Fonte: Resistenze
"Rien ne va plus" tra sunniti e sciiti. Dal Libano al Bahrain, passando per la Siria e l'Iraq, le due comunità sono famoseper il loro antagonismo. Va ad aggiungersi alla lista lo Yemen, teatro di una guerra per procura tra l'Arabia Saudita e l'Iran. Il Medio Oriente è destinato ad incendiarsi intorno alle guerre confessionali? Chiediamo a Mohamed Hassan di analizzare i recenti avvenimenti che hanno scosso la regione: l'impegno militare di Teheran contro Daesh [Stato Islamico in arabo, ndt], la guerra in Yemen e l'accordo quadro sulla questione nucleare iraniana. "A ragionare solo in termini di sunniti e sciiti, non si capisce niente", avverte il nostro esperto.
L'Iran è già stato coinvolto politicamente in Iraq. Ora lo è anche sul terreno militare, partecipando alla lotta contro Daesh. Come si spiega questo impegno dell'Iran?
Sono molte le sfide che deve affrontare il governo iraniano: sanzioni economiche, corruzione, sviluppo del mercato nero, siccità, crescita della popolazione e così via. Le autorità hanno cercato di nascondere o relativizzare alcuni di questi problemi. Ma questi si combinano insieme, creando una situazione estremamente complicata.
In questo contesto, il governo iraniano ha cercato soluzioni al di fuori dei suoi confini, in particolare in Iraq. Giocando sulle affinità religiose, l'Iran ha cercato di espandere la sua zona di influenza. L'obiettivo è di aprire nuovi mercati che possano consentirgli di superare le difficoltà interne. Così, in Iraq, l'Iran ha sostenuto l'ascesa al potere della borghesia sciita filo-iraniana, dopo il rovesciamento di Saddam Hussein. Pertanto, i protetti di Tehran che occupano posizioni chiave e che dispongono di sostanziosi portafogli ministeriali hanno favorito l'acquisto dei prodotti iraniani. I benefici per l'economia iraniana sono stati significativi.
Per l'Iraq, l'alleanza non è stata conveniente. Il governo di Maliki (2006-2014), sostenuto da Teheran, era noto per la sua corruzione. Inoltre, ha condotto una politica settaria che ha contribuito alla conflagrazione del paese. L'Iran è spesso considerata una figura di spicco della lotta antimperialista in Medio Oriente. Non è sorprendente vederlobeneficiare così del caos iracheno?
Ricordiamo innanzitutto che l'Iran è l'unica potenza regionale a sostenere la resistenza di Hamas e di Hezbollah contro Israele. In secondo luogo, non è stato l'Iran a lanciare una guerra devastante contro l'Iraq nel 2003.
Detto questo, l'Iran potrebbe trovarsi in contraddizione con l'imperialismo di Stati Uniti e Israele, ma sullo sfondo ideologico questa lotta è limitata dalla visione del governo iraniano, che non è rivoluzionaria. Quello iraniano in realtà, è un governo borghese, dominato dalla borghesia dei bazar. Questi "bazaris" sono in qualche modo a metà strada tra i nazionalisti e la borghesia compradora. I primi sono per sviluppare il paese su una base indipendente, in merito al controllo delle risorse nazionali. I secondi sono burattini delle potenze neocoloniali, che partecipano al saccheggio delle risorse da parte delle multinazionali. Fanno import-export e non contribuiscono in nulla allo sviluppo del loro paese. I "bazaris" sono tra costoro. Questa borghesia si costituisce sui commercianti dei prodotti artigianali nelle piccole città. Con la modernizzazione dell'Iran, i "bazaris" hanno beneficiato delle sviluppo delle infrastrutture. Oggi, alcuni di questi sono miliardari. Non sono certo dei piccoli commercianti di tappeti.
Per superare i problemi interni dell'Iran, questa borghesia ha approfittato della guerra in Iraq e ha aperto nuovi mercati per le sue esportazioni. Giocando la carta confessionale, l'Iran si è aperto un accesso a quei mercati che sotto Saddam Hussein erano chiusi. Questa forma di opportunismo è assolutamente biasimevole e penso che l'Iran incapperà in gravi problemi per averla praticata.
Perché questo coinvolgimento nel conflitto iracheno potrebbe avere un impatto negativo sugli affari interni dell'Iran?
Perché non si brucia la casa del proprio vicino! Prima o poi, il fuoco tornerà indietro. Gli Stati Uniti sono una potenza imperialista, possono condurre conflitti a migliaia di chilometri da casa loro. Ma non è il caso dell'Iran. Impegnandosi in Iraq su base settarie, il governo iraniano si è esposto a una reazione pericolosa.
L'Iran è un mosaico di numerosi gruppi etnici. I persiani costituiscono il gruppo maggioritario, ma rappresentano poco più del 60% della popolazione. Oltre a loro, vi è una minoranza significativa di azeri che parlano il turco, come tutti i turcomanni lì presenti. Ci sono ovviamente i curdi e tutta una serie di altri gruppi che vanno dai baluci agli assiri, passando per i gilaki, dai quali arriva Abd al Qadir al-Jilani, una figura importante del sufismo. E' dunque molto pericoloso ingaggiare un conflitto confessionale nel paese vicino, quando il proprio è fondato sull'equilibrio di decine di gruppi etnici diversi.
Inoltre, l'Arabia Saudita si propone di utilizzare questo intervento in Iraq per sollevare i sunniti contro il suo grande rivale iraniano. L'impegno dell'Iran contro Daesh è una manna per chi vuole arruolare tutti questi giovani sunniti disperati nei gruppi estremistici. Al di là dei conflitti locali, è una guerra generale ad incombere su tutto il Medio Oriente. Questa guerra rischia di essere lunga. Essa farà moltissimi morti e sarà molto pesante per le economie dei paesi direttamente interessati.
Il conflitto sunnita-sciita è la principale contraddizione che attraversa il Medio Oriente oggi?
Non è tanto una questione di religione. Per citare un celebre slogan statunitense, si potrebbe dire: "It's the economy, stupid!". La guerra imperialista condotta da Bush contro l'Iraq, l'occupazione di quel paese e le rivalità settarie che ne sono derivate, l'utilizzo di estremisti sunniti per destabilizzare la regione o anche la volontà espansionistica della borghesia iraniana... Tutto questo risponde agli interessi economici di qualche élite. Quando si gratta un po' sui conflitti che infiammano il Medio Oriente, si scopre che le azioni dei belligeranti sono motivate da questioni strategiche relative alle sfere di influenza, al controllo delle aree strategiche, all'accesso al petrolio, ecc. Ci si passa sopra una mano di vernice religiosa per alimentare la propaganda e discolpare i veri responsabili di questo caos. Ma il fondo del problema è economico.
Eppure è intorno alla religione che si formano le alleanze nella regione...
No, questo non è il fattore determinante. Prendiamo in considerazione questo "asse del male" definito da Bush. Esso comprende l'Iran, la Siria, Hezbollah e Hamas. Viene anche chiamato "Asse sciita", ma i palestinesi di Hamas sono sunniti. Per meglio imporre una lettura confessionale e privare questo asse della considerazione palestinese, il Qatar ha cercato di sradicare Hamas da questa alleanza. Ha corrotto la direzione del movimento a suon di petrodollari, ma la base dell'organizzazione non l'ha seguito. Nonostante le differenze scoppiate all'inizio del conflitto siriano, Hamas ha riaffermato i legami che lo uniscono all'Iran. Da Doha, ha anche condannato l'intervento saudita in Yemen, intervento sostenuto dal... Qatar!
Si consideri inoltre l'esempio della Siria in questo "asse sciita". Il governo viene erroneamente presentato come un "regime alawita". Naturalmente, questa minoranza è sovra-rappresentata nell'apparato statale. Dobbiamo studiare la storia della Siria per capire questa particolarità. Tuttavia, non c'è mai stato un esplicito progetto della minoranza alawita di prendere il potere per governare secondo i propri interessi. Il governo siriano è in realtà sostenitore del nazionalismo arabo, un nazionalismo laico che fungeva da cemento per una società multi-confessionale. Pur essendo distante dall'ideologia islamica degli sciiti iraniani, ciò non ha impedito che Damasco e Teheran diventassero partner strategici.
Certamente il fattore religioso può influenzare le alleanze che si formano e si dissolvono in Medio Oriente. Ma se si ragiona in termini di sunniti e sciiti, non si comprendono i problemi che attraversa la regione. Si tratta innanzitutto di una questione di classe.
Ciò che vale per Hamas e la Siria non è necessariamente valido per l'Iraq dove, come haricordato, l'Iran ha giocato la carta confessionale...
In Iraq, il conflitto tra sunniti e sciiti è una fantasia, un prodotto dell'immaginazione degli imperialisti, delle petro-monarchie, della borghesia iraniana e di un piccolo gruppo di iracheni protetto da Teheran.
Così, un buon numero di sciiti iracheni è contrario all'intervento dell'Iran. Una lettura semplicistica vede gli sciiti iracheni e quelli iraniani sulla stessa lunghezza d'onda in virtù della loro appartenenza religiosa, senza tenere conto delle peculiarità irachene. Lo sviluppo dello sciismo in questo paese è molto recente. Esso risale al XIX secolo, quando le tribù nomadi si stabilirono nei pressi di Najaf e Kerbela. Diversi fattori hanno contribuito alla conversione di queste tribù allo sciismo. In primo luogo, il clero sciita di queste città temeva l'espansione wahhabita dei Saud e si è messo a convertire a tutta forza. Poi, quest'impresa è stata facilitata dalla costruzione di una diga, che aveva reso la zona particolarmente fertile, quindi favorevole all'insediamento dei nomadi. Infine, l'Impero ottomano conduceva all'epoca una politica volta al dissolvimento dei legami tribali.
Molti di quei nomadi vennero convertiti allo sciismo, altri rimasero sunniti. Ma alla fine tutti condividono origini comuni e piuttosto recenti. I molti matrimoni e gli altri costumi hanno favorito la mescolanza religiosa all'interno delle tribù irachene. Alcune possono quindi essere composte principalmente da sunniti, ma guidate da uno sciita o viceversa.
E questi legami tribali possono essere più forti delleaffinità religiose tra sciiti iracheni e iraniani?
Hanno una certa influenza, come ce l'ha il sentimento nazionalista che è sempre stato molto forte in Iraq, sia nei sunniti che negli sciiti. Mentre i primi rivendicano un nazionalismo arabo, i secondi hanno sostenuto maggiormente un nazionalismo iracheno.
Bisogna capire, attraverso queste particolarità, che non tutti gli sciiti in Iraq sono filo-iraniani, anzi. Questo è il motivo per cui gli sciiti iracheni non hanno cercato di replicare il modello della rivoluzione islamica che rovesciò lo shah in Iran, nel 1979. Ritenevano non ci fossero le condizioni per realizzare una rivoluzione di questo tipo in Iraq.
Gli sciiti rappresentano oltre il 75% della popolazione irachena. Avrebbero potuto anche seguire l'esempio dell'Iran. Perché non lo hanno fatto?
Storicamente, gli sciiti non sono disposti a mischiare religione e politica. Costituendo il ramo maggioritario dello sciismo, tanto in Iran come in Iraq, i Duodecimani attendono il ritorno del dodicesimo imam, che è l'unica autorità legittima ai loro occhi. In sua assenza, non riconoscono l'autorità politica. Per portare la rivoluzione islamica in Iran, Khomeini sviluppò un concetto teologico, il Velayat-e faqih, che gli permise di conciliare religione e politica. Khoemeini riteneva che in assenza dell'imam, la gestione politica dovesse tornare alla guida suprema, cioè il miglior giurista-teologo, il più adeguato a governare come avrebbe fatto il tanto atteso dodicesimo imam. Ma non tutti gli sciiti iracheni condividono la visione di Khomeini. Ancora oggi, sono divisi sulla questione.
Infine, ricordiamo che la guerra che oppose l'Iran all'Iraq (1980-1988) illustra molto bene come le affinità religiosa non siano determinanti necessariamente. Dopo la rivoluzione islamica e il rovesciamento dello shah, gli Stati Uniti avevano perso un alleato strategico. Spinsero così Saddam Hussein ad attaccare l'Iran. La guerra fu lunga e terribile, con Washington che sosteneva contemporaneamente entrambi i campi. Una posizione che l'allora segretario di stato Henry Kissinger aveva altezzosamente riassunto così:"Lasciamo che si uccidano l'un l'altro!". Sul piano religioso, questa guerra ha visto gli sciiti iracheni, che componevano il grosso della fanteria, obbedire agli ufficiali sunniti per combattere gli sciiti iraniani.
Ma oggi in Iraq infuria la guerra settaria. Questa non è solo una fantasia.
Certo, ma va compreso da dove viene il problema confessionale. Anche se possono esistere contraddizioni tra sunniti e sciiti, abbiamo visto che queste due comunità non erano naturalmente destinate a uccidersi. È pertanto necessario interrogarsi su cosa ha portato a questa situazione.
Ciò richiede di tornare all'invasione dell'Iraq, guidata da Bush nel 2003. Allorché gli Stati Uniti fecero cadere Saddam Hussein, la resistenza irachena si mobilitò contro l'occupazione statunitense. In quel momento, sunniti e sciiti iracheni avevano iniziato a combattere insieme per respingere i soldati statunitensi, cosa che preoccupò notevolmente Washington. Il tenente generale Ricardo Sanchez, comandante delle forze di occupazione, nell'aprile 2004 dichiarava: "Il pericolo è che noi riteniamo possastabilirsi un rapporto a livelli profondi tra sunniti e sciiti. Dobbiamo lavorare sodo affinché questo rimangaunicamente a un livello tattico". (1)
In che modo gli Stati Uniti hanno "lavorato sodo" perspezzare l'alleanza tra sunniti e sciiti iracheni?
Mentre era amministratore dell'Iraq, Paul Bremer procedette alla "de-baathificazione" del paese. Vale a dire, smantellò tutte le strutture dello Stato laico iracheno governato dal partito Baath di Saddam Hussein. La smobilitazione dell'esercito iracheno rientrava in questo quadro. Ora, abbiamo visto durante la guerra Iran-Iraq, che l'esercito avrebbe potuto svolgere un importante ruolo di mobilitazione nazionale, al di là delle appartenenze religiose. Ma alla fine Bremer distrusse quello che era il cemento della società irachena.
Oltre alla "de-baathificazione", la guerra in Iraq comportò anche una forma di genocidio culturale. Non si passa con un semplice schioccare delle dita da uno Stato laico, come quello esistente al tempo di Saddam Hussein, ad un paese martoriato dalla guerra settaria. Occorre lavorare sulle menti. L'istruzione è stata un obiettivo di sistematica distruzione dell'Iraq, come spiegato da Dirk Adriaensens e Marc Vandepitte: "Tra il marzo 2003 e l'ottobre 2008, più di 30.000 attacchi violenti sono stati condotti contro le istituzioni educative. Più di 700 scuole primarie sono state bombardate, 200 sono state bruciate e oltre 3.000 saccheggiate. Molti istituti scolastici sono stati utilizzati peralloggiare i soldati (...) L'istruzione superiore è stata particolarmente presa di mira e ancora più duramentecolpita. L'84% degli istituti superiori sono stati bruciati, saccheggiati o gravemente danneggiati. Più di 470 professori iracheni sono stati bersaglio di attacchi, quasi un insegnante ucciso alla settimana dall'inizio del conflitto". (2)
Poi, dopo la caduta di Saddam, gli Stati Uniti si sono appoggiati all'Iran per formare un governo iracheno. La borghesia sciita, guidata da Nouri al-Maliki, è stata condotta al potere. Quello di Maliki è stato un governo corrotto. Egli ha condotto una politica settaria particolarmente devastante, che ha fatto seguito a quella della de-baathificazione del paese. Sono state create le milizie sciite, che hanno compiuto massacri contro i sunniti e contro quegli sciiti che non sostenevano il governo. Maliki è stato sostenuto in questo sforzo sia dagli Stati Uniti che dall'Iran.
Infine, l'Arabia Saudita vedeva di cattivo occhio la crescente influenza del suo rivale iraniano. In Iraq, i sauditi hanno pertanto finanziato i gruppi estremisti sunniti per destabilizzare il regime sostenuto da Teheran. Tutto ciò ha formato un cocktail esplosivo che ha sprofondato l'Iraq in un terribile conflitto confessionale. Gli Stati Uniti all'inizio dell'occupazione dovettero affrontare una dura resistenza. Poi, gli iracheni iniziarono a combattere tra di loro.
L'Iran è già stato coinvolto politicamente in Iraq. Ora lo è anche sul terreno militare, partecipando alla lotta contro Daesh. Come si spiega questo impegno dell'Iran?
Sono molte le sfide che deve affrontare il governo iraniano: sanzioni economiche, corruzione, sviluppo del mercato nero, siccità, crescita della popolazione e così via. Le autorità hanno cercato di nascondere o relativizzare alcuni di questi problemi. Ma questi si combinano insieme, creando una situazione estremamente complicata.
In questo contesto, il governo iraniano ha cercato soluzioni al di fuori dei suoi confini, in particolare in Iraq. Giocando sulle affinità religiose, l'Iran ha cercato di espandere la sua zona di influenza. L'obiettivo è di aprire nuovi mercati che possano consentirgli di superare le difficoltà interne. Così, in Iraq, l'Iran ha sostenuto l'ascesa al potere della borghesia sciita filo-iraniana, dopo il rovesciamento di Saddam Hussein. Pertanto, i protetti di Tehran che occupano posizioni chiave e che dispongono di sostanziosi portafogli ministeriali hanno favorito l'acquisto dei prodotti iraniani. I benefici per l'economia iraniana sono stati significativi.
Per l'Iraq, l'alleanza non è stata conveniente. Il governo di Maliki (2006-2014), sostenuto da Teheran, era noto per la sua corruzione. Inoltre, ha condotto una politica settaria che ha contribuito alla conflagrazione del paese. L'Iran è spesso considerata una figura di spicco della lotta antimperialista in Medio Oriente. Non è sorprendente vederlobeneficiare così del caos iracheno?
Ricordiamo innanzitutto che l'Iran è l'unica potenza regionale a sostenere la resistenza di Hamas e di Hezbollah contro Israele. In secondo luogo, non è stato l'Iran a lanciare una guerra devastante contro l'Iraq nel 2003.
Detto questo, l'Iran potrebbe trovarsi in contraddizione con l'imperialismo di Stati Uniti e Israele, ma sullo sfondo ideologico questa lotta è limitata dalla visione del governo iraniano, che non è rivoluzionaria. Quello iraniano in realtà, è un governo borghese, dominato dalla borghesia dei bazar. Questi "bazaris" sono in qualche modo a metà strada tra i nazionalisti e la borghesia compradora. I primi sono per sviluppare il paese su una base indipendente, in merito al controllo delle risorse nazionali. I secondi sono burattini delle potenze neocoloniali, che partecipano al saccheggio delle risorse da parte delle multinazionali. Fanno import-export e non contribuiscono in nulla allo sviluppo del loro paese. I "bazaris" sono tra costoro. Questa borghesia si costituisce sui commercianti dei prodotti artigianali nelle piccole città. Con la modernizzazione dell'Iran, i "bazaris" hanno beneficiato delle sviluppo delle infrastrutture. Oggi, alcuni di questi sono miliardari. Non sono certo dei piccoli commercianti di tappeti.
Per superare i problemi interni dell'Iran, questa borghesia ha approfittato della guerra in Iraq e ha aperto nuovi mercati per le sue esportazioni. Giocando la carta confessionale, l'Iran si è aperto un accesso a quei mercati che sotto Saddam Hussein erano chiusi. Questa forma di opportunismo è assolutamente biasimevole e penso che l'Iran incapperà in gravi problemi per averla praticata.
Perché questo coinvolgimento nel conflitto iracheno potrebbe avere un impatto negativo sugli affari interni dell'Iran?
Perché non si brucia la casa del proprio vicino! Prima o poi, il fuoco tornerà indietro. Gli Stati Uniti sono una potenza imperialista, possono condurre conflitti a migliaia di chilometri da casa loro. Ma non è il caso dell'Iran. Impegnandosi in Iraq su base settarie, il governo iraniano si è esposto a una reazione pericolosa.
L'Iran è un mosaico di numerosi gruppi etnici. I persiani costituiscono il gruppo maggioritario, ma rappresentano poco più del 60% della popolazione. Oltre a loro, vi è una minoranza significativa di azeri che parlano il turco, come tutti i turcomanni lì presenti. Ci sono ovviamente i curdi e tutta una serie di altri gruppi che vanno dai baluci agli assiri, passando per i gilaki, dai quali arriva Abd al Qadir al-Jilani, una figura importante del sufismo. E' dunque molto pericoloso ingaggiare un conflitto confessionale nel paese vicino, quando il proprio è fondato sull'equilibrio di decine di gruppi etnici diversi.
Inoltre, l'Arabia Saudita si propone di utilizzare questo intervento in Iraq per sollevare i sunniti contro il suo grande rivale iraniano. L'impegno dell'Iran contro Daesh è una manna per chi vuole arruolare tutti questi giovani sunniti disperati nei gruppi estremistici. Al di là dei conflitti locali, è una guerra generale ad incombere su tutto il Medio Oriente. Questa guerra rischia di essere lunga. Essa farà moltissimi morti e sarà molto pesante per le economie dei paesi direttamente interessati.
Il conflitto sunnita-sciita è la principale contraddizione che attraversa il Medio Oriente oggi?
Non è tanto una questione di religione. Per citare un celebre slogan statunitense, si potrebbe dire: "It's the economy, stupid!". La guerra imperialista condotta da Bush contro l'Iraq, l'occupazione di quel paese e le rivalità settarie che ne sono derivate, l'utilizzo di estremisti sunniti per destabilizzare la regione o anche la volontà espansionistica della borghesia iraniana... Tutto questo risponde agli interessi economici di qualche élite. Quando si gratta un po' sui conflitti che infiammano il Medio Oriente, si scopre che le azioni dei belligeranti sono motivate da questioni strategiche relative alle sfere di influenza, al controllo delle aree strategiche, all'accesso al petrolio, ecc. Ci si passa sopra una mano di vernice religiosa per alimentare la propaganda e discolpare i veri responsabili di questo caos. Ma il fondo del problema è economico.
Eppure è intorno alla religione che si formano le alleanze nella regione...
No, questo non è il fattore determinante. Prendiamo in considerazione questo "asse del male" definito da Bush. Esso comprende l'Iran, la Siria, Hezbollah e Hamas. Viene anche chiamato "Asse sciita", ma i palestinesi di Hamas sono sunniti. Per meglio imporre una lettura confessionale e privare questo asse della considerazione palestinese, il Qatar ha cercato di sradicare Hamas da questa alleanza. Ha corrotto la direzione del movimento a suon di petrodollari, ma la base dell'organizzazione non l'ha seguito. Nonostante le differenze scoppiate all'inizio del conflitto siriano, Hamas ha riaffermato i legami che lo uniscono all'Iran. Da Doha, ha anche condannato l'intervento saudita in Yemen, intervento sostenuto dal... Qatar!
Si consideri inoltre l'esempio della Siria in questo "asse sciita". Il governo viene erroneamente presentato come un "regime alawita". Naturalmente, questa minoranza è sovra-rappresentata nell'apparato statale. Dobbiamo studiare la storia della Siria per capire questa particolarità. Tuttavia, non c'è mai stato un esplicito progetto della minoranza alawita di prendere il potere per governare secondo i propri interessi. Il governo siriano è in realtà sostenitore del nazionalismo arabo, un nazionalismo laico che fungeva da cemento per una società multi-confessionale. Pur essendo distante dall'ideologia islamica degli sciiti iraniani, ciò non ha impedito che Damasco e Teheran diventassero partner strategici.
Certamente il fattore religioso può influenzare le alleanze che si formano e si dissolvono in Medio Oriente. Ma se si ragiona in termini di sunniti e sciiti, non si comprendono i problemi che attraversa la regione. Si tratta innanzitutto di una questione di classe.
Ciò che vale per Hamas e la Siria non è necessariamente valido per l'Iraq dove, come haricordato, l'Iran ha giocato la carta confessionale...
In Iraq, il conflitto tra sunniti e sciiti è una fantasia, un prodotto dell'immaginazione degli imperialisti, delle petro-monarchie, della borghesia iraniana e di un piccolo gruppo di iracheni protetto da Teheran.
Così, un buon numero di sciiti iracheni è contrario all'intervento dell'Iran. Una lettura semplicistica vede gli sciiti iracheni e quelli iraniani sulla stessa lunghezza d'onda in virtù della loro appartenenza religiosa, senza tenere conto delle peculiarità irachene. Lo sviluppo dello sciismo in questo paese è molto recente. Esso risale al XIX secolo, quando le tribù nomadi si stabilirono nei pressi di Najaf e Kerbela. Diversi fattori hanno contribuito alla conversione di queste tribù allo sciismo. In primo luogo, il clero sciita di queste città temeva l'espansione wahhabita dei Saud e si è messo a convertire a tutta forza. Poi, quest'impresa è stata facilitata dalla costruzione di una diga, che aveva reso la zona particolarmente fertile, quindi favorevole all'insediamento dei nomadi. Infine, l'Impero ottomano conduceva all'epoca una politica volta al dissolvimento dei legami tribali.
Molti di quei nomadi vennero convertiti allo sciismo, altri rimasero sunniti. Ma alla fine tutti condividono origini comuni e piuttosto recenti. I molti matrimoni e gli altri costumi hanno favorito la mescolanza religiosa all'interno delle tribù irachene. Alcune possono quindi essere composte principalmente da sunniti, ma guidate da uno sciita o viceversa.
E questi legami tribali possono essere più forti delleaffinità religiose tra sciiti iracheni e iraniani?
Hanno una certa influenza, come ce l'ha il sentimento nazionalista che è sempre stato molto forte in Iraq, sia nei sunniti che negli sciiti. Mentre i primi rivendicano un nazionalismo arabo, i secondi hanno sostenuto maggiormente un nazionalismo iracheno.
Bisogna capire, attraverso queste particolarità, che non tutti gli sciiti in Iraq sono filo-iraniani, anzi. Questo è il motivo per cui gli sciiti iracheni non hanno cercato di replicare il modello della rivoluzione islamica che rovesciò lo shah in Iran, nel 1979. Ritenevano non ci fossero le condizioni per realizzare una rivoluzione di questo tipo in Iraq.
Gli sciiti rappresentano oltre il 75% della popolazione irachena. Avrebbero potuto anche seguire l'esempio dell'Iran. Perché non lo hanno fatto?
Storicamente, gli sciiti non sono disposti a mischiare religione e politica. Costituendo il ramo maggioritario dello sciismo, tanto in Iran come in Iraq, i Duodecimani attendono il ritorno del dodicesimo imam, che è l'unica autorità legittima ai loro occhi. In sua assenza, non riconoscono l'autorità politica. Per portare la rivoluzione islamica in Iran, Khomeini sviluppò un concetto teologico, il Velayat-e faqih, che gli permise di conciliare religione e politica. Khoemeini riteneva che in assenza dell'imam, la gestione politica dovesse tornare alla guida suprema, cioè il miglior giurista-teologo, il più adeguato a governare come avrebbe fatto il tanto atteso dodicesimo imam. Ma non tutti gli sciiti iracheni condividono la visione di Khomeini. Ancora oggi, sono divisi sulla questione.
Infine, ricordiamo che la guerra che oppose l'Iran all'Iraq (1980-1988) illustra molto bene come le affinità religiosa non siano determinanti necessariamente. Dopo la rivoluzione islamica e il rovesciamento dello shah, gli Stati Uniti avevano perso un alleato strategico. Spinsero così Saddam Hussein ad attaccare l'Iran. La guerra fu lunga e terribile, con Washington che sosteneva contemporaneamente entrambi i campi. Una posizione che l'allora segretario di stato Henry Kissinger aveva altezzosamente riassunto così:"Lasciamo che si uccidano l'un l'altro!". Sul piano religioso, questa guerra ha visto gli sciiti iracheni, che componevano il grosso della fanteria, obbedire agli ufficiali sunniti per combattere gli sciiti iraniani.
Ma oggi in Iraq infuria la guerra settaria. Questa non è solo una fantasia.
Certo, ma va compreso da dove viene il problema confessionale. Anche se possono esistere contraddizioni tra sunniti e sciiti, abbiamo visto che queste due comunità non erano naturalmente destinate a uccidersi. È pertanto necessario interrogarsi su cosa ha portato a questa situazione.
Ciò richiede di tornare all'invasione dell'Iraq, guidata da Bush nel 2003. Allorché gli Stati Uniti fecero cadere Saddam Hussein, la resistenza irachena si mobilitò contro l'occupazione statunitense. In quel momento, sunniti e sciiti iracheni avevano iniziato a combattere insieme per respingere i soldati statunitensi, cosa che preoccupò notevolmente Washington. Il tenente generale Ricardo Sanchez, comandante delle forze di occupazione, nell'aprile 2004 dichiarava: "Il pericolo è che noi riteniamo possastabilirsi un rapporto a livelli profondi tra sunniti e sciiti. Dobbiamo lavorare sodo affinché questo rimangaunicamente a un livello tattico". (1)
In che modo gli Stati Uniti hanno "lavorato sodo" perspezzare l'alleanza tra sunniti e sciiti iracheni?
Mentre era amministratore dell'Iraq, Paul Bremer procedette alla "de-baathificazione" del paese. Vale a dire, smantellò tutte le strutture dello Stato laico iracheno governato dal partito Baath di Saddam Hussein. La smobilitazione dell'esercito iracheno rientrava in questo quadro. Ora, abbiamo visto durante la guerra Iran-Iraq, che l'esercito avrebbe potuto svolgere un importante ruolo di mobilitazione nazionale, al di là delle appartenenze religiose. Ma alla fine Bremer distrusse quello che era il cemento della società irachena.
Oltre alla "de-baathificazione", la guerra in Iraq comportò anche una forma di genocidio culturale. Non si passa con un semplice schioccare delle dita da uno Stato laico, come quello esistente al tempo di Saddam Hussein, ad un paese martoriato dalla guerra settaria. Occorre lavorare sulle menti. L'istruzione è stata un obiettivo di sistematica distruzione dell'Iraq, come spiegato da Dirk Adriaensens e Marc Vandepitte: "Tra il marzo 2003 e l'ottobre 2008, più di 30.000 attacchi violenti sono stati condotti contro le istituzioni educative. Più di 700 scuole primarie sono state bombardate, 200 sono state bruciate e oltre 3.000 saccheggiate. Molti istituti scolastici sono stati utilizzati peralloggiare i soldati (...) L'istruzione superiore è stata particolarmente presa di mira e ancora più duramentecolpita. L'84% degli istituti superiori sono stati bruciati, saccheggiati o gravemente danneggiati. Più di 470 professori iracheni sono stati bersaglio di attacchi, quasi un insegnante ucciso alla settimana dall'inizio del conflitto". (2)
Poi, dopo la caduta di Saddam, gli Stati Uniti si sono appoggiati all'Iran per formare un governo iracheno. La borghesia sciita, guidata da Nouri al-Maliki, è stata condotta al potere. Quello di Maliki è stato un governo corrotto. Egli ha condotto una politica settaria particolarmente devastante, che ha fatto seguito a quella della de-baathificazione del paese. Sono state create le milizie sciite, che hanno compiuto massacri contro i sunniti e contro quegli sciiti che non sostenevano il governo. Maliki è stato sostenuto in questo sforzo sia dagli Stati Uniti che dall'Iran.
Infine, l'Arabia Saudita vedeva di cattivo occhio la crescente influenza del suo rivale iraniano. In Iraq, i sauditi hanno pertanto finanziato i gruppi estremisti sunniti per destabilizzare il regime sostenuto da Teheran. Tutto ciò ha formato un cocktail esplosivo che ha sprofondato l'Iraq in un terribile conflitto confessionale. Gli Stati Uniti all'inizio dell'occupazione dovettero affrontare una dura resistenza. Poi, gli iracheni iniziarono a combattere tra di loro.
Lo Stato islamico, oggi combattuto dagli Stati Uniti, è il risultato di questa politica devastatrice?
Di fronte alla violenza delle milizie sciite, i sunniti si sono organizzati per resistere. Lo Stato islamico è diventata una specie di coalizione cui ha aderito tutta una serie di altri movimenti, come l'Esercito degli uomini di Naqshbandi. Inizialmente, questo esercito non aveva nulla a che fare con Al Qaeda. Ispirato dal sufismo e guidato da una importante figura del regime di Saddam Hussein, Izzat Ibrahim al-Duri, ex vice presidente del Consiglio del comando rivoluzionario iracheno, l'Esercito degli uomini di Naqshbandi ha combattuto l'occupazione statunitense. Pur trovandosi più di una volta in opposizione con lo Stato islamico, il contesto ha favorito la convergenza dei diversi movimenti sunniti sotto la bandiera di Daesh. Ovviamente non tutti aderiscono all'ideologia dello Stato islamico, ma usano questo movimento, quello meglio organizzato, per combattere l'esercito iracheno, che iracheno non è, essendo un esercito settario. Ora faccio io una domanda: dove sono i 300.000 militari che compongono l'esercito iracheno e cosa fanno con tutti i soldi che hanno ricevuto?
Questa è una bella domanda. Il numero degli effettivi non è sopravvalutato? Il primo ministro iracheno Haider al-Abadi ha dichiarato l'anno scorso che nell'esercito iracheno c'erano 50.000 "soldati fantasma", per conto dei quali gli ufficiali incassano gli stipendi... (3)
Sì e altri soldati cedono parte delle loro paghe allo scopo di stare lontani dalla caserma. Un altro effetto della politica di Bremer! Ma questo non spiega tutto. Esistono soldati iracheni. Hanno ricevuto miliardi di dollari e una montagna di equipaggiamenti. Tuttavia, la loro capacità di combattimento è quasi zero.
A differenza di quello di Daesh, che è stato integrato da molti movimenti, ex ba'athisti, sunniti stanchi della politica settaria del governo, ecc. Ecco perché Daesh ha preso il sopravvento sull'esercito iracheno. Ecco perché è riuscito a insediare questo stato a cavallo tra Iraq e Siria. Estendendosi in questo modo, Daesh ha allarmato tutti, compresi gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita, che hanno perso il controllo della situazione. Pertanto, in assenza di un vero esercito iracheno, Daesh è oggi contrastato da milizie sciite inquadrate da ufficiali iraniani. Ma i combattenti di Daesh conoscono meglio la realtà sul terreno iracheno rispetto agli ufficiali iraniani. Ripeto, questo impegno rischia di causare molti problemi all'Iran.
Si parla anche di uno scontro tra sunniti e sciiti in Yemen. Una coalizione formata da Egitto, Marocco, Giordania, Sudan e Pakistan, insieme ai membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (con l'eccezione dell'Oman) sostiene i bombardamenti dell'Arabia Saudita in Yemen dal 26 marzo. L'operazione beneficia del "supporto logistico" degli Stati Uniti. Essa ha come bersaglio l'insurrezione degli sciiti Huthi e intende rimettere in sella il presidente sunnita Abd Rabo Mansour Hadi, fuggito in Arabia Saudita dopo l'inizio dell'operazione "Tempesta decisiva".
Per essere chiari, non c'è mai stato alcun problema tra sunniti e sciiti in Yemen. Gli sciiti che si trovano in questo paese sono zayditi e vivono esclusivamente nel nord. Rappresentano un terzo della popolazione. Il resto è sunnita, tralasciando una minoranza molto poco significativa per numero di abitanti. Ci sono sunniti nel nord e sunniti che dominano tutto il sud, ma questa regione è molto meno popolata. In Yemen, gli sciiti zayditi ed i sunniti sciafeiti hanno sempre vissuto in armonia. Potrebbero anche pregare nelle stesse moschee!
Oggi qualcuno cerca di presentare gli eventi che lacerano lo Yemen come un conflitto confessionale, ma ciò è del tutto falso. Ed in realtà questa non è cosa nuova. L'insurrezione degli Huthi risale al 2004 ed inizialmente è limitata al governatorato di Sa'dah, nel nord-ovest del paese. Anche allora, il presidente Ali Abdullah Saleh, anche lui zaydita, aveva lavorato per marginalizzare la ribellione presentandola come un movimento sciita. Ma la posta in gioco non erano affatto religiosa.
Lo Yemen è uno dei paesi più poveri al mondo e il più povero del Medio Oriente. La sua economia si basa principalmente su una agricoltura in declino, alcune rendite petrolifere, un po' di pesca, gli aiuti internazionali e le rimesse dei lavoratori espatriati. Il popolo vive nella miseria. La maggior parte degli yemeniti ha meno di trent'anni ed è senza alcuna prospettiva per il futuro. Prima del 2011, la disoccupazione giovanile raggiungeva il 40% e secondo le Nazioni Unite, è addirittura aumentata al 50% negli anni successivi. Ma, a parte questo, l'ex presidente Saleh e il suo entourage si sono notevolmente arricchiti. La fortuna del dittatore, al potere da trent'anni, è stimata intorno ai 60 miliardi dollari dagli esperti delle Nazioni Unite! (4). Saleh si è meritato un posto nella classifica di Forbes, appena dietro Bill Gates, Carlos Slim e Warren Buffet. Saleh ha provato in qualche modo a marginalizzare la protesta degli Huthi, ma nel 2011 la rivolta diventa generale e il presidente è rovesciato nei primi mesi del 2012.
La "primavera yemenita" è stata molto meno mediaticizzata rispetto ad altre. Perché?
Eppure, questo è stato un movimento di protesta esemplare. Circolano molte armi in Yemen e la rivolta è rimasta pacifica, nonostante tutto. I pochi casi di violenza sono da ricondurre a teppisti o ad alcuni soldati.
Il governo ha cercato di sfruttare le divisioni per indebolire il movimento di protesta. Tra sunniti e sciiti, ovviamente, ma anche tra nord e sud. La riunificazione dello Yemen è recente, risale al 1990. Esiste ancora una movimento secessionista di una certa importanza nel sud. Tuttavia, la stragrande maggioranza del popolo yemenita è rimasta unita di fornte a Saleh. Ha capito infatti che i problemi che ha dovuto affrontare e che hanno reso le condizioni di vita così penose non c'entrano con la religione o le relazioni tra nord e sud, ma con la natura antidemocratica del governo. Le donne dello Yemen hanno svolto un ruolo ammirevole, partecipando attivamente al dibattito e incoraggiando con forza la mobilitazione dei giovani.
Penso che la rivolta dello Yemen abbia avuto molto meno risalto mediatico perché né gli Stati Uniti, né l'Arabia Saudita desiderano cambiamenti significativi nel paese. A questo punto si sarà notato che, in base ai loro interessi, esistono primavere arabe buone e cattive. Ed ancora... l'Arabia Saudita afferma di sostenere la rivoluzione in Siria. In realtà, Washington e Riyad hanno espropriato il legittimo movimento popolare per far precipitare il paese nel caos. Poi, i bei discorsi sulla Siria non hanno impedito ai sauditi di reprimere nel sangue la rivolta in Bahrain, anche quella non molto pubblicizzata. Ora, si riproduce la stessa dinamica in Yemen. Ed aggiungiamoci l'Egitto, dove al-Sisi ha rovesciato il presidente eletto Mohamed Morsi nella totale indifferenza degli sponsor della "primavera araba".
Il mondo arabo ha vissuto per decenni sotto il giogo di terribili dittature. Oggi, un movimento di protesta popolare attraversa l'intera regione. Per non cadere in errore, è necessario analizzare le azioni di Arabia Saudita e Stati Uniti nell'area. Entrambi questi paesi appaiono allora per quello che sono: contro-rivoluzionari. Se doveste un giorno condurre una rivolta popolare e i Saud o la Cia vi offrissero il loro aiuto, fate attenzione!
Nel 2011 nel nostro libro La Stratégie du chaos [La strategia del caos], dichiarava: "Se le potenze imperialiste manterranno il loro sistema di dominio offrendo una parvenza di democrazia, gli yemeniti si troverannonuovamente ad affrontare gli stessi problemi. Ma oggi il loro livello di coscienza politica è tale che non glielo lasceranno fare". E' quanto è successo dopo il rovesciamento di Saleh?
Esatto. Si parla molto degli Huthi. Ma Huthi, non è che una persona! Hussein al-Huthi ha fondato un movimento. E' stato ucciso nel 2004 e sostituito dal fratello Abdul Malik. Quello che voglio dire è che, anche se gli Huthi si sono nuovamente sollevati nel settembre del 2014, provocando la fuga del nuovo presidente Hadi, la contestazione è generale e non può essere ridotta ad un solo movimento.
La situazione non è migliorata dopo il rovesciamento di Saleh. Il nuovo presidente ha avuto molte difficoltà nel soddisfare gli interessi dei vari movimenti che hanno portato alla caduta dell'ex dittatore. Inoltre, l'allineamento di Hadi agli Stati Uniti e all'Arabia Saudita non piace alla maggioranza degli yemeniti. Questo paese è stato duramente segnato dalla guerra contro il terrorismo e dagli attacchi dei droni. I rapporti con l'Arabia Saudita non sono migliori, dato che questo paese interferirà regolarmente e disastrosamente con il vicino yemenita. Infine e questo credo sia il motivo principale del rovesciamento di Hadi, le condizioni di vita degli yemeniti non hanno registrato alcun miglioramento.
L'insurrezione degli Huthi si iscrive dunque nel contesto di una vera e propria rivolta popolare. Secondo voi, perché gli Huthi non hanno incontrato praticamente alcuna resistenza nel corso dell'attacco al palazzo presidenziale a Sanaa? Cosa faceva l'esercito? Dov'era il servizio di sicurezza?
Si dice che gli Huthi abbiano stretto un'alleanza con l'ex presidente Saleh, che mantiene buoni contatti dentro l'esercito...
Non ha alcun senso! Per anni, Saleh ha condotto una lotta implacabile contro gli Huthi. Ha ucciso il loro fondatore e centinaia di altri membri. La contraddizione tra le due parti è molto forte e non vedo come un concorso di circostanze li possa spingere a collaborare.
In primo luogo, perché gli Huthi non stanno lottando per prendere il potere in Yemen. Rivendicano la riconciliazione nazionale e migliori condizioni di vita. E in questa lotta, Saleh è nemico tanto quanto Hadi. Poi gli Huthi non hanno bisogno del sostegno di Saleh. Hanno i loro contatti all'interno dell'esercito. Quando l'ex dittatore ha combattuto gli Huthi nel 2004, fu sostenuto da Arabia Saudita e ricevette molte armi. Ma buona parte di questo materiale è caduto nelle mani degli Huthi grazie ai loro ottimi contatti dentro l'esercito. Infine, gli Huthi non hanno bisogno di stringere un'alleanza con Saleh per combattere Hadi perché quest'ultimo non gode di nessun sostegno, di nessuna base popolare. Dopo aver preso Sanaa, il presidente è fuggito verso Sud, a Aden, di cui è originario. Ma anche lì, Hadi non ha avuto il sostegno previsto. La gente non ha dimenticato la sua violenta repressione del movimento secessionista e che aveva, quando era ministro della difesa negli anni '90, portato un'offensiva militare contro Aden.
Questo è il motivo per cui gli Huthi hanno potuto facilmente prendere Sanaa e poi avanzare rapidamente verso Aden. Penso anche che questa progressione abbia sorpreso tutti, anche i Saud. Questi hanno rapidamente rimosso Hadi e poi lanciato l'attacco, che deve essere visto come un segnale di panico.
Quale obiettivo persegue l'Arabia Saudita con l'offensiva militare?
Principalmente quello di salvare il presidente. Anche di districare questa situazione alquanto assurda che ricorda il caso della Somalia. Così ci si trova da un lato con un governo in esilio, senza base popolare, ma riconosciuto dalla "comunità internazionale" e dall'altro, con un paese sprofondato nella guerra e nel caos. A differenza dei somali però, gli yemeniti avrebbero la possibilità di formare un nuovo governo senza Hadi, negando ogni legittimità al presidente in esilio. I Saud vogliono evitarlo ad ogni costo.
In generale, il controllo dello Yemen è strategico per l'Arabia Saudita. Ci sono, naturalmente, gli accordi frontalieri relativi alla provincia di Jinzan che i Saud non vogliono rimettere in discussione. Ma c'è soprattutto il loro timore che emerga un governo veramente democratico alle porte di un regno feudale. I sauditi non vogliono che i movimenti popolari di protesta giungano a casa loro. Tuttavia, dal 2011, le proteste sfidano il regime, soprattutto nella provincia orientale, ricca di petrolio e popolata prevalentemente da sciiti. Laggiù le forze di sicurezza saudite hanno ucciso decine di manifestanti negli ultimi quattro anni. Ma le proteste sono riprese con l'attacco allo Yemen. Il 6 aprile, durante un raid delle forze di sicurezza nella provincia orientale, è stato ucciso anche un poliziotto. L'Arabia Saudita rischia grosso con questo intervento in Yemen.
L'offensiva al momento si limita ai bombardamenti. Pensi che l'Arabia Saudita possa impiegare truppe di terra?
Se volete perdere una guerra, inviate le vostre truppe in Yemen! Ci sono moltissime armi in questo paese e gli yemeniti le sanno usare. Inoltre, il paesaggio montano è quello ideale per i guerriglieri. Se i Saud saranno abbastanza stupidi da inviare le loro truppe, lo Yemen potrebbe diventare il loro Vietnam.
L'Arabia Saudita ha ottenuto il sostegno di un certo numero di stati arabi per formare una coalizione. Ma c'è un appoggio verbale. In termini pratici, questa è la guerra dei Saud e si troveranno ad affrontare una forte resistenza, la loro aggressione ha rafforzato il nazionalismo yemenita. I Saud possono finire con l'esporsi anche a gravi problemi interni. Alle proteste nella provincia orientale si sono aggiunti recentemente gli incidenti al confine yemenita.
Lei afferma che sunniti e sciiti vivevano in armonia nello Yemen. Ma oggii Saud sostengono il presidente Hadi e per contro, si dice che l'Iran sostenga gli Huthi. Lo Yemen non è, suo malgrado, il teatro di un conflitto settario in cui si affrontano Riyadh e Teheran?
Si parla molto del sostegno iraniano agli Huthi senza mai definire il grado di coinvolgimento di Teheran.
John Kerry ha dichiarato l'8 aprile scorso di avere prove inconfutabili delsupporto materiale fornito dall'Iran gli Huthi. Il segretario di stato parladi più voli alla settimana...
Più voli alla settimana? Mentre l'Arabia Saudita ha istituito una zona d'esclusione aerea? Se fossi in voi diffiderei delle informazioni fornite da John Kerry. E' stato lui a dire nel settembre 2014 che la ribellione siriana "è definita sempre più dalla sua moderazione" e che l'opposizione è più forte.
Più seriamente, gli Huthi non hanno bisogno del sostegno materiale iraniano e rigettano queste accuse. Se supporto c'è stato, penso sia stato molto limitato. Gli Huthi hanno la loro agenda in Yemen. Sebbene i ritratti di Khomeini e di Nasrallah siano branditi dai manifestanti, i dirigenti del movimento si guardano bene dal farsi inserire nel famoso "asse sciita". Non vogliono una polarizzazione settaria in Yemen e sostengono la riconciliazione nazionale. Questo ricongiungimento con l'Iran gli porterebbe più problemi che altro.
Ma da parte sua, l'Iran non nasconde il proprio sostegno agli zayditi delloYemen. Ali Shirazi, un alto chierico iraniano, ha paragonato laformazione degli Huthi a quella di Hezbollah e dei Basij, le forze paramilitari iraniane. Il generale Hossein Salami ha detto che gli Huthisono una "copia simile" di Hezbollah. Ali Akbar Nateq-Nouri, il presidente del parlamento iraniano e Ali Akbar Velayati, ex ministro degli esteri estretto consigliere di Khamenei, hanno entrambi detto che la sfera di influenza iraniana include lo Yemen. C'è anche la questione Jihan 1, la nave intercettata nel 2013 al largo delle coste dello Yemen chetrasportava un quantitativo di armi iraniane.
In primo luogo, sulla famosa nave, tanto gli Huthi quanto l'Iran hanno smentito. Un rappresentante di Ansarullah ha dichiarato con un certo pragmatismo: "L'Iran non è così stupido da inviare grandi quantità di armi e fornire quel tipo di prove schiaccianti contro si sé. L'Iran avrebbe inviato denaro agli Huthi, i quali avrebbero potuto in seguito acquistare armi nei mercati locali o dai trafficanti africani". (5)
Saleh ieri, Hadi e l'Arabia Saudita oggi... Tutti stanno cercando di ridurre gli Huthi a un braccio armato dell'Iran a di marginalizzare la protesta, per fare di una rivolta popolare un conflitto settario. Ma questo non corrisponde alla realtà sul terreno.
Naturalmente, l'Iran potrebbe cercare di approfittare della situazione per alimentare i fantasmi di una sua influenza regionale. La borghesia iraniana sogna di esportare il suo capitalismo islamico. Ma il portavoce degli Huthi è stato molto chiaro sull'argomento: "Non possiamo applicare il sistema iraniano allo Yemen, perché gli sciafeiti sono molti più di noi zayditi" (6). Gli Huthi non possono e non vogliono governare da soli. Essi non intendono fare dello Yemen uno stato sciita al soldo dell'Iran. Non corrono il rischio di frammentare il paese. Ripeto, loro aspirano alla riconciliazione nazionale. Questo è l'unica soluzione per lo Yemen. Il resto è propaganda.
Il conflitto tra Riyadh Teheran rimane un problema cruciale nella regione. Come interpreta l'accordo sul nucleare iraniano che si profila con gli Stati Uniti? Barack Obama non ha paura di offendere il suo alleato saudita?
Come ho spiegato in Jihad made in USA, gli accordi tra Teheran e Washington sono praticamente un copia-incolla di un libro di un ex agente Cia, Kenneth Pollack, specialista dell'Iran. Pollack dice che gli Stati Uniti non possono combattere l'Iran e che devono decidersi a riconoscerla come potenza regionale. Ha ricordato che la gioventù urbana iraniana è la sola filo-americana nella regione e forse una delle più filo-americana al mondo! Questi giovani sono fortemente influenzati da Internet, Hollywood, ecc. I loro genitori vivevano all'occidentale ai tempi dello shah. Ma sono nati sotto la Repubblica islamica e non hanno ottenuto dai loro dirigenti la prospettiva di una nuova società. L'Iran è in definitiva nient'altro che un paese capitalista con una maschera islamica. Gli Stati Uniti possono dunque beneficiare di questa situazione. Soprattutto perché hanno bisogno dell'Iran in Afghanistan, in Iraq e in Asia centrale.
L'Iran si è trovato di fatto sulla linea antimperialista perché gli interessi nazionali della sua borghesia erano in conflitto con quelli degli Stati Uniti. Ma non vi è alcuna base rivoluzionaria per questa linea antimperialista. La situazione potrebbe cambiare. Tuttavia, Washington non permetterà che l'élite iraniana realizzi il suo sogno di restaurare l'influenza del grande Impero persiano. A questo livello, l'Arabia Saudita resta un prezioso alleato, essendo i Saud impegnati in una sorta di guerra fredda con l'Iran intorno alla contraddizione tra sunniti e sciiti.
Gli Stati Uniti sono in procinto di raggiungere un accordo con l'Iran.Normalizzano le loro relazioni con Cuba. In Colombia hanno anche dato il via libera a veri negoziati tra il governo e le Farc. Come valuta questo cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti?
Stiamo parlando di una potenza imperialista in declino. I neoconservatori e il loro "Project for a New American Century" [Progetto per un nuovo secolo americano] hanno completamente rovinato gli Stati Uniti. Il loro concetto di guerra globale e permanente per assicurare l'egemonia statunitense dopo la caduta dell'Unione Sovietica si è rivelato un fiasco totale. In dodici anni, la guerra contro il terrorismo è costata la vita a 1,3 milioni di persone solo tra Iraq, Afghanistan e Pakistan. Ed è una "stima al ribasso" secondo le associazioni che hanno condotto questo studio (7). Lungi dal distruggere il terrorismo, gli Stati Uniti hanno costituito un terreno estremamente favorevole per diffondere desolazione in tutta la regione.
Inoltre, Washington ha completamente mancato i suoi obiettivi di dominio. Nuove potenze, come quelle dei Brics sono emerse e siamo entrati in un mondo multipolare. Gli Stati Uniti non hanno altra scelta che evitare gli scontri diretti perché precipiterebbero nel crollo del loro impero.
Vi è quindi un cambiamento di metodo con Obama. C'è un ritorno al "soft power". Ma gli obiettivi restano gli stessi e sono dettati dagli interessi delle multinazionali. Non può essere altrimenti. Gli Stati Uniti hanno ancora bisogno di materie prime a buon mercato, di manodopera a basso costo, di sbocchi per il loro capitale, ecc.
La questione dei conflitti in Medio Oriente è di natura economica. Questo è ciò che guida la politica estera degli Stati Uniti. Questo è ciò che guida il loro sostegno alla guerra dei Saud contro lo Yemen e il loro riavvicinamento all'Iran. Questo è ciò che guida le ambizioni espansionistiche della borghesia iraniana. Ed è questo che strumentalizza la contraddizione tra sunniti e sciiti. Il capitalismo è la guerra. Qui sta il problema.
Note
1. http://www.nytimes.com/2004/04/08/i...
2. http://www.michelcollon.info/Les-ch...
3. http://www.reuters.com/article/2014...
4. http://www.bbc.com/news/world-middl...
5. http://eng.majalla.com/2013/02/arti...
6. http://www.yementimes.com/en/1826/i...
7. http://www.lesoir.be/842738/article...
Di fronte alla violenza delle milizie sciite, i sunniti si sono organizzati per resistere. Lo Stato islamico è diventata una specie di coalizione cui ha aderito tutta una serie di altri movimenti, come l'Esercito degli uomini di Naqshbandi. Inizialmente, questo esercito non aveva nulla a che fare con Al Qaeda. Ispirato dal sufismo e guidato da una importante figura del regime di Saddam Hussein, Izzat Ibrahim al-Duri, ex vice presidente del Consiglio del comando rivoluzionario iracheno, l'Esercito degli uomini di Naqshbandi ha combattuto l'occupazione statunitense. Pur trovandosi più di una volta in opposizione con lo Stato islamico, il contesto ha favorito la convergenza dei diversi movimenti sunniti sotto la bandiera di Daesh. Ovviamente non tutti aderiscono all'ideologia dello Stato islamico, ma usano questo movimento, quello meglio organizzato, per combattere l'esercito iracheno, che iracheno non è, essendo un esercito settario. Ora faccio io una domanda: dove sono i 300.000 militari che compongono l'esercito iracheno e cosa fanno con tutti i soldi che hanno ricevuto?
Questa è una bella domanda. Il numero degli effettivi non è sopravvalutato? Il primo ministro iracheno Haider al-Abadi ha dichiarato l'anno scorso che nell'esercito iracheno c'erano 50.000 "soldati fantasma", per conto dei quali gli ufficiali incassano gli stipendi... (3)
Sì e altri soldati cedono parte delle loro paghe allo scopo di stare lontani dalla caserma. Un altro effetto della politica di Bremer! Ma questo non spiega tutto. Esistono soldati iracheni. Hanno ricevuto miliardi di dollari e una montagna di equipaggiamenti. Tuttavia, la loro capacità di combattimento è quasi zero.
A differenza di quello di Daesh, che è stato integrato da molti movimenti, ex ba'athisti, sunniti stanchi della politica settaria del governo, ecc. Ecco perché Daesh ha preso il sopravvento sull'esercito iracheno. Ecco perché è riuscito a insediare questo stato a cavallo tra Iraq e Siria. Estendendosi in questo modo, Daesh ha allarmato tutti, compresi gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita, che hanno perso il controllo della situazione. Pertanto, in assenza di un vero esercito iracheno, Daesh è oggi contrastato da milizie sciite inquadrate da ufficiali iraniani. Ma i combattenti di Daesh conoscono meglio la realtà sul terreno iracheno rispetto agli ufficiali iraniani. Ripeto, questo impegno rischia di causare molti problemi all'Iran.
Si parla anche di uno scontro tra sunniti e sciiti in Yemen. Una coalizione formata da Egitto, Marocco, Giordania, Sudan e Pakistan, insieme ai membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (con l'eccezione dell'Oman) sostiene i bombardamenti dell'Arabia Saudita in Yemen dal 26 marzo. L'operazione beneficia del "supporto logistico" degli Stati Uniti. Essa ha come bersaglio l'insurrezione degli sciiti Huthi e intende rimettere in sella il presidente sunnita Abd Rabo Mansour Hadi, fuggito in Arabia Saudita dopo l'inizio dell'operazione "Tempesta decisiva".
Per essere chiari, non c'è mai stato alcun problema tra sunniti e sciiti in Yemen. Gli sciiti che si trovano in questo paese sono zayditi e vivono esclusivamente nel nord. Rappresentano un terzo della popolazione. Il resto è sunnita, tralasciando una minoranza molto poco significativa per numero di abitanti. Ci sono sunniti nel nord e sunniti che dominano tutto il sud, ma questa regione è molto meno popolata. In Yemen, gli sciiti zayditi ed i sunniti sciafeiti hanno sempre vissuto in armonia. Potrebbero anche pregare nelle stesse moschee!
Oggi qualcuno cerca di presentare gli eventi che lacerano lo Yemen come un conflitto confessionale, ma ciò è del tutto falso. Ed in realtà questa non è cosa nuova. L'insurrezione degli Huthi risale al 2004 ed inizialmente è limitata al governatorato di Sa'dah, nel nord-ovest del paese. Anche allora, il presidente Ali Abdullah Saleh, anche lui zaydita, aveva lavorato per marginalizzare la ribellione presentandola come un movimento sciita. Ma la posta in gioco non erano affatto religiosa.
Lo Yemen è uno dei paesi più poveri al mondo e il più povero del Medio Oriente. La sua economia si basa principalmente su una agricoltura in declino, alcune rendite petrolifere, un po' di pesca, gli aiuti internazionali e le rimesse dei lavoratori espatriati. Il popolo vive nella miseria. La maggior parte degli yemeniti ha meno di trent'anni ed è senza alcuna prospettiva per il futuro. Prima del 2011, la disoccupazione giovanile raggiungeva il 40% e secondo le Nazioni Unite, è addirittura aumentata al 50% negli anni successivi. Ma, a parte questo, l'ex presidente Saleh e il suo entourage si sono notevolmente arricchiti. La fortuna del dittatore, al potere da trent'anni, è stimata intorno ai 60 miliardi dollari dagli esperti delle Nazioni Unite! (4). Saleh si è meritato un posto nella classifica di Forbes, appena dietro Bill Gates, Carlos Slim e Warren Buffet. Saleh ha provato in qualche modo a marginalizzare la protesta degli Huthi, ma nel 2011 la rivolta diventa generale e il presidente è rovesciato nei primi mesi del 2012.
La "primavera yemenita" è stata molto meno mediaticizzata rispetto ad altre. Perché?
Eppure, questo è stato un movimento di protesta esemplare. Circolano molte armi in Yemen e la rivolta è rimasta pacifica, nonostante tutto. I pochi casi di violenza sono da ricondurre a teppisti o ad alcuni soldati.
Il governo ha cercato di sfruttare le divisioni per indebolire il movimento di protesta. Tra sunniti e sciiti, ovviamente, ma anche tra nord e sud. La riunificazione dello Yemen è recente, risale al 1990. Esiste ancora una movimento secessionista di una certa importanza nel sud. Tuttavia, la stragrande maggioranza del popolo yemenita è rimasta unita di fornte a Saleh. Ha capito infatti che i problemi che ha dovuto affrontare e che hanno reso le condizioni di vita così penose non c'entrano con la religione o le relazioni tra nord e sud, ma con la natura antidemocratica del governo. Le donne dello Yemen hanno svolto un ruolo ammirevole, partecipando attivamente al dibattito e incoraggiando con forza la mobilitazione dei giovani.
Penso che la rivolta dello Yemen abbia avuto molto meno risalto mediatico perché né gli Stati Uniti, né l'Arabia Saudita desiderano cambiamenti significativi nel paese. A questo punto si sarà notato che, in base ai loro interessi, esistono primavere arabe buone e cattive. Ed ancora... l'Arabia Saudita afferma di sostenere la rivoluzione in Siria. In realtà, Washington e Riyad hanno espropriato il legittimo movimento popolare per far precipitare il paese nel caos. Poi, i bei discorsi sulla Siria non hanno impedito ai sauditi di reprimere nel sangue la rivolta in Bahrain, anche quella non molto pubblicizzata. Ora, si riproduce la stessa dinamica in Yemen. Ed aggiungiamoci l'Egitto, dove al-Sisi ha rovesciato il presidente eletto Mohamed Morsi nella totale indifferenza degli sponsor della "primavera araba".
Il mondo arabo ha vissuto per decenni sotto il giogo di terribili dittature. Oggi, un movimento di protesta popolare attraversa l'intera regione. Per non cadere in errore, è necessario analizzare le azioni di Arabia Saudita e Stati Uniti nell'area. Entrambi questi paesi appaiono allora per quello che sono: contro-rivoluzionari. Se doveste un giorno condurre una rivolta popolare e i Saud o la Cia vi offrissero il loro aiuto, fate attenzione!
Nel 2011 nel nostro libro La Stratégie du chaos [La strategia del caos], dichiarava: "Se le potenze imperialiste manterranno il loro sistema di dominio offrendo una parvenza di democrazia, gli yemeniti si troverannonuovamente ad affrontare gli stessi problemi. Ma oggi il loro livello di coscienza politica è tale che non glielo lasceranno fare". E' quanto è successo dopo il rovesciamento di Saleh?
Esatto. Si parla molto degli Huthi. Ma Huthi, non è che una persona! Hussein al-Huthi ha fondato un movimento. E' stato ucciso nel 2004 e sostituito dal fratello Abdul Malik. Quello che voglio dire è che, anche se gli Huthi si sono nuovamente sollevati nel settembre del 2014, provocando la fuga del nuovo presidente Hadi, la contestazione è generale e non può essere ridotta ad un solo movimento.
La situazione non è migliorata dopo il rovesciamento di Saleh. Il nuovo presidente ha avuto molte difficoltà nel soddisfare gli interessi dei vari movimenti che hanno portato alla caduta dell'ex dittatore. Inoltre, l'allineamento di Hadi agli Stati Uniti e all'Arabia Saudita non piace alla maggioranza degli yemeniti. Questo paese è stato duramente segnato dalla guerra contro il terrorismo e dagli attacchi dei droni. I rapporti con l'Arabia Saudita non sono migliori, dato che questo paese interferirà regolarmente e disastrosamente con il vicino yemenita. Infine e questo credo sia il motivo principale del rovesciamento di Hadi, le condizioni di vita degli yemeniti non hanno registrato alcun miglioramento.
L'insurrezione degli Huthi si iscrive dunque nel contesto di una vera e propria rivolta popolare. Secondo voi, perché gli Huthi non hanno incontrato praticamente alcuna resistenza nel corso dell'attacco al palazzo presidenziale a Sanaa? Cosa faceva l'esercito? Dov'era il servizio di sicurezza?
Si dice che gli Huthi abbiano stretto un'alleanza con l'ex presidente Saleh, che mantiene buoni contatti dentro l'esercito...
Non ha alcun senso! Per anni, Saleh ha condotto una lotta implacabile contro gli Huthi. Ha ucciso il loro fondatore e centinaia di altri membri. La contraddizione tra le due parti è molto forte e non vedo come un concorso di circostanze li possa spingere a collaborare.
In primo luogo, perché gli Huthi non stanno lottando per prendere il potere in Yemen. Rivendicano la riconciliazione nazionale e migliori condizioni di vita. E in questa lotta, Saleh è nemico tanto quanto Hadi. Poi gli Huthi non hanno bisogno del sostegno di Saleh. Hanno i loro contatti all'interno dell'esercito. Quando l'ex dittatore ha combattuto gli Huthi nel 2004, fu sostenuto da Arabia Saudita e ricevette molte armi. Ma buona parte di questo materiale è caduto nelle mani degli Huthi grazie ai loro ottimi contatti dentro l'esercito. Infine, gli Huthi non hanno bisogno di stringere un'alleanza con Saleh per combattere Hadi perché quest'ultimo non gode di nessun sostegno, di nessuna base popolare. Dopo aver preso Sanaa, il presidente è fuggito verso Sud, a Aden, di cui è originario. Ma anche lì, Hadi non ha avuto il sostegno previsto. La gente non ha dimenticato la sua violenta repressione del movimento secessionista e che aveva, quando era ministro della difesa negli anni '90, portato un'offensiva militare contro Aden.
Questo è il motivo per cui gli Huthi hanno potuto facilmente prendere Sanaa e poi avanzare rapidamente verso Aden. Penso anche che questa progressione abbia sorpreso tutti, anche i Saud. Questi hanno rapidamente rimosso Hadi e poi lanciato l'attacco, che deve essere visto come un segnale di panico.
Quale obiettivo persegue l'Arabia Saudita con l'offensiva militare?
Principalmente quello di salvare il presidente. Anche di districare questa situazione alquanto assurda che ricorda il caso della Somalia. Così ci si trova da un lato con un governo in esilio, senza base popolare, ma riconosciuto dalla "comunità internazionale" e dall'altro, con un paese sprofondato nella guerra e nel caos. A differenza dei somali però, gli yemeniti avrebbero la possibilità di formare un nuovo governo senza Hadi, negando ogni legittimità al presidente in esilio. I Saud vogliono evitarlo ad ogni costo.
In generale, il controllo dello Yemen è strategico per l'Arabia Saudita. Ci sono, naturalmente, gli accordi frontalieri relativi alla provincia di Jinzan che i Saud non vogliono rimettere in discussione. Ma c'è soprattutto il loro timore che emerga un governo veramente democratico alle porte di un regno feudale. I sauditi non vogliono che i movimenti popolari di protesta giungano a casa loro. Tuttavia, dal 2011, le proteste sfidano il regime, soprattutto nella provincia orientale, ricca di petrolio e popolata prevalentemente da sciiti. Laggiù le forze di sicurezza saudite hanno ucciso decine di manifestanti negli ultimi quattro anni. Ma le proteste sono riprese con l'attacco allo Yemen. Il 6 aprile, durante un raid delle forze di sicurezza nella provincia orientale, è stato ucciso anche un poliziotto. L'Arabia Saudita rischia grosso con questo intervento in Yemen.
L'offensiva al momento si limita ai bombardamenti. Pensi che l'Arabia Saudita possa impiegare truppe di terra?
Se volete perdere una guerra, inviate le vostre truppe in Yemen! Ci sono moltissime armi in questo paese e gli yemeniti le sanno usare. Inoltre, il paesaggio montano è quello ideale per i guerriglieri. Se i Saud saranno abbastanza stupidi da inviare le loro truppe, lo Yemen potrebbe diventare il loro Vietnam.
L'Arabia Saudita ha ottenuto il sostegno di un certo numero di stati arabi per formare una coalizione. Ma c'è un appoggio verbale. In termini pratici, questa è la guerra dei Saud e si troveranno ad affrontare una forte resistenza, la loro aggressione ha rafforzato il nazionalismo yemenita. I Saud possono finire con l'esporsi anche a gravi problemi interni. Alle proteste nella provincia orientale si sono aggiunti recentemente gli incidenti al confine yemenita.
Lei afferma che sunniti e sciiti vivevano in armonia nello Yemen. Ma oggii Saud sostengono il presidente Hadi e per contro, si dice che l'Iran sostenga gli Huthi. Lo Yemen non è, suo malgrado, il teatro di un conflitto settario in cui si affrontano Riyadh e Teheran?
Si parla molto del sostegno iraniano agli Huthi senza mai definire il grado di coinvolgimento di Teheran.
John Kerry ha dichiarato l'8 aprile scorso di avere prove inconfutabili delsupporto materiale fornito dall'Iran gli Huthi. Il segretario di stato parladi più voli alla settimana...
Più voli alla settimana? Mentre l'Arabia Saudita ha istituito una zona d'esclusione aerea? Se fossi in voi diffiderei delle informazioni fornite da John Kerry. E' stato lui a dire nel settembre 2014 che la ribellione siriana "è definita sempre più dalla sua moderazione" e che l'opposizione è più forte.
Più seriamente, gli Huthi non hanno bisogno del sostegno materiale iraniano e rigettano queste accuse. Se supporto c'è stato, penso sia stato molto limitato. Gli Huthi hanno la loro agenda in Yemen. Sebbene i ritratti di Khomeini e di Nasrallah siano branditi dai manifestanti, i dirigenti del movimento si guardano bene dal farsi inserire nel famoso "asse sciita". Non vogliono una polarizzazione settaria in Yemen e sostengono la riconciliazione nazionale. Questo ricongiungimento con l'Iran gli porterebbe più problemi che altro.
Ma da parte sua, l'Iran non nasconde il proprio sostegno agli zayditi delloYemen. Ali Shirazi, un alto chierico iraniano, ha paragonato laformazione degli Huthi a quella di Hezbollah e dei Basij, le forze paramilitari iraniane. Il generale Hossein Salami ha detto che gli Huthisono una "copia simile" di Hezbollah. Ali Akbar Nateq-Nouri, il presidente del parlamento iraniano e Ali Akbar Velayati, ex ministro degli esteri estretto consigliere di Khamenei, hanno entrambi detto che la sfera di influenza iraniana include lo Yemen. C'è anche la questione Jihan 1, la nave intercettata nel 2013 al largo delle coste dello Yemen chetrasportava un quantitativo di armi iraniane.
In primo luogo, sulla famosa nave, tanto gli Huthi quanto l'Iran hanno smentito. Un rappresentante di Ansarullah ha dichiarato con un certo pragmatismo: "L'Iran non è così stupido da inviare grandi quantità di armi e fornire quel tipo di prove schiaccianti contro si sé. L'Iran avrebbe inviato denaro agli Huthi, i quali avrebbero potuto in seguito acquistare armi nei mercati locali o dai trafficanti africani". (5)
Saleh ieri, Hadi e l'Arabia Saudita oggi... Tutti stanno cercando di ridurre gli Huthi a un braccio armato dell'Iran a di marginalizzare la protesta, per fare di una rivolta popolare un conflitto settario. Ma questo non corrisponde alla realtà sul terreno.
Naturalmente, l'Iran potrebbe cercare di approfittare della situazione per alimentare i fantasmi di una sua influenza regionale. La borghesia iraniana sogna di esportare il suo capitalismo islamico. Ma il portavoce degli Huthi è stato molto chiaro sull'argomento: "Non possiamo applicare il sistema iraniano allo Yemen, perché gli sciafeiti sono molti più di noi zayditi" (6). Gli Huthi non possono e non vogliono governare da soli. Essi non intendono fare dello Yemen uno stato sciita al soldo dell'Iran. Non corrono il rischio di frammentare il paese. Ripeto, loro aspirano alla riconciliazione nazionale. Questo è l'unica soluzione per lo Yemen. Il resto è propaganda.
Il conflitto tra Riyadh Teheran rimane un problema cruciale nella regione. Come interpreta l'accordo sul nucleare iraniano che si profila con gli Stati Uniti? Barack Obama non ha paura di offendere il suo alleato saudita?
Come ho spiegato in Jihad made in USA, gli accordi tra Teheran e Washington sono praticamente un copia-incolla di un libro di un ex agente Cia, Kenneth Pollack, specialista dell'Iran. Pollack dice che gli Stati Uniti non possono combattere l'Iran e che devono decidersi a riconoscerla come potenza regionale. Ha ricordato che la gioventù urbana iraniana è la sola filo-americana nella regione e forse una delle più filo-americana al mondo! Questi giovani sono fortemente influenzati da Internet, Hollywood, ecc. I loro genitori vivevano all'occidentale ai tempi dello shah. Ma sono nati sotto la Repubblica islamica e non hanno ottenuto dai loro dirigenti la prospettiva di una nuova società. L'Iran è in definitiva nient'altro che un paese capitalista con una maschera islamica. Gli Stati Uniti possono dunque beneficiare di questa situazione. Soprattutto perché hanno bisogno dell'Iran in Afghanistan, in Iraq e in Asia centrale.
L'Iran si è trovato di fatto sulla linea antimperialista perché gli interessi nazionali della sua borghesia erano in conflitto con quelli degli Stati Uniti. Ma non vi è alcuna base rivoluzionaria per questa linea antimperialista. La situazione potrebbe cambiare. Tuttavia, Washington non permetterà che l'élite iraniana realizzi il suo sogno di restaurare l'influenza del grande Impero persiano. A questo livello, l'Arabia Saudita resta un prezioso alleato, essendo i Saud impegnati in una sorta di guerra fredda con l'Iran intorno alla contraddizione tra sunniti e sciiti.
Gli Stati Uniti sono in procinto di raggiungere un accordo con l'Iran.Normalizzano le loro relazioni con Cuba. In Colombia hanno anche dato il via libera a veri negoziati tra il governo e le Farc. Come valuta questo cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti?
Stiamo parlando di una potenza imperialista in declino. I neoconservatori e il loro "Project for a New American Century" [Progetto per un nuovo secolo americano] hanno completamente rovinato gli Stati Uniti. Il loro concetto di guerra globale e permanente per assicurare l'egemonia statunitense dopo la caduta dell'Unione Sovietica si è rivelato un fiasco totale. In dodici anni, la guerra contro il terrorismo è costata la vita a 1,3 milioni di persone solo tra Iraq, Afghanistan e Pakistan. Ed è una "stima al ribasso" secondo le associazioni che hanno condotto questo studio (7). Lungi dal distruggere il terrorismo, gli Stati Uniti hanno costituito un terreno estremamente favorevole per diffondere desolazione in tutta la regione.
Inoltre, Washington ha completamente mancato i suoi obiettivi di dominio. Nuove potenze, come quelle dei Brics sono emerse e siamo entrati in un mondo multipolare. Gli Stati Uniti non hanno altra scelta che evitare gli scontri diretti perché precipiterebbero nel crollo del loro impero.
Vi è quindi un cambiamento di metodo con Obama. C'è un ritorno al "soft power". Ma gli obiettivi restano gli stessi e sono dettati dagli interessi delle multinazionali. Non può essere altrimenti. Gli Stati Uniti hanno ancora bisogno di materie prime a buon mercato, di manodopera a basso costo, di sbocchi per il loro capitale, ecc.
La questione dei conflitti in Medio Oriente è di natura economica. Questo è ciò che guida la politica estera degli Stati Uniti. Questo è ciò che guida il loro sostegno alla guerra dei Saud contro lo Yemen e il loro riavvicinamento all'Iran. Questo è ciò che guida le ambizioni espansionistiche della borghesia iraniana. Ed è questo che strumentalizza la contraddizione tra sunniti e sciiti. Il capitalismo è la guerra. Qui sta il problema.
Note
1. http://www.nytimes.com/2004/04/08/i...
2. http://www.michelcollon.info/Les-ch...
3. http://www.reuters.com/article/2014...
4. http://www.bbc.com/news/world-middl...
5. http://eng.majalla.com/2013/02/arti...
6. http://www.yementimes.com/en/1826/i...
7. http://www.lesoir.be/842738/article...
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