Centro di documentazione, d'archivio e di analisi giornalistica, a cura di Stefano Zecchinelli
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lunedì 22 giugno 2015
Intervista a Mohamed Hassan: "Giù le mani dall'Eritrea!"
Riporto dal blog di Amedeo Sartorio questa intervista, tradotta dallo stesso curatore del blog, a Mohamed Hassan sull'Eritrea, davvero molto interessante rispetto alla disinformazione fatta dai media di regime. Buona lettura. S. Z.
In questi tempi di forti flussi migratori sud-nord,
si è tornati a parlare di Eritrea, definendola spesso come una sorta di lager a cielo aperto.
Essendo un'estimatore della lotta di liberazione nazionale portata
avanti con ardore dal popolo eritreo, e della conseguente rivoluzione di
ispirazione
socialista, vi presento un'interessante intervista che può aiutare a
comprendere uno Stato ormai dipinto come l'inferno sulla terra, che
viene
attaccato proprio perché rappresenta, pur nelle sue contraddizioni, e in
perenne
stato di semi-guerra, un ottimo modello di sviluppo indipendente per
tutti i
paesi poveri d'Africa che si vogliono slacciare dalle briglie del
neocolonialismo di Banca Mondiale e FMI.
Traduzione mia dell'intervista di Grégoire Lalieu a Mohamed Hassanapparsa sul sito del giornalista belga Michel Collon.
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Il dramma umanitario dei migranti nel Mediterraneo ha portato al centro
dell'attenzione mediatica un paese del Corno d'Africa relativamente sconosciuto.
L'Eritrea sarebbe infatti il più grande "fornitore" di rifugiati. Le
testimonianze di questi ultimi danno l'immagine di uno Stato terrificante dove
regnano dittatura, tortura e carestia. Sono però pochi i giornalisti che si
sono recati in Eritrea. Contro corrente alle poche informazioni che ci giungono
su questo misterioso paese, Mohamed Hassan denuncia una campagna di
demonizzazione. Specialista del Corno d'Africa, si interroga su ciò che viene
detto, ma soprattutto su ciò che non viene detto sull'Eritrea, e si uscisce ai
rappresentanti delle comunità eritree d'Europa riunite questo 22 giugno a
Ginevra per lanciare un messaggio chiaro all'Occidente: "Giù le mani dall'Eritrea!".
(#handsoffEritrea)
Dall'ultimo naufragio
di migranti nel Mediterraneo, l'Eritrea è al centro dell'attenzione.
Lei che conosce bene questo paese e che lo visita di frequente, cosa pensa di
ciò che viene scritto sull'Eritrea dalla stampa occidentale?
Bisogna prima di tutto interrogarsi sulla maniera con cui i media ci informano
sul'Eritrea. Le testimonianze dei rifugiati sono numerose. Ma avete sentito
quelli della diaspora che sostiene il governo eritreo? Avete potuto leggere le
risposte del presidente, di un ministro o di un ambasciatore agli attacchi che
sono diretti all'Eritrea? Immaginate di dover informare su Cuba, cosa varrebbe
la vostra analisi se prendeste solamente le testimonianze dei cubani esiliati
in Florida? Quando la stampa si comporta in modo unilaterale, senza dare la
parola alle diverse parti, si tratta più di propaganza che di informazione.
Le testimonianze portate
secondo lei non sono affidabili?
Evidentemente quelli che fuggono dall'Eritrea hanno il loro punto di vista. Ma
noto delle lacune sistematiche nel ritratto che viene fatto di questo paese.
Per esempio, si insiste sul fatto che nessuna elezione è stata organizzata
dall'indipendenza del paese nel 1993. Ricordano pure le misure prese dal
governo nel 2001, la chiusura dei media privati e l'arresto di oppositori
politici. Ma non si dice nulla sul contesto. Potremmo dunque dedurre semplicemente
che il presidente Isaias Afwerki è stato improvvisamente colpito da un eccesso
di autoritarismo. Si dipinge così un ritratto di un tiranno lunatico. Lo si
accusa addirittura di essere alcolizzato e di avere un capitale nascosto in
Svizzera. Senza portare la benché minima prova, ovviamente. La realtà è
diversa. Isaias Afwerki è un uomo lucido che non ha nessun problema con
l'alcol. Quando si conosce un minimo l'Eritrea, è aberrante doversi sorbire
tali voci. Il presidente è modesto. Se andate ad Asmara, potrete incrociarlo
che passeggia in strada in ciabatte e senza guardie del corpo. Siamo distanti
dall'immagine del tiranno megalomane che sfrutta il suo popolo per la ricchezza
personale.
Lei ha parlato
delle misure del 2001. Cosa è successo, che viene nascosto dai media?
Nel 2001, l'Eritrea usciva da una terribile guerra contro il suo vicino etiope.
L'Eritrea era una vecchia colonia etiope, e ha portato avanti la più lunga
lotta del continente africano per ottenere la sua indipendenza. Ma l'Etiopia
non l'ha mai digerita e un conflitto è scoppiato trai due paesi nel 1998.
Durante la guerra, certi media privati d'Eritrea, corrotti dall'Etiopia, hanno
invitato a rovesciare il governo eritreo. Pure dei politici e degli ufficiali
del'esercito hanno collaborato con il nemico, sperando di approfittare del
conflitto per prendere il potere ad Asmara. Questa guerra ha così fatto cadere
molte maschere in Eritrea, tanto più che nessuno credeva nella resistenza del
governo eritreo. Ma alla fine l'invasione etiope è stata respinta, e il governo
ha in seguito preso delle misure di sicurezza chiudendo quei media e
imprigionando quelle persone che avevano collaborato con il nemico.
Ricordiamoci che poco prima della guerra erano state convocate le elezioni. Una
commissione elettorale era stata creata e stava preparando lo scrutinio proprio
prima dell'invasione.
Sul
piano democratico, la situazione non è dunque delle più rosee, certo. Ma quando
si abborda questo problema, bisogna avere una visione globale che tenga conto
del contesto. Quello che i media occidentali non fanno.
La guerra con
l'Etiopia è terminata da quindici anni. Ma non ci sono ancora state elezioni. E
l'informazione resta in mano allo Stato. Perché?
Prima di tutto, le tensioni tra i due paesi restano palpabili. Il governo
etiope lancia sempre delle provocazioni belliche contro il suo vicino. È dunque
alla luce di questo contesto teso che bisogna analizzare la questione delle limitazioni
in Eritrea. Contrariamente a quello che si dice nella stampa, i giovani non
sono arruolati con la forza e a vita nel servizio militare. Prima della guerra
la durata del servizio era di diciotto mesi. È stata allungata durante la
guerra, e poi riportata a diciotto dopo la fine del conflitto. L'Eritrea conta
sei milioni di abitanti, circa la metà di quelli del Belgio, l'Etiopia conta
invece novanta milioni di abitanti. Capirete facilmente che l'Eritrea non ha i
mezzi né umani né materiali per costruire un grande esercito capace di tenere
testa al suo vicino. Il governo non ha neppure la volontà di spenderci molto
denaro. Per queste ragioni esiste il servizio nazionale che permette di fare
appello ad un esercito di riserva in caso di conflitto.
Inoltre, non dimentichiamo che l'Eritrea si trova in una delle regioni più caotiche
dell'Africa.
Su
questa questione d'altronde, il governo ha una posizione molto interessante di
cui non sentiamo mai parlare. Pensa che l'ingerenza delle potenze neocoloniali è
la principale responsabile dei conflitti che attraversano il Corno d'Africa. E
per lenire le tensioni, l'Eritrea propone di riunire tutti gli attori regionali
attorno a un tavolo per dialogare pacificamente, senza l'interferenza di
potenze straniere. Infine, il governo è molto franco sul tema: le elezioni e i
media privati non sono la sua priorità, senza offesa alla visione etnocentrica
occidentale che glorifica la scheda di voto a discapito di altre questioni più
cruciali. Il governo eritreo si batte prima di tutto sul terreno dello
sviluppo. Questo i media non lo dicono, e perdono così, secondo me, il punto
essenziale. In effetti, dopo la sua indipendenza, l'Eritrea ha rifiutato gli
aiuti di Banca Mondiale e FMI, così come i programmi che ne conseguono. "Gli eritrei sanno meglio di queste
istituzioni internazionali quello che è meglio per l'Eritrea", aveva
detto il presidente Afewerki.
Così facendo l'Eritrea è diventato il primo paese d'Africa a raggiungere gli
obbiettivi del millenio.
Questo programma era stato messo a punto dalle Nazioni Unite nel 2000 per
sradicare la fame, sviluppare la sanità e l'educazione, migliorare le
condizioni di vita delle donne e dei fanciulli, ecc.
Si basava essenzialmente sull'aiuto dell'Occidente, ma è un po' caduto nel
dimenticatoio con la crisi economica.
Quindi, ciò che ci mostra l'Eritrea, ed è eccezionae, è che un paese africano
non ha bisogno dell'elemosina dell'Occidente per svilupparsi. Bisogna invece
mettere fine al saccheggio organizzato da banca Mondiale e FMI e tutte quelle
istituzioni che vogliono imporre il neoliberismo ai paesi del Sud.
A inizio giugno,
l'Alto Commissariato per i Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite ha pubblicato
un rapporto travolgente sull'Eritrea. Secondo questo rapporto, il governo
eritreo sarebbe "responsabile di
violazioni flagranti, sistematiche e generalizzate dei diritti dell'uomo".
Il rapporto aggiunge che "queste
violazioni potrebbero costituire dei crimini contro l'umanità".
Ancora una volta, il rapporto si basa unicamente su delle testimonianze di
rifugiati, dato che il governo eritreo ha rifiutato l'accesso alla commissione
d'inchiesta delle Nazioni Unite. Un rapporto costituito a partire da sole
testimonianze di richiedenti l'asilo non può essere affidabile. In effetti, per
ottenere lo statuto di rifugiato politico, alcuni non esitano a mentire sulla
propria nazionalità e a raccontare quello che il paese di accoglienza vuole
sentire. Trai rifugiati eritrei, abbiamo così degli etiopi che si fanno passare
per quello che non sono pur di ottenere il diritto all'asilo. Nel 2013, due
parlamentari francesi hanno consegnato al ministro dell'Interno un rapporto che
condanna la pericolosa similitudine tra chi aspira allo statuto di rifugiato
politico, e i migranti economici.
Per questi ultimi, delle reti mafiose che gestiscono i canali di passaggio
verso l'Europa, propongono false testimonianze e dossier di persecuzione preconfezionati.
Dopodiché, se certi ispettori dell'ONU fanno coraggiosamente il loro lavoro
anche dovessere deludere le grandi potenze, altri non esitano a sacrificare
sull'altare degli interessi politici, i compiti che dovrebbero svolgere in
maniera oggettiva.
Nel 2011 ad esempio, lo stesso Alto Commissariato per i Diritti dell'Uomo
facilitava l'intervento della NATO denunciando la repressione in Libia a colpi
di carri armati, elicotteri e aerei contro dei manifestanti pacifici. Oggi
sappiamo che tali accuso erano completamente false. Ma miravano a fare
pressione sul governo libico. La stessa cosa accade con 'Eritrea.
Chi vuole fare
pressione all'Eritrea e perché?
Sul piano economico e politico, l'Eritrea è un sasso nelle scarpe del
neocolonialismo occidentale.
L'Africa è un Eldorado per le multinazionali. È il continente più ricco...con
le persone più povere! Ed ecco che un paese africano dichiara e prova con la
pratica che l'Africa non può svilupparsi che slacciandosi dalla tutela
occidentale. Il presidente Afwerki è molto chiaro sulla questione: "Cinquant'anni e dei miliardi di dollari
d'aiuti internazionali postcoloniali hanno fatto molto poco per far uscire
l'Africa dalla povertà cronica. Le società africane sono diventate delle società
di zoppi". E aggiunge che l'Eritrea deve potersi tenere eretta sui
suoi due piedi. Allora come tutti i leader africani che hanno tenuto questo
genere di discorso contro il colonialismo, Isaias Afwerki è diventato un uomo
da abbattere agli occhi dell'Occidente.
Il governo eritreo non
facilita la campagna di demonizzazione rifiutandosi di accogliere la
commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite?
Bisogna capire quella che può apparire come un'attitudine chiusa. Prima di
tutto, l'Eritrea si porta dietro un pesante contenzioso con le Nazioni Unite.
Il paese è stato colonizzato dagli italiani. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e
la sconfitta di Mussolini, l'Eritrea avrebbe dovuto ricevere l'indipendenza, ma
è stata annessa all'Etiopia contro la sua volontà. Il vecchio Segretario di
Stato USA, John Foster Dulles, dichiarò all'epoca: "Dal punto di vista della giustizia, le opinioni del popolo eritreo
devono essere prese in considerazione. Ciononostante, gli interessi strategici
degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso, e le considerazioni per la
sicurezza e la pace nel mondo, rendono necessario che questo paese venga
attaccato al nostro alleato, l'Etiopia." Questa decisione ha avuto
delle conseguenze catastrofiche per gli eritrei. Sono stati letteralmente
colonizzati dall'Etiopia e hanno dovuto portare avanti una lotta terribile
durata trent'anni, per ottenere la propria indipendenza.
In più, durante questa lotta, gli eritrei hanno affrontato un governo etiope
sostenuto a turno dagli USA e dall'URSS. Durante la Guerra Fredda, si faceva
generalmente parte di un blocco o dell'altro. Ma non vi ritrovavate contro
entrambe le due superpotenze dell'epoca! Questo lascia evidentemente dei segni.
Ecco perché l'Eritrea oggi reputa di non avere nessuna responsabilità nei
confronti dell'auto proclamata "comunità internazionale". Difende
ferocemente la sua sovranità per portare a buon fine la sua Rivoluzione. Non è
tutto perfetto, evidentemente, e gli eritrei sono i primi a riconoscerlo. Malgrado
i risultati eccezionali per un paese del genere in fatto di sanità, educazione,
o sicurezza alimentare, tutti vi diranno con molta umiltà che c'è ancora molto
da fare. Ma affinché l'Eritrea continui a progredire, la miglior cosa da fare è
non voler decidere al posto degli eritrei. È per questo che mi aggiungo alla
piattaforma per interpellare le nazioni unite: "Giù le mani
dall'Eritrea!".
22.06.2015
Traduzione dal francese di Amedeo Sartorio, fonte originale:
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