sabato 21 gennaio 2012

Separatismo e costruzione dell'impero del XXI secolo, di James Petras

Introduzione. Il contesto storico

Nella storia moderna, il ‘divide et impera’ è stato l’ingrediente essenziale che ha permesso che i paesi europei, relativamente piccoli e poveri di risorse, conquistassero nazioni molto più grandi e popolose, e più ricche di risorse naturali. Si dice che per ogni ufficiale britannico in India, ci fossero cinquanta sikh, gurka, musulmani e indù. La conquista europea dell'Africa e dell’Asia fu comandata da ufficiali bianchi, combattuta da soldati neri, ambrati e gialli, affinché il capitale bianco potesse sfruttare i suoi lavoratori e quelli di colore. Le differenze regionali, etniche, religiose, settarie, tribali, comunitarie ed altre, furono politicizzate e sfruttate in modo da permettere agli eserciti imperiali la conquista dei popoli guerrieri. Negli ultimi decenni, i grandi promotori della strategia del ‘divide et impera’ nel mondo sono diventati i costruttori dell'impero statunitense. Negli anni ‘70, la Cia smise di promuovere le dubbie virtù del capitalismo e della democrazia e, finanziandole e dirigendole, passò a legarsi con le élite religiose, etniche e regionali che si opponevano ai regimi nazionali indipendenti od ostili all’edificazione dell’impero statunitense nel mondo.

La chiave della costruzione imperiale per via militare degli Stati Uniti segue due principi: l'invasione militare diretta e la fomentazione di movimenti separatisti che possano portare allo scontro militare.

La costruzione imperiale nel XXI secolo ci mostra la pratica estesa di entrambi i principi in Iraq, Afghanistan, Iran, Libano, Cina (Tíbet), Bolivia, Ecuador, Venezuela, Somalia, Sudan, Birmania e Palestina. Cioè, in ogni paese nel quale gli Stati Uniti non riescono ad instaurare un governo clientelare stabile ricorrono a finanziare e promuovere organizzazioni e leader separatisti che utilizzano pretesti etnici, religiosi e regionali per rovesciare il governo costituito

Coerentemente ai principi tradizionali della costruzione imperiale, Washington appoggia solamente i separatisti nei paesi che si rifiutano di sottomettersi al suo dominio imperiale, mentre si oppone ai separatisti che offrono resistenza all'impero ed i suoi alleati. Quindi, gli ideologi imperialisti non sono ipocriti né utilizzano un doppio standard (come sono accusati di fare dai loro critici di sinistra) ma mantengono pubblicamente il principio di preferenza imperiale come criterio di valutazione per i movimenti separatisti, nel concedere o negare il loro appoggio. Invece, molti presunti critici progressisti dell'impero fanno dichiarazioni universali a favore del diritto di autodeterminazione e lo applicano perfino ai gruppi separatisti più irranciditi e reazionari sostenuti dall'impero, con risultati catastrofici. Le nazioni indipendenti e i popoli che si oppongono ai gruppi separatisti appoggiati dagli Usa, vengono bombardati fino alla distruzione e sono additati come criminali di guerra. Le persone che vivono nel ‘nuovo stato’ e si oppongono ai separatisti vengono uccise o costrette all'esilio. I ‘paesi liberati’ subiscono la tirannia e l'impoverimento indotto dai separatisti appoggiati dagli Stati Uniti, e molti per la loro sopravvivenza economica si vedono costretti ad emigrare in altri paesi.

Nessuno, o quasi, dei critici progressisti dell'URSS che appoggiavano l’indipendenza delle sue repubbliche, ha finora espresso pubblicamente qualche ripensamento e tantomeno ha fatto delle riflessioni autocritiche, anche di fronte a decenni di catastrofi socioeconomiche e politiche negli stati secessionisti. Tuttavia, oggi questi stessi progressisti continuano a predicare grandi principi morali a quelli che contestano e respingono alcuni movimenti separatisti perché sono originati e crescono nell’intento di estendere l'impero statunitense.

In queste ultime decadi, il successo di Washington nella cooptazione dei così detti ‘progressisti liberali’ in appoggio ai movimenti separatisti, pronti a diventare clienti dell’imperialismo, è stato notevole e le conseguenze per i diritti umani nefaste.

I principali gruppi sostenuti dai progressisti europei e statunitensi sono i seguenti:

1. I fondamentalisti bosniaci, appoggiati dagli Usa, neofascisti croati e terroristi albano-kosovari, col risultato delle pulizie etniche e della conversione dei loro stati, prima sovrani, in basi militari Usa, in regimi clientelari e in disastri economici, distruggendo totalmente il welfare multinazionale iugoslavo.

2. I fondamentalisti islamici afgani, appoggiati dagli Usa, che hanno distrutto il regime politico afgano, laico e riformista, promotore dell'uguaglianza della donna e di importanti campagne anti-feudali che coinvolgevano sia uomini sia donne, di una riforma agraria generale e di ampi programmi sanitari ed educativi. Come risultato dei successi militari Usa/tribal-islamici, milioni di persone risultano morte, sfollate ed espropriate, mente i signori della guerra tribali, medievali, fanatici anticomunisti, hanno distrutto l'unità del paese.

3. L'invasione dell'Iraq da parte degli Usa, che ha distrutto uno stato nazionale moderno e il sistema socioeconomico laico ed avanzato di quel paese. Durante l'occupazione, l'appoggio degli Usa a movimenti religiosi e tribali, clan e movimenti etnici separatisti ha condotto all'espulsione di più del 90% della sua moderna classe scientifica e professionale ed al massacro di più di un milione di iracheni… tutto in nome della sostituzione di un regime repressivo e, soprattutto, della distruzione di un stato che si opponeva all'oppressione israeliana della Palestina.

È evidente che l'intervento militare statunitense promuove il separatismo come mezzo per instaurare una base di appoggio regionale. Il separatismo facilita la creazione di governi fantoccio minoritari e ha funzione di contrasto verso i paesi vicini che si oppongono alle spoliazioni dell'impero. Nel caso dell'Iraq, il separatismo curdo appoggiato dagli Usa ha preceduto la campagna di isolamento di un avversario, la creazione di coalizioni internazionali per premere e debilitare il governo centrale. Washington evidenzia come ‘atrocità dei regimi’ i casi di diritti umani, per alimentare campagne di propaganda globali. Più recentemente, ciò è diventato evidente nelle proteste teocratiche tibetane finanziate dagli Stati Uniti contro la Cina.

I separatisti sono sostenuti come truppe da usare per potenziali colpi terroristici, per attaccare settori economici strategici e provvedere informazioni, reali o fabbricate, come nel caso dei curdi e di altri gruppi di minoranza etnica rispetto all'Iran.

Perché il separatismo?

Gli imperialisti non ricorrono necessariamente ai gruppi separatisti, specialmente quando hanno clienti a livello nazionale che controllano lo stato. È solo quando il loro potere è limitato a gruppi, territorialmente o etnicamente concentrati, che i loro servizi segreti ricorrono a promuovere i movimenti ‘separatisti’. Gli Stati Uniti appoggiano il movimento separatista in un processo graduale, cominciando dal fare appello all'esigenza di una maggiore autonomia e decentramento, mosse tattiche essenziali per acquisire una base di potere politico locale, accumulare risorse economiche, contrastare gruppi anti-separatisti e minoranze etniche o religiose e politiche locali legate al Governo centrale (come la repressione delle comunità cristiane nell’Iraq settentrionale, represse dai separatisti curdi per i loro annosi legami con il Partito Centrale Baath, o i rom del Kosovo, espulsi e uccisi dagli albano-kosovari a causa del loro appoggio al sistema federale iugoslavo)

Il tentativo di usurpare forzosamente le risorse nazionali e l’estromissione degli alleati locali del governo centrale dà luogo a scontri e conflitti con il potere legittimo del governo centrale. È a questo punto che l'appoggio esterno (imperialista) diventa cruciale per mobilitare i mass media a denunciare la repressione di ‘pacifici movimenti nazionali’, ‘che esercitano semplicemente il diritto all'autodeterminazione’. Una volta che la macchina imperiale propagandistica dei mezzi di comunicazione di massa tocca la nobile retorica dell'autodeterminazione e dell'autonomia, la decentralizzazione e l'autogoverno, la grande maggioranza delle Ong finanziate da Usa ed Europa si uniscono in coro ad attaccare gli sforzi del Governo per mantenere stabile un stato-nazione unificato.

In nome della ‘diversità’ e di uno ‘stato multietnico’, le Ong di obbedienza occidentale provvedono un supporto ideologico ai separatisti filo-imperialisti. Quando i separatisti hanno successo, arrivando ad assassinare e realizzare pulizie delle minoranze etniche e religiose legate al governo centrale precedente, le Ong stanno stranamente zitte o sono perfino complici nel giustificare i massacri come ‘reazioni eccessive alla precedente repressione’. La macchina propagandistica occidentale arriva a celebrare l'espulsione da parte dello stato separatista di centinaia di migliaia di persone, come avvenne nel caso dei serbi rom del Kosovo e della regione croata della Krajina con titoli come: "I serbi in fuga: se lo meritano", accompagnati da foto di truppe della Nato che sorvegliano il trasloco di famiglie indigenti dai loro paesi e città atavici verso squallidi campi nella Serbia bombardata. I politici occidentali trionfanti hanno biascicato devozioni sui massacri di civili serbi da parte del Kla; per esempio l'ex ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, (Verdi) disse: "Comprendo il vostro dolore (a quelli del Kla), ma non dovreste lanciare granate a bambini (serbi) in età scolare"

Il passaggio da ‘autonomia’ all’interno di uno stato federale ad uno ‘stato indipendente’, si basa sull'aiuto fornito ed amministrato dallo stato imperialista alla regione autonoma, che consolida con ciò la sua esistenza ‘de facto’ come stato indipendente. Questo è successo chiaramente nel Kurdistan, passato dal 1991 ad oggi, da no-fly-zone dell'Iraq settentrionale a regione autonoma.

Il medesimo principio di autodeterminazione rivendicato dagli Usa e dai loro clienti separatisti è negato ad altre minoranze dello stesso territorio- mentre la propaganda mediatica statunitense fa riferimento ad essi come ‘agenti’o cavalli di Troia del Governo centrale.

Rafforzato dall'aiuto esterno imperiale, e dalle relazioni imprenditoriali con le imprese transnazionali Usa e Ue, appoggiato da forze di polizia locali paramilitari e quasi-militari (come pure da bande organizzate criminali), il regime autonomo dichiara la sua indipendenza, ed è riconosciuto poco dopo dai suoi padroni imperiali. Dopo l'indipendenza, il regime separatista offre concessioni territoriali ed installazioni per la costruzione di basi militari agli Usa. Il modello imperiale gode di privilegi di investimento, compromettendo seriamente la sovranità nazionale.

L'esercito di Ong locali ed internazionali raramente formula qualche obiezione a questo processo di incorporazione dell'entità separatista nell'Impero, neanche quando è lo stesso popolo liberato ad opporsi. Nella maggioranza dei casi il grado di ‘governance locale’ e di libertà di azione del regime ‘indipendente’ è minore di quanto lo fosse quando era una regione autonoma o federale nel precedente stato unitario nazionale. Spesso i regimi separatisti fanno parte di movimenti irredentisti legati a controparti in altri stati. Quando movimenti irredentistici trasversali transnazionali sfidano gli stati vicini che sono anch’essi obiettivo dei costruttori dell’impero statunitensi, servono come piattaforme per gli attacchi militari di bassa intensità statunitensi e per le attività terroristiche delle Forze Speciali.

Per esempio, quasi tutte le organizzazioni separatiste curde hanno elaborato una mappa di ‘Grande Kurdistan’ che copre un terzo della zona sud-orientale della Turchia, l’Iraq settentrionale, un quarto dell'Iran, parti della Siria e di ogni altro posto dove si possa trovare un'enclave curda. I reparti speciali statunitensi operano al fianco dei separatisti curdi terrorizzando le popolazioni iraniane in nome dell'autodeterminazione, e gruppi di curdi, con forte appoggio militare statunitense, hanno occupato e governano l'Iraq settentrionale e forniscono truppe mercenarie peshmerga per massacrare la popolazione arabo-irachena nelle città e nei paesi delle regioni centrali, occidentali e meridionali che si oppongono all'occupazione americana. Questi gruppi hanno iniziato la rimozione forzata dei popoli non curdi (arabi, cristiano-caldei, turcomanni, etc.) dal così detto Kurdistan iracheno confiscando loro case, poderi ed esercizi commerciali. I separatisti curdi appoggiati dagli Usa hanno creato conflitti col vicino Governo turco, e Washington, mentre cerca di tenersi i suoi clienti curdi per utilizzarli in Iraq, Iran e Siria evita di inimicarsi questo suo alleato strategico della Nato: la Turchia. Tuttavia gli attivisti separatisti turco-curdi del PKK hanno lodato gli Usa per quello che qualificano ‘colonialismo progressista’, per lo smantellamento effettivo dell'Iraq e per la formazione delle fondamenta di un stato curdo.

La decisione degli Usa di collaborare con l'esercito turco, o per lo meno di tollerare i suoi attacchi militari contro certe zone occupate dai separatisti curdi del PKK con sede in Iraq, fa parte della loro politica globale di dare priorità alle alleanze imperiali strategiche ed ai loro alleati contro qualunque movimento separatista che li minacci. Pertanto, mentre gli Usa appoggiano i separatisti kosovari contro la Serbia, si oppongono ai separatisti dell’Abkhazia che lottano contro il loro governo clientelare della Repubblica della Georgia. Gli Usa, mentre appoggiano i separatisti ceceni contro il governo di Mosca, si oppongono ai separatisti baschi e catalani nella loro lotta contro la Spagna, alleata di Washington nella Nato. Mentre Washington ha finanziato con larghezza i separatisti boliviani guidati dagli oligarchi di Santa Cruz contro il governo centrale di La Paz, appoggia la politica del governo cileno di repressione delle richieste degli indigeni Mapuche di diritto alla terra e alle risorse nel centro-sud del Cile.

È evidente che l’autodeterminazione e l’indipendenza non sono principi universali che definiscono la politica estera statunitense, né lo sono mai stati, come testimoniano le guerre degli Stati Uniti contro le nazioni indiane, i negrieri secessionisti meridionali e le invasioni ricorrenti di stati indipendenti latinoamericani, asiatici ed africani. Ciò che conta nella politica degli Usa è se un movimento separatista, i suoi leader e i suoi programmi siano funzionali o no alla costruzione dell'impero. Tuttavia la domanda inversa è sollevata di rado dai così detti progressisti di sinistra o antimperialisti: il movimento separatista o indipendentista debilita l'impero e consolida le forze antimperialiste o no? Se accettiamo che la questione determinante sia la sconfitta della macchina per ammazzare milioni di persone chiamata imperialismo statunitense, allora è legittimo valutare ed appoggiare determinati movimenti indipendentisti, come respingerne altri. Non c'è niente di più ipocrita o meno conveniente di sollevare alti principi nel prendere queste decisioni politiche. È noto che Hitler giustificò l'invasione della Cecoslovacchia in difesa dei separatisti dei Sudeti, e che una serie di presidenti statunitensi hanno motivato la spartizione dell'Iraq in nome della difesa dei curdi, o sunniti, o sciiti, o di chiunque siano i leader tribali che si prestano alla costruzione dell’impero degli Usa. Ciò che definisce la politica antimperialista non sono i principi astratti di autodeterminazione, bensì la definizione esatta dei riferimenti specifici.

Ad esempio, oggi in Bolivia, in nome dell'autodeterminazione e dell'autonomia, un'oligarchia di destra razzista, padrona del settore dell'esportazione agricola, si sta impadronendo del controllo della regione più fertile e ricca in risorse energetiche, che comprende il 75% delle risorse naturali del paese, espellendo e brutalizzando gli indigeni impoveriti nel processo. Bisogna domandarsi su quale base il movimento di sinistra o antimperialista possa opporsi a ciò, se non perché il contenuto di classe, di razza e di nazione di queste rivendicazioni è antitetico ad un principio più importante: la sovranità popolare basata sui principi democratici di potere della maggioranza e di eguale accesso alla ricchezza pubblica.

Separatismo in America Latina: Bolivia, Venezuela ed Ecuador

In questi ultimi anni, in America Latina i candidati sostenuti dagli Usa hanno vinto e perso le elezioni nazionali. È chiaro che gli Stai Uniti hanno mantenuto l'egemonia sulle élite al governo in Messico, Colombia, America Centrale, Perù, Cile, Uruguay ed in alcuni stati insulari dei Caraibi. Negli stati dove l'elettorato ha sostenuto gli oppositori della dominazione statunitense, come Venezuela, Ecuador, Bolivia e Nicaragua, l'influenza di Washington si appoggia su funzionari eletti a livello regionale, provinciale e locale. È prematuro affermare, come dichiara il Council for Foreign Relations, che l'egemonia statunitense in America Latina sia cosa del passato. Basta leggere i documenti economici e politici che registrano i crescenti vincoli economici e militari tra Washington ed il regime di Calderon in Messico, i regimi di García in Perù, Bachelet in Cile ed Uribe in Colombia per registrare il fatto che l'egemonia statunitense prevale ancora in importanti regioni dell'America Latina.

Se guardiamo oltre il livello governativo nazionale, perfino in stati non egemonizzati dagli Usa, l'influenza statunitense è tuttavia un fattore potente nel condizionare il comportamento politico della facoltosa ala destra del business, delle élite politiche finanziarie e regionali in Venezuela, Ecuador, Bolivia ed Argentina. Dalla fine di maggio del 2008, i movimenti regionalistici sostenuti dagli Usa sono stati all'offensiva, instaurando ‘de facto’ un regime secessionista a Santa Cruz, in Bolivia. In Argentina, le élite dell'agro-business hanno organizzato una serrata della produzione e della distribuzione su scala nazionale, appoggiate dalle grandi confederazioni industriali, finanziarie e commerciali, contro un'imposta sull'esportazione promossa dal governo di centro-sinistra di Cristina Kirchner. In Colombia, gli Usa stanno negoziando con il presidente paramilitare Álvaro Uribe la collocazione di una base militare alla frontiera con lo stato venezuelano ricco di petrolio di Zulia, che sembra avere l'unico governatore in carica opposto a Chávez, uno strenuo difensore dell'autonomia o della secessione. In Ecuador, il sindaco di Guayaquil, appoggiato dai media di destra e dagli screditati partiti politici tradizionali, ha proposto ‘l'autonomia’ dal Governo centrale del presidente Rafael Correa.

Il processo di smembramento nazionale guidato dall'impero è molto diseguale, a causa del diverso grado dei rapporti di forza politici tra il Governo centrale ed i secessionisti regionali. I secessionisti boliviani di destra sono quelli più avanzati, essendo arrivati ad organizzare e vincere un referendum, dichiarandosi un'unità governativa indipendente con il potere di riscuotere tasse, formulare la politica economica estera e creare una propria forza di polizia.

Il successo secessionista di Santa Cruz è dovuto all'incapacità politica e alla totale incompetenza del regime di Evo Morales e del suo vicepresidente Álvaro García Linera che, promuovendo l'autonomia per le molte ‘nazioni’ indio impoverite (indianismo), hanno finito con il favorire che gli oligarchi razzisti bianchi cogliessero l'opportunità di stabilire la loro propria base di potere separatista. Man mano che i separatisti ottenevano il controllo della popolazione locale, procedevano ad intimorire gli indios e i sindacalisti favorevoli al governo di Evo Morales, a sabotare violentemente l'Assemblea Costituzionale e respingere la Costituzione, strappando continuamente concessioni al debole e conciliatorio governo centrale di Morales. I separatisti, mentre liquidavano la Costituzione e ponevano il loro controllo sui principali mezzi di produzione e sull’esportazione, si presero altre 5 province, formando un arco geografico di sei province, più l'influenza su altre due, nel tentativo di degradare il Governo nazionale. Il regime ‘indianista’ di Morales-García Linera, composto in gran parte di ex impiegati meticci di Ong finanziati dall'estero, non ha mai usato il suo potere costituzionale formale né il monopolio legittimo della forza per fare eseguire l'ordine costituzionale e per dichiarare fuori legge e perseguitare le violazioni dell'integrità nazionale da parte dei secessionisti ed il loro rifiuto dell'ordine democratico.

Morales non ha mai mobilitato il paese, la maggioranza delle organizzazioni popolari della società civile, e non è nemmeno ricorso all'esercito per sconfiggere i secessionisti. Ha invece continuato a fare impotenti appelli al dialogo, e compromessi nei quali le sue concessioni all'autogoverno dell'oligarchia ha solamente confermato la loro guida del potere regionale. Come caso esemplare di mancanza di governance di fronte ad una minaccia reazionaria separatista alla nazione, il governo di Morales-García Linera rappresenta un deplorevole fallimento nel difendere la sovranità popolare e l'integrità della nazione.

Le lezioni boliviane di mancanza di governance devono servire da severo monito a Chávez in Venezuela e a Correa in Ecuador: a meno che non agiscano con tutta la forza della costituzione per frenare i movimenti separatisti in embrione, prima che ottengano una base di potere, dovranno affrontare anche loro la rovina dei loro paesi. La minaccia più grande è in Venezuela, dove i militari statunitensi e colombiani hanno costruito basi nella frontiera con lo stato limitrofo venezuelano di Zulia, infiltrando reparti d’assalto e forze paramilitari nella provincia, e considerano il possesso di questa provincia ricca in petrolio come una testa di ponte per privare lo stato venezuelano delle sue rimesse vitali provenienti dal petrolio e destabilizzare il governo centrale.

Oggi i movimenti separatisti promossi in America Latina dagli Usa sono attivi per lo meno in tre paesi. In Bolivia, l’arco di province di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija, hanno indetto con successo referenda provinciali per ‘l’autonomia’, che qui è il termine utilizzato per secessione. Il 4 maggio del 2008 i separatisti di Santa Cruz hanno avuto successo: con una partecipazione di quasi il 50% degli elettori censiti, hanno ottenuto l’80% di voti favorevoli. Il 15 maggio, l'elite politico-imprenditoriale di destra ha annunciato la formazione di ministeri per il commercio esterno e la sicurezza interna, assumendo così i poteri effettivi di un stato secessionista. Il governo degli Stati Uniti, rappresentato dall'ambasciatore Goldberg, ha fornito appoggio finanziario e politico alle organizzazioni ‘civili’ secessioniste di destra, attraverso 125 milioni $ di aiuto ai loro programmi gestiti dall’Aid, e decine di milioni di $ del programma anti-droga, ed attraverso il Ned (National Endowment for Democracy) ha finanziato le Ong favorevoli alla secessione. Nelle riunioni dell'Organizzazione degli Stati Americani ed in altre riunioni regionali, gli Usa si sono rifiutati di condannare i movimenti separatisti.

A causa della completa incompetenza e mancanza di guida politica nazionale del presidente Evo Morales e del suo vicepresidente Álvaro García Linera, lo stato boliviano si sta disintegrando in una serie di cantoni autonomi, perché già diversi altri governatorati provinciali cercano di usurpare il potere politico e gestirsi le loro risorse economiche. Fin dall'inizio, il regime Morales-García Linera firmò diversi patti politici, adottò una serie di politiche ed approvò una quantità di concessioni alle élite oligarchiche di Santa Cruz, che permisero loro di ricostruire efficacemente la loro naturale base politica di potere, di sabotare un'assemblea costituzionale eletta e minare decisamente l'autorità del Governo centrale. Il successo della destra si è prodotto in meno di due anni e mezzo, fatto particolarmente sorprendente, se si tiene in conto che nel 2005 il paese visse un'importante insurrezione popolare che depose un presidente di destra, mentre milioni di lavoratori, minatori, contadini ed indios si impadronivano delle strade. È dovuto all'assoluto malgoverno di Morales e García Linera se il paese è passato tanto rapidamente e decisamente da un stato di potere insurrezionale popolare ad un paese frammentato e diviso, nel quale un'elite agro-finanziaria separatista si è impadronita del controllo dell’80% delle risorse produttive del paese, mentre il Governo centrale solleva flebili proteste.

Il successo della classe dirigente regionale secessionista boliviana ha incoraggiato ‘movimenti autonomisti’ simili, guidati dal sindaco di Guayaquil (Ecuador) e dal governatore di Zulia (Venezuela). In altre parole, la sconfitta politica, costruita dagli Stati Uniti, del governo di Morales e García Linera in Bolivia, ha portato il movimento autonomista ad associarsi con gli oligarchi in Ecuador e Venezuela per ripetere l'esperienza di Santa Cruz in un processo di “separatismo contro-rivoluzionario permanente”.

Il separatismo e l'ex URSS

La sconfitta del comunismo nell'URSS ha avuto poco a che vedere con quello che l'ex responsabile della sicurezza nazionale statunitense Zbigniew Brzezinski qualificò come una "bancarotta del sistema a causa della corsa al riarmo." Fino alla fine nell’URSS, le condizioni di vita sono rimaste relativamente stabili, i programmi di welfare hanno continuato a funzionare a livelli quasi ottimali ed i programmi scientifici e culturali a ricevere una parte cospicua della spesa pubblica. Invece le elite che hanno governato dopo il sistema comunista non hanno corrisposto alla propaganda statunitense sulle virtù del libero mercato e della democrazia, come proclamavano i presidenti Ronald Reagan, George Bush padre e Bill Clinton: lo prova in modo evidente il fatto che quando hanno preso il potere hanno imposto un sistema politico ed economico né democratico né basato sulla competizione del mercato. Questi nuovi governi su base-etnica si sono rivelati simili a monarchie dispotiche, predatrici e nepotiste che hanno regalato (con le privatizzazioni) ad un pugno di oligarchi e monopoli stranieri la pubblica ricchezza accumulata durante i precedenti 70 anni di lavoro collettivo e di investimenti.

La principale forza ideologica che spinge l’attuale politica separatista è la politica di identità etnica, fomentata e finanziata dagli organismi di intelligence e propaganda degli Usa. La politica di identità etnica che ha rimpiazzato il comunismo, è basata su vincoli verticali tra le elite e le masse. Le nuove elite governano per mezzo di un nepotismo di tipo clánico-famigliar-religioso-mafioso, finanziato e spinto con la rapina e la privatizzazione della ricchezza pubblica creata sotto il Comunismo. Una volta al potere, le nuove élite politiche ‘privatizzano’ la ricchezza pubblica trasformandola in ricchezza familiare e convertono se stessi ed i loro complici, in una classe governante oligarchica. In non pochi casi, i vincoli etnici tra le élite e i sottoposti si dissolvono davanti al declino delle condizioni di vita, le disuguaglianze profonde di classe, i brogli elettorali e la repressione dello stato.

In tutti gli stati dell'ex URSS, l'unica rivendicazione delle nuove classi dirigenti in materia di legittimità sociale si basa sull'appartenenza ad un'identità etnica comune. Hanno rispolverato simboli medievali e monarchici del lontano passato, tirando fuori dell'armadio monarchi assolutisti, gerarchie religiose parassitarie, signori della guerra pre-capitalisti, imperatori sanguinari e bandiere nazionali dei giorni del feudalesimo proprietario terriero per forgiare una storia ed un'identità comuni con le masse appena ‘liberate’. Il ripetuto ricorso ai simboli reazionari del passato è del tutto appropriato: le attuali politiche di dispotismo, la rapina e i culti della personalità hanno assonanze con i guerrieri ‘storici’ del passato, i signori e le pratiche feudali.

Man mano che i nuovi despoti post-URSS perdono il loro lustro etnico in seguito alla pubblica disillusione generata dal rapace saccheggio nazionale e straniero della ricchezza nazionale, i leader ricorrono sistematicamente alla forza.

Il maggior successo della strategia statunitense di promozione del separatismo è stata la distruzione dell'URSS, non la promozione di democrazie capitaliste indipendenti vitali. Washington è riuscita nell'esacerbazione di conflitti etnici tra i russi e le restanti nazionalità, incoraggiando alcuni capi comunisti locali a separarsi dall'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ed a formare stati indipendenti nei quali i nuovi governanti potessero spartirsi la cassa del tesoro locale con i loro nuovi soci occidentali. Gli sforzi di destabilizzazione realizzati dagli Usa nei paesi comunisti, specialmente dopo gli anni ‘70 non si è misurata su un miglior standard di vita, maggior crescita industriale o su programmi di welfare più generosi. La propaganda occidentale si è concentrata invece sulla solidarietà etnica, un tema che spezza la solidarietà di classe e la lealtà allo stato e all'ideologia comunista, e ha rafforzato alcune elite filo-occidentali, specialmente tra i ‘pubblici intellettuali’ e i capi comunisti convertitisi in ‘salvatori della patria’.

Il punto chiave della strategia occidentale è stato soprattutto fare a pezzi l'URSS per mezzo di movimenti separatisti, senza riguardo se questi fossero formati da fondamentalisti religiosi fanatici, gangster politici, economisti liberali formati in Occidente o signori della guerra con aspirazioni ambiziose. L’unica cosa che importava era che inalberassero il bandiera separatista dell'autodeterminazione. In seguito, nel periodo post-sovietico, le nuovi elite filo-capitaliste al potere furono elevate al rango di membri Nato e stati satelliti.

Le politiche di Washington nel periodo post-separatista seguirono un processo in due tappe: nella prima fase, predominò l'appoggio indifferenziato a chiunque patrocinasse la disintegrazione dell'URSS; nella seconda fase, gli Stati Uniti cercarono di promuovere la fazione più favorevole alla Nato ed al libero mercato, attraverso le così dette ‘rivoluzioni colorate’, in Georgia e in Ucraina. Il separatismo fu considerato come un passo preliminare verso una tappa successiva di subordinazione all'impero statunitense. La nozione di stati indipendenti è virtualmente inesistente per i costruttori di questo impero. Nel migliore dei casi esiste come tappa transitoria da una costellazione di poteri al nuovo impero diretto dagli Usa.

Nel periodo seguente la disintegrazione dell'URSS, i successivi tentativi di Washington di reclutare nuove élite filo-capitaliste e di creare stati satelliti, ebbero un relativo successo. Alcuni paesi aprirono le loro economie ad uno sfruttamento sfrenato specialmente delle loro risorse energetiche. Altri, offrirono collocazioni per basi militari. In molti casi, i governanti locali cercarono di fare affari con le potenze mondiali mentre accrescevano le loro fortune private con il saccheggio.

Nessuna delle repubbliche ex sovietiche è arrivata a sviluppare un stato democratico indipendente che permetta di recuperare i livelli di vita che la rispettiva popolazione possedeva ai tempi sovietici. Alcuni governi sono diventati dittature teocratiche, nelle quali i notabili religiosi ed i dittatori si appoggiano mutuamente. Altri si sono convertiti in turpi dittature a base familiare. Nessuno di essi ha mantenuto la rete di previdenza sociale o i sistemi educativi di elevata qualità dell'era sovietica. Tutti i regimi post-sovietici hanno magnificato le disuguaglianze sociali e moltiplicato la quantità di imprese a carattere mafioso. I delitti violenti sono cresciuti geometricamente, fomentando l'insicurezza del cittadino.

Il successo del separatismo indotto dagli Usa, nella maggioranza dei casi, ha creato grandi opportunità per la rapina occidentale ed asiatica di materie prime, specialmente di risorse petrolifere. L'esperienza dei ‘nuovi stati indipendenti’, nel migliore dei casi, è stata un'illusione transitoria, mentre le elite governanti o passavano direttamente nella sfera di influenza occidentale o diventavano un mero paravento della profonda subordinazione strutturale ai circuiti di esportazione di materie prime e finanziari dominati dall’Occidente.

Dopo il crollo dell'URSS, gli stati occidentali si allearono con le repubbliche che più rispondevano ai loro interessi. In alcuni casi firmarono accordi con i loro governanti per stabilire basi militari, riempiendo a tal fine di prestiti le tasche del dittatore di turno. In altri casi, si assicurarono un accesso privilegiato alle risorse economiche per mezzo di imprese miste. In altri, ignorarono semplicemente agli stati con meno risorse e li lasciarono cadere in miseria e nel dispotismo.

Separatismo: Europa dell’est, Balcani e paesi baltici

L'aspetto più sorprendente della disintegrazione del blocco sovietico fu la rapidità e la sollecitudine con le quali i paesi passarono dal Patto di Varsavia alla Nato, e dal dominio politico sovietico al controllo economico di Usa e Ue in quasi tutti i settori economici importanti. Il passaggio da una forma di subordinazione politica, economica e militare ad un'altra sottolinea la natura transitoria dell'indipendenza politica, la superficialità del suo significato operativo e la spettacolare ipocrisia della nuova classe dominante- che denunciava allegramente la dominazione sovietica mentre consegnava al capitale occidentale la maggior parte dei settori economici, e destinava una parte del suo territorio alla basi Nato, fornendo contemporaneamente battaglioni di soldati mercenari per combattere nelle guerre imperiali statunitensi in una quantità assai maggiore a qualunque altra registrata durante il periodo sovietico.

Il separatismo in queste aree è stata un'ideologia utile per debilitare la coalizione egemone avversaria, tanto più in quanto incorporava i suoi membri in una coalizione di costruzione imperialista più virulenta ed aggressiva.

Iugoslavia e Kosovo: separatismo forzato

Il successo nella disintegrazione dell'URSS e dell'alleanza del Patto di Varsavia incoraggiò gli Usa e l'Ue a distruggere la Iugoslavia, l'ultimo paese rimasto indipendente fuori dal loro controllo nell’Europa Occidentale. Lo smantellamento della Iugoslavia fu iniziato dalla Germania dopo la sua annessione della Germania Orientale e la demolizione della sua economia. In seguito si estese nelle repubbliche di Slovenia e Croazia. Gli Usa, ultimi arrivati nella divisione dei Balcani, si concentrarono in Bosnia, Macedonia e Kosovo. Mentre la Germania estendeva la conquista per via economica, gli Usa, fedeli alla loro missione militarista, ricorrevano alla guerra in alleanza con noti gangsters terroristici albano-kosovari, organizzati nella formazione paramilitare Kla (Kosovo Liberation Army). Sotto la leadership di Bernard Kouchner, le forze della Nato facilitarono la pulizia etnica, l'assassinio e la sparizione di decine di migliaia di serbi, rom e dissidenti albano-kosovari non separatisti.

La distruzione della Iugoslavia è completa: la restante Repubblica della Serbia, colpita ripetutamente e divisa, è ora alla mercè degli Usa e dei loro alleati europei. Dal 2008 è risultata eletta una coalizione appoggiata dall'Ue e dagli Usa, favorevole alla Nato, e gli ultimi resti dalla Iugoslavia e della sua eredità storica di socialismo autonomo sono cancellati.

Conseguenze del separatismo nell'URSS, nell’Europa Orientale e nei Balcani

In tutte le regioni nelle quali ha trionfato il separatismo sponsorizzato e finanziato dagli Usa, le condizioni di vita sono precipitate, si è prodotto un massiccio saccheggio delle risorse pubbliche in nome della privatizzazione, e si sono raggiunti livelli di corruzione politica senza precedenti. Una cifra vicina ad un terzo della popolazione è emigrata nell’Europa Occidentale ed in Nord America, fuggendo dalla fame, dall'insicurezza personale (crimine), dalla disoccupazione e da un futuro incerto.

Politicamente, il tasso straordinario di gangsterismo e di crimini ha portato gli imprenditori che svolgevano attività legittime a pagare somme esorbitanti di estorsione, mentre una nuova classe di delinquenti riconvertiti in impresari si faceva carico dell'economia e firmava dubbi accordi di investimento e joint venture con imprese transnazionali dell'Ue, degli Usa e dell’Asia.

I paesi ex sovietici ricchi in risorse energetiche dell'Asia del centro-sud sono passati sotto il potere di dittatori opulenti, che hanno accumulato fortune di miliardi di dollari nel processo di smantellamento delle preesistenti norme ugualitarie, sanità generalizzata, istituzioni scientifiche e culturali. Le istituzioni religiose hanno acquisito un potere superiore alle associazioni scientifiche e professionali e, contro queste, hanno annullano i progressi educativi dei precedenti settanta anni. La logica del separatismo si è estesa dalle repubbliche a livello sub-nazionale, in un processo in cui i signori della guerra e i capi etnici rivaleggiano nella creazione di una loro propria entità autonoma, col risultato di guerre sanguinose, nuovi episodi di pulizie etniche e nuovo flusso di rifugiati delle zone in conflitto.

Le promesse degli Usa riguardo i benefici che il separatismo avrebbe apportato alle diverse popolazioni non si sono minimamente realizzate. Nel migliore dei casi l’esigua elite governante con i suoi soci hanno mietuto ricchezza, potere e privilegio a spese della grande maggioranza. Qualsiasi fossero le iniziali soddisfazioni simboliche che la popolazione delle classi inferiori ha potuto provare durante la sua effimera indipendenza, la nuova bandiera ed il potere religioso restaurato sono stati erosi dalla paralizzante povertà e dalle violente lotte interne per il potere che hanno perturbato le loro vite. La verità è che milioni di persone sono fuggite dai loro stati da poco indipendenti e hanno preferito trasformarsi in rifugiati e cittadini di seconda classe in paesi stranieri.

Conclusione

La maggiore mancanza delle Ong pseudo-progressiste e liberali nella loro difesa dell'autonomia, della decentralizzazione e dell'autodeterminazione, consiste nel fatto che questi concetti astratti eludono la fondamentale domanda storica e la concreta questione politica: verso quale classe, razza o blocco politico si sta spostando il potere? Per più di un secolo negli Usa, la bandiera dei proprietari terrieri del Sud, razzisti, di destra, che governavano con la forza ed il terrore sui neri poveri era un ‘Diritto dello Stato’, ovvero la supremazia della legge e dell'ordine locale sull'autorità del governo federale e della costituzione nazionale. La lotta tra i federali contro i diritti degli stati è avvenuta tra un'oligarchia sudista reazionaria ed una diffusa coalizione civica progressista del nord formata dai lavoratori e dalla classe media.

C'è una fondamentale necessità di demistificare la nozione di autonomia, esaminando le classi che la richiedono, le conseguenze della decentralizzazione del potere nei termini della distribuzione di potere, di ricchezza e di potere decisionale popolare, nonché guardando chi sono i benefattori esterni di un cambiamento dallo stato nazionale alle elite di potere locali e regionali. Invece il modo indiscriminato con cui alcuni libertari abbracciano ogni richiesta di autodeterminazione ha condotto ad alcuni dei più atroci crimini dei secoli XX e XXI. In molti casi i movimenti separatisti hanno fomentato o si sono prodotti in guerre imperialiste sanguinarie, come avvenne seguendo l’annessionismo nazista, le invasioni statunitensi dell'Iraq e dell’Afghanistan, l’invasione israeliana del Libano e la distruzione della Palestina.

Per chiarire il senso di termini come autonomia, decentralizzazione ed autodeterminazione, ed ottenere che queste devoluzioni di potere si muovano nella direzione storica progressista, è essenziale porsi alcune domande preventive: questi cambiamenti politici, favoriscono il potere ed il controllo della maggioranza dei lavoratori e dei contadini sui mezzi di produzione? Portano ad un maggiore potere popolare nello stato e nei processi elettorali o rafforzano invece i clienti demagoghi che difendono degli interessi dell'impero, per il quale la disintegrazione di un stato costituito porta all'incorporazione dei frammenti etnici in un impero folle e distruttivo?

James Petras

luglio 2008

http://www.webalice.it/mario.gangarossa/sottolebandieredelmarxismo_dossier/2008_07_james-petras_separatismo-e-costruzione-dell-impero-nel-secolo-ventunesimo.htm

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