La pericolosità della politica d’Israele è fin
troppo evidente, come dimostrano le continue stragi compiute
direttamente, o tramite alleati o mercenari. La stampa di regime
insiste tanto sulle centrali atomiche dell’Iran, che è ancora
lontano dal possesso dell’arma nucleare, e sorvola sulle centinaia
di atomiche israeliane. Limes ha pubblicato una cartina
(1) dove si
vede la gittata dei missili iraniani (fino a 2.000 Km) e di quelli
israeliani Jericho (fino a 4500 Km). Nel raggio di questi ultimi è
compresa tutta l’Europa tranne l’Islanda, l’Africa fino ad Angola e
Mozambico, gran parte della Russia, della Cina e dell’Indocina.
Potrebbero distruggere Roma, Milano, Londra, Parigi, Berlino,
Mosca, Delhi, e addirittura arrivare oltre al lago Bajkal, in
Mongolia, a Bangkok. Il che spiega perché molti stati stanno
cercando di costruire centrali atomiche. Avere atomiche non vuol
dire necessariamente utilizzarle, ma dà, nei confronti di chi ne è
privo, un forte strumento di ricatto. Fuori del raggio d’azione dei
missili sono, per ora, il continente americano e quella australiano.
Fino a quando l’America potrà tollerare che un alleato, spesso
riottoso anche con Washington, continui ad aumentare la sua potenza
e il suo raggio d’azione? Quanto alla borghesia europea, è troppo
vile per affrontare il problema.
Gli USA sono succubi di Israele, come
sostengono molti compagni? E’ vero che la presenza nel mondo
bancario e finanziario di un gran numero di ebrei potentissimi
assicura a Israele molti vantaggi, ma si deve tener conto che
l’alta finanza non ha patria. Nel passato, banchieri ebrei
finanziarono la reconquista, che abbatté il tollerante regime
islamico noto come Andalus, dove gli ebrei erano integrati. La
monarchia spagnola li ripagò cacciando ebrei e musulmani, dopo
averli espropriati dei loro beni e perseguitando quelli che avevano
sperato di salvarsi con una conversione di comodo al cristianesimo,
inaugurando uno dei più feroci regimi, basato sul saccheggio dei
beni delle minoranze (e in seguito delle colonie),
sull’intolleranza religiosa e sulla discriminazione razziale.
In tempi meno lontani, non risulta che i
finanzieri ebrei abbiano fatto determinanti azioni di boicottaggio
contro l’IBM, che fece per Hitler la schedatura degli ebrei di gran
parte d’Europa, o contro quei capitalisti americani che
controllavano la Fanta, la Opel e molte altre industrie tedesche in
piena epoca nazista. Quindi l’aiuto a Israele ci sarà fino a quando
quei banchieri ne avranno vantaggi, ma potrebbero cambiare
atteggiamento in qualsiasi momento. Se i capitalisti ebrei fossero
per loro natura fondamentalmente diversi dagli altri capitalisti,
potremmo pure gettare nei ferrivecchi il marxismo e il materialismo,
perché vorrebbe dire che fattori religiosi, di tradizione e di
cultura sono più determinanti di quelli economico sociali.
Israele è un paese troppo piccolo per essere
economicamente vitale, ha bisogno di ampliare il proprio territorio
a spese altrui, e questo rende particolarmente virulento il suo
imperialismo. Ha bisogno, inoltre, di continui apporti esterni. Se
gli Stati Uniti, a causa della crisi, fossero costretti a ridurre
gli aiuti, sorgerebbero forti difficoltà.
Israele non è il cuore del sistema
capitalistico, è un laboratorio dove si sperimentano soluzioni
politiche e militari estreme, e dove si compie quel lavoro sporco
che gli Stati Uniti e le altre potenze d’occidente preferiscono
delegare. Ha pure il compito di sperimentare nuove armi sulla pelle
di palestinesi e libanesi, senza che il discredito e l’indignazione
ricada direttamente su chi queste armi produce, soprattutto gli
Stati Uniti, ma anche Francia, Inghilterra e Italia.
Nel passato Israele ebbe la funzione di
impedire l’unificazione dei paesi arabi, che poteva realizzarsi
intorno all’Egitto di Nasser, di rendere impossibile il
consolidamento di regimi laici nazionalisti, favorendo ovunque
l’ascesa di correnti confessionali, portando al parossismo lo
scontro interreligioso. Sostituì nell’area i decadenti colonialisti
inglesi e francesi.
Queste funzioni sono importantissime per la
borghesia internazionale, ma non bastano a fare di Israele il cuore
del capitalismo. Non è un caso che le più grandi concentrazioni
finanziarie si trovino a Wall Street e nella City, non a Tel Aviv.
L’avversario numero uno del movimento operaio
resta l’imperialismo statunitense, perché da decenni, e non si sa
per quanto tempo ancora, è in grado di intervenire militarmente nei
confronti di qualunque rivoluzione. Tale funzione
controrivoluzionaria per eccellenza, al tempo di Marx l’aveva la
Russia zarista, al tempo di Lenin l’Inghilterra, negli ultimi
settant’anni l’hanno gli Stati Uniti. Contro questo mostro
imperialistico bisogna dirigere gli sforzi, che si riveleranno
inutili se non si riuscirà a coinvolgere l’unica forza che ha la
possibilità di vincerlo, il proletariato americano.
Questo non significa sottovalutare il
peso
dell’imperialismo israeliano, il problema è il taglio politico che
occorre dare alla lotta. Qui ci aiuta molto un’osservazione di
Trotsky. Stava per cominciare l’avventura etiopica di Mussolini, e
Trotsky diede al Segretariato Internazionale questa indicazione:
“Dobbiamo mettere in rilievo che questa lotta è diretta non contro il
fascismo, ma contro l’imperialismo.”
(2) Perché questo richiamo, che
può sembrare strano, ha invece una grande importanza per quel
periodo, ed è ricco d’insegnamenti anche per noi?
L’imperialismo è un fenomeno comune a tutti i
paesi che hanno raggiunto un certo livello di maturità finanziaria,
e tocca il punto più alto proprio nei paesi che riescono a mantenere
una facciata democratica, in primis gli Stati Uniti. I fascismi si
sviluppano soprattutto nei paesi revisionisti, che rivendicano cioè
una redistribuzione delle colonie e semicolonie, e quindi
sviluppano una certa tendenza a turbare “l’ordine” mondiale. Ciò
rende possibile ai vecchi imperialismi di additarli come i
responsabili di tutte le guerre, autoproclamandosi nel contempo i
difensori della democrazia, dell’ordine, e di presentarsi infine come
i liberatori, come antifascisti. E’ ciò che è avvenuto nella seconda
guerra mondiale. Parlando quindi di lotta contro l’imperialismo, non
si dà alcun alibi all’Inghilterra, alla Francia e agli USA, che
vengono indicati come oppressori allo stesso titolo di Germania,
Italia e Giappone.
Tornando ai nostri giorni, il modo più efficace
di smascherare il sionismo è di metterne in evidenza la natura
imperialistica, rivelando quindi il segreto che sta dietro l’enorme
bardatura ideologica e religiosa. Il sionismo ha poco a che fare con
le antiche tradizioni ebraiche, e ancor meno con le tradizioni
rivoluzionarie che si svilupparono tra gli ebrei. Ed è spiegabile,
perché la loro condizione di perseguitati acuiva la loro sensibilità
politica. La partecipazione al movimento operaio degli ebrei fu così
massiccia da creare favole, congetture. Per esempio, la fosca
leggenda che la rivoluzione d’Ottobre fosse una congiura ebraica,
che non si diffuse solo tra i fascisti, ma anche in ambienti
liberali in Gran Bretagna e USA.
Molti dirigenti bolsceviche erano ebrei, e su
ciò non mancarono i motti di spirito: “Nei primissimi anni della
rivoluzione bolscevica circolava questa storiella ebraica. Durante
una riunione del comitato centrale ristretto del partito comunista,
Trotskij bisbiglia all'orecchio di Lenin: "Aspettiamo che vada via
il goy (Stalin) e poi possiamo pregare, c'è minian (quorum di dieci
maschi ebrei adulti necessario per pregare)”.(3)
Una delle conseguenze più gravi dello sviluppo
del sionismo è di avere demolito le basi del diffuso
internazionalismo ebraico e di avere aggiogato moltissimi ebrei alla
politica reazionaria di uno stato sciovinista e guerrafondaio.
Dietro l’apparenza di conflitti religiosi si
celano lotte sociali, e, quando i proletari di diverse etnie trovano
un’intesa, tutte le borghesie locali e internazionale trovano un
accordo per schiacciarli. Un esempio. Quando i profughi palestinesi
in Libano, in gran parte poveri in canna, cominciarono a
fraternizzare con i proletari libanesi e una parte dell’esercito
disertò, la Siria inviò le sue truppe col consenso di USA e Russia,
Israele e paesi arabi, per riportare l’ordine.(4) E la Falange, braccio
armato della borghesia maronita, ebbe modo di compiere indisturbata
una strage terribile a Tell el Zaatar.
Questa, e cento altre esperienze del genere dimostrano che le
borghesie del vicino Oriente hanno esaurito da tempo ogni carica
antimperialistica e che la liberazione dei popoli, delle masse
oppresse e sfruttate, potrà avvenire solo sotto la guida del
proletariato e del suo partito.
Michele Basso
7 dicembre 2012
Note
1) Limes, n.1 2012, pag 17.
2) “The Italo – Ethiopian conflict”, 17
luglio 1935, Writings of Leon Trotsky, 1935 –
1936.
3) Moni Ovadia, ”Un'Internazionale di uomini
buoni”.
4)
“In un primo tempo la Siria ha fatto
intervenire le truppe della Saika, cioè palestinesi organizzati
nell’esercito siriano, ma questi reparti disertano in massa passando
dalla parte della guerriglia; ai primi di giugno allora interviene
direttamente l’esercito siriano con 13.000 uomini e 800 carri
armati; esso sottopone ad uno stretto assedio i quartieri di Beirut
in mano alle milizie palestinesi e apre un nuovo fronte nel sud del
paese. L’intervento siriano non trova oppositori; è avvenuto con
l’approvazione americana ed il consenso israeliano che ha però posto
come frontiera insuperabile dalle truppe di Damasco, il fiume Litani;
è approvato dalla Russia che vede di buon occhio un rafforzamento
della Siria e sta contrattando la vendita di armi alla Giordania e
naturalmente è accettato dalla Lega Araba che indice però un vertice
per arrivare ad un accordo di "pace".
Nell’agosto, dopo un assedio di 52 giorni cade il campo palestinese
di Tell El Zaatar; chiamata la popolazione ad abbandonare il campo
promettendo la protezione della croce rossa, i falangisti e le
milizie di Chamoun (un’altra organizzazione cristiana) iniziano poi
il massacro sistematico della popolazione facendo migliaia di
vittime.”
“Lezione marxista della formazione di stati e delle lotte sociali in
medio Oriente: I nuovo “Settembre nero” libanese: La Comune di Tell
el Zaatar” "Comunismo" n. 12 - giugno 1983.
http://www.webalice.it/mario.gangarossa/sottolebandieredelmarxismo_identita/2012_12_michele-basso_imperialismo-e-sionismo.htm
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