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SULLA QUESTIONE DELLA SENSIBILITA’ EBRAICA
Recentemente,
mi sono accorto che il discorso sulla solidarietà verso la Palestina è
viziato sul piano spirituale, ideologico e intellettuale da una
terminologia assai fuorviante: concetti chiave come quelli di sionismo,
colonialismo e apartheid (che si sentono in ogni discussione e sono
presenti in ogni testo che riguardi il conflitto), sono concetti
confusi, oppure illusori. Io credo che essi esistano allo scopo di
bloccare qualunque tentativo di comprendere il vero spirito e la vera
ideologia che guida lo Stato Ebraico, piuttosto che per chiarire la
situazione.
Sionismo
Molti
di noi tendono a considerare il sionismo come la forza ideologica che
si nasconde dietro alle azioni israeliane. Ma non commettiamo errori: Israele non è il sionismo e l’ideologia e la politica sionista hanno ben poco a che fare con la politica e le azioni di Israele.
Bisogna
capire che Israele e il sionismo sono oggi due categorie distinte. Se
il sionismo era definito dai suoi fondatori come un tentativo di
“trasformare l’ebreo della Diaspora in un essere umano autentico e
civilizzato”, Israele, al giorno d’oggi, può solo essere visto come il
prodotto concreto di tale ideologia.
Molti
di voi saranno forse sorpresi nel sapere che oggi Israele non è
affatto guidato, né ormai particolarmente ispirato, dal sionismo: è
invece completamente assorbito dalla propria autoconservazione.
Inoltre, gli israeliani non hanno poi nemmeno tutta questa familiarità
con l’ideologia sionista. Per la maggior parte degli israeliani, il
sionismo è poco più di un concetto obsoleto e arcaico, che potrà anche
avere un significato storico, ma che possiede una rilevanza pari a zero
nella vita quotidiana.
Il
sionismo è, in realtà, un discorso che riguarda la Diaspora ebraica.
Il suo scopo è quello di distinguere l’ebraismo mondiale che – a larga
maggioranza – sostiene Israele dalle poche e sporadiche voci
secolariste ebraiche che vorrebbero conservare la propria identità
nazionale pur opponendosi allo Stato di Israele.
Il dibattito tra sionisti e antisionisti è, in concreto, un dibattito che ha luogo nell’ambito della Diaspora ebraica e non all’interno di Israele. Esso appartiene al regno dei discorsi sull’identità ebraica. E ha ben poco significato politico al di fuori di tale contesto.
Poiché
Israele e gli israeliani sono attualmente indifferenti al sionismo,
l’attività e l’ideologia “antisionista” hanno un impatto molto scarso su
Israele e sugli israeliani. [1] Gli israeliani si preoccupano soltanto
delle azioni dirette contro lo Stato Ebraico e le sanzioni,
ad esempio, sono un problema che li coinvolge e li preoccupa
enormemente. Al contrario, gli israeliani si curano assai poco di
cercare soluzioni alla cosiddetta “questione ebraica”. Dal punto di
vista israeliano, lo Stato Ebraico è la soluzione definitiva della
“questione ebraica”. Penso si converrà che, da un punto di vista
realistico e pragmatico, Israele non ha davvero risolto la “questione
ebraica”, ma si è limitato a sportarla in una nuova locazione.
Perché,
dunque, continuiamo a commettere il terribile errore di considerare i
crimini israeliani come effetto del “sionismo”? Perché non li
attribuiamo, in modo aperto e diretto, allo “Stato Ebraico”, visto che,
in ultima analisi, è così che Israele definisce se stesso?
La
risposta è semplice: perché in realtà non desideriamo offendere
nessuno. Accettiamo che gli ebrei abbiano sofferto nel corso della loro
storia e accettiamo che possediano una sensibilità unica al mondo. Per
questo motivo ci auto-censuriamo spontaneamente. Rinunciamo spontaneamente alla nostra capacità di pensare in modo libero, coerente, esplicito e critico.
Colonialismo
Il sionismo non si identifica neppure col colonialismo.
Per quanto molti attivisti intorno a noi insistano nel presentarci il
sionismo come un progetto colonialista, occorre dire la verità: il
colonialismo è definito dall’esistenza di una chiara relazione materiale
tra una “madrepatria” e un ”insediamento coloniale”. Nel caso del
sionismo, tuttavia, è impossibile determinare quale sia o sia stata la
“madrepatria ebraica”. In effetti, non esiste nessuna madrepatria
ebraica, né mai ne è esistita una. Il sionismo non è un progetto
colonialista, né mai lo è stato. Vero è che lo Stato Ebraico manifesta
alcuni caratteri del colonialismo. [2] Ma anche un paziente ammalato di
cancro al cervello manifesta alcuni sintomi dell’emicrania. Una
diagnosi appropriata deve mirare a scoprire le vere cause che
stanno alla base dei sintomi. Fare una diagnosi significa rintracciare
la vera malattia piuttosto che fornire una spiegazione superficiale
esaminando un po’ di sintomi sparsi.
E’
anche evidente perché a tanti fra noi piaccia questo paradigma
colonialista, per quanto ingannevole esso sia: i seguaci del paradigma
coloniale presumono che gli israeliani non siano diversi dai
britannici, dai francesi o dagli olandesi; si limitano a celebrare i
sintomi del loro espansionismo “coloniale” 100 anni dopo tutti gli
altri. Inoltre, il paradigma coloniale contiene la promessa di una
qualche “soluzione” al termine del percorso: nell’immaginario dei suoi
sostenitori, una riconciliazione post-coloniale è solo questione di
tempo.
Inoltre,
mi spiace far arrabbiare molte persone alle quali voglio bene, ma lo
devo dire: il sionismo è qualcosa di unico ed originale nel suo genere e
non ha precedenti nella storia. Sfortunatamente, esso non è
riconducibile ad alcun modello materialista, poiché l’aspirazione che
fondava il sionismo era, ed è ancora, del tutto spirituale.
Dunque,
perché continuiamo a commettere questo terribile errore e a confondere
il sionismo col colonialismo? Perché non ci riferiamo al sionismo per
ciò che esso realmente è: un progetto ideologico ebraico del tutto
unico nella storia? Semplicemente perché non vogliamo offendere quei
pochi ebrei che sono così gentili da schierarsi a favore della
Palestina. Rispettiamo la loro sensibilità e volontariamente ce ne
stiamo zitti. Faremmo qualunque cosa pur di rendere tutti felici.
Dopotutto siamo un movimento per la pace.
Apartheid
E
che dire dell’apartheid? Israele è uno stato che pratica l’apartheid?
In Israele si assiste in modo evidente ad una separazione razziale e ad
una discriminazione legislativa. Nonostante ciò, io ritengo che
Israele non possieda un sistema basato sull’apartheid, perché
l’apartheid era predisposto per sfruttare le popolazioni indigene pur
lasciandole vivere sul territorio. Israele, al contrario, è lì per
distruggere la popolazione indigena: gli israeliani si sentirebbero
sollevati se una mattina si svegliassero e scoprissero che i
palestinesi hanno semplicemente abbandonato la regione.
Chi
è così ingenuo da bersi la storia dell’apartheid è probabilmente
convinto che Israele sia lì lì per collassare, perché è questo che la
storia ci ha insegnato sull’apartheid. Di nuovo, il modello
dell’apartheid ci piace perché fa sembrare Israele (relativamente)
“normale”. E noi non vogliamo offendere nessuno, tantomeno i pochi
ebrei che sono dalla nostra parte.
Ed
ecco la domanda che vorrei rivolgere agli ebrei amanti della giustizia
e agli amici sostenitori della Palestina sparsi per il mondo: credete
davvero che il discorso sulla lotta contro lo Stato Ebraico dovrebbe
lasciarsi condizionare dalla “sensibilità degli ebrei”? La
lotta contro il nazismo si lasciò forse condizionare dalla sensibilità
dei tedeschi? Abbiamo per caso tenuto conto dei punti sensibili degli
Afrikaner quando facevamo campagna contro l’apartheid? Non è che per
caso i tempi sono maturi per dire pane al pane? Comprendo bene
l’importanza cruciale degli ebrei in questo movimento e cerco di
lavorare insieme al maggior numero possibile di loro. Ma mi domando se
non sia ora che gli ebrei superino la loro sensibilità e osservino la
questione con gli occhi ben aperti. E non è forse ora che anche noi
facciamo lo stesso? Non dovremmo forse chiedere ai sostenitori dello
Stato Ebraico in cosa esattamente consista tale ”ebraicità”?
Io
penso che questo sia esattamente ciò che dovremmo fare. Nell’interesse
del futuro della Palestina, dobbiamo affrontare apertamente questi
problemi cruciali. Credo anche che siano gli ebrei, più di chiunque
altro, a doverli affrontare. Mi attendo che gli attivisti ebrei
all’interno del nostro movimento si pongano a capo di questa iniziativa
piuttosto che cercare di ridurla al silenzio.
[1]
“Sionismo” può essere un termine utile per fare riferimento al
fenomeno del lobbismo ebraico sparso per il mondo. Può servire a fare
luce sull’attività dei Sayanim e può spiegare l’inclinazione di certi ebrei di Brooklyn a fare Aliya [cioè a chiedere il trasferimento in Israele, NdT].
Può anche spiegare perché alcuni ebrei di sinistra prendano le parti
delle istituzioni sioniste più fanatiche non appena qualcuno gli domanda
in che cosa consista l’”ebraicità”.
[2]
Si può ragionevolmente affermare che il rapporto tra i coloni
israeliani della West Bank e le popolazioni indigene sia configurabile
in termini coloniali.
di Gilad Atzmon
dal sito www.gilad.co.uk
traduzione di Gianluca Freda
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