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martedì 23 giugno 2015

Il mito dell'antifascismo sionista, di Roger Garaudy




Nel 1941 Itzak Shamir commise "un crimine imperdonabile dal punto di vista morale: proporre un'alleanza con Hitler, con la Germania nazista contro la gran Bretagna".
Fonte: M. Bar Zohar, Ben Gurion. Le Prophèt armé,
Parigi, Fayard, 1966, p. 99

Quando cominciò la guerra contro Hitler la quasi totalità delle organizzazioni ebraiche s'impegnò a fianco degli alleati e anche alcuni dei più importanti dirigenti, come Chaim Weizmann, presero posizione a loro favore, ma il gruppo sionista tedesco, all'epoca comunque molto minoritario, assunse un atteggiamento contrario e dal 1933 al 1941 si impegnò in una politica di compromesso e perfino di collaborazione con Hitler. Le autorità naziste, mentre perseguitavano gli ebrei, in un primo tempo estromettendoli per esempio dalle funzioni pubbliche, trattavano con i dirigenti sionisti tedeschi e accordavano loro un trattamento di favore, distinguendo gli ebrei integralisti da quelli cui davano la caccia.
L'accusa di collusione con le autorità hitleriane non è indirizzata all'immensa maggioranza degli ebrei, che non avevano atteso la guerra per contrastare il fascismo in Spagna, armi alla mano nelle Brigate internazionali dal 1936 al 1939, che crearono un Comitato ebraico di lotta perfino nel ghetto di Varsavia e seppero morire combattendo, ma è rivolta alla minoranza fortemente organizzata dei dirigenti sionisti che per otto anni (1933-1941) patteggiarono con i nazisti.
L'unica preoccupazione dei sionisti, che era di creare un potente Stato ebraico, unita alla loro visione razzista del mondo, li rendeva molto più anti-inglesi che anti-nazisti. Dopo la guerra essi divennero, come Menahem Begin o Itzak Shamir, dirigenti di primo piano nello Stato di Israele.
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In data 5 settembre 1939 due giorni dopo la dichiarazione di guerra dell'Inghilterra e della Francia alla Germania Chaim Weizmann, presidente dell'Agenzia ebraica, scrisse a Chamberlain, primo ministro inglese, una lettera nella quale lo informava: "noi ebrei siamo al fianco della Gran Bretagna e combatteremo per la Democrazia". E precisava: "i rappresentanti degli ebrei sono pronti a firmare immediatamente un accordo per permettere l'utilizzo di tutte le loro forze in uomini, delle loro tecniche, del loro aiuto materiale e di tutte le loro capacità".
Pubblicata nel "Jewish Chronicle" dell'8 settembre 1939, questa lettera costituì un'autentica dichiarazione di guerra del mondo ebraico alla Germania e pose il problema dell'internamento di tutti gli ebrei tedeschi nei campi di concentramento come "fuorusciti di un popolo in stato di guerra con la Germania".
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Quanto ai dirigenti sionisti, essi hanno dato prova, all'epoca del fascismo hitleriano e mussoliniano, di un comportamento equivoco, oscillante dal sabotaggio della lotta antifascista al tentativo di collaborazione.
L'obiettivo essenziale dei sionisti non era, infatti, salvare la vita degli ebrei, ma creare uno Stato ebraico in Palestina.
Il primo dirigente dello Stato d'Israele, Ben Gurion, il 7 dicembre 1938 affermò senza esitazioni davanti ai vertici sionisti: "Se sapessi che è possibile salvare tutti i bambini della Germania portandoli in Inghilterra, e solamente la metà di essi portandoli in Eretz Israel, sceglierei la seconda soluzione. Perché non dobbiamo pensare solamente alla vita di questi bambini, ma anche alla storia del popolo d'Israele".
Fonte: Yvon Gelbner, Zionist policy and the fate of European Jewry,
in "Yad Vashem Studies", XII, p. 199, Gerusalemme

"La salvezza degli ebrei in Europa non figurava ai primi posti nella lista di priorità della classe dirigente. Ciò che aveva importanza primaria agli occhi di questa era la creazione dello Stato".
Fonte: Tom Segev, Le septième million,
Parigi, Liana Levi, 1993, p. 539

"Dobbiamo aiutare tutti coloro che ne hanno bisogno senza tenere conto delle caratteristiche di ciascuno? Non dobbiamo dare a questa azione un carattere nazionale sionista e tentare di salvare, in primo luogo, coloro che possono essere utili alla terra d'Israele e all'ebraismo? So che può sembrare crudele impostare la questione in questo modo, ma sfortunatamente dobbiamo stabilire chiaramente che se siamo in grado di salvare 10.000 persone tra le 50.000 che possono contribuire alla costruzione del paese e alla rinascita nazionale, oppure un milione di ebrei che diventerebbero per noi un fardello o, meglio, un peso morto, ci dobbiamo limitare e salvare i 10.000 che possono essere salvati, nonostante le accuse e gli appelli del milione lasciato da parte".
Fonte: Memorandum del "Comitato per la salvezza"
dell'Agenzia ebraica, 1943. Cfr. Tom Segev, op. cit.

Questo fanatismo aveva ispirato, per esempio, l'atteggiamento della delegazione sionista alla conferenza di Évian nel luglio 1938, nella quale 31 nazioni si erano riunite per discutere della sistemazione dei profughi della Germania nazista: la delegazione sionista chiese, come unica soluzione possibile, di ammettere duecentomila ebrei in Palestina.
Lo Stato ebraico era più importante della vita degli ebrei.
Il nemico principale per i dirigenti sionisti era l'assimilazione.
Essi condividevano la preoccupazione fondamentale di ogni razzismo, compreso quello hitleriano: la purezza del sangue.
Ecco perché i nazisti, in funzione stessa dell'antisemitismo sistematico che li animava, fino a concepire il disegno mostruoso di cacciare tutti gli ebrei della Germania e poi dell'Europa, fintanto che ne furono padroni, considerarono i sionisti come preziosi interlocutori, giacché questi assecondavano il loro disegno.
Esistono le prove di tale collusione. La Federazione sionista tedesca il 21 giugno 1933 indirizzò al partito nazista un memorandum che dichiarava specificamente:
"Nella formazione di un nuovo Stato, che ha proclamato il principio della razza, noi desideriamo adattare la nostra comunità a queste nuove strutture [...] il nostro riconoscimento della nazionalità ebraica ci permette di stabilire relazioni chiare e sincere con il popolo tedesco e le sue realtà nazionali e razziali. Proprio perché non vogliamo sottovalutare questi principi fondamentali, perché anche noi siamo contro i matrimoni misti e per la conservazione della purezza del gruppo ebraico [...].
"Gli ebrei coscienti della loro identità, a nome dei quali parliamo, possono trovare posto all'interno della struttura dello Stato tedesco perché sono liberati dal risentimento che devono provare gli ebrei assimilati. [...] noi crediamo nella possibilità di relazioni leali tra gli ebrei consapevoli della loro comunità e lo Stato tedesco.
"Per raggiungere questi obiettivi pratici, il sionismo spera di essere in grado di collaborare anche con un governo fondamentalmente ostile agli ebrei [...]. La realizzazione del sionismo non è ostacolata che dal risentimento degli ebrei all'estero contro l'orientamento tedesco attuale.
"La propaganda per il boicottaggio attualmente diretta contro la Germania è essenzialmente non sionista [...]".
Fonte: Lucy Davidowicz, A Holocaust reader, p. 155

Il memorandum aggiungeva: "Nel caso in cui i tedeschi accettassero questa cooperazione i sionisti si sforzeranno di dissuadere gli ebrei all'estero dal progetto di boicottaggio antitedesco".
Fonte: Lucy Davidowicz, The war against jews (1933-1945),
Londra, Penguin, 1977, pp. 231-232

I dirigenti hitleriani accolsero favorevolmente l'orientamento dei capi sionisti che, con la loro preoccupazione esclusiva di costituire uno Stato in Palestina, non andavano contro il loro desiderio di sbarazzarsi degli ebrei.
Il principale teorico nazista Alfred Rosenberg scriveva: "Il sionismo deve essere rigorosamente sostenuto, di modo che un contingente annuale di ebrei tedeschi sia trasferito in Palestina".
Fonte: A. Rosenberg, Die Spur des juden im Wandel der Zeiten,
Monaco, Lehmann, 1937, p. 153

Reinhardt Heydrich, più tardi Gauleiter in Cecoslovacchia, scriveva nel 1935, quando era capo dei servizi di sicurezza SS: "Dobbiamo separare gli ebrei in due categorie, i sionisti e i sostenitori dell'assimilazione. I sionisti professano una concezione strettamente razziale e sono favorevoli all'emigrazione in Palestina, essi aiutano a costruire il loro proprio Stato ebraico [...] le nostre buone intenzioni e la nostra buona volontà ufficiale sono dalla loro parte".
Fonte: H. Höhne, Order of the Death's Head,
New York, Ballantine, 1971, p. 333

"Al Betar tedesco fu assegnato un nuovo nome: Herzlia. Le attività del movimento in Germania ottennero certamente l'approvazione della Gestapo.
"Un giorno un gruppo di SS attaccò un campo estivo del Betar. Il capo del movimento si lamentò allora presso la Gestapo e qualche giorno più tardi, la polizia segreta fece sapere che le SS in questione erano state punite. La Gestapo domandò al Betar quale poteva essere il risarcimento più adeguato. Il movimento domandò che fosse abolito il recente divieto di indossare camicie brune: la richiesta fu esaudita".
Fonte: Ben Yeruham, Sefer Betar, Korot u-Mekorot, 1969
Una circolare della Wilhelmstrasse spiega: "Gli obiettivi di questa categoria di ebrei che si oppongono all'assimilazione e che sono favorevoli a un raggruppamento di loro correligionari in seno a un focolare nazionale, nelle prime file dei quali si trovano i sionisti, sono quelli che meno si preoccupano degli scopi che in realtà persegue la politica tedesca riguardo agli ebrei".
Fonte: Lettera circolare di Bülow-Schwante a tutte l
e missioni diplomatiche del Reich, n. 83, 28 febbraio 1934

"Non c'è alcuna ragione scriveva Bülow-Schwante al ministro degli interni di ostacolare con misure amministrative l'attività sionista in Germania, poiché il sionismo non è in contraddizione con il programma del nazionalsocialismo, il cui obiettivo è quello di allontanare progressivamente gli ebrei dalla Germania".
Fonte: Lettera n. ZU 83-21.28/8 del 13 aprile 1935
Questa direttiva, che confermava le misure precedenti, era applicata alla lettera.
Sullo sfondo di questa condizione privilegiata del sionismo la Ge-stapo bavarese il 28 gennaio 1935 inviò alla polizia questa circolare: "I membri dell'organizzazione sionista, in ragione della loro attività orientata verso l'emigrazione in Palestina, non debbono essere trattati con lo stesso rigore che è necessario per i membri delle organizzazioni tedesche (assimilazioniste)".
Fonte: Kurt Grossmann, Sionistes et non-sionistes sous la loi nazie
dans les années 30,
"American Jewish Yearbook", VI, p. 310

"L'organizzazione sionista degli ebrei tedeschi ebbe esistenza legale fino al 1938, cinque anni dopo la salita al potere di Hitler [...]. La "Judaische Rundschau" (giornale dei sionisti tedeschi) pubblicò fino al 1938".
Fonte: Yeshayahou Leibowitz, Israël et Judaïsme: ma part de vérité,
Bruxelles, Desclée de Brouwer, 1993, p. 116

In cambio del loro riconoscimento ufficiale come unici rappresentanti della comunità ebraica, i dirigenti sionisti offrirono di impedire il boicottaggio tentato da tutti gli antifascisti del mondo.
A partire dal 1933 cominciò la collaborazione economica: furono create due compagnie: la Ha'avara Company a Tel Aviv e la Paltreu a Berlino.
Il meccanismo dell'operazione era il seguente: un ebreo che desiderasse emigrare depositava alla Wasserman Bank di Berlino, o alla Warburg Bank di Amburgo, una somma minima di 1.000 sterline. Con questa somma gli esportatori ebraici potevano comprare mercanzie tedesche destinate alla Palestina e pagavano il valore corrispondente in lire palestinesi, per conto della Ha'avara, alla banca anglo-palestinese di Tel Aviv. Quando l'emigrante arrivava in Palestina, riceveva la somma equivalente al suo deposito in Germania.
Numerosi futuri primi ministri israeliani parteciparono all'impresa Numerosi futuri primi ministri israeliani parteciparono all'impresa della Ha'avara, specialmente Ben Gurion, Moshe Sharett (che allora si chiamava Moshe Shertok), Golda Meir, che l'appoggiò da New York, e Levi Eshkol, che ne fu il rappresentante a Berlino.
Fonte: Ben Gourion e Shertok su "Black",
in Tom Segev, op. cit., pp. 30 e 595

L'operazione era vantaggiosa per entrambe le parti: i nazisti riuscivano a spezzare il blocco (i sionisti poterono vendere i prodotti tedeschi anche in Inghilterra) e i sionisti realizzavano l'emigrazione "selettiva" che desideravano. Potevano emigrare soltanto i milionari (i cui capitali permettevano lo sviluppo della colonizzazione in Palesti-na). Conformemente agli scopi del sionismo era più importante salvare dalla Germania nazista i capitali ebraici necessari allo sviluppo della loro impresa che le vite degli ebrei poveri o non adatti al lavoro o alla guerra, che sarebbero stati un peso.
Questa politica di collaborazione durò fino al 1941 (cioè per 8 anni dopo l'avvento di Hitler al potere). Eichmann collaborava con Kastner. Il processo Eichmann, scoprì, almeno in parte, i meccanismi di questa connivenza, di questi "scambi" tra ebrei sionisti "utili" alla creazione dello Stato ebraico (persone ricche, tecnici, giovani adatti a rafforzare un esercito, ecc.) e una massa di ebrei meno avvantaggiati, abbandonati nelle mani di Hitler.
Il presidente della comunità ebraica, Itzak Gruenbaum, dichiarò il 18 gennaio 1943: "Il sionismo viene prima di tutto [...]. Diranno che sono antisemita, che non voglio salvare l'Esilio, che non ho "un caldo cuore yiddish" [...]. Lasciamoli dire quello che vogliono. Non pretenderò che l'Agenzia ebraica conceda la somma di 300.000 né di 100.000 sterline per aiutare l'ebraismo europeo. E io penso che chiunque lo esiga, compia un'azione antisionista".
Fonte: Itzak Gruenbaum, Jours de destruction, p. 68
Questo era anche il punto di vista di Ben Gurion: "Il compito del sionista non è quello di salvare il "resto" d'Israele che si trova in Eu-ropa, ma quello di salvare la terra d'Israele per il popolo ebraico".
Fonte: Tom Segev, op. cit., p. 158
"I dirigenti dell'Agenzia ebraica sono d'accordo sul fatto che la minoranza che potrà essere salvata dovrà essere scelta in funzione dei bisogni del progetto sionista in Palestina".
Fonte: Op. cit., p.125
Hannah Arendt, celebre sostenitrice della causa ebraica, assistendo ai dibattiti del processo Eichmann ha loro consacrato un libro: Eichmann à Jérusalem (Parigi, Gallimard, 1966), denunciando la passività e anche la complicità dei "consigli ebraici" (Judenräte), due terzi dei quali erano diretti da sionisti (pp. 134-141).
Nel libro di Isaiah Trunk, Judenrat, New York, Mac Millan, 1972, si legge: "Secondo i calcoli di Freudiger, il cinquanta per cento degli ebrei avrebbe potuto salvarsi se non avesse seguito le istruzioni dei Consigli ebraici" (p. 141). È significativo che, in occasione della celebrazione del 50 o anniversario dell'insurrezione del ghetto di Varsavia, il capo di Stato israeliano abbia chiesto a Lech Walesa di non dare la parola a uno dei sopravvissuti, Marek Edelman, vice-comandante dell'insurrezione. In effetti Marek Edelman, in una intervista del 1993 con Edward Alter per il giornale israeliano "Haaretz" aveva ricordato quali erano stati i veri promotori ed eroi del Comita-to ebraico di lotta del ghetto di Varsavia: socialisti antisionisti del Bund, comunisti, trotskysti e i Mihal Rosenfeld e i Mala Zimetbaum, con Edelman e una minoranza di sionisti di sinistra del Poale Zion e dell'Hashomer Hatzair.
Costoro lottarono contro il nazismo armi alla mano, come fecero gli ebrei volontari delle Brigate internazionali in Spagna: più del 30% degli americani della Brigata Abraham Lincoln erano ebrei, denunciati dai sionisti perché combattevano in Spagna invece di andare in Palestina.
Fonte: "Jewish Life" aprile 1938, p. 11
Nella Brigata polacca Dombrowski 2.250 membri su 5.000 erano ebrei.
A questi eroici ebrei che lottarono su tutti i fronti del mondo con le forze antifasciste, i dirigenti sionisti, in un articolo del loro rappresentante a Londra intitolato Gli ebrei devono partecipare al movimento antifascista?, rispondevano: "No!" e fissavano l'obiettivo unico: "La costruzione della terra d'Israele".
Nahum Goldmann, presidente dell'Organizzazione sionista mondiale e poi del Congresso mondiale ebraico, racconta nella sua Autobio-graphie il suo drammatico incontro del 1935 con il ministro degli affari esteri della Cecoslovacchia, Edvard Bene_, che rimproverava ai sionisti di avere impedito il boicottaggio di Hitler attraverso la Ha'avara (gli accordi di trasferimento) e il rifiuto dell'Organizzazione sionista mondiale di organizzare la resistenza contro il nazismo.
"Nella mia vita ho dovuto prendere parte a diversi incontri penosi, ma non mi sono mai sentito così infelice e pieno di vergogna, come durante quelle due ore. Sentivo in tutte le fibre del mio essere che Bene_ aveva ragione".
Fonte: Nahum Goldmann, Autobiographie,
Parigi, Fayard, 1969, pp. 157-158 e 260

I dirigenti sionisti avevano preso contatto con Mussolini contando sulla sua opposizione all'Inghilterra. Egli li ricevette il 20 dicembre 1922, dopo la marcia su Roma.
Fonte: Ruth Bondy, The Emissary: a life of Enzo Sereni, p. 45
Weizmann fu ricevuto il 3 gennaio 1923, e un'altra volta il 17 settembre 1926; Nahum Goldmann il 26 ottobre 1927 si incontrò con Mussolini che gli disse: "Vi aiuterò a creare questo Stato ebraico".
Fonte: Nahum Goldmann, Autobiographie, cit., p. 170
Questa collaborazione costituiva già un sabotaggio della lotta antifascista internazionale, subordinando tutta la politica sionista all'unico disegno di costruire uno Stato ebraico in Palestina. Continuò anche durante la guerra, nel momento più atroce della persecuzione di Hitler contro gli ebrei europei.
Durante la deportazione degli ebrei ungheresi il vicepresidente dell'organizzazione sionista, Rudolf Kastner, negoziò con Eichmann su questa base: se Eichmann avesse permesso il trasferimento in Palestina di 1.684 ebrei "utili" alla costruzione del futuro Stato d'Israele (capitalisti, tecnici, militari, ecc), Kastner avrebbe promesso di far credere ai 460.000 ebrei ungheresi che non si trattava di una deportazione ad Auschwitz, ma di un semplice trasferimento.
Il giudice Halevi ricordò, al momento del processo contro Eichmann, che Kastner intervenne per salvare uno dei suoi interlocutori nazisti: uno degli agenti di Himmler, lo Standartenführer Kurt Becher. La testimonianza di Kastner al processo di Norimberga gli evitò la condanna.
Il giudice fu formale: "Non si è avuta né verità né buona fede nella testimonianza di Kastner [...]. Kastner ha giurato il falso scientemente nella sua testimonianza davanti a questa corte, quando ha negato di essere intervenuto in favore di Becher. Inoltre egli ha nascosto questo fatto importante: il suo intervento a favore di Becher avvenne a nome dell'Agenzia ebraica e del Congresso ebraico mondiale [...]. È chiaro che la raccomandazione di Kastner non fu fatta a titolo personale, ma anche a nome dell'agenzia ebraica e del congresso ebraico mondiale [...] e questo è il motivo grazie al quale Becher fu rilasciato dagli alleati".
Il processo scosse l'opinione pubblica israeliana.
Nel giornale "Haaretz" del 14 luglio 1955 il dott. Moshe Keren scrisse: "Kastner doveva essere accusato di collusione con i nazisti". Ma il giornale della sera "Yediot Aharonoth" (23 giugno 1955) spiegò perché non poteva essere così: "Se Kastner viene giudicato è l'intero governo che rischia il crollo totale davanti alla Nazione in seguito a ciò che questo processo può mettere in luce".
Ciò che rischiava di essere scoperto era che Kastner non aveva agito da solo, ma con l'appoggio degli altri dirigenti sionisti che sedevano al governo al momento del processo. Il solo modo per evitare che Kastner parlasse e che scoppiasse lo scandalo era che sparisse. Egli infatti morì opportunamente.
Il governo israeliano fece ricorso davanti alla Corte suprema per riabilitarlo. E vi riuscì.
Questa politica di collaborazione giunse al suo punto culminante nel 1941, quando il gruppo più estremista dei sionisti, il Lehi (Combattenti per la liberazione d'Israele) diretto da Abraham Stern e dopo la sua morte da un triumvirato di cui faceva parte Itzak Shamir, commise "un crimine imperdonabile dal punto di vista morale: promuovere l'alleanza con Hitler, con la Germania nazista, contro la Gran Bretagna".
Fonte: M. Bar Zohar, Ben Gourion.Le Prophète armé, cit., p. 99
Elizer Halevi, noto sindacalista laburista, membro del kibbutz Gueva, rivela il 19 agosto 1983, sul settimanale "Hotam" di Tel Aviv, l'esistenza di un documento firmato da Itzak Shamir (che allora si chiamava Jezernitsky) e da Abraham Stern, consegnato all'ambasciata tedesca ad Ankara quando la guerra in Europa infuriava e le truppe del maresciallo Rommel erano già in territorio egiziano. Vi era detto chiaramente: "In materia di concezione noi ci identifichiamo con voi. Perché, quindi, non collaborare l'uno con l'altro?". "Haaretz", il 31 gennaio 1983, cita una lettera contrassegnata dalla parola "secret", inviata nel gennaio 1941 dall'ambasciatore di Hitler ad Ankara, Franz von Papen, ai suoi superiori. Von Papen raccontava dei contatti con i membri del gruppo Stern. Vi è allegato un memorandum dell'agente dei servizi segreti nazisti a Damasco, Werner Otto von Hentig, sulle trattative con gli emissari di Stern e di Shamir in cui si dice che "la cooperazione tra il movimento di liberazione d'Israele e il nuovo ordine in Europa sarà conforme a uno dei discorsi del cancelliere del III Reich, nel quale Hitler sottolinea la necessità di utilizzare tutte le possibilità di coalizione per isolare e vincere l'Inghilterra". Vi è detto ancora che il gruppo Stern è "strettamente legato ai movimenti totalitari in Europa, alle loro ideologie e alle loro strutture".
Questi documenti si trovano presso il Memoriale dell'olocausto (Yad Vashem) a Gerusalemme, classificati con il numero E 234151-8.
Uno dei capi storici del gruppo Stern, Israel Eldad, in un articolo pubblicato sul quotidiano di Tel Aviv "Yediot Aharonoth" del 4 febbraio 1983, conferma l'autenticità di quelle trattative tra il suo movimento e i rappresentanti ufficiali della Germania nazista.
Egli afferma con chiarezza che i suoi colleghi avevano spiegato ai nazisti che era probabile una comunanza di interessi tra il nuovo ordine in Europa secondo la concezione tedesca e le aspirazioni del popolo ebraico in Palestina, rappresentato dal gruppo Stern.
Ecco i principali passaggi di questo testo intitolato Principi di base dell'Organizzazione militare nazionale (NMO) in Palestina (Irgun Zvai Leumi) sulla soluzione della questione ebraica in Europa e sulla partecipazione attiva dell'NMO alla guerra a fianco della Germania:
"Risulta dai discorsi dei dirigenti dello Stato nazionalsocialista tedesco che una soluzione radicale della questione ebraica implica un'espulsione delle masse ebraiche dall'Europa (Judenreines Europa). Questa è la condizione primaria della soluzione del problema ebraico, ma non è realizzabile se non tramite il trasferimento di queste masse in Palestina, in uno Stato ebraico dotato di frontiere storiche. Risolve-re il problema ebraico in modo definitivo e liberare il popolo ebraico è l'obiettivo dell'attività politica e dei lunghi anni di lotta del Movimento per la libertà d'Israele (Lehi) e della sua Organizzazione militare nazionale in Palestina (Irgun Zevai Leumi). L'NMO, conoscendo la posizione benevola del governo del Reich verso l'attività sionista all'interno della Germania e i piani sionisti riguardanti l'emigrazione, stima che:
"1) Potrebbero esistere degli interessi comuni tra l'instaurazione in Europa di un ordine nuovo secondo la concezione tedesca e le reali aspirazioni del popolo ebraico, così come sono incarnate dal Lehi.
"2) Sarebbe possibile la cooperazione tra la nuova Germania e una rinnovata nazione ebraica (Volkish Nationalen Hebraertum).
"3) La fondazione dello Stato storico ebraico su una base nazionale e totalitaria, legato con un trattato al Reich tedesco, potrebbe contribuire a mantenere e a rinforzare nell'avvenire la posizione della Germania nel Vicino Oriente.
"A condizione che siano riconosciute, dal governo tedesco, le aspirazioni nazionali del Movimento per la libertà d'Israele (Lehi), l'Orga-nizzazione militare nazionale (NMO) offre la sua partecipazione alla guerra a fianco della Germania. La cooperazione del Movimento per la libertà d'Israele andrebbe nel senso dei recenti discorsi del Cancel-liere del Reich tedesco, nei quali il signor Hitler sottolinea che tutti i negoziati e tutte le alleanze devono contribuire a isolare l'Inghilterra e a sconfiggerla.
"Secondo la sua struttura e la sua concezione del mondo, l'NMO è strettamente legato ai movimenti totalitari europei".
Fonte: Testo in tedesco, Appendice n. 11, David Ysraeli,
Le problème palestinien dans la politique allemande de 1889 à 1945,
Bar Ilan University, Ramat Gan, Israele, 1974, pp. 315-317

Secondo la stampa israeliana, che ha pubblicato una decina di articoli a questo proposito, in nessun momento i nazisti hanno preso sul serio le proposte di Stern, di Shamir e dei loro amici.
Le trattative subirono una battuta d'arresto quando le truppe alleate catturarono, nel giugno 1941, Naftali Loubentchik, l'emissario di Abraham Stern e Itzak Shamir, nell'ufficio stesso dei servizi segreti a Damasco.
Altri membri del gruppo mantennero i contatti fino all'arresto di Shamir da parte delle autorità britanniche nel dicembre 1941, con l'accusa di "terrorismo e collaborazione col nemico nazista".
Un simile passato non ha impedito a Shamir di diventare primo ministro e di essere ancora oggi il capo di una potente "opposizione", quella che più si accanisce nell'occupazione della Cisgiordania. La realtà è che i dirigenti sionisti, nonostante le loro rivalità interne, perseguono lo stesso obiettivo razzista: cacciare con il terrore, l'esproprio o l'espulsione tutti gli autoctoni arabi dalla Palestina, per restarvi unici conquistatori e padroni.
Ben Gurion dichiarava: "Begin appartiene incontestabilmente al tipo hitleriano. È un razzista disposto a distruggere tutti gli arabi nel suo sogno di unificazione d'Israele, pronto a usare tutti i mezzi per realizzare questo fine sacro".
Fonte: E. Haber, Menahem Begin, the man and the legend,
New York, Delle, 1979, p. 385
Lo stesso Ben Gurion non ha mai creduto alla possibilità di una coesistenza con gli arabi. Sarebbe infatti stato preferibile per lui che nei confini del futuro Israele ce ne fosse il minor numero possibile. Non lo diceva esplicitamente, ma l'impressione che si ricava dai suoi discorsi e dalle sue puntualizzazioni è chiara: una grande offensiva contro gli arabi non solo avrebbe impedito un attacco da parte loro, ma avrebbe ridotto al minimo la percentuale della popolazione araba nello Stato. "Lo si può accusare di razzismo, ma allora si dovrà fare il processo a tutto il movimento sionista, che si fonda sul principio di un'entità puramente ebraica in Palestina".
Fonte: M. Bar Zohar, op. cit., p. 146
Al processo di Gerusalemme contro Eichmann il procuratore generale Haim Cohen ricordò ai giudici: "Se questo non coincide con la vostra filosofia, voi potete criticare Kastner [...] ma cosa ha a che fare tutto ciò con la collaborazione? [...] Ha sempre fatto parte della nostra tradizione sionista selezionare un'élite per organizzare l'immigrazione in Palestina [...]. Kastner non ha fatto che questo".
Fonte: Resoconto n. 124/53. Corte distrettuale di Gerusalemme
Questo alto magistrato in effetti invocava una dottrina costante del movimento sionista: esso non aveva come obiettivo salvare degli ebrei, ma costruire un forte Stato ebraico.
Il 2 maggio 1948 il rabbino Klaussner, incaricato dei profughi, presentò un rapporto alla Conferenza ebraica americana: "Io sono convinto che è necessario costringere la gente ad andare in Palestina. Per essa un dollaro americano è il più grande degli obiettivi. Con la parola "costringere" intendo suggerire un programma. Esso è già servito, e molto recentemente. È servito nell'espulsione degli ebrei dalla Polonia e nella storia dell'Esodo. Per applicare questo programma bisogna, invece di dare conforto ai "profughi", creare loro il massimo della scomodità [...] e, in un secondo tempo, intervenire con una procedura che faccia appello all'Haganah per logorare gli ebrei".
Fonte: Alfred H. Lilienthal, What price Israel? Chicago 1953, pp. 194-195
Le varianti di questo metodo d'incitamento e di coercizione furono molteplici. Il 25 dicembre del 1940, per sollevare indignazione contro gli inglesi che avevano deciso di salvare gli ebrei minacciati da Hitler accogliendoli nelle isole Mauritius, la nave che li trasportava e che aveva fatto scalo nel porto di Haifa fu fatta esplodere, senza alcuna esitazione, dai dirigenti sionisti dell'Haganah (tra i quali Ben Gurion), provocando la morte di 252 ebrei e dei membri inglesi dell'equipaggio.
Fonte: Rivelazione di Herzl Rosenblum, direttore di
"Yediot Aharonoth", "Jewish Newsletter",
New York, novembre 1958

Un altro esempio è l'Iraq: la comunità ebraica (110.000 persone nel 1948) vi era ben radicata. Il gran rabbino del paese, Kheduri Sas-soon, aveva dichiarato: "Da mille anni, in questa nazione, gli ebrei e gli arabi hanno goduto degli stessi diritti e privilegi e non si considerano come elementi contrapposti".
Cominciarono allora, nel 1950, azioni terroristiche israeliane a Baghdad. Di fronte alle reticenze degli ebrei iracheni a iscriversi sulle liste d'emigrazione verso Israele, i servizi segreti israeliani non esitarono a convincere gli ebrei che erano in pericolo, gettando delle bombe contro di loro. L'attacco contro la sinagoga Shem-Tov uccise tre persone e ne ferì alcune decine. Così cominciò l'esodo battezzato: "Operazione Ali Babà".
Fonti: "Ha'olam hazeh", 20 aprile e 1o giugno 1966,
e "Yediot Aharonoth", 8 novembre 1977

La dottrina è la stessa da quando Theodor Herzl diede la definizione di ebreo non più in base alla religione, ma in base alla razza.
L'articolo 4b della legge fondamentale dello Stato di Israele (che non ha costituzione), detta Legge del ritorno (n. 5710 del 1950), stipula: "è considerato ebreo un individuo nato da madre ebrea o convertita" (criterio razziale o criterio confessionale).
Fonte: Klein, L'État juif, Parigi, Dunod, p. 156
Ciò era in linea con la dottrina di Theodor Herzl. Egli vi ritornò sempre nei suoi Diaries. Nel 1895 specificò a un interlocutore tedesco (Speidel): "Io capisco l'antisemitismo, noi ebrei siamo restati, anche se non è colpa nostra, dei corpi estranei nelle diverse nazioni".
Fonte: T. Herzl, Diaries, p. 9
Poche pagine più avanti il testo è ancora più esplicito: "Gli antisemiti diventeranno i nostri migliori amici, i paesi antisemiti nostri alleati".
Fonte: Op. cit., p. 19
In effetti lo scopo era comune: riunire gli ebrei in un ghetto mondiale.
I fatti hanno dato ragione a Theodor Herzl.
Gli ebrei devoti, come d'altra parte molti cristiani, ripetevano ogni giorno: "L'anno prossimo a Gerusalemme", facendo di Gerusalemme non un territorio determinato, ma il simbolo dell'Alleanza di Dio con gli uomini e dello sforzo personale per meritarla. Ma il "Ritorno" non si produce che sotto l'effetto di minacce antisemitiche da parte dei paesi stranieri.
Il 31 agosto 1949, rivolgendosi a un gruppo di americani in visita in Israele, Ben Gurion dichiarò: "Pur avendo realizzato realizzato il nostro sogno di creare uno Stato ebraico, non siamo che all'inizio. Oggi, in Israele ci sono soltanto 900.000 ebrei, mentre la maggioranza del popolo ebraico si trova ancora all'estero. Il nostro compito futuro è riunire tutti gli ebrei in Israele". L'obiettivo di Ben Gurion era quello di portare in Israele quattro milioni di ebrei tra il 1951 e il 1961. Ve ne andarono 800.000. Nel 1960 non vi furono che trentamila immigrati. Nel 1975-76 l'emigrazione da Israele superò l'immigrazione.
Solo le grandi persecuzioni, come quelle avvenute in Romania, avevano dato un certo impulso al "Ritorno".
Neppure le atrocità hitleriane riuscirono a esaudire il sogno di Ben Gurion. Tra le vittime ebraiche del nazismo rifugiate all'estero tra il 1935 e il 1943 appena l'8,5% si è stabilito in Palestina. Gli Stati Uniti limitarono la loro accoglienza a 182.000 ebrei (meno del 7%), l'In-ghilterra a 67.000 (meno del 2%). L'immensa maggioranza, vale a dire il 75%, trovò rifugio in Unione Sovietica.
Fonti: Institute for Jewish Affairs, New York,
in Cristopher Sykes, Crossroads to Israel,
Londra, 1965; Nathan Weinstock, Le sionisme contre Israël,
Parigi, Maspero, 1969, p. 146

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