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venerdì 26 maggio 2017

L'islamismo (1/6): I tradizionalisti storici di fronte al colonialismo, di Mohamed Hassan

L'islamismo è un concetto univoco? Nel libro Jihad made in USA, Mohamed Hassan distingue cinque diverse correnti riconducibili all'islamismo, con interessi a volte contrastanti. Il primo estratto è dedicato alla corrente tradizionalista.

Grégoire Lalieu intervista Mohamed Hassan | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

06/04/2017

L'islamismo (1/6): I tradizionalisti storici di fronte al colonialismo

Cosa si intende per islamismo tradizionalista?

I tradizionalisti hanno segnato la fine del 19° secolo e l'inizio del 20°. In Africa, sono figure emblematiche come Abdelkrim al-Khattabi (1882-1963) in Marocco, l'emiro Abdelkader (1808-1883) in Algeria, Omar Al Mokhtar (1862-1931) in Libia, il Mahdi del Sudan (1844-1885) o Mohammed Abdullah Hassan (1856-1921) in Somalia.

A differenza della maggior parte dei combattenti islamici attuali, i tradizionalisti non avevano come obiettivo primario quello di creare uno stato musulmano. Temevano soprattutto di essere traviati da tutte queste pratiche, nuove e sconosciute, che portava il colonialismo.

L'Islam era soprattutto uno strumento per mobilitare la popolazione e per radunare i combattenti alla lotta contro le potenze coloniali. Troviamo ancora questo tipo di combattenti islamici nel Vicino e Medio Oriente, in paesi come l'Egitto, l'Iraq e la Turchia.

L'Islam è stato uno strumento efficace di lotta anti-coloniale?

Alcuni tradizionalisti hanno dato filo da torcere alle potenze coloniali, ma anche queste potevano utilizzare l'Islam per realizzare i loro disegni. Gli inglesi sono stati precursori in materia e Allan Octavian Hume incarnò bene questo approccio. Questo governatore insediato in India durante la seconda metà del 19° secolo fu particolarmente esposto agli effetti della carestia che flagellava la colonia dell'epoca. Gli indiani, tuttavia, erano molto produttivi nel settore agricolo. Ma la produzione veniva saccheggiata interamente dalla metropoli che la rivendeva sul mercato mondiale. Quando i coloni britannici si trovarono a fronteggiare un movimento di protesta significativo con la rivolta dei Sepoy (1857), movimento che si riferiva tanto all'induismo che all'Islam, Sir Hume concludeva che era necessario governare in modo diverso a pena di vedere la colonia andare fuori controllo.

Governare in modo diverso?

Ritenne che gli inglesi dovessero coinvolgere maggiormente l'élite indiana nel governo della colonia. Sir Hume promosse la creazione del Partito del Congresso, che in seguito divenne una delle punte di diamante della lotta per l'indipendenza ed è ancora uno dei principali partiti politici in India.

In tal modo, il governatore coloniale si è dato la zappa sui piedi?

Le colonie comunque nella forma in cui le esigenze della metropoli erano imposte con la forza a prescindere degli interessi della popolazione locale, tesero a scomparire. L'approccio di Sir Hume non ha pertanto precipitato il declino delle colonie. Invece, coinvolgendo le élite indiane, gli inglesi riuscirono a indorare la pillola del loro dominio.

Quale è il ruolo dell'Islam in questo nuovo modo di governare le colonie?

A Sokoto per esempio, una colonia del nord della Nigeria, la Gran Bretagna ha consentito all'aristocrazia locale di far rispettare le sue leggi di ispirazione islamica. Tutto in un quadro supervisionato da regole coloniali, naturalmente.

Dopo la sconfitta di Abdelkader in Algeria, la Francia ha seguito la medesima via cercando di allearsi con i leader religiosi per pacificare la colonia. Ma per meglio imporre la cultura francese, Parigi ha parallelamente provveduto a eliminare gli intellettuali musulmani che assicuravano la trasmissione delle tradizioni locali e la lingua araba.

In Somalia, un capitano italiano approdò nei primi anni del 20° secolo e pagò i leader religiosi perché pronunciassero una fatwa, cioè una condanna contro il tradizionalista Mohammed Abdullah Hassan. Questa fatwa gettò la resistenza nella confusione. Ugualmente coinvolti nel conflitto, gli inglesi colsero al volo l'opportunità per soprannominare Hassan il "Mullah pazzo".

In conclusione, possiamo dire che l'Islam non è un problema per le potenze coloniali fintatno che possano trarre vantaggio nel loro interesse. Gli imperialisti contano su leader religiosi e sull'aristocrazia locale, di solito provenienti dalle classi rurali, per governare meglio i territori conquistati.

Dici che gli islamisti tradizionalisti non volevano essere spinti verso pratiche coloniali. Questi leader religiosi e dell'aristocrazia locale non temevano la stessa cosa?

Queste classi erano destinate ad essere influenzate dal processo di colonizzazione e dall'introduzione del capitalismo emergente. Ma non avevano paura di collaborare con le forze di occupazione fintanto che traevano qualche beneficio da questo parternariato. Fu così che lo sviluppo del capitalismo nelle colonie ha trasformato le élite rurali tradizionaliste in borghesia compradora. La borghesia compradora si è arricchita attraverso le importazioni ed esportazioni senza sviluppare le basi di un'economia nazionale.

Parallelamente allo sviluppo della borghesia compradora, l'introduzione del capitalismo nelle colonie poteva anche dar luogo alla nascita di una borghesia nazionale che volesse l'indipendenza. Come gestirono questo fenomeno gli imperialisti?

Anche in questo caso, le potenze coloniali si servirono dell'Islam. Ma non si trattava più, in questo caso, di pacificare le colonie attirando i favori dei dignitari locali. La religione diventava piuttosto un fattore di divisione per prevenire l'insorgere di una borghesia nazionale troppo forte da controllare.

Divide et impera?

Sempre! In India, ad esempio, gli inglesi temevano fortemente che una borghesia nazionale prendesse il controllo di questo paese in posizione strategica e con molte risorse. Per evitare questo pericolo, Londra favorì la frammentazione del paese in centinaia di principati, a volte induisti a volte musulmani. Le elezioni, tenutesi sotto l'egida dell'amministrazione coloniale, agevolava tali divisioni tenendo elezioni separate per indù e musulmani.

Nel tardo 19° secolo, gli inglesi hanno anche sostenuto la creazione di una nuova setta nel Punjab: l'Ahmadiyya. Questa corrente si richiama all'islam e ora conta parecchi milioni di seguaci. Ma l'Organizzazione della cooperazione islamica non riconosce gli ahmadisti come musulmani. Cosa che sucità nella Gran Bretagna una regale indifferenza. Il suo obiettivo principale rimaneva quello di creare divisioni. Il colpo migliore di Londra resta la creazione del Pakistan.

Tuttavia, alcuni rapporti dell'epoca rilevavano che la metropoli britannica era piuttosto riluttante alla creazione del Pakistan.

Lo fu finché l'indipendenza dell'India divenne inevitabile. Lo sviluppo del capitalismo nella colonia aveva fatto nascere una borghesia musulmana che temeva di essere messa da parte con l'indipendenza dell'India. Dagli anni '30, questa borghesia ha quindi espresso il desiderio di creare uno specifico stato per i musulmani indiani. Gandhi si oppose. Voleva mantenere l'unità del paese e la pace tra le due comunità. Quanto agli inglesi, cauti in un primo momento, cambiarono idea e decisero di sostenere la creazione del Pakistan per rendere questo paese un bastione reazionario al loro soldo. Inoltre, poco dopo l'indipendenza, il Pakistan aderì al Patto di Baghdad, un'alleanza araba guidata da Londra per contenere l'ascesa del comunismo in Medio Oriente.

Il Pakistan è stato quindi un alleato prezioso delle potenze coloniali?

Sì, ma il loro favorito rimane l'Arabia Saudita. Abbiamo visto come gli inglesi abbiano utilizzato l'Islam per dividere l'India. La stessa tecnica è stata applicata in Medio Oriente. È questo è il teatro d'intervento dell'Arabia Saudita. Quì entra in gioco la seconda figura per importanza che io distinguo tra gli islamisti: i reazionari.

Segue: I reazionari: questa "meravigliosa" Arabia Saudita

http://www.resistenze.org/sito/os/mp/osmphd10-019096.htm

1 commento:

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