi vuole la stessa roba, ma con la gradualità necessaria all’assorbimento internazionale, passando per quello “Stato” – ha-ha-ha! – che c’è adesso: una miriade di tessere sparpagliate, che il puzzle non lo completeranno mai, un’acqua ridotta a rigagnolo perché Israele possa far “fiorire il deserto”, strade di separazione tra mezzo milione di coloni aizzati al linciaggio e 1, 5 milioni di palestinesi, 20 parlamentari democraticamente eletti in carcere e altri 10mila detenuti, senza processo, a tempo indeterminato. Spesso torturati. Mentre Israele vocifera, un po’ effettivamente per farsi sentire nel deserto diplomatico e d’opinione pubblica che gli ha creato attorno la sua apocalittica strategia della violenza e del crimine, ci si muove zitti zitti verso una convivenza con il 12% (meno il muro) sbrindellato di Palestina. A ciò serve prepararsi: raddoppiare il ritmo delle costruzioni nelle colonie, incrementarne gli abitanti, tutti con lo schioppo (quello palestinese sta in mano solo a terroristi), terrorizzare i villaggi palestinesi con incursioni che li distolgano dal difendere le loro terre, i loro ulivi, i loro piccoli pozzi (che poi i coloni porteranno a 800 metri di profondità, succhiando tutto il resto). Quanto alla “sicurezza”, alla liquidazione degli scontenti , ci penserà la ben collaudata sinergia tra truppe nazisioniste e poliziotti palestinesi addestrati e pagati dagli Usa.
Nel 1948 l’ONU divise la Palestina dei palestinesi tra un Israele invasore e aggressore e un popolo autoctono: 78% e 22% poi ridotto a 17, a 12, a 10. Non stabilì i confini. Ora li stabilisce, per la Palestina, il governo degli occupanti, avendo intanto inferto un muro in profondità al corpo palestinese e occupato tutta la terra che costeggia il Giordano (dove ci sono l’acqua e le terre fertili). Il controllo dei “confini” sarà di Israele come di un cerchio attorno alla botticella. Sul cielo dei palestinesi non si discute nemmeno. Il mare non c’è più da tempo. Dal 1948 il popolo titolare di questa terra è decimato, seviziato, espropriato, espulso. Nell’impunità e nella benigna osservazione mondiali. Da più di un secolo questi blaterano di una Grande Israele e fanno fuori, in Palestina e in giro per il mondo, chi non condivide e chi non condivide neppure il planeticidio reso possibile dai due paradigmi su cui si regge il rudere imperialista-sionista: “scontro di civiltà” e “guerra al terrorismo” .
Se l’ONU riconosce quella mezza sega di “Stato osservatore”, ci sarà uno tsunami benpensante e puntiglioso mondiale di “ma che cosa vogliono ancora questi!”, nell’ipotesi che la collusione ANP-Israele-Usa-UE non abbia tappato la bocca, o fermato la mano a qualche irriducibile. Se i cinque milioni e passa di palestinesi che, dai loro campi e dalle loro lontananze, non cessano di mirare alla propria patria, dovessero provocare turbolenze, ci saranno i nuovi regimi in fieri di Siria, Libia, Egitto, Libano e i vecchi amici di Giordania, Golfo e simili, a ricondurli alla moderazione. Questa ANP, questo regime nazisionista, questa confraternita della bella morte occidentale, li terranno apolidi, esclusi, defuturizzati, fino a quando non si saranno estinti. Il crimine Palestina durerà, pseudostato o non pseudostato, durerà il fanatismo integralista ebraico, durerà l’occupazione, durerà l’agonia. E la soluzione si farà sanguisuga delle ultime energie di resistenza. O no.
Tutte le fazioni palestinesi all’interno dell’OLP (dove Hamas e altri non ci sono), buone o “cattive”, sostengono l’iniziativa del quisling Abu Mazen, per quanto alcune di esse, di origine marxista come FPLP e FDLP, dovrebbero individuare qualche contraddizione nell’erezione di uno Stato etnicamente e confessionalmente pulito accanto all’altro. Pare che soffrano della stessa malattia terminale delle sinistre europee. Si oppongono Hamas e la Jihad. Ma l’eccezione, dopo l’unanimità palestinese realizzata nel penoso e autolesionistico sostegno ai mercenari in Libia e nel tradimento di una Libia che da sempre era schierata per la Palestina, lo Stato Unico, e contro Israele con il suo codazzo di satrapi arabi, non consola. Noi restiamo per una Palestina araba che ospiti tanti ebrei quanti si dispongano a vivere in pace, rispetto, solidarietà con gli autoctoni di quella terra

Nessun commento:

Posta un commento